La divinizzazione degli imperatori romani, di Romano Penna
Riprendiamo sul nostro sito un brano da R. Penna, L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata, Bologna, EDB, 2006, pp. 170-174. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Storia romana, Sacra Scrittura, I luoghi della Bibbia e della storia della Chiesa; cfr., in particolare, Cesare Ottaviano Augusto “salvatore”, “principio/arché” e proclamatore del “vangelo”: l’iscrizione per il nuovo capodanno nelle città greche di Asia Minore, a Priene, Apamea ed Eumenea e il Vangelo, di Andrea Lonardo
Il Centro culturale Gli scritti (15/1/2023)
Un concetto importante, che gravita attorno alla prassi del culto dei sovrani ellenistici prima e dell'imperatore romano poi, è quello di «parusìa». Il termine, che di per sé significa «presenza» e «arrivo-venuta», in questo nostro ambito acquista un uso tecnico nel senso di «avvento» solenne e festoso del principe in visita ad una città o regione.[1]
Così, per esempio, sappiamo di una parusìa del re Tolomeo IX in una città egiziana verso il 113 a.C., in occasione della quale venne ordinata un'abbondante elargizione di vettovaglie (cf. P. Teb. 48: προς την του βασιλεως παρουσιαν). È con questo significato che il vocabolo viene utilizzato nel N.T. a proposito della venuta escatologica di Cristo (cf. soprattutto 1Cor 15,23; 1Ts 2,19; 3,13; 4,15; 5,23; 2Ts 2,1.8; Mt 24,3.27.37.39).
A dispetto delle molte testimonianze del termine nell'antichità, la descrizione dell'avvenimento è un fatto piuttosto raro. Riportiamo qui due testi, di tempo e ambiente diverso, ma rivelatori di un diffuso e persistente costume e dell'ideologia che vi è connessa.
[…] La parusìa del sovrano (da Ateneo e Fl. Gius.)
[Ateneo, Deipnosoph. 6,253 c-d: il re di Macedonia, Demetrio Poliorcete, visita Atene verso il 290 a.C.] Quando Demetrio ritornò da Leucade e Corcira [= isole dello Ionio] ad Atene, gli ateniesi gli andarono incontro (απηντων αυτω) non solo con incenso, ghirlande e libagioni, ma anche con inni processionali e itifallici [cioè pertinenti ai culti fallici], accompagnati da danze e canti. Prendendo posto in mezzo alla folla, essi danzavano e cantavano che egli era il solo vero dio μονος θεος αληθινος), che gli altri dèi dormivano o erano assenti o non esistevano, ma che lui derivava da Poseidone e da Afrodite, superiore a loro per la sua bellezza e loro pari per la sua benevolenza (φιλαντρωπια) verso tutto il mondo. E lo supplicavano e gli offrivano preghiere. [In ib. 253 d-f, segue l'inno cantato nell'occasione, dove ritorna il concetto di parusìa espresso non col sostantivo ma col verbo παρειμι; cf. vv. 7-8.17-19:] Ilare come si conviene a un dio, e bello e sorridente, egli è qui presente (παρεστι)...; mentre gli altri dèi sono lontani, te, invece, vediamo qui presente (σε δε παρονθ’ορωμεν), non di legno, non di pietra, ma vero.
[OGIS 332,26-39: Decreto della città di Pergamo, su stele marmorea scoperta nel 1871 a NE di Smirne, per l'accoglienza del re Attalo III (138-133 a.C.) di ritorno da una vittoria militare, in cui si stabilisce pure il dono di una corona d'oro e la dedicazione di una statua nel tempio del «Salvatore Asclepio... affinché sia associato al tempio del dio» (riga 9: συνναος τω θεω] Avvicinandosi egli alla nostra città, tutti gli stefanofori dei XII dèi e del dio sovrano Eumene (suo padre) prenderanno la loro corona, i sacerdoti e le sacerdotesse apriranno il tempio degli dèi, spargeranno l'incenso, diranno le preghiere rituali, perché ora e sempre siano concesse al re Attalo, Filometore ed Evergete, la sanità, la salvezza, la vittoria, la potenza (υγιειαν σωτηριαν νικην κρατος) sulla terra e sul mare, e perché il suo regno duri per sempre sicuro in perfetta stabilità. Incontro a lui (απαντησαι αυτω) dovranno muoversi i suddetti sacerdoti e le sacerdotesse, gli strateghi, gli arconti, i vincitori dei giochi con le corone che hanno riportato, i ginnasiarchi con gli efebi e i cadetti, i maestri con i bambini, i cittadini, le donne, le giovani e gli abitanti in bianche vesti e adorni di corone. Sarà un giorno sacro (την ημεραν ιεραν) ...
[FI. Gius., Bell. 7,100-104: dopo la conquista di Gerusalemme nel 70 d.C., Tito si trasferisce verso il nord, avvicinandosi ad Antiochia di Siria; trad. G. Vitucci] (100) II popolo di Antiochia, quando seppe che Tito era vicino, per la gioia non fu capace di restare entro le mura, ma si affrettò a muovergli incontro (……………….). (101) Vennero avanti per più di trenta stadi non soltanto gli uomini, ma anche una gran folla di donne coi bambini riversandosi fuori dalla città. (102) E quando videro che si appressava, si disposero sui due margini della strada protendendo le braccio fra grandi acclamazioni e, lanciando ogni sorta di evviva, tornarono indietro per accompagnarlo. (103) Fra le grida festose ricorreva continuamente l'invocazione di scacciare i giudei dalla città. (104) Tito non assentì per nulla a questa richiesta, limitandosi ad ascoltare senza alcuna reazione a ciò che dicevano; ma i giudei, essendo all'oscuro dei suoi pensieri e delle sue intenzioni, vissero giorni di grande angoscia... (107) Il senato e il popolo degli Antiocheni lo pregò insistentemente di recarsi nel teatro, dove tutta la popolazione s'era raccolta per festeggiarlo, ed egli benignamente acconsentì.
Altre testimonianze le abbiamo soprattutto dai papiri e dalla numismatica. Per esempio, la visita di Nerone a Corinto è celebrata con una moneta recante la scritta: Adventus Aug(usti) Cor(inthi); numerose sono anche le monete coniate in tal senso per i molti viaggi di Adriano nei territori dell'impero. Una iscrizione a Didyma nella Caria celebra l'avvento dello stesso imperatore Adriano nella città come «giorno sacro» (ιερα ημερα), mentre un'altra iscrizione a Tegea nell'Arcadia commemora la sua visita con le parole: «Nell'anno 69 dalla prima parusìa del dio Adriano nell'Ellade» (Deissmann 319).
Un testo importante nell'evoluzione del concetto di elezione divina dell'imperatore è il Panegirico di Plinio il Giovane a Traiano, pronunciato nell'anno 100 davanti al senato romano. Il linguaggio è enfatico, forse adulatorio, ma esprime in ogni caso tipiche concezioni in materia.
[…] Plinio il Giov., Panegirico di Traiano passim
(1,3) Quale dono più prezioso e più bello degli dèi di un imperatore virtuoso e santo (castus et sanctus) e in tutto simile agli stessi dèi (et dis simillimus)? (4) E se si fosse potuto ancora dubitare, se per un puro caso o per un divino volere fossero dati i reggitori del mondo, sarebbe però evidente che il nostro principe è stato stabilito dagli dèi (divinitus constitutum). (5) Infatti non l'occulto potere del destino, ma lo stesso Giove lo rivelò apertamente e davanti a tutti, poiché fu eletto tra are ed altari...
(2,3)... Mai lo aduliamo come un dio, né come un nume [= la frase è una delle tante implicite esecrazioni di Domiziano, morto appena nel 96]; infatti non parliamo di un tiranno, ma di un cittadino, non di un padrone ma di un padre...
(5,2)... Era forse possibile che in nulla differisse un imperatore fatto dagli uomini da uno fatto dagli dèi?...
(8,1)... Con la tua adozione [da parte di Nerva] veniva fondata non la nostra servitù, ma la nostra libertà, salvezza e sicurezza (libertas et salus et securitas)...
(80,4) E così, come credo, che l'autore dell'universo (mundi parens) governa con un cenno del capo, quando getta lo sguardo sulla terra e si degna di inserire i destini umani tra le occupazioni divine; ma ormai, libero e sciolto da questa incombenza, si occupa solo del cielo, dopo che ha posto te, perché tu faccia le sue veci nei confronti di tutto il genere umano (qui erga omne humanum genus vice sua fungereris)...
(88,4) Il senato e il popolo romano non ebbero forse giuste ragioni di aggiungerti il soprannome di optimus?... (8) Perciò anche il padre degli dèi e degli uomini è venerato prima col nome di «ottimo» e poi con quello di «massimo».
Un altro aspetto del culto dell'imperatore è la prassi dell'«apoteosi» o divinizzazione di lui defunto; essa, a parte alcune eccezioni, divenne comune a partire da Augusto (cf. Svetonio, Aug. 100; Velleio Pat., Hist. rom. 2,124,3; 126,1; 130,1) con l'erezione di un Templum Divi Augusti in Palatio (Svetonio, Tib. 47). L'apoteosi era decretata dal senato e si svolgeva secondo un rituale, che soltanto Erodiano (storico minore a cavallo tra il II e il III secolo d. C.) ci ha descritto a proposito della cerimonia svoltasi per le esequie di Alessandro Severo (nell'anno 235).
[…] L'apoteosi dell'imperatore (Erodiano, Ab excessu Divi Marci 4,2,1-6.10-11)
È consuetudine dei romani divinizzare (εκθειαζειν) quei sovrani che lasciano figli come successori, e questo onore lo chiamano αποθεωσιν C'è un misto di lutto e di festa per tutta la città. Il corpo del defunto viene sepolto con rito solenne, secondo le norme; ma viene plasmata un'immagine di cera del tutto somigliante al defunto e posta su un grande letto di avorio, tutto coperto di broccato d'oro; l'immagine tutta pallida si presenta come se si trattasse di un infermo.
Ai lati del letto siedono, per la maggior parte del giorno, alla sinistra tutti i senatori in abiti neri, a destra tutte le donne degne di particolare onore per i loro mariti o padri... vestite di bianco... Fanno questo per sette giorni... Poi i giovani più nobili dell'ordine cavalleresco e i più scelti di quello senatorio prendono il letto sulle spalle e lo portano attraverso la via sacra fino all'antico foro... (Qui) da una parte si pone un coro di nobilissimi fanciulli e dall'altra di degnissime donne, che cantano inni e peani al defunto.
Dopo ciò prendono di nuovo il letto e lo portano fuori della città nel cosiddetto campo Marzio [= all'epoca in cui Erodiano scrive, non esistevano ancora le mura Aureliane, e il campo Marzio era ancora fuori della cinta muraria], dove nella parte più piana è pronto un palco quadrato... composto di travi di legno in forma di abitacolo (ες σχημα οικηματος)... [Su di esso se ne elevano altri digradanti; il letto viene posto nel secondo insieme ad aromi vari; poi l'ordine dei cavalieri vi giostra intorno]... Finite queste cose, il principe ereditario prende una torcia e l’avvicina all'abitacolo, mentre gli altri da tutte le parti attizzano il fuoco, che consuma quell'insieme secco e resinoso. Dall'abitacolo più elevato e più piccolo, si leva in cielo insieme al fuoco un'aquila, che i romani credono portare dalla terra al cielo (απο γης ες ουρανον) l'anima del sovrano; e da quel momento egli è venerato (θρησκευεται) insieme agli altri dèi (μετα των λοιπων θεων).
Su questo sfondo spicca la netta presa di posizione da parte di un cristiano come Teofilo di Antiochia, che verso il 180 scrive: «Tu mi chiederai: "Perché non adori il sovrano?". Perché egli non è stato fatto per essere adorato (προσκυνεισθαι), ma per essere onorato (τιμασθαι) con un doveroso rispetto. Non è un dio, bensì un uomo costituito da Dio, non per essere adorato, ma per giudicare con giustizia» (Ad Autol. 1,11; cf. Rm 13,1-7).
Note al testo
[1] Cf. Deissmann, pp. 314-320; e soprattutto P.L. Schoonheim, Een semasiologisch onderzoek van Parousía met betrekking tot het gebruik in Mattheus 24, Aalten 1953 (il libro, scritto in olandese, reca in fine un buon compendio in lingua inglese: pp. 257-289).