La sottolineatura della tristezza nel vivere il Natale e il politicamente corretto, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Tempo libero e Liturgia.
Il Centro culturale Gli scritti (25/12/2022)
Il cantante Francesco Gabbani ha riproposto nella canzone Natale tanto vale il tema della tristezza che prende taluni nel vivere il Natale, evocando le festività vissute da chi è separato o da chi ha appena perso una persona cara o da chi è nella solitudine.
Nel meraviglioso libro La comunità, luogo della festa e del perdono – che ebbi la fortuna di leggere da adolescente – la memoria di chi è triste veniva evocata non solo per il Natale, ma come questione che deve far sempre riflettere in ogni tipo di festa, senza mai eliminarle.
Così scriveva Vanier:
«Sulla terra, c’è sempre un elemento malinconico nella festa; non si può fare festa senza alludervi. È perché sulla terra ci sono persone che non festeggiano, che sono nella disperazione, nello sconforto, nell’agonia, nella fame, nel lutto. È per questo che ogni festa, se è come un grande alleluia e un canto di grazie, deve sempre terminare con un silenzio nel quale si portano a Dio tutti quelli che non festeggiano»[1].
La malinconia di chi è stato tradito o ha incontrato la morte della persona cara emerge non solo a Natale, ma anche a Capodanno, in occasione di una festa di laurea, per la nascita di un bambino.
Chiunque festeggia deve lasciare uno spazio per ricordare che c’è chi non vive la medesima gioia.
Ricordo la preghiera di un giovane, in occasione di un Battesimo: “Signore, ogni donna che ha appena partorito è a disagio dinanzi ad una donna che ha appena perso il suo bambino e non vorrebbe vederla, perché quel lutto le ricorda che la stessa cosa potrebbe accadere al suo piccolo. Similmente, ogni donna che non riesce ad avere un bambino sente nell'intimo un dolore quando incontra un'amica felice per avere appena partorito: la gioia che prova per l’amica è velata dalla tristezza del non poter abbracciare il proprio. Signore, aiutaci a stare sempre insieme, l’uno vicino all’altro, chi è nella gioia e chi è nel dolore. Per saper gioire con chi è nella gioia e saper soffrire con chi è nella sofferenza”.
Questa preghiera mi aveva colpito perché vera, perché estremamente umana. Aveva avuto il coraggio di dire che ogni festa evidenzia paradossalmente la sofferenza di chi non può goderne fino in fondo. D'altro canto quella stessa preghiera ricordava che la soluzione non può essere quella di smettere di festeggiare: l'unica via è tenere insieme gioie e dolori.
Questa consapevolezza del carattere mai assoluta di ogni festa vale anche per il Natale.
Il politicamente corretto evoca la tristezza solo dinanzi al Natale – quasi che le altre feste non generassero analoghi dispiaceri -, probabilmente per la prospettiva anti-clericale dell'intellighenzia: nessuno si sognerebbe di ricordare che esiste anche un Capodanno triste per alcuni, o un Halloween triste per alcuni, o un’estate al mare triste per alcuni, invitando sottilmente a non celebrare Capodanni o feste di Halloween o a non andare iun vacazna: perché queste feste sono invece un must per il consumismo politicamente corretto, a differenza delle feste cristiane.
Eppure è saggio che ci sia chi ricorda che nessuna festa è mai pienamente completa, fino al Paradiso, fino alla vita eterna: ogni festa terrena, ogni conquista scientifica e ogni affermazione positiva di un diritto di qualcuno, ha sempre, al proprio fianco, la tristezza di chi invece non può vivere in quel momento una gioia analoga.
Tutto questo ha un perché: niente in terra è mai assoluto. La terra non basta all’uomo, serve il cielo.
Note al testo
[1] J. Vanier, La comunità. Luogo del perdono e della festa, Milano, Jaca Book, 2007, p. 359.