Tommaso a 29 anni è prof al liceo classico: “Inutili le lingue classiche? Hanno ragione, ma danno sostanza a tutto il resto”. Il lento declino del Liceo Classico risponde ad un nuovo modo di intendere l’istruzione: famiglie e studenti chiedono un riscontro pratico - spendibile da subito - al termine degli studi. Tommaso Pucci, prof di greco e latino a 29 anni, naviga controcorrente e rivendica con forza il valore del percorso liceale, di Federico Bianchetti
Riprendiamo dal sito skuola.net un’intervista di Federico Bianchetti pubblicata il 9/2/2023 (https://www.skuola.net/scuola/tommaso-29-anni-prof-liceo-classico-inutili-lingue-classiche.html). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Letteratura e Educazione, scuola e cultura. Cfr. in particolare Classico. Storia di come un concetto elitario si fa universale, dal sito Una parola al giorno.
Il Centro culturale Gli scritti (12/2/2023)
“Il greco e il latino sono lingue morte”. Uno stereotipo che nel corso degli anni ha trovato terreno sempre più fertile, poggiando le proprie radici nella convinzione che le lingue antiche, e di conseguenza il Liceo Classico, non offrano più alcuna competenza spendibile immediatamente nel mondo del lavoro ai giovani.
Lo confermano gli ultimi dati del Ministero dell’Istruzione: solo il 6% lo ha scelto per il prossimo anno scolastico. Un cambio di paradigma che vede il Classico scivolare in fondo alla classifica dei percorsi.
Tutto ciò si tramuta in una sfida quotidiana per gli stessi insegnanti di questo indirizzo liceale che provano, al massimo delle loro possibilità, a lasciare un “segno” sulla formazione dei giovani studenti. È questa la missione che si è imposto Tommaso Pucci, che a soli 29 anni è docente di latino e greco dell’Istituto Paritario “Santa Maria” di Roma.
Un percorso controcorrente, il suo: non solo ha scelto questa branca del sapere per sé, ma ha scelto di metterla a disposizione, ogni giorno in classe, anche delle nuove generazioni. Perché, secondo lui, il liceo Classico non è per nulla obsoleto. Anche se, ammette, le lingue antiche possono essere considerate “inutili” se dobbiamo cercare a tutti i costi il modo in cui spenderle nel pratico. Ma c’è anche tanto di più, secondo il giovanissimo professore. E lo ha spiegato a Skuola.net in occasione della Giornata Internazionale della Lingua Greca.
Iniziamo dagli stereotipi più “classici”: il greco è davvero una “lingua morta”? E il liceo classico è davvero un liceo troppo ancorato al passato?
“Se guardiamo alla definizione strettamente linguistica di 'lingua morta' possiamo pensare che sia così: non esiste nessun parlante attualmente vivo che si esprima in greco antico. Va considerato però il legame diretto con il greco moderno. Perciò, anche nei termini della linguistica, affermare che il greco sia una lingua morta è inesatto. Ma forse il punto è un altro: vale o no la pena studiarlo e perché? Che sia morta o meno è irrilevante”.
“Certo, se continuiamo a guardare alla classicità come a un negozio di antiquariato cui essere devoti per il nome stesso che porta, a riservarne l'accesso solo ad una selezionata élite che accetta questa cieca devozione, credo che abbia ragione chi ritiene che il liceo classico sia troppo ancorato al passato. O forse poco ancorato al presente.”
Alla luce degli ultimi dati sulle iscrizioni al liceo classico, sempre più in discesa, pensi che l’insegnamento del greco e del latino ha bisogno di evolversi per trovare spazio nella didattica del futuro?
“Sicuramente è indispensabile trovare le strategie più adatte anche dal punto di vista didattico perché si possa rispondere alle nuove sfide del presente. Credo però che il problema delle iscrizioni vada oltre le mere strategie.”
“Forse dovremmo ripartire dai fondamenti, vale a dire dal fatto che la didattica è un mezzo, non il fine. Ogni strumento, tradizionale o nuovo che sia, funziona nella misura in cui è chiaro lo scopo. E lo scopo è la relazione educativa, che è la vera sfida della scuola. Anche su questo i testi antichi hanno molto da dire: come ho imparato dalla mia professoressa di greco, che citava Plutarco: "La mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma, come legna da ardere, ha bisogno solo di una scintilla che la accenda, che vi infonda l'impulso alla ricerca e il desiderio della verità". Poi il resto viene di conseguenza, anche stare seduti davanti a una versione per qualche ora, sfogliando il dizionario fino a farsi venire le vesciche alle dita. Esagero, ovviamente, ma sono convinto che imparare a faticare è questione di motivazione, non solo di strategie. Come insegnanti dovremmo ripartire da qui, da questa domanda che tra l'altro riguarda anche noi, il nostro lavoro, la nostra fatica quotidiana.”
La tua è stata una scelta controcorrente: fare l’insegnante di lingue antiche al classico quando sembra che i giovani siano sempre più disamorati di questo liceo. Quali sono state le tue motivazioni?
“È una sfida, non posso negarlo. In senso strettamente didattico è raro trovare compiacimento dei risultati raggiunti, quando si insegnano discipline come latino e greco. Quando incontro per la prima volta una classe, cerco sempre di immedesimarmi nella domanda che tutti gli studenti in modo più o meno esplicito si pongono: “Chi te l'ha fatto fare?”. E quindi, prima ancora che se lo chiedano, cerco di presentarmi attraverso la storia che mi ha condotto ad essere lì con loro.
Nelle scelte di vita sono gli incontri ad essere decisivi. E per me lo sono stati: sicuramente la passione delle mie insegnanti di greco al liceo è stata importante, ma ancora più determinante è stato aver incontrato qualcuno che vivesse la sua vocazione di insegnante non solo con la passione per la letteratura, ma anche con il gusto di viverla coi giovani come un'esperienza attuale.
Era il 2013, mi ero appena diplomato, avevo deciso di iniziare a studiare filosofia, ma avevo grandi incognite sul mio presente e sul mio futuro. Mi sono ritrovato a organizzare insieme ad altri amici le conferenze sulla Divina Commedia tenute dal prof. Franco Nembrini: in quel momento ho percepito un'attrattiva verso qualcosa di nuovo, che però risuonava in me come se già mi appartenesse. È lì che ho scoperto e deciso di essere un insegnante”
Cosa diresti ad uno studente che reputa “inutili” le lingue classiche?
“Gli direi che ha ragione. Non c'è cosa più inutile, forse. Ed è un'altra delle prime provocazioni che lancio alle classi che mi vengono affidate. Non se ne può più di sentire certi slogan. "Eh, ma il classico ti apre la mente…", "Guarda che se studi le lingue classiche, capirai l'etimologia di tante parole", "Chi studia al classico, può prendere qualsiasi facoltà universitaria". Per carità, non che non ci sia un fondo di verità, è evidente.
Condivido quanto scritto di recente da Gramellini e l'immagine della cyclette. Sarà che a me non basta limitarmi a comprendere che la fatica che sto facendo ora darà i frutti poi, come se dovessimo rimandare sempre il tempo del godimento a un momento che non è mai oggi. È bella anche la strada, mica solo la meta. D'altra parte ravviso in questi espedienti il tentativo più o meno grossolano di trovare un'utilità laddove non c'è, almeno nei termini in cui la s'intende di solito, come se per fare un percorso di liceo classico si debba necessariamente trovare qualcosa di appetibile, di immediatamente spendibile nel pratico.
Il liceo classico scommette proprio sul percorso inverso. Credo che la nostra proposta sia per un percorso che scommette in un certo senso sul tempo inutile, ma che è quello che può dare sostanza a tutto il resto. Non dico per trovare risposte esistenzialmente esaurienti, ma almeno per aprire un certo tipo di domande, questo sì. E non è poco.”
In un mondo del lavoro che punta sempre di più sulle STEM come può collocarsi uno studente che sceglie gli studi umanistici? C’è ancora spazio per chi sceglie questo tipo di formazione?
“Se parliamo di percorso liceale, sono convinto anch'io che il classico apra qualsiasi strada. La scuola dovrebbe aiutare appunto a trovare la propria, qualsiasi sia la formazione ricevuta. Se parliamo invece degli studi universitari, la questione è più complessa. Sicuramente, in un'epoca in cui il mondo del lavoro sta cambiando, ad eccezione di alcune facoltà più specialistiche, la scelta universitaria non determina a priori il percorso lavorativo.
È plausibile che chi studia oggi, possa ritrovarsi domani a fare un lavoro che ancora non esiste. Improbabile dirlo per un giovane che intraprende gli studi di medicina, plausibile invece per chi opta per altro tipo di studi, come quelli umanistici, per l'appunto.”