Cesare Ottaviano Augusto “salvatore”, “principio/arché” e proclamatore del “vangelo”: l’iscrizione per il nuovo capodanno nelle città greche di Asia Minore, a Priene, Apamea ed Eumenea e il Vangelo, di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 16 /01 /2023 - 00:52 am | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito uno studio di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Sacra Scrittura, I luoghi della Bibbia e della storia della Chiesa e Storia romana; cfr., in particolare, La divinizzazione degli imperatori romani, di Romano Penna

Il Centro culturale Gli scritti (15/1/2023)

1/ L’iscrizione augustea di Priene

Chi ascolta oggi il termine “vangelo” lo ritiene immediatamente tipico del cristianesimo.

Invece esso era abituale nelle iscrizioni propagandistiche imperiali di età augustea, come dimostra un’iscrizione rinvenuta a Priene.

Priene era una colonia ionica dell’Asia Minore (oggi in territorio turco) alle pendici del Monte Micale (in turco Samsun Dag) di fronte alla piana attraversata dal fiume Meandro (in turco Menderes).

Venne ricostruita in età ellenistica alla metà del IV secolo a.C. divenendo una delle più belle città greche di Anatolia, secondo le concezioni urbanistiche del grande architetto Ippodamo di Mileto, con vie che si incrociavano ad angolo retto.

Le prime ricerche sistematiche avvennero a fine ottocento e poiché la spedizione era stata promossa da studiosi tedeschi[1] molti degli oggetti e delle iscrizioni recuperati, fra cui l’iscrizione augustea, sono oggi custoditi nel Museo di Berlino (Staatliche Museen zu Berlin).

L’iscrizione, mutila in parte, era posta nell’ala porticata nord dell’Agorà, che dal I secolo a.C. risulta denominata come Hiera Stoa, cioè Portico sacro[2], dell’antica città e contiene un decreto del proconsole d’Asia Paolo Fabio Massimo databile all’anno 9 a.C. ed uno delle città d’Asia[3] che introducono un nuovo calendario in Asia Minore[4]: il dato è confermato dal fatto che anche ad Apamea ed Eumenea[5] sono stati ritrovati frammenti dello stesso decreto che includeva l’obbligo di predisporne copie in marmo bianco in ogni città[6].

2/ L’utilizzo dei termini “arché/principio”, “salvatore”, “vangeli” nell’iscrizione di Priene

L’Iscrizione inizia lodando il giorno di nascita dell’imperatore, paragonando il suo venire al mondo all’inizio stesso del mondo

«Se il giorno natale (γενέθλιος)) del divinissimo Cesare (τοῦ [θειοτάτου Καίσαρος]) [l’originale latino, trovato in frammenti ad Apamea, qui dice soltanto: principis nostri] porti più gioia o vantaggio, noi con ragione lo equipariamo all’inizio di tutte le cose (τῶν πά[ντω]ν [ἀ]ρχῆι)».

La nascita di Augusto è, per l’Iscrizione, l’inizio delle cose, l’inizio del cosmo!

Viene immediatamente in mente il Prologo del Vangelo di Giovanni: per Giovanni il “Logos”, il Verbo, il Figlio, è l’origine: il Verbo è all’origine, e il Verbo è presso Dio, è Dio.

Il termine che Giovanni utilizza è esattamente quello dell’iscrizione di Priene: “arché”, “inizio”, “principio”. Tutto ha origine da Dio e dal suo Figlio. Invece l’Iscrizione di Priene dice che l’“arché” del mondo è la nascita di Augusto!

Non si dimentichi che l’Iscrizione di Priene è scritta prima del Vangelo di Giovanni. Augusto voleva che si pensasse che il mondo era nato in riferimento alla sua nascita imperiale.

Il testo prosegue: 

«Perciò si considererà a ragione questo fatto come inizio della vita e dell’esistenza (ἀρχὴν τοῦ βίου καὶ τῆς ζωῆς), che segna il limite e il termine del pentimento ([τοῦ με]ταμέλεσθαι) di essere nati»

È come se l’imperatore volesse dire che solo la sua nascita ha portato gioia ad un mondo triste e senza speranza. Prima della nascita di Augusto tutti erano tristi di essere viventi, tutti tristi di essere nati, ma quando giunse la notizia che egli regnava ecco che il mondo trovò la gioia di vivere.

Solo un dittatore può affermare che la sua nascita «segna il limite e il termine del pentimento di essere nati». Di quale visione della vita doveva sentirsi portatore chi faceva scolpire tali affermazioni! 

L’iscrizione spiega poi in che modo si è deciso di festeggiare ogni anno la nascita dell’imperatore e perché proprio in quel giorno debbano iniziare le pubbliche magistrature che dell’imperatore sono espressione: 

«Poiché da nessun giorno si può trarre più felice opportunità per la società e per il vantaggio del singolo come da quello che è felice (εὐτυχοῦς) per tutti, e poiché inoltre per le città di Asia cade in esso il tempo più propizio per l’ingresso negli uffici di governo (καιρὸν εἶναι τῆς εἰς̣ τ̣ὴν ἀρχὴ[ν εἰσόδου),… e poiché è difficile ringraziare adeguatamente (κατ’ ἴσον ε[ὐχαρισ]τ̣εῖν) per i suoi numerosi benefici, a meno che escogitiamo per tutto ciò una nuova forma di ringraziamento…, mi sembra giusto [ = chi parla è il proconsole d’Asia «Paolo Fabio Massimo» a nome della città] che tutte le comunità (πολειτηῶν) abbiano un solo e identico capodanno, appunto il genetliaco del divinissimo Cesare, e che in esso tutti gli amministratori entrino nel loro ufficio, cioè il giorno 9° prima delle calende di ottobre».

Si noti che qui si utilizza il verbo che diverrà tipico del cristianesimo, ringraziare, eucharistein!

L’Iscrizione si conclude con un ulteriore passaggio nel quale per ben due volte viene usato il termine “vangelo”, anche se in entrambe le volte al plurale

«Poiché la provvidenza che divinamente dispone la nostra vita… a noi e ai nostri discendenti ha fatto dono di un salvatore (σωτῆρα χαρισαμένη) che mettesse fine alla guerra e apprestasse la pace, Cesare una volta apparso superò le speranze degli antecessori, i buoni annunci (i vangeli di tutti/εὐανγέλια πάντων), non soltanto andando oltre i benefici di chi lo aveva preceduto, ma senza lasciare a chi l’avrebbe seguito la speranza di un superamento, e il giorno di nascita del dio ([ἡ γενέθλιος ἡμέ]ρα τοῦ θεοῦ) fu per il mondo l’inizio dei buoni annunci/vangeli a lui collegati (ἤρξεν δὲ τῶι κόσμωι τῶν δι’αὐτὸν εὐανγελί[ων])».

Ecco che Cesare Augusto è chiamato Salvatore e dalla sua nascita dipendono – a dire dell’Iscrizione – tutti i “buoni annunzi”, tutti i “vangeli”[7]. Insomma la nascita di Augusto è la gioia del mondo, è la vittoria sulla tristezza, è il senso della vita, è il vero annunzio di bene.

Ecco la parola “vangelo”, applicata alla vita di un uomo: la sua nascita, la nascita di Cesare Ottaviano Augusto, è il lieto annunzio: il documento vuole che il calendario inizi dal suo compleanno

L’iscrizione è veramente incredibile. Certo con Augusto venne un lungo periodo di pace e di benessere nei territori dominati dai romani, le strade furono più sicure, le navi poterono viaggiare senza rischio di essere attaccate dai pirati, ma è questo l’annunzio di vita che dà senso all’esistenza? 

Proprio questo pretendeva l’imperatore: di essere il senso della vita del mondo intero. Il mondo esisteva per collaborare al suo progetto politico, tutti i popoli trovavano il senso alla loro vita uniti a Roma ed al suo capo[8].

L’iscrizione di Priene è poco nota: ben più famose sono le parole di Virgilio, nella IV Ecloga, che vanno nella stessa direzione.

In maniera meno esplicita, anche qui l’avvento al potere di Augusto viene visto come un fatto divino. L’immagine è quella dell’età dell’oro che appare sulla terra:

«Giunge ormai l’ultima età dell’oracolo cumano, inizia da capo una grande serie di secoli (magnus ab integro saeclorum nascitur ordo); ormai torna anche la Vergine, tornano i regni di Saturno (iam redit et Virgo, redeunt Saturnia regna), ormai una nuova progenie è inviata dall’alto cielo (iam nova progenies caelo demittitur alto).
Tu al fanciullo che ora nasce, col quale infine cesserà la razza del ferro e sorgerà in tutto il mondo quella dell’oro, sii propizia, o casta Lucina; già regna il tuo Apollo. E proprio sotto il tuo consolato inizierà questa splendida età, o Pollione, e cominceranno a decorrere i grandi mesi.
Egli riceverà la vita divina, e agli dei vedrà mescolati gli eroi ed egli stesso sarà visto tra loro, e con le virtù patrie reggerà il mondo pacificato (
pacatumque reget patriis virtutibus orbem). […]
Poche vestigia soltanto sopravviveranno dell’antica malvagità. […]
Guarda come si allieta ogni cosa per il secolo venturo. […] Oh, rimanga a me l’ultima parte di una lunga vita e spirito bastante per cantare le tue imprese»
(Bucoliche, IV Ecloga, vv. 4-17.31.50.53-54).

Qui è la Sibilla Cumana a parlare per bocca di Virgilio per annunziare che il cielo, con tutti i suoi pianeti, ha ormai segnato il giorno nel quale “resteranno poche vestigia dell’umana malvagità” e “inizierà questa splendida età”, poiché “egli – non si dice il nome, ma è chiaramente Augusto - riceverà la vita divina, e agli dèi vedrà mescolati gli eroi ed egli stesso sarà visto tra loro, e con le virtù patrie reggerà il mondo pacificato”. 

Qui Augusto è presentato come colui che unisce finalmente uomini, divinità ed eroi e lui stesso apparterrà alla schiera divina.

Per Virgilio tutto è nuovo con l’imperatore. I contemporanei chiameranno il lungo periodo che vide Augusto governare, dal 30 a.C. al 14 d.C., il saeculum augustum.

L’Iscrizione di Priene ci testimonia un testo laudativo comunque più “spinto”, nella direzione di una glorificazione di Augusto come divinità rispetto ai versi di Virgilio e alla versione latina del decreto sul calendario attestato nell’Asia greca del tempo, perché la cultura latina era meno propensa alla divinizzazione della figura imperiale, mentre in oriente il processo era più avanzato e accetto alla popolazione.

Se l’imperatore in occidente avesse affermato esplicitamente di essere un dio, avrebbe incontrato la ribellione di molti – la goccia che fece traboccare il vaso nel caso di Cesare fu proprio la sua decisione di presentarsi nel Tempio di Venere al Foro, quasi pretendendo discendenza dalla dea – mentre in oriente la situazione era più tranquilla da questo punto di vista, perché c’era tutta una tradizione ellenistica di sovrani che si erano paragonati alle divinità.

3/ Per un confronto fra la pretesa augustea e l’utilizzo del termine “vangelo” nelle parole di Gesù e nel Nuovo Testamento

Forse gli scrittori del Nuovo Testamento, quando fanno riferimento ad Augusto erano consapevoli che il Cristo non era stato il primo a parlare di “vangelo”, dichiarando di essere il “salvatore” (e di “principio/arché”).

Forse già nel riferimento al censimento di Augusto volevano indicare che egli riteneva di poter censire e controllare l’intera ecumene, l’intero cosmo, mentre gli sfuggiva l’evento fondamentale, il venire al mondo di quel bambino (cfr. su questo I tre censimenti di Augusto e la nascita di Gesù. Breve nota di Andrea Lonardo). 

Del fatto che l’evangelista Luca potesse conoscere le espressioni relative ad Augusto appena citate ha scritto J. Ratzinger-Benedetto XVI:

«Per Luca il contesto storico-universale è importante. Per la prima volta viene registrata «tutta la terra», l’«ecumene» nel suo insieme. Per la prima volta un governo e un regno che abbraccia l’orbe. Per la prima volta esiste una grande area pacificata, in cui i beni di tutti possono essere registrati e messi al servizio della comunità. Solo in questo momento, in cui esiste una comunione di diritti e di beni su larga scala e una lingua universale permette ad una comunità culturale l’intesa nel pensiero e nell’agire, un messaggio universale di salvezza, un universale portatore di salvezza può entrare nel mondo: è, difatti, «la pienezza dei tempi».
La connessione tra Gesù e Augusto, però, va più nel profondo. Augusto non voleva essere solo un qualsiasi sovrano, come coloro che c’erano stati prima di lui e sarebbero venuti dopo di lui. L’epigrafe di Priene risalente all’anno 9 a.C. ci fa capire come egli voleva essere visto e compreso. Lì si dice che il giorno della nascita dell’imperatore “ha conferito a tutto il mondo un aspetto diverso: esso sarebbe andato in rovina, se in lui che ora è nato non fosse emersa una felicità comune [...] La provvidenza che divinamente dispone la nostra vita ha colmato quest’uomo, per la salvezza degli uomini, di tali doni da mandarlo a noi e alle generazioni future come salvatore (
sōtēr)” [...] Il giorno genetliaco del dio fu per il mondo l’inizio dei “vangeli” a lui collegati. A partire dalla sua nascita deve cominciare un nuovo computo del tempo» (cfr. Stöger, Das Evangelium nach Lukas, p. 74).
In base ad un testo del genere, è chiaro che Augusto veniva visto non soltanto come politico, ma come figura teologica, tenendo conto che, comunque, la nostra separazione tra politica e religione, tra politica e teologia nel mondo antico non esisteva.
Già nel 27 a.C., tre anni dopo la sua entrata in carica, il senato romano gli aveva conferito il titolo di
augustus (in greco sebastós) – “l'adorabile”. Nell'iscrizione di Priene egli è chiamato salvatore (sōtēr). Questo titolo, che nella letteratura veniva attribuito a Zeus, ma anche ad Epicuro ed Esculapio, nella traduzione greca dell'Antico Testamento è riservato esclusivamente a Dio.
Anche per Augusto, esso possiede una nota divina: l'imperatore ha suscitato una svolta del mondo, ha introdotto un nuovo tempo.
Nella quarta egloga di Virgilio abbiamo già incontrato questa speranza di un mondo nuovo, l'attesa del ritorno del paradiso. Anche se in Virgilio c'è un sottofondo più vasto, influisce tuttavia il modo in cui si percepiva la vita nell'era augustea: “Ora tutto deve cambiare...”.
Due aspetti rilevanti della percezione di sé, propria di Augusto e dei suoi contemporanei, vorrei ancora sottolineare in modo particolare.
Il “salvatore” ha portato al mondo soprattutto la pace. Egli stesso ha fatto rappresentare questa sua missione di portatore di pace in forma monumentale e per tutti i tempi nell'Ara Pacis Augusti, i cui resti conservati rendono evidente ancora oggi in modo impressionante come la pace universale, da lui assicurata per un certo tempo, permettesse alla gente di trarre un profondo sospiro di sollievo e di sperare.
Al riguardo, Marius Reiser, riferendosi ad Antonie Wlosok, scrive: il 23 settembre (genetliaco dell'imperatore) «l'ombra di questa meridiana procedeva "dal mattino alla sera, per circa 150 metri diritta sulla linea equinoziale, precisamente fino al centro dell'Ara Pacis; c'è quindi una linea diretta dalla nascita di quest'uomo alla
pax, e in questo modo viene dimostrato in maniera visibile che egli è natus ad pacem. L'ombra proviene da una palla, e la palla [...] è insieme la sfera del cielo come anche il globo della terra, simbolo del dominio sul mondo che ora è stato pacificato"» (Wie wahr ist die Weihnachtsgeschichte?, p. 459).
Qui traspare il secondo aspetto dell'autocoscienza augustea: l'universalità che Augusto stesso, in una sorta di resoconto della sua vita e della sua opera, il cosiddetto Monumentum Ancyranum, ha documentato con dati concreti e messo fortemente in rilievo»[9].

4/ Il termine “vangelo” in Marco[10]

L’Iscrizione di Priene dichiara che tutto è cambiato con Augusto, ma poi parla di tanti “vangeli”, di tante “buone notizie” che la sua nascita consegnò alla storia.

L’utilizzo del termine “vangelo” nel cristianesimo è nella stessa direzione, ma in una maniera ancora più personale, perché c’è “un solo” vangelo, Gesù Cristo.

Importantissimo è qui soffermarsi sul primo versetto del Vangelo di Marco. Ai tempi in cui i Vangeli furono scritti il termine “vangelo” non indicava ancora un testo scritto – tale uso è successivo e solo dopo un certo tempo si iniziò a dire che i vangeli sono quattro.

Marco si apre con le parole: «Inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio». Questo versetto non vuol dire assolutamente: “Questo è l’inizio del mio scritto”, il vangelo secondo Marco, altrimenti troveremmo scritto “Inizio del vangelo di Marco” o “Inizio del mio vangelo”.

Cosa vuol dire esattamente quell’espressione “Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio”?

Il nome di Gesù è al genitivo: “di Gesù Cristo”. Gli esegeti spiegano che, in un’espressione come questa, il genitivo può avere tre valori. Può essere un genitivo soggettivo, oggettivo o epesegetico.

Se fosse un “genitivo soggettivo” vorrebbe dire che Gesù è il soggetto e che il vangelo è composto dall’annunzio buono che egli farà nel prosieguo del testo.

Se fosse un “genitivo oggettivo” vorrebbe dire che il vangelo è un annunzio che ha come oggetto Gesù. Il buon annunzio parlerà di lui - non lui parlerà del buon annunzio, come nel caso del genitivo soggettivo.

Se pensiamo, ad esempio, all’espressione “l’amore di Dio”, noi possiamo intendere sia l’amore che Dio ha per noi (genitivo soggettivo), sia l’amore che noi abbiamo per Dio (genitivo oggettivo).

Ma c’è un terzo valore del genitivo, quello appunto epesegetico. Se qualcuno ha un’amica che sta per avere un bambino e sa che quel bambino si chiamerà Andrea – e tutta la famiglia lo aspetta, sta preparando i vestitini, i pannolini, ha pronta la macchina fotografica, l’auto è sempre vicina per correre in ospedale per il parto – non appena arriva la telefonata e qualcuno dice: “È arrivata la lieta notizia di Andrea”, che cosa vuol dire? Non che Andrea ha parlato dandoci una notizia e nemmeno che la notizia riguarda semplicemente Andrea, ma che la lieta notizia è Andrea stesso, è la sua nascita, è la sua vita.

Il senso del genitivo epesegetico è l’identificazione dei due termini: “la lieta notizia è Andrea”. Ecco il senso del primo versetto di Marco. La lieta notizia? Il Vangelo? Il Vangelo è Gesù stesso, la lieta notizia è la persona di Gesù.

Si vede qui subito come il pretendere di essere la buona notizia da parte dell’imperatore sia la cosa più ridicola che possa esistere al mondo. Nessun uomo può pretendere di essere “la buona notizia” del mondo, “la fine al pentimento di essere nati”.

Con Cristo tutto è diverso. Noi certo sentiamo la forza di queste parole, ne siamo stupefatti da un lato, ma dall’altro diveniamo credenti proprio perché comprendiamo che solo la sua nascita conferisce pienamente senso ad ogni gioia e ad ogni dolore che è nel mondo. Per la prima volta nella storia l’uomo si trova dinanzi al fatto che Dio non gli rivolge una qualche parola, ma gli dona la sua Parola intera, completa, totale. 

Perché in Cristo la parola non viene a noi come quando una divinità ci offre un libro da leggere. In Cristo Dio stesso viene ad abitare in mezzo a noi. La grande novità proposta dal Concilio Vaticano II, nella Dei Verbum, è stata proprio quella di presentare all’uomo contemporaneo la rivelazione di Dio non come una serie di parole o di scritti, bensì come il suo rivelarci sé stesso: «Piacque a Dio rivelare sé stesso» (Dei Verbum 2)[11].

Ecco cosa significa che Gesù è il Vangelo, che lo è personalmente. Per questo, poi, nasce anche il genere letterario “vangelo”, cioè la necessità di raccontare tutto di Gesù, non solo le sue parole, ma anche i suoi silenzi, le sue lacrime, le sue gocce di sangue sulla croce, perché ogni suo gesto è Parola di Do, perché Lui è la Parola di Dio. Non una parola di carta, ma una parola di carne.

Il genere letterario “vangelo” è corrispettivo del fatto che il “vangelo” è lui stesso.

È Gesù ad essere il buon annunzio. Potremmo tradurre correttamente Mc 1,1 allora così:

«Inizio del vangelo che è Gesù Cristo, Figlio di Dio».

Il grande teologo francese de Lubac, che tanta parte ebbe nell’elaborazione della Dei Verbum, ebbe il coraggio di scrivere, prima della II guerra mondiale: «È al singolare che noi dobbiamo parlare del mistero cristiano»[12].

Non basta, cioè, parlare al plurale del cristianesimo e delle sue verità, come se esistessero tanti singoli annunzi di bene in lui, tante parole di libertà e di carità da lui pronunciate, tanti insegnamenti di sapienza che da lui provengono, tanti miracoli e gesti di carità da lui compiuti: no, bisogna parlarne al singolare. Gesù è lui in persona il lieto annunzio, il vangelo. Se il Signore è vero, allora tutto nella vita ha un significato.

Traduzione dei passaggi più importanti dell’iscrizione di Priene in R. Penna, L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata, Bologna, EDB, 2006, pp. 169-170

«[Inizio mutilo] se il giorno natale (γενέθλιος) del divinissimo Cesare (τοῦ [θειοτάτου Καίσαρος]) [l’originale latino, trovato in frammenti ad Apamea, qui dice soltanto: principis nostri] porti più gioia o vantaggio (5) noi con ragione lo equipariamo all’inizio di tutte le cose (τῶν πά[ντω]ν [ἀ]ρχῆι)… (10) Perciò si considererà a ragione questo fatto come inizio della vita e dell’esistenza (ἀρχὴν τοῦ βίου καὶ τῆς ζωῆς), che segna il limite e il termine del pentimento ([τοῦ με]ταμέλεσθαι) di essere nati.

E poiché da nessun giorno si può trarre più felice opportunità per la società e per il vantaggio del singolo come da quello che è felice (εὐτυχοῦς) per tutti, e poiché inoltre per le città di Asia cade in esso il tempo più propizio per l’ingresso negli uffici di governo (καιρὸν εἶναι τῆς εἰς̣ τ̣ὴν ἀρχὴ[ν εἰσόδου]), (15)… e poiché è difficile ringraziare adeguatamente (κατ’ ἴσον ε[ὐχαρισ]τ̣εῖν) per i suoi numerosi benefici, a meno che escogitiamo per tutto ciò una nuova forma di ringraziamento…, (20) mi sembra giusto [ = chi parla è il proconsole d’Asia Paolo Fabio Massimo a nome della città] che tutte le comunità (πολειτηῶν) abbiano un solo e identico capodanno, appunto il genetliaco del divinissimo Cesare, e che in esso tutti gli amministratori entrino nel loro ufficio, cioè il giorno 9° prima delle calende di ottobre… (32) Poiché la provvidenza che divinamente dispone la nostra vita… (35) a noi e ai nostri discendenti ha fatto dono di un salvatore (σωτῆρα χαρισαμένη) che mettesse fine alla guerra e apprestasse la pace, Cesare una volta apparso superò le speranze degli antecessori, i buoni annunci di tutti (εὐανγέλια πάντων), non soltanto andando oltre i benefici di chi lo aveva preceduto, ma senza lasciare a chi l’avrebbe seguito la speranza di un superamento, (40) e il giorno genetliaco del dio ([ἡ γενέθλιος ἡμέ]ρα τοῦ θεοῦ) fu per il mondo l’inizio dei buoni annunci a lui collegati (ἤρξεν δὲ τῶι κόσμωι τῶν δι’αὐτὸν εὐανγελί[ων])…»

Testo greco completo dal sito https://epigraphy.packhum.org al link https://epigraphy.packhum.org/text/352387

Edict of the proconsul Paulus Fabius Maximus and decrees of the Greek cities of Asia concerning the introduction of a common calendar to the province of Asia. Prienian copy. Sacred Hall. Two anta blocks, one of blue limestone, the other of white marble.

Ionia — Priene — 9 BC — MDAI(A) 24 (1899) 275-293 — IvPriene (1906) 105 + p. 310 — R.K. Sherk, Roman Documents (1969) 328, 65

1        [Παῦλλος Φάβιος Μάξιμος ἀνθύπατος λέγει· — — — — — — — — — — — —]

           [․ν̣ παρ]ὰ τῶν πρότ[ερ]ον παρειλ[ήφαμεν — — — — — — — — — — — —ι̣αν̣]

           [καὶ τὸ] τῶν θεῶν [ε]ὐμενὲς κα[ὶ — — — — — — ἀπορεῖσθαι — — — — — —]

           [πότ]ε̣ρ̣ον ἡδείων ἢ ὠφελ[ιμω]τ[έρα ἐ]στὶν ἡ τοῦ [θειοτάτου Καίσαρος γενέ]-

5        [θλι]ο[ς] ἡμέρα, ἣν [τ]ῆι τῶν πά[ντω]ν [ἀ]ρχῆι ἴσηι δικαίω̣[ς ἂν εἶναι ὑπολάβοιμεν],

           [καὶ] εἰ μὴ τῇ φύσι, τῶι γε χρ[η]σίμ[ωι, ε]ἴ γε οὐδὲ[ν] οὐχὶ̣ δ̣ιαπ̣ε[ῖ]πτο̣[ν καὶ εἰς ἀτυ]-

           [χὲ]ς μεταβεβηκὸς σχῆμ[α] ἀ[ν]ώρ[θ]ωσεν, ἑτέραν τε ἔδω[κεν παντὶ τῶι]

           [κόσ]μῳ ὄψιν, ἥδιστα ἂν δεξ[α]μ̣[έ]νων φθοράν, εἰ μὴ τὸ κοινὸν [πάντων εὐ]-

           [τύ]χ[η]μ̣α ἐπε̣γ̣εννήθηι Κα[ῖσαρ· δ]ι’ [ὃ] ἄν τι[ς] δικαίως ὑπολάβο[ι τοῦτο ἁτῶι]

10      ἀρχὴν τοῦ βίου καὶ τῆς ζωῆς [γε]γο[νέν]αι, ὅ ἐστιν πέρας κα[ὶ ὅρος τοῦ με]-

           ταμέλεσθαι, ὅτι [γ]εγέννη̣[ται· καὶ ἐπε]ὶ οὐδ[ε]μιᾶ[ς] ἂν ἀπὸ ἡμ[έρας εἴς]

           [τ]ε τὸ κοινὸν [κ]αὶ εἰς τὸ ἴδιον ἕκαστο[ς] ὄφελος ε̣ὐτυχεστέρα[ς λάβοι]

           ἀφορμὰς [ἢ] τῆς πᾶσιν [γε]ν̣ομένης εὐτυχοῦς, σχεδόν τ̣[ε] συ[νβαίνει]

           [τ]ὸν αὐτὸν τ[αῖ]ς ἐν Ἀσίᾳ πόλεσιν καιρὸν εἶναι τῆς εἰς̣ τ̣ὴν ἀρχὴ[ν εἰσόδου],

15      [δ]ηλονότι κ̣α̣[τά τιν]α θήαν βούλησιν οὕτως [τ]ῆς τάξεως προτε[τυπωμέ]-

           [νη]ς, ἵνα ἀφορμὴ γένοιτο τῆς εἰς τὸν Σεβαστὸν τειμῆς· καὶ ἐπε[ὶ δύσκο]-

           [λο]ν μέν ἐστιν τοῖς τοσούτοις αὐτοῦ εὐεργετήμασιν κατ’ ἴσον ε[ὐχαρισ]-

           τ̣εῖν, εἰ μὴ παρ’ ἕκ[ασ]τα [ἐ]πινοήσαιμεν τρόπον τινὰ τῆς ἀμείψε[ως],

           ἥ̣δειον δ’ ἂν ἄνθρωπο[ι τ]ὴν κοινὴν πᾶσιν ἡμέραν γενέθλιον ἀγάγ̣[οιεν]

20      [ἐ]ὰν προσγένηται αὐτοῖς καὶ ἰδία τις διὰ τὴν ἀρχὴν ἡδον[ή], δοκεῖ μ[οι]

           [π]ασῶν τῶν πολειτηῶν εἶναι μίαν καὶ τὴν αὐτὴν νέαν νουμηνίαν

           τὴν τοῦ θηοτάτου Καίσαρο[ς γ]ενέθλιον, ἐκείνην τε πάντας εἰς τὴν

           ἀρχὴν ἐνβαίνειν, ἥτις ἐστ[ὶν πρ]ὸ ἐννέα καλανδῶν Ὀκτωβρίων, ὅπως

           καὶ περισσότερον τειμηθῇ π[ρο]σλαβομένη ἔξωθέν τινα θρησκήαν καὶ

25      μ̣ᾶλλον πᾶσ[ι]ν γένηται [γ]νώριμος· ἣν οἴομαι καὶ πλείστην εὐχρηστίαν

           τῆι ἐπαρχήᾳ παρέξεσθαι· ψήφισμα δὲ ὑπὸ τοῦ κοινοῦ τῆς Ἀσ[ί]ας δεή-

           σει γραφῆναι πάσας ἐνπε[ριει]λ̣η̣φὸς τὰς ἀρετὰς αὐτοῦ, ἵνα τὸ ἐπινοη-

           θὲν ὑφ’ ἡμῶν εἰς τὴν τειμὴν τοῦ Σεβαστοῦ μείνῃ αἰώνιον· προστάξω

           [δ]ὲ χαραχθὲν τῇ στήλῃ τὸ ψήφισμα ἐν τῷ να[ῷ] ἀνατεθῆναι, προτά-

30      [ξ]ας τὸ διάταγμα ἑκατέρως γραφέν.  ἔδοξεν τοῖς ἐπὶ τῆς Ἀσίας

           Ἕλλη[σι]ν· γνώ[μη] τοῦ ἀρχιερέως Ἀπολ[λ]ωνίου [τοῦ Μηνο]φ̣ί̣λ̣ου Ἀ̣ζ̣α̣[νί]του·

           [ἐπεὶ πᾶσαν ἡ διατάξασα τ]ὸν [βίον ἡμῶν πρόνοια σπουδὴν εἰσενενκα]-

           [μ]ένη [καὶ] φ[ιλοτιμί]αν τὸ τεληότατο[ν τῷ βίῳ διεκόσμησεν ἀγαθὸν]

           ἐνενκαμένη τὸν Σεβαστόν, ὃν εἰς εὐεργε[σίαν ἀνθρώπων ἐκ πάσης ἐπλή]-

35      ρωσεν ἀρετῆς, ὅσπερ ἡμεῖν καὶ τοῖς μεθ’ ἡ[μᾶς ἀνθ’ ἑατῆς θεόν, δοῦσα]

           τὸν παύσαντα μὲν πόλεμον, κοσμήσοντα [δὲ εἰρήνην, ἐν ᾗ καὶ γεννηθεὶς]

           [ὁ] Καῖσαρ τὰς ἐλπίδας τῶν προλαβόντων [ἐν ταῖς εὐεργεσίαις ὑπερ]-

           έθηκεν οὐ μόνον τοὺς πρὸ αὐτοῦ γεγονότ[ας πᾶσι τοῖς ἀγαθοῖς ὑπερβαλ]-

           λόμενος, ἀλλ’ οὐδ’ ἐν τοῖς ἐσομένοις ἐλπίδ[α τῆς συνκρίσεως ἀπολείπων],

40      ἦρξεν δὲ τῶι κόσμωι τῶν δι’ αὐτὸν εὐανγελί[ων ἡ γενέθλιος ἡμέρα]

           τοῦ θεοῦ, τῆς δὲ Ἀσίας ἐψηφισμένης ἐν Σμύρνῃ [ἐπὶ ἀνθυπάτου]

           Λευκίου Ουολκακίου Τύλλου, γραμματεύοντος Παπ[ίου Διοσιερίτου],

           τῷ μεγίστας γ’ εἰς τὸν θεὸν καθευρέντι τειμὰς εἶναι [στέφανον],

           Παῦλλος Φάβιος Μάξιμος ὁ ἀνθύπατος τῆς ἐπαρχήας ε[ὐεργέτης]

45      ἀπὸ τῆς ἐκείνου δεξιᾶς καὶ [γ]νώμης ἀπεσταλμένος ξὺν̣ [τοῖς ἄλλοις]

           οἷς εὐεργέτησεν τὴν ἐπαρχήαν, ὧν εὐεργεσιῶν τὰ μεγέθ̣[η λόγος]

           εἰπεῖν οὐδεὶς ἂν ἐφίκοιτο, καὶ τὸ μέχρι νῦν ἀγνοηθὲν ὑπὸ τῶν [Ἑλλή]-

           νων εἰς τὴν τοῦ Σεβαστοῦ τειμὴν εὕρετο, τὸ ἀπὸ τῆς ἐκείνου γ[ενέ]-

           σεως ἄρχειν τῷ βίῳ τὸν χρόνον, δι’ ὃ τύχῃ ἀγαθῇ καὶ ἐπὶ σωτηρίᾳ δ[εδό]-

50      χθαι τοῖς ἐπὶ τῆς Ἀσίας Ἕλλησι· ἄρχειν τὴν νέαν νουμηνίαν πάσα[ις]

           ταῖς πόλεσιν τῇ πρὸ ἐννέα καλανδῶν Ὀκτωβρίων, ἥτις ἐστὶν γενέ-

           θλιος ἡμέρα τοῦ Σεβαστοῦ· ὅπως δὲ ἀεὶ ἥ<δ>ε ἡμέρα στοιχῇ καθ’ ἑκάσ-

           την πόλιν, συνχρηματίζε[ι]ν τῇ Ῥωμαϊκῇ καὶ τὴν Ἑλληνικὴν ἡμέραν,

           ἄγεσθαι δὲ τὸν πρῶτον μῆνα Καίσαρα, καθὰ καὶ προεψήφισται, ἀρχόμε-

55      νον ἀπὸ πρὸ ἐννέα μὲν καλανδῶν Ὀκτωβρίων, γενεθλίου δὲ ἡμέρας

           Καίσαρος· τὸν δὲ ἐψηφισμένον στέφανον τῷ τὰς μεγίστας εὑρόντ[ι]

           τειμὰς ὑπὲρ Καίσαρος δεδό[σ]θαι Μαξίμωι τῶι ἀνθυπάτωι, ὃν καὶ ἀεὶ

           ἀναγορεύεσθαι ἐν τῷ γυμνικῷ ἀγῶνι τῶι ἐν Περγάμωι τῶν Ῥω[μα]ίω[ν]

           Σεβαστῶν ὅτι «στεφανοῖ [ἡ̣ Ἀσ]ία Παῦλον Φάβιον Μάξιμον εὐ[σεβ]έ[σ]-

60      τατα παρευρόντα τὰς εἰς Καίσαρα τειμάς»· ὡσαύτως δὲ ἀνα[γορεύ]ε[σ]-

           θαι καὶ ἐν τοῖς ἀγομένοις κατὰ πόλιν ἀγῶσιν τῶν Καισαρήω[ν]·

           ἀναγραφῆναι δὲ τὸ δελτογράφημα τοῦ ἀνθυπάτου καὶ τὸ ψήφισμα τῆς

           Ἀσίας ἐν στήλῃ λευκολίθωι, ἣν καὶ τεθῆναι ἐν τῶι τῆς Ῥώμης καὶ τοῦ

           Σεβαστοῦ τεμένει· προνοῆσαι δὲ καὶ τοὺς καθ’ ἕτος ἐκδίκους ὅπως

65      ἐν ταῖς ἀφηγουμέναις τῶν διοικήσεων πόλεσιν ἐν στήλαις λευ-

           κολίθοις ἐνχαραχθῇ τό τε δελτογράφημα τὸ Μαξίμου καὶ τὸ τῆς Ἀσίας

           ψήφισμα, αὗταί τε αἱ στῆλαι τεθῶσιν ἐν τοῖς Καισαρήοις. ἀχθήσονται

           οἱ μῆνες κατὰ τάδε· Καῖσαρ ἡμερῶν λα, Ἀπελλαῖος ἡμερῶν λ,

           Αὐδναῖος ἡμερῶν λα, Περίτιος ἡμερῶν λα, Δύστρος κη, Ξανδικὸς λα,

70      Ἀρτεμισιὼν ἡμερῶν λ, Δαίσιος λα, Πάνημος λ, Λῷος λα, Γορπιαῖος λα,

           Ὑπερβερεταῖος λ· ὁμοῦ ἡμέραι τξε· ἐφ’ ἕτος δὲ διὰ τὴν ἰντερκαλάριον

           ὁ Ξανδικὸς ἀχθήσεται ἡμερῶν λβ· ἵνα δὲ ἀπὸ τοῦ νῦν στοιχήσωσιν οἱ

           μῆνες καὶ αἱ ἡμέραι, ὁ μὲν νῦν ἐνεστὼς Περίτιος μὴν ἀχθήσεται μέχρι τῆ[ς]

           ιδ, τῇ δὲ πρὸ ἐννέα καλανδῶν Φεβρουαρίων ἄξομεν νουμηνίαν μηνὸς

75      Δύστρου, καὶ καθ’ ἕκαστον μῆνα ἀρχὴι ἔσται τῆς νουμηνίας ἡ πρὸ ἐννέα

           καλανδῶν· ἡ δὲ ἐνβόλιμος ἡμέρα ἔσται πάντοτε τῶν ἰντερκαλαρίων κα-

           λανδῶν τοῦ Ξανδικοῦ μηνός, δύο ἐτῶν μέσων γεινομένων.

           ἔδοξεν τοῖς ἐπὶ τῆς Ἀσίας Ἕλλησιν· γνώμη τοῦ ἀρχιερέως Ἀπολλωνίου τοῦ

           Μηνοφίλου Ἀζεανείτου· ἐπεὶ τὴν νέαν νουμηνίαν ἀεὶ δεῖ ἑστάναι τὴν αὐτὴ[ν]

80      ἅπασιν τῆς εἰς τὰς ἀρχὰς εἰσόδου κατά τε τὸ Παύλου Φαβίου Μαξίμου τοῦ ἀν-

           θυπάτου διάταγμα καὶ τὸ τῆς Ἀσία<ς> ψήφισμα, ἐνποδίζεται δὲ ἡ τοῦ χρόνου

           τάξις παρὰ τὰς ἐν τοῖς ἀρχαιρεσίοις ἐπικλήσεις, γείνεσθαι τὰ κατὰ τὰ

           ἀρχαιρέσια μηνὶ δεκάτῳ, ὡς καὶ ἐν τῷ Κορνηλίωι νόμωι γέγραπται, ἐντὸς

           δεκάτης ἱσταμένου.

Primo orientamento bibliografico (oltre ai testi già citati)

Per un primo orientamento bibliografico, cfr. i testi raccolti sul sito della Santa Clara University in California a cura di C. Murphy (https://webpages.scu.edu/ftp/cmurphy/courses/sctr027/artifacts/priene-calendar.htm):

  • Burrows, Millar, "The Origin of the Term 'Gospel", in Journal of Biblical Literature 44:1-2 (1925) 21-33.
  • Danker, Frederick W. Benefactor: Epigraphic Study of a Graeco-Roman and New Testament Semantic Field. St. Louis: Clayton, 1982. [See p. 217]
  • Deissmann, Adolf. Excerpt from "Social and Religious History in the New Testament, Illustrated from the New Texts. Christ and the Caesars: Parallelism in the Technical Language of Their Cults." In Light from the Ancient East: The New Testament Illustrated by Recently Discovered Texts of the Graeco-Roman World, 2nd ed., trans. Lionel R. M. Strachan (New York: Hodder and Stoughton, 1911; original 1908) 370-371, and figs. 59–60.
  • Dickson, John P. "Gospel as News: ευαγγελ- from Aristophanes to the Apostle Paul." New Testament Studies 51:2 (2005) 212-30.
  • Dittenberger, Wilhelm. Orientis Graeci Inscriptiones Selectae, Supplementum Sylloges inscriptionum graecarum, 2 vols. (Leipzig, 1905) 2.48-60 (No. 458, and Inschriften von Priene No. 105).
  • Evans, Craig A. "Mark's Incipit and the Priene Calendar Inscription: From Jewish Gospel to Greco-Roman Gospel." Journal of Greco-Roman Christianity and Judaism 1 (2000) 67-81.
  • Mommsen, Theodor and Ulrich von Wilamowitz-Möllendorff. "Die Einführung des asianischen Kalenders." In Mittheilungen des Kaiserlich Deutschen archaeologischen Institutes, Athenische Abtheilung, vol. 24 (Athens: Barth & von Hirst, 1899) 275-293.
  •  Wendland, Paul. "Σωτηρ: Eine religionsgeschichtliche Untersuchung." Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft 5 (1904) 335-53. [See esp. 342-3, and n. 6]

Note al testo

[1] La spedizione venne guidata prima da C. Humann nel 1895, poi sino al 1898 da T. Wiegand e da H. Schrader, assistiti dagli architetti R. Heyne e G. Wilberg (cfr. la voce Priene, a cura di A. Momigliano e B. Pace, in Enciclopedia italiana, Treccani, 1935, disponibile on-line).

[2] Martin Schede ha spiegato tale nuova denominazione con l’ipotesi che in una sezione del Portico sia stato costruito un santuario dedicato alla dea Roma e ad Augusto, del quale l’iscrizione augustea del 9 a.C. sarebbe testimone (cfr. su questo F. Rumscheid, Priene. A Guide to the “Pompeii of Asia Minor”, İstanbul, Yayınları, 1998, pp. 75-77.

[3] Nelle trascrizioni e negli studi talvolta i due differenti testi sono trascritti consecutivamente, altre volte separatamente e ciò ingenera talvolta confusione. I due testi sono editto del proconsole Paolo Fabio Massimo e un decreto delle città greche d’Asia che accoglie tale riforma di un calendario unico per la provincia d’Asia. Il primo documento comprende nelle trascrizioni le righe 1-30 (prima metà della riga), mentre il secondo le righe 30 (seconda metà della riga) -84.

[4] L’iscrizione reca il numero 105 fra i testi rinvenuti a Priene (iPriene 105), ma è registrata anche come OGIS 2.458 (Orientis Graeci Inscriptiones Selectae 2.458) o come SEG 4.490 (Supplementum Epigraphicum Graecum 4.490). Il testo è stato stabilito da R.K. Sherk in “Roman Documents from the Greek East. Senatus Consulta and Epistulae to the Age of Augustus” (Baltimore 1969), 65D II.30-77 e II.78-84.

[5] Il decreto era stato redatto per comparire in diverse città, dovunque l’apparato statale voleva che il nome di Augusto fosse lodato e per questo ne esistono frammenti anche nelle città indicate in questo stesso articolo.

[6] Peter Y.L. Warne ha scritto: «Il nuovo calendario greco d’Asia, come quello introdotto in Egitto circa due decenni prima, perseguiva lo scopo di sincronizzare e mantenere sincronizzati i calendari provinciali col calendario romano, al prezzo delle minori modifiche possibili alle abitudini delle province, celebrando nel contempo la personalità divina dell’imperatore romano. Esso ha infatti queste caratteristiche:
-l’inizio dell’anno greco è posto al 23 settembre del calendario romano (compleanno di Augusto), cioè al nono giorno dalle calende di ottobre;
-il primo mese dell’anno greco prende il nome di Cesare; esso inizia il 23 settembre e corrisponde a ottobre, perciò ha una durata di 31 giorni;
-per mantenere sincronizzati i due calendari, anche gli altri mesi greci sono posti in corrispondenza con i mesi romani e ne assumono la durata: in questo modo ogni mese greco inizia il nono giorno dalle calende del mese romano cui corrisponde;
-anche l’anno greco risulta quindi composto ordinariamente di 365 giorni, ma prevede un giorno bisestile supplementare;
-il giorno bisestile, però, non è aggiunto al mese Distro, che corrisponde a febbraio, bensì al mese Xandico, corrispondente a marzo; in particolare è aggiunto all’inizio del mese (ma non è chiarito se precedesse o seguisse il primo giorno): come il dies bis sextum raddoppiava nel calendario romano il 24 febbraio, il giorno aggiunto a Xandico nel calendario greco raddoppia le calende del mese e prende il nome di calende intercalari;
-il decreto impone, come sembra, di interporre due soli anni intermedi tra un anno bisestile e l’altro, cioè si riconduce a un ciclo bisestile triennale;
-infine, si fa iniziare il nuovo calendario non dal successivo 23 settembre, ma immediatamente: poiché al momento del decreto si era in gennaio (così dice il testo), il nuovo calendario greco d’Asia entrò in vigore il nono giorno dalle calende di febbraio.
Poiché Paolo Fabio Massimo è stato console nell’anno 11 a.C. e quindi proconsole nel 10-9 a.C. e poiché inoltre il decreto fa riferimento ai primi giorni di gennaio come quelli nei quali è stato scritto, si suole datare l’iscrizione al 9 a.C. Sembra infatti difficile che egli l’abbia potuto emanare nei primi giorni del 10 a.C. appena entrato in carica come proconsole. D’altra parte, come si è detto, il decreto sembra presupporre un ciclo bisestile triennale, che, secondo l’ipotesi tradizionale, sarebbe stato abolito da Augusto nell’anno 8 a.C.
Il riferimento al ciclo triennale ha fatto di questa iscrizione uno dei documenti cardine per ogni ricostruzione della serie giuliana erronea. Esso attesta innanzi tutto la realtà del periodo dei trienni bisestili in modo indipendente dalle fonti letterarie, dalla quali primariamente è noto il fatto. Esso afferma inoltre l’esistenza della regola del triennio alla data dell’iscrizione; il fatto che questa data sia stimata assai prossima alla riforma di Augusto della regola bisestile ha tuttavia dato spazio a ragionamenti diversi» (sul sito https://www.urbisetorbis.org/ in data 24/5/2016 al link https://www.urbisetorbis.org/ipriene-105/; cfr. dello stesso autore e sullo stesso sito anche l’articolo L’intervento di Augusto sul calendario giuliano).

[7] Penna commenta: «Si noterà alle righe 37 (dove però si tratta di una integrazione testuale) e soprattutto 40 l’uso della parola «evangelo». Mentre negli scritti del NT essa ricorre sempre al singolare (= l’annuncio cristiano è fondamentalmente unico!), qui ricorre invece al plurale. In realtà questa è la prassi normale nella grecità profana (per esempio, nel I secolo a.C.: Cicerone, Ad Att. 2,3,1, per la liberazione di un amico; nel I secolo d.C.: Plutarco, Pomp. 41, per la morte di Mitridate); del resto, anche nel greco dei LXX ricorre sempre soltanto il plurale. Il termine ευαγγελιον al singolare (a parte il significato di «ricompensa per una notizia», che si trova solo due volte in Omero, Odyss. 14, 152 e 166; e due volte in Plutarco, Agesil. 33; Demetr. 17) ha la sua più antica attestazione nel senso di «buon annuncio» in Fl. Giuseppe, Bell. 2,42 (δεινον ευαγγελιον = «splendida notizia»: quella data al procuratore G. Floro sull’aggravarsi della situazione in Gerusalemme all’inizio della guerra giudaica nel 66 d.C.)» (R. Penna, L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata, Bologna, EDB, 2006, p. 170).

[8] Cfr. anche ciò che ha scritto Penna: «Un significativo commento sull’importanza della persona di Augusto lo si può leggere nello storico Velleio Patercolo (morto negli anni 30 d.C.): «Nulla possono chiedere gli uomini agli dèi, nulla concedere gli dèi agli uomini, nulla può contenere una preghiera, nulla può essere coronato da felice successo, che Augusto al suo ritorno nella capitale non abbia dato allo Stato e al popolo romano e a tutto il mondo» (Hist. rom. 2, 89,2)» (R. Penna, L’ambiente storico-culturale delle origini cristiane. Una documentazione ragionata, Bologna, EDB, 2006, p. 170).

[9] J. Ratzinger-Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, Rizzoli-LEV, Milano-Città del Vaticano, 2012, pp. 71-74.

[10] Questo paragrafo è un adattamento di un capitoletto già pubblicato all’interno dello studio Spiegare il Nuovo Testamento passeggiando per il Palatino ed i Fori imperiali. Una guida per la visita, di Andrea Lonardo.

[11] Su tale questione centrale per comprendere la Dei Verbum, cfr. A. Lonardo, Dei Verbum. Per conoscere come parli, in Un tesoro da moltiplicare. Giovani e Concilio, L. Moni Bidin – M. Sposito – V. Piccinonna – M. Del Vecchio – N. Matarazzo (a cura di), Roma, AVE, 2013, pp. 37-43 e, on-line, La Dei Verbum: la novità di un approccio personalistico alla rivelazione. I cinque punti nodali di un magnifico documento, di Andrea Lonardo.

[12] H. de Lubac, Les responsabilités doctrinales des catholiques dans le monde d’aujourd’hui, in Paradoxe et mystère de l’Église, Cerf, Paris, 2010, p. 265; su tale testo cfr. «È al singolare che noi dobbiamo parlare del mistero cristiano». Per un rinnovato annunzio della fede a partire dalle caratteristiche spirituali del nostro tempo. Appunti su di una conferenza di Henri de Lubac del 1938, di Andrea Lonardo.