Appunti sulla questione degli itinerari di catechesi dell’iniziazione cristiana (di G.M.)
I due appunti che seguono non hanno alcuna pretesa. Sono solo due flash, fissati in forma scritta per pensare ad alta voce.
Il centro culturale Gli scritti (26/12/2010)
Appunto I
Una catechista racconta di un bambino di 9 anni che dice nella riunione del gruppo di I comunione: «Cosa facciamo se dopo la morte ci troviamo di fronte ad Allah, invece che a Gesù?».
Ogni volta che si apre il “capitolo” della Genesi in un incontro formativo di catechisti, c’è qualcuno che dice: «Un bambino nel gruppo ha detto: “Tanto quello che dice la Bibbia non è vero! La maestra mi ha detto che noi veniamo dalla scimmia”».
Ma cosa manca per capire che la catechesi non si fa solo con giochetti di basso profilo, bensì che i nostri bambini chiedono risposte alle grandi questioni?
Appunto II
Quando sono entrato nella Commissione ministeriale per l'insegnamento della matematica colleghi “esperti” mi hanno spiegato che non si deve parlare di “programmi”, che sono cosa “impositiva”, bensì soltanto di “indicazioni nazionali” degli obiettivi. I programmi si costruiscono in classe. Il risultato è che i programmi li fanno le case editrici producendo spesso libri pessimi e infarciti di folli invenzioni (come la legge “dissociativa” dell'addizione), mentre le “indicazioni” sono una raccolta di vacuità scritte in uno stile pedagoghese insopportabile che propongono obiettivi assurdi: ad esempio, (per il ciclo elementare) la capacità di «valutare gli effetti delle decisioni e delle azioni dell'uomo sui sistemi territoriali» o di «produrre semplici testi storici», o (per il ciclo superiore) di «riconoscere i concetti di sistema e di complessità nelle sue (sic!) varie forme».
Da alcuni giorni mi torna in mente questo brano di Giorgio Israel, nel suo articolo La scuola riparta da maestri e contenuti.
In maniera molto netta, denuncia come i programmi vengano dettati ormai dalle case editrici, poiché il Ministero, a motivo dell’autonomia della scuola, si astiene dal precisarli e, d’altro canto, le singole scuole non sono in grado di maturare da sole un itinerario che garantisca insieme ricchezza di contenuti e propedeuticità degli stessi. Se, invece, singoli insegnanti si muovono da soli, senza fare riferimento a testi scolastici, spesso gli itinerari proposti si caratterizzano per i loro pallini e le loro preferenze assolutamente discutibili, piuttosto che aderire maggiormente al contesto locale nel quale la scuola è inserita (sarebbe questo, in realtà, il fine dell’autonomia).
Nella catechesi avviene esattamente lo stesso. Quando mancano indicazioni chiare sugli itinerari catechistici la conseguenza è che i catechisti si recano ogni anno a settembre presso le librerie cattoliche alla ricerca del sussidio che sembra loro migliore e che, di fatto, detterà poi l’itinerario che si seguirà quell’anno.
La questione degli itinerari è insomma decisiva. Ogni serio rinnovamento dell’iniziazione cristiana deve affrontarla. Tale questione non può essere semplicemente demandata alle case editrici ed ai loro sussidi. O all’estemporaneità di un’idea di qualche catechista, pur lodevolmente dotato di fantasia.