«Osservai più volte con incredibile godimento dell’animo (incredibili animi iocunditate) le Stelle». Dello stupore di Galileo Galilei, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una breve nota di Andrea Lonardo, ispirata alla lettera da due post di Giovanni Lonardo su FB. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Scienza e fede e Filosofia: il Seicento.
Il Centro culturale Gli scritti (12/3/2023)
Nella notte fra il 7 e l'8 di gennaio del 1610 Galileo punta il suo nuovo perspicillo verso Giove, e vede per la prima volta nella nostra storia tre delle sue Lune, anche se all'inizio le scambia per Stelle Fisse, e poi nelle notti successive ne vede una quarta, vede che le tre che aveva già visto cambiano di posizione rispetto a Giove, capisce cosa sta vedendo, e pochi mesi dopo, nel Sidereus Nuncius, lo scrive al Mondo Intero, insieme alle sue prime scoperte.
Nelle sue parole è evidente lo stupore che dà piacere che lo colse, per la novità e la bellezza di ciò che vedeva incredibili animi iocunditate, con un incredibile godimento dell’anima:
«Ma io, lasciando le cose terrene, mi rivolsi alla speculazione delle celesti; e prima mirai la Luna così da vicino, come se fosse distante appena due semidiametri terrestri. Dopo questa, osservai più volte con incredibile godimento dell’animo (incredibili animi iocunditate) le Stelle, tanto fisse che erranti; e vedendole tanto fitte, cominciai a pensare sul modo con cui potessi misurare le loro distanze; e finalmente lo trovai».
Lo stupore e la gioia della scoperta è il tratto che congiunge tutte le affermazioni del Sidereus Nuncius, come è evidente dalle espressioni galileiane sulla scoperta che le galassie sono “greggi di stelle”:
«Quel che fu da noi in terzo luogo osservato, è l’essenza, ossia la materia, della stessa Via Lattea, che in virtù del cannocchiale è dato scrutare tanto sensibilmente, da esserne risolte, con la certezza che è data dagli occhi, tutte le dispute che per tanti secoli tormentarono i filosofi, e noi liberati da verbose discussioni.
È infatti la galassia nient’altro che una congerie di innumerevoli Stelle, disseminate a mucchi; ché in qualunque regione di essa si diriga il cannocchiale, subito una ingente folla di Stelle si presenta alla vista, delle quali parecchie si vedono abbastanza grandi e molto distinte; ma la moltitudine delle piccole è del tutto inesplorabile.
Ma poiché non soltanto nella galassia si nota quel candore latteo come di nube albeggiante, bensì numerose areole di colore consimile splendono qua e là per l’etere di tenue luce, se in una qualsiasi di esse si rivolga il cannocchiale, c’imbatteremo in un fitto ammasso di Stelle.
Inoltre (meraviglia ancor più grande) le Stelle chiamate fino ad oggi dai singoli astronomi nebulose, sono greggi di piccole Stelle disseminate in modo mirabile; e mentre ciascuna di esse, per la sua esilità, ossia per la grandissima lontananza da noi, sfugge alla nostra vista, dall’intreccio dei loro raggi si genera quel candore, che è stato creduto finora essere una parte più densa del cielo, capace di riflettere i raggi delle Stelle o del Sole».