[Commercio, saccheggio, schiavismo e pirateria nel Mediterraneo a partire dall’invasione islamica nel I millennio, negli studi di David Abulafia]. Un mare in atrofia. 600-900 d.C., di D. Abulafia
Riprendiamo sul nostro sito un brano da D. Abulafia, Il grande mare. Storia del Mediterraneo, Milano, Mondadori, 2016, pp. 242-245 (dal capitolo “Un mare in Atrofia. 600-900”). Abulafia è docente di Storia del Mediterraneo all'Università di Cambridge. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Alto medioevo e Storia dell’Islam; cfr. in particolare
- Breve cronologia degli attacchi saraceni (termine con cui si designano gli attacchi arabo-islamici del primo millennio) nel Mediterraneo, nella penisola italiana, in quella ispanica, in Provenza e sulle Alpi, di Andrea Lonardo
- Gli attacchi saraceni (arabo-musulmani) nel Lazio del IX secolo e il potere temporale del vescovo di Roma nell'alto medioevo: fonti letterariele ed evidenze materiali e archeologiche, di Andrea Lonardo
Il Centro culturale Gli scritti (25/12/2022)
Per gli storici del Mediterraneo le conquiste islamiche rappresentano un paradosso. Se per un verso furono tali conquiste a rompere l’unità del Mediterraneo, per l’altro fu proprio l’islam a fornire la base per la creazione di una nuova unità mediterranea, ancorché non estesa all’intero bacino visto che la sua rete di commerci e di contatti era essenzialmente circoscritta alle coste meridionali e orientali.
Stretti legami commerciali si svilupparono con Costantinopoli, l’Asia Minore e l’Egeo bizantino, nonché con vari porti italiani sotto la sovranità di Bisanzio, in particolare con Venezia e Amalfi.
Gli abitanti della Gallia meridionale e della penisola italica, però, impararono a conoscere i marmai musulmani soprattutto come odiosi razziatori di schiavi. Gli schiavi erano la principale merce di scambio tra il mondo islamico e l’Europa, in genere trasportata via mare (presero forma anche percorsi terrestri per il trasporto di schiavi dall’Europa orientale alla Spagna, con tappe intermedie nei monasteri delle Fiandre dove veniva praticata la castrazione).
La persistenza della pirateria sembrerebbe suggerire che gli scambi commerciali non vennero meno, visto che senza qualcuno da depredare la pirateria non da profitto; ma molto probabilmente le vittime dei «saraceni» erano soprattutto gente di terra, rapita sulle coste del mezzogiorno d’Italia e della Francia meridionale per essere ridotta in schiavitù.
Altri tre articoli - il papiro, l’oro e i tessuti di lusso – si segnalano per la loro assenza, dopo essere stati per secoli le merci principali.
Sulla base della loro scomparsa, il grande storico belga Henri Pirenne afferma che nel Mediterraneo la cesura più importante rispetto al mondo antico fu quella segnata dai secoli VII e VIII, quando il flusso dei commerci si ridusse a «un esilissimo rivolo».
Poiché il papiro era in massima parte prodotto in Egitto, la scomparsa di questo antiquato articolo dall’Europa occidentale e la sua sostituzione con pergamena di fabbricazione locale potrebbe effettivamente indicare che nel Mediterraneo non era più commerciato.
Una delle poche istituzioni che continuò a servirsene, ancora nel X e nell’XI secolo, fu il papato: Roma aveva il vantaggio di trovarsi vicina ai porti, sempre attivi, dei golfi di Napoli e di Salerno, entrambi collegati sia con Costantinopoli sia con i territori islamici.
Esiste comunque la prova che il commercio non si estinse del tutto, anche se non fu proprio florido. Nel 716 il re franco Chilperico II concesse ai monaci di Gorbie significative esenzioni fiscali, riconoscendo loro il permesso di importare papiro e altri prodotti orientali via Fos-sur-Mer, al delta del Rodano. Trattandosi però della conferma di vecchi privilegi, ciò non dimostra che commercio via Fos continuasse a godere di buona salute. Nella sua epoca d’oro Fos convogliava a nord non solo pellame spagnolo e papiro (50 quaderni l’anno), ma anche 4 tonnellate e mezzo di olio, 30 fusti di nauseabonda salsa di pesce, 13 chili di pepe e 65 di cumino, oltre a massicce quantità di fichi, mandorle e olive (se le partite indicate arrivavano a destinazione).
Come si è visto, la non lontana Marsiglia era uno dei pochi porti del Mediterraneo nordorientale a non essersi completamente atrofizzato. Anzi, le ricerche archeologiche rivelano che durante il VI secolo la città era cresciuta e che i suoi contatti con Cartagine e la regione circostante erano rimasti solidi anche dopo il 600.
A Marsiglia si coniavano persino monete auree, indizio di un legame con il mondo mediterraneo dato che nell’Europa occidentale non c’era alcuna fonte d’oro di qualche importanza. Ma alla fine del VII secolo anche la città francese si trovò in difficoltà: la conquista araba di Cartagine la privò dei suoi collegamenti con l’Africa, cosicché cessò la fornitura d’oro, e con essa le emissioni auree, e cessò anche l’arrivo di anfore dall’Est.
Nel IX secolo il geografo arabo Ibn Khurdadhbih descrive un intraprendente gruppo di mercanti ebrei poliglotti, i radhaniyyah o radaniti. Racconta che battevano quattro rotte: alcune di terra, attraverso la Gallia e Praga fino al regno dei bulgari bianchi, che copriva i vasti spazi a nord del mar Nero; altre di mare, dalla Provenza all’Egitto e di qui, attraverso il mar Rosso, all’India; oppure da Antiochia, nel Levante, all’Iraq, all’India, a Ceylon e, sempre via mare, all’Estremo Oriente. Altri, invece, partendo dalla Spagna, guadagnavano il Levante seguendo la costa nordafricana, un percorso più agevole via terra che via mare, a causa delle secche, delle correnti e dei venti contrari.
Di rientro dal delta del Nilo, i mercanti radaniti potevano salpare per Costantinopoli o scegliere di rientrare in Gallia. La descrizione di queste rotte individua i radaniti come mercanti di spezie, dediti al trasporto di condimenti, profumi e droghe, ma grazie ai contatti con le zone settentrionali essi potevano anche trasportare armi in ferro, pellicce e schiavi sulle coste meridionali del Mediterraneo (gli acquirenti musulmani, sempre a corto di ferro, erano ben lieti di comprare spade del Nord).
Accanto ai radaniti c’erano molti altri mercanti di schiavi, sia cristiani sia musulmani. Nella Cordova islamica del 961 c’erano 13.750 saqaliba, schiavi di origine slava.
Gli scontri tra i popoli germanici e i popoli slavi nei territori dei venedi, corrispondenti all’odierna Germania orientale, assicuravano una copiosa e regolare fornitura di prigionieri, e il termine sclavus (schiavo) rimanda all’origine slava da cui molti di loro erano accomunati.
Gli schiavi catturati nelle terre di confine del mondo slavo arrivavano anche in Siria e in Egitto, insieme ai circassi deportati dal mar Nero. Per quanto infelice, il destino di questa gente, persino di chi doveva subire il trauma della castrazione, non sempre è assimilabile a quello degli schiavi africani deportati in massa nelle Americhe attraverso l’Atlantico molti secoli più tardi.
A Cordava i giovani maschi dall’aspetto robusto non venivano evirati, ma entravano nella guardia dell’emiro, dove talvolta arrivavano ai vertici del comando. Le donne potevano finire nel mondo chiuso dell’harem e i bei ragazzi diventare proprietà di qualche principe pederasta.
Un mercante che ben risponde al profilo del radanita fu Abramo di Saragozza, un ebreo spagnolo che godette della protezione personale dell’imperatore franco Ludovico il Pio. Attivo intorno all’828, fu esentato dal pagamento dei dazi, ottenendo l’esplicito permesso di acquistare schiavi stranieri da vendere nelle terre dei franchi. Nell’846, tuttavia, l’arcivescovo di Lione accusò i mercanti ebrei di reperire la loro merce umana nelle città della Provenza e di vendere schiavi cristiani sul mercato di Cordova.
Se la forza navale romana si era basata sull’eliminazione della pirateria, la forza navale musulmana si basava sull’esercizio della pirateria. Era proprio questo a rendere appetibile il servizio nelle flotte islamiche a greci, copti, berberi e ispanici che indubbiamente costituivano l’equipaggio di quelle navi.
I pirati al servizio dei governanti islamici attaccavano le imbarcazioni occidentali senza farsi alcun riguardo. Uno scrittore arabo del IX secolo spiega che nel Mediterraneo le navi cristiane potevano essere considerate un obiettivo legittimo dai pirati musulmani ogniqualvolta fossero dirette verso un altro territorio cristiano; e se il capitano di una nave attaccata dichiarava di essere in viaggio sotto la protezione di un signore musulmano, per esempio un emiro andaluso, poteva essergli chiesto di esibire un documento scritto.
Benché al tempo dell’invasione araba e berbera della Spagna, nel 711, ci fossero state ben poche operazioni navali (a parte una fondamentale traversata dello stretto di Gibilterra), durante il resto dell’VIII secolo le flotte musulmane cominciarono a muoversi nel Mediterraneo occidentale con una certa confidenza. Nel frattempo i bizantini, che pure avevano represso agevolmente la reinsorgenza della pirateria all’indomani della caduta di Cartagine (698), avevano perso il controllo effettivo dei mari a ovest della Sicilia, lasciando così mano libera alle navi musulmane contro isole e sponde ancora poste formalmente sotto il loro dominio: le Baleari, la Sardegna e la costa ligure.
Verso l’800 la sicurezza della regione subì un grave deterioramento. L’intero Mediterraneo occidentale divenne teatro di scontri navali. Generalmente questi eventi vengono presentati come il tentativo di fermare l’invasore arabo che cercava di impadronirsi delle isole mediterranee. Non di rado, però, le flotte musulmane puntavano più a far bottino (anche prigionieri da mettere in vendita) che a estendere il dominio dell’islam. L’idea di catturare schiavi e procurarsi bottini non dispiaceva nemmeno ai cristiani, che tuttavia, per ovvie ragioni, preferivano starsene sulla difensiva. Il fatto, poi, che a occidente ci fosse una grande potenza decisa a contrastare le flotte militari musulmane contribuì ad accrescere la tensione, inducendo i pirati a farsi ancora più audaci. Nel 798 la marina araba attaccò le Baleari, che all’inizio non erano state incluse nel piano di invasione della Spagna.
Sapendo che Costantinopoli non era in grado di prestare alcun soccorso, gli isolani chiesero aiuto al re della Gallia e dell’Italia settentrionale, Carlomagno, che riconobbero come loro nuovo signore. Il sovrano inviò delle truppe, e al successivo tentativo di razziare le isole gli arabi furono respinti.
Ordinò inoltre al figlio Ludovico di allestire una flotta per difendere il delta del Rodano e dispose nuove difese costiere per proteggere i porti della Francia meridionale e dell’Italia nordoccidentale.
Il conte franco di Genova, Ademaro, guidò una spedizione navale contro gli arabi che stavano tentando di invadere la Corsica, perdendo la vita in battaglia. Gli scontri continuarono al largo della Corsica e della Sardegna, e un ammiraglio franco di nome Burcardo riuscì a distruggere 13 navi nemiche.
Intanto i veneziani […] pattugliavano le acque della Sicilia e del Nordafrica riportando, insieme con altre navi al servizio di Bisanzio notevoli successi contro la flotta di al-Andalus, la Spagna islamica. Nell’812 i bizantini distrussero 13 navi arabe che avevano attaccato la piccola ma strategicamente importante isola di Lampedusa, tra la Sicilia e l’Africa.
Di lì a poco i nordafricani conclusero che era tempo di fermarsi e negoziarono una tregua decennale con il governatore della Sicilia bizantina, Gregorio. Ora la Sicilia occidentale era sotto il controllo delle flotte cristiane, e i bizantini avevano finalmente ottenuto un po’ di respiro nel Mediterraneo centrale, dopo gli enormi danni causati dalle incursioni arabe alle città e ai villaggi delle coste siciliane e calabresi più esposti.
Purtroppo per i bizantini, però, i musulmani decisero che dalla Sicilia si poteva cavare di più che qualche schiavo e un po’ di bottino, e nell’827 lanciarono un’invasione che a poco a poco portò l’intera isola sotto il dominio degli emiri del Nordafrica, gli Aghlabidi.
Ripresero le scorrerie in Sardegna e in Corsica, alle quali i franchi reagirono con un ambizioso attacco navale sulla costa africana; ma la loro flotta non poteva contare su una base permanente, e così, dopo una serie di scontri vittoriosi, bastò una sola sconfitta, a Sousse (in Tunisia), per costringere i franchi ad abbandonare l’Africa.
In ogni caso, alla morte di Carlomagno, nell’814, l’impero franco aveva ormai superato l’apogeo, e le rivalità interne distolsero il successore al trono, Ludovico il Pio, dalle sorti del Mediterraneo occidentale.
Negli anni Quaranta del secolo gli arabi furono liberi di saccheggiare Marsiglia, Arles e Roma.
Con grande imbarazzo dei bizantini e dei franchi, che rivendicavano entrambi il dominio dell’Italia meridionale, nell’847 un contingente navale musulmano conquistò il porto di Bari, creando un emirato destinato a sopravvive fino all’871, quando franchi e bizantini capirono finalmente di dover unire le forze per cacciare l’invasore islamico.
Dopo una serie di tentativi durante il IX secolo, nel X i pirati si procurarono diverse basi lungo il litorale della Provenza e persino nell’immediato entroterra, a Frassineto (oggi la Garde-Freinet). La pirateria araba mise in serio pericolo gli scambi commerciali dei cristiani di Provenza, procurando in compenso ai musulmani schiavi e prede di guerra.