La complessità del vitale. Tra osservabile e non osservabile, tra errore e imprevedibilità, di Piero Dominici
Riprendiamo sul nostro sito un articolo di Piero Dominici, sociologo e filosofo, Fellow della World Academy of Art and Science, Direttore Scientifico dell’International Research and Education Programme on Human Complex Systems, Università degli Studi di Perugia, pubblicato da “Vocazioni”, XXXVIII (2021), n. 3 maggio-giugno 2021, pp. 26-29. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Educazione e Filosofia.
Il Centro culturale Gli scritti (8/1/2023)
Attraversiamo e proviamo ad abitare un’epoca segnata da profondi mutamenti e processi di sintesi complessa, le cui implicazioni epistemologiche ed etiche, oltre a spalancare di fronte a noi prospettive e traiettorie del tutto inedite, non siamo in grado di valutare.
Una fase accelerata di cambiamento radicale dei paradigmi e di trasformazione antropologica che si concretizza nel progressivo ribaltamento dell’interazione complessa tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale. Divisioni, logiche di separazione, fratture, “false dicotomie”. Confini e limiti, tra natura e cultura, tra naturale e artificiale, che sono completamente saltati, in virtù e in conseguenza delle straordinarie scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche; confini e limiti destinati a trasformarsi sempre più in zone ibride e di contaminazione che, almeno per ora, trovano le nostre istituzioni educative e formative, così come le culture organizzative pubbliche e private, impreparate e inadeguate.
La complessità è caratteristica essenziale degli aggregati organici, in altre parole dei sistemi biologici, sociali, relazionali, umani, sempre caratterizzati da relazioni sistemiche e numerosi livelli di interconnessione /interdipendenza: ben strutturati e costituiti da parti che, nelle loro molteplici e sistemiche interazioni, condizionano il comportamento e l’evoluzione (non lineare) dei sistemi stessi.
Per ciò che riguarda, invece, il mondo degli oggetti e delle cose, parliamo di sistemi complicati (meccanici e artificiali) e non complessi, descrivibili da formule matematiche; si tratta di sistemi osservabili in tutte le loro dimensioni costitutive, misurabili, prevedibili e, soprattutto, scomponibili nelle loro parti al fine di comprenderne il comportamento e il funzionamento. Anche se, per completezza, ci sarebbe da scrivere molto sul caos deterministico, ma anche sull’impatto profondo dell’intelligenza artificiale sulle architetture dei saperi, delle pratiche, dei vissuti.
Nel frattempo, noi umani continuiamo a tentare di controllare, d’ingabbiare, tutta la complessità dell’umano e del sociale, la vitalità dello spirito e del “non osservabile”, in modelli e formule matematiche, in sequenze infinite di dati e numeri, in molecole, sinapsi, ormoni, reazioni chimiche.
E, nel far questo, cerchiamo anche di visualizzare ciò che non è visualizzabile: da sempre, ci spaventa molto la sola idea che qualcosa possa sfuggire al nostro “sguardo” e al nostro controllo.
Ed è proprio questo atteggiamento che ci condanna all’impreparazione ed all’eterna attesa del cigno nero (antica metafora e classica razionalizzazione a posteriori), poco consapevoli di come l’emergenza sia elemento connaturato ai sistemi complessi.
L’Umano e il Vitale – e i sistemi complessi - non sono riducibili né semplificabili, né tanto meno misurabili, prevedibili, gestibili fino in fondo.
E così, al contrario, invece di separare e scomporre in parti, dovremmo provare ad osservare e a riconoscere la complessità, a ricomporre ciò che ci appare separato (educazione e formazione), a riconoscere ed evidenziare le connessioni e le relazioni sistemiche (conoscenza), la vitalità dello spirito, quell’essenziale che, con Il Piccolo Principe, è, appunto, ‘invisibile agli occhi’.
Continuiamo ad alimentare fratture che non conducono alla conoscenza, bensì a quel senso di rassicurazione rispetto all’incertezza della vita e all’indeterminatezza del reale.
È tempo di provare a risanarle nella consapevolezza della propria incompletezza e dell’urgenza di imparare ad abitare l’ipercomplessità, il caos e l’emergente emergenza.
E già… Ordine e Caos: non è più sufficiente provare a distinguerli per ristabilire l’equilibrio perduto e il controllo. Perché, nei sistemi complessi, anche ordine e caos coesistono, retroagiscono nel quadro sistemico di una complessità del vivente e, ancor di più, del sociale, che continua a rivelarsi, nel suo essere dinamica ed instabile, mai osservabile, misurabile, prevedibile, mai comprensibile e intellegibile fino in fondo, se non ricorrendo a spiegazioni riduzionistiche e deterministiche.
Inoltre, i “sistemi complessi”, descrivibili, rappresentabili e visualizzabili come reti costituite da nodi e da collegamenti, presentano diverse caratteristiche e dimensioni peculiari:
sono (1) sistemi fuori dall’equilibrio termodinamico, all’interno dei quali sono presenti e agiscono forze/interazioni/attori in grado di renderli costantemente dinamici e instabili;
sono (2) caratterizzati da “proprietà emergenti”, legate all’intero network e non alla singola variabile/fattore;
(3) mai prevedibili, sono attraversati da dinamiche caotiche che evidenziano i limiti predittivi della stessa scienza;
(4) i sistemi complessi si manifestano e si evolvono in maniera non lineare e attraverso forme variabili;
(5) hanno capacità di auto-organizzazione e auto-generazione;
(6) sono sistemi “aperti”, cioè sensibili alle perturbazioni esterne dell’ambiente/ecosistema;
(7) si articolano in sottosistemi, ancora una volta, strettamente interconnessi e interdipendenti tra loro (principio di gerarchia);
(8) infine, i sistemi complessi, soprattutto con riferimento ai sistemi sociali e umani, non condividono lo stesso spazio-tempo e le interazioni si manifestano e sono riconoscibili anche a distanze estremamente significative.
La civiltà ipertecnologica e iperconnessa si rivela, erroneamente, sempre più edificata sul presupposto della progressiva marginalizzazione dell’umano - e dello spazio della responsabilità - oltre che segnata da una progressiva, esponenziale, inarrestabile crescita della dimensione del tecnologicamente controllato; una civiltà fondata sulla programmazione, sull’automazione e sulla (iper)simulazione di processi e dinamiche, che sembra poterci restituire una serie di rischiose illusioni, a fronte di una ipercomplessità crescente, sempre più evidente e riconoscibile che connota il mutamento in corso e che trova impreparate le istituzioni educative e formative.
E a fronte di una crescita esponenziale delle interdipendenze/interconnessioni/interazioni/condizionamenti che innervano fenomeni e processi, a livello locale e globale, assistiamo, da tempo e quasi paradossalmente, al dominio/egemonia di analisi/spiegazioni riduzionistiche e deterministiche e al ritorno di una visione/concezione neo-positivistica del reale e della realtà.
Dinamiche e processi che si concretizzano, da una parte, nella ricerca, talvolta ossessiva, della semplificazione a tutti i costi (ricordo sempre: l’opposto della complessità non è la semplificazione, bensì il riduzionismo) anche quando è perfino pericoloso semplificare (educazione, comunicazione, democrazia) – e, dall’altra, in quelle che ho definito, in tempi non sospetti, grandi illusioni della civiltà ipertecnologica: l’illusione della razionalità, del controllo, l’illusione della prevedibilità e della misurabilità; ed, infine, l’illusione più pericolosa e ingannevole, quella di poter eliminare l’errore, e l’imprevedibilità, dalle organizzazioni e dalle nostre vite: cioè, eliminare ciò che ci rende “esseri umani”, di più, “esseri umani liberi”.
Una serie di illusioni che, ulteriormente rafforzate dalla sistematica “delega in bianco” concessa alla tecnica/alla tecnologia, trova diverse traduzioni operative nel ricorso ad approcci riduzionistici e deterministici, cioè basati – concretamente – sul coinvolgimento esclusivo di saperi e competenze di tipo tecnico: quelli che sembrano più in grado di supportare e garantire proprio quelle stesse grandi illusioni.
È fondamentale ripartire dalla cura del pensiero, dall’urgenza di “ripensare a come pensiamo” e di definire un sistema di pensiero adeguato alla (iper)complessità del mutamento in atto.
È tempo di ripensare la stessa idea e definizione di “scienza”, accettando la sfida, epistemologica e metodologica, di osservare (e provare a conoscere) anche il non-osservabile, e di considerare significativo, nei percorsi/nelle prospettive di ricerca scientifica, anche ciò che non è misurabile in termini quantitativi.
In altre parole, occorre ripartire anche da una rinnovata consapevolezza: l’idea / la visione / la prospettiva di trasformare/di tradurre/di semplificare e ridurre il “qualitativo” (la complessità della vita, del sociale, dell’Umano) in “quantitativo”, in dati quantitativi, è ingannevole, fuorviante e, perfino, presuntuosa.
Rintracciare e riconoscere i legami, le connessioni e le interdipendenze tra le parti, tra i processi, tra i fenomeni, tra le Persone: la sfida delle sfide, una sfida soprattutto educativa… cercando l’Errore (fonte di conoscenza e vitalità), l’Altro, l’Umano e la Vita.