A Benedetto XVI piaceva Guareschi (e pure don Matteo), di Samuele Pinna
Riprendiamo dal sito breviarium.eu brani da un articolo di Samuele Pinna pubblicato l’11/2/2023. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Letteratura e Educazione e media.
Il Centro culturale Gli scritti (12/2/2023)
N.B. de Gli scritti
È meraviglioso ricordare come pure papa Francesco annoveri le storie di Guareschi, con i suoi Peppone e don Camillo, fra i racconti di “santi” da riproporre in Italia, come ha affermato nell’importantissimo discorso al Convegno di Firenze della chiesa italiana (cfr. su questo Un cristianesimo “popolare”. La chiara proposta di papa Francesco alla Chiesa italiana. Breve nota di Andrea Lonardo).
Nel libro da poco dato alle stampe da Georg Gänswein con Saverio Gaeta, Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI, vi sono due curiosità che non potevano non attirare la mia attenzione e che mostrano tutta la bella umanità di Joseph Ratzinger. Racconta, infatti, il suo segretario che al Monastero Mater Ecclesiae di domenica o nelle festività liturgiche
il pomeriggio era dedicato all’attività culturale: nei primi tempi ascoltavamo opere liriche e concerti in cd, mentre negli ultimi anni li abbiamo visti in dvd. Al termine, una delle Memores leggeva ad alta voce un libro, e una delle scelte predilette da Benedetto era la serie di racconti di Giovannino Guareschi su don Camillo e Peppone[1].
Se la notizia non è un inedito, perché Benedetto XVI aveva già dichiarato come a lui piacesse don Camillo e Peppone[2], tuttavia ricorda i suoi gusti letterari. Nella sua delicatezza, è poi affascinante scoprire come il Papa emerito, tra i suoi mille interessi, si facesse leggere proprio le pagine di Mondo piccolo (tale il “titolo” delle storie guareschiane) con i due protagonisti da tutti conosciuti: don Camillo e Peppone Bottazzi, il sindaco comunista del paese. Forse, perché – scrivevo in un mio saggio – «il “segreto” di questi racconti è, fuor di dubbio, l’uso dell’umorismo in chiave buona»[3]. D’altronde,
tra i santi – afferma Paolo Gulisano –, grande esempio di questa virtù è stato san Francesco di Sales, che nella sua Filotea precisava le caratteristiche di un buon umorismo cristiano, che in primo luogo deve allietare il cuore e non offendere nessuno. […] La derisione e la beffa infatti si fondano sulla presunzione di sé e sul disprezzo per gli altri, e questo è un peccato molto grave. Cosa molto diversa sono le battute scherzose tra amici, che si fanno in allegria e gioia serena[4].
Se l’umorismo non deve mai perdere di vista il bene, allo stesso tempo, tuttavia, è finalizzato a chiarire i concetti in gioco. L’umorismo – spiega, infatti, lo stesso Guareschi – «è il nemico dichiarato della retorica perché, mentre la retorica gonfia e impennacchia ogni vicenda, l’umorismo la sgonfia e la disadorna, riducendola con una critica spietata all’osso»[5]. Non solo, è anche semplificazione, perché, «costretto a ridurre ogni cosa all’osso, riesce (più o meno bene) a fare lunghi discorsi con pochissime parole. E dice senza dire. E per dire si serve della forma più facile: la storiella»[6].
[…]
Secondo Giacomo Biffi, il quale mi ha confidato come anche lui ogni giorno rileggesse qualche pagina vergata dallo novellista della Bassa, il modo di elaborare le sue narrazioni ha dei tratti geniali:
La scrittura di Guareschi – anzi sarebbe forse più pertinente dire il suo “discorrere” – più che a scegliere le parole con arte o a enunciare in modo rigoroso dei concetti, mira ad arrivare direttamente alle cose[7].
La validità di questo giudizio è confermata da un altro scrittore, Giuseppe Marotta de L’oro di Napoli, al quale Giovannino aveva presentato alcuni tra i primi racconti (quando non esisteva ancora Mondo piccolo). La risposta, presente in una missiva, può essere sintetizzata più o meno in questi termini:
“Continua così, Giovannino, parla della tua terra, della tua gente, perché tu creerai qualcosa di immortale”; questo nel ’46… “Tu non allinei parole, ma cose”, e ancora: “Tieni forte il tuo umorismo perché, quando stai per scivolare nel patetico, con un colpo d’ala ti tiri su, tu trasformi la smorfia in un sorriso”[8].
Un’altra curiosità mi ha colpito: monsignor Georg racconta che di domenica, talvolta vedeva con il Santo Padre un film d’epoca, «ma gli piacevano anche gli episodi di don Matteo»[9]. Del resto – rilevavo nel mio libro sul famoso attore –, si può rimanere ammaliati dagli episodi che uniscono a un racconto giallo alcune vicissitudini dei protagonisti nelle varie serie che si sono succedute:
Questo perché Don Matteo è una fiaba dei tempi moderni, dove si sprigionano in un condensato molti valori positivi. […] La caratteristica, però, probabilmente più affascinante di don Matteo si mostra quando, solitamente a fine puntata, fa prendere coscienza del male e (addirittura) riesce a convertire le persone che per vari motivi hanno commesso qualche delitto. Ascoltando attentamente le sue parole, i dialoghi sono sempre edificanti e azzeccati, studiati e pronunciati con cura e, sovente, con commozione. Qui Terence primeggia con i suoi occhi di un azzurro terso e lo sguardo furbo alla Trinità grazie a quella bellissima storia narrata e interpretata magistralmente[10].
[…]
sono solo due piccole curiosità, che però mi fanno ancora dire come Benedetto XVI mi abbia insegnato, con squisita consonanza, che la compagnia di Cristo non toglie nulla e dona largamente: basta posare lo sguardo sulla creazione con gli occhi misericordiosi del Creatore, affinché il nostro “decidere sul da farsi” corrisponda sempre più in modo perfetto al Suo. E, magari nel paradosso, anche guardando un lungometraggio o leggendo un libro, «gustare il sapore buono della vita, la quale non si gioca solo nel tempo presente perché chiamata a ristare nell’eternità»[11].
Note al testo
[1] G. Gänswein – S. Gaeta, Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI, Piemme, Milano 2023, p. 316.
[2] Cfr. Benedetto XVI (J. Ratzinger) – P. Seewald, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, p. 30.
[3] S. Pinna, A dottrina con Don Camillo. I fondamenti dell’agire umano, Introduzione di D. Riserbato, Glossario a cura di F. Favero, Cantagalli, Siena 2022, p. 33.
[4] P. Gulisano, Presentazione, in S. Pinna, Dalle lettere di don Augusto. Come rimanere cattolici nonostante tutto, Postfazione di E. Beruschi, Edizioni Ares, Milano 2020, pp. 5-9: pp. 6-7.
[5] G. Guareschi, L’umorismo, a cura di A. Paganini, L’ora d’oro, Poschiavo 2015, p. 105.
[6] Ibid., p. 107.
[7] G. Biffi, Giovanni Guareschi ovvero La teologia di Peppone, in Id., Pinocchio, Peppone, l’Anticristo e altre divagazioni, Cantagalli, Siena 2005, pp. 81-107: p. 83.
[8] S. Pinna – D. Riserbato, Guareschi: Don Camillo e Peppone. Conversazione con Alberto Guareschi, in Idd., Filastrocche e canarini. Il mondo letterario di Giacomo Biffi, Presentazione di Pinocchio e Postfazione di M. M. Zuppi, Cantagalli, Siena 2019, p. 95.
[9] G. Gänswein – S. Gaeta, Nient’altro che la verità, p. 104.
[10] S. Pinna, Il suo nome è Terence Hill. Una vita da film, Àncora, Milano 2021, p. 143.
[11] Id. (ed.), Essere Chiesa nello Spirito. Interventi di Francesco Pinna, Teresa Gornati, Samuele Pinna, Federica Favero, Presentazione del cardinal R. Sarah, IF – Press, Roma 2022, p. 342.