L’atteggiamento demenziale per cui si dice “buone festività” per il Natale, ma non si fa così per il Ramadan o Rosh Hashanah, di Fabrizio Falconi
Riprendiamo dal profilo FB di Fabrizio Falconi un suo post pubblicato il 24/12/2021. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Cristianesimo e Liturgia.
Il Centro culturale Gli scritti (1/1/2023)
Io non so quando sia esattamente cominciata questa cosa demenziale secondo cui le feste religiose sono diventate innominabili "per rispetto delle altre religioni" o "degli altri in generale".
Mi pare esprima bene il vuoto pneumatico contemporaneo.
Mi ricordo quando sono stato in Israele ed era bello, da non ebreo, assistere alle feste degli ebrei, e fare loro gli auguri; così come è stato bello in Siria partecipare - laddove si poteva - ai riti musulmani e cercare di comprenderli; così come è bellissimo cercare di capire cosa prova un buddhista o un taoista quando è il suo momento di festa.
Per quanto mi riguarda, sono romano, nato in occidente, battezzato e cristiano. Quindi per me oggi non si dice "buone festività", come se fosse la festa del papà o il ponte di ferragosto. Oggi per me - e per tanti altri - è Natale.
Quindi, "Buon Natale" (non buone feste o buone festività) a tutti, amici vicini e lontani. E se per voi non è Natale, va bene lo stesso, perché gli auguri non si fanno per essere ricambiati, ma per il piacere di augurare (dal latino "augurare", derivativo di augur "augure"] (io àuguro, ecc.). - v. intr. cioè "auspicare", "fare pronostici" (si intende, positivi) a chi ci sta a cuore (e anche a chi non conosciamo).