Nel 150° anniversario della nascita di Vincent van Gogh (1853-2003). Dal Sermone domenicale sul Salmo 119, 19 al Campo di grano con corvi. Vivere in compagnia della speranza e nella sua assenza, di d. Andrea Lonardo
N.B. Questo testo nasce dalla stupefacente constatazione che, nello studio dell'evoluzione umana ed artistica del pittore olandese, è stata spesso trascurata la rilevanza del dispiegarsi e dell'entrare in crisi della sua fede cristiana. Molti amanti della pittura di van Gogh ignorano persino che egli sia stato predicatore evangelico. Anche da questa dimenticanza nasce l'eccessivo interesse, negli studi moderni su van Gogh, ai problemi di natura psichiatrica ed alle relazioni desiderate e insieme turbate con le figure genitoriali. Con questo breve scritto vogliamo solo indicare alcune tracce per un approccio più rispettoso alla vita e all'opera del grande pittore.
Il sermone domenicale sul Sal 119 è stato tradotto in italiano, per noi, da Maria Pia Martini. Tutte le citazioni dalle lettere sono tratte dall'edizione completa dell'epistolario: Vincent van Gogh, Tutte le lettere di Vincent van Gogh, 3 voll., Silvana Editoriale d'arte, Milano, 1959. L'edizione definitiva a cui facciamo riferimento è quella curata dal nipote di Vincent, Vincent Willem van Gogh, figlio di Theo, il fratello del pittore. Fu lui a riprendere in mano la prima edizione del 1914, curata da sua madre e moglie di Theo, Johanna van Gogh-Bonger, e a dare alle stampe negli anni 1952-54 la raccolta completa, con l'aggiunta oltre a nuove lettere rinvenute, dell'epistolario di Theo a van Gogh e di testimonianze e notizie raccolte da altre fonti.
Le foto sono tratte da sito http://www.vangoghgallery.com
Restiamo a disposizione per la loro pronta rimozione se la loro messa a disposizione sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Indice
- Campo di grano con volo di corvi. Un sentiero che si perde
- La compagnia di Dio, nel primo sermone di van Gogh
- Van Gogh predicatore nel Borinage
- L'eclissi della fede cristiana. Vivere senza "compagnia" divina
- “Le religioni passano, Dio resta”. Nuenen e la Chiesa di Auvers
- L'uomo dei dolori e la grande universalità della miseria umana
- La riflessione su Tolstoj: la natura al posto di Dio?
- Teoria del ritratto. L'uomo ed il suo sfondo
- Non solo malattia, ma smarrimento
- Avere una direzione: sensualità o nostalgia di vita familiare?
- Intorno alle questioni dirette su Dio
- Dinanzi all'oggettività del cristianesimo
- Come attraverso un fondo di bicchiere, oscuramente
- Eravamo tanto fratelli!
- Campi di grano: non “nature”, ma riflessi
- Appendice I Il sermone sul Salmo 119, 19
- Appendice II Testimonianze raccolte da V.W. van Gogh, figlio di Theo van Gogh, sul periodo in cui van Gogh fu predicatore evangelico nel Borinage (pubblicate al numero 143a dell'edizione completa delle lettere di van Gogh)
Campo di grano con volo di corvi. Un sentiero che si perde
Non è possibile, con gli elementi oggi in nostro possesso, conoscere l'esatta cronologia delle ultime opere di van Gogh. Ciononostante, per una decisione collettiva emotivamente fondata, non è raro incontrare l'affermazione che l'ultima opera dipinta dal pittore olandese, prima del suicidio, sia la grande tela del "Campo di grano con volo di corvi". E' anche per questo motivo, forse proprio per questo motivo, che è il suo dipinto più famoso.
Campo di grano con corvi (luglio 1890, Museo Van Gogh Amsterdam) |
Il sentiero che si perde nell'orizzonte del quadro richiama al cammino del viandante, al mistero dello svilupparsi della vita umana. Ma, anche, il salire del sentiero verso il cielo tempestoso, nel contrasto stridente fra l'oro del grano ed il nero dei corvi, evocativamente, indirizza, a posteriori, il pensiero al mistero del togliersi la vita di un essere umano, ed alle immense tensioni e domande che precedono questo gesto.
La compagnia di Dio, nel primo sermone di van Gogh
L'immagine del sentiero appare anche in un'opera giovanile di van Gogh, ma con una variante di grande rilevanza: la presenza dell'Angelo di Dio.
Tale opera non è pittorica, ma letteraria: è il Sermone domenicale sul Salmo 119, 19, la sua prima predica, tenuta in Inghilterra all'età di 23 anni.
Vincent van Gogh, figlio di Theodorus van Gogh, pastore della Chiesa Riformata Olandese, fu, infatti, per alcuni anni, predicatore evangelico. Quando ritornò, nel marzo del 1876, all'età di 23 anni, a Londra (dove già aveva abitato due anni, a partire dal 1873) iniziò a lavorare alla scuola del Rev. William P. Stokes a Ramsgate. Era responsabile di 24 ragazzi, tra i 10 ed i 14 anni d'età. Passò poi ad insegnare alla scuola del Rev. T. Slade Jones, predicatore metodista, a Isleworth. In questo periodo, come appare dalle sue lettere al fratello Theo, si dedicò sempre più allo studio della Bibbia. Nell'estate dello stesso anno, il 1876, iniziò a pensare seriamente di dedicare la sua vita alla predicazione cristiana. Il rev. Jones acconsentì ad assegnargli maggiori responsabilità verso la comunità cristiana del luogo. Van Gogh tenne il suo primo sermone domenicale - che ebbe appunto per tema il versetto del Salmo 119, 19 "Sono uno straniero sulla terra, non mi nascondere i Tuoi comandamenti" - il 29 ottobre 1876, in un culto metodista. E' van Gogh stesso ad averlo trascritto, per inviarlo in una lettera al fratello Theo (è in questo modo che esso è giunto fino a noi) [1]. Il sermone, dopo aver a lungo invitato a meditare sulla vita come pellegrinaggio, attingendo alla testimonianza biblica, si chiude evocando proprio l'immagine del sentiero. Ma, sul sentiero, appare una donna, o una figura in nero, l'Angelo di Dio, l'immagine della presenza di Dio e della sua Provvidenza, ad incoraggiare il passo ansioso dell'uomo. Le parole del Sermone fanno qui riferimento ad un'opera di George Henry Boughton (1833?-1905), pittore, di cui il Van Gogh Museum di Amsterdam custodisce la tela Dio ti sia favorevole! Pellegrini che si mettono in cammino per Canterbury, del 1874. Anche in questa tela, che non è la stessa citata da van Gogh, Boughton mostra due pellegrini alla presenza della “figura nera”. Ecco le parole finali del Sermone di van Gogh:
La nostra vita è il cammino di un pellegrino. Una volta ho visto un bellissimo quadro: era un paesaggio alla sera. In distanza sul lato destro una fila di colline appariva azzurra nella leggera nebbia della sera. Su quelle colline lo splendore del tramonto, le nuvole grigie con i loro orli d'argento, d'oro e di porpora. Il paesaggio è una pianura o una landa coperte di erba e di foglie gialle perché era autunno. Attraverso il paesaggio una strada porta a un'alta montagna, lontana, molto lontana, sulla cima di quella montagna è una città su cui il sole tramonta glorioso. Sulla strada cammina un pellegrino, qualcosa in mano. Ha già camminato per lungo tempo ed è molto stanco. E ora incontra una donna, o una figura in nero, che fa pensare alla parola di S.Paolo: "Come essere colmi di pena eppure gioire sempre". Quell'Angelo di Dio è stato messo là per incoraggiare i pellegrini e rispondere alle loro domande e il pellegrino le chiede: "La strada va su per la collina tutto il tempo?".
E la risposta è: “Si, fino alla fine”.
E lui chiede di nuovo: “E il cammino durerà tutto il giorno?”.
E la risposta è: “Dalla mattina alla sera amico mio”.
E il pellegrino va avanti colmo di pena eppure sempre gioendo – pieno di pena perché è così lontano e la strada così lunga. Pieno di speranza mentre guarda su verso la città eterna, lontana, risplendente nella luce della sera e pensa a due antichi detti che ha sentito tanto tempo fa – uno è:
Molta lotta deve essere combattuta
Molta sofferenza deve essere sofferta
Molte preghiere devono essere pregate
E allora la fine sarà pace.
E l'altro è:
L'acqua arriva alle labbra
Ma non arriva più in alto.
Ed egli dice: Sarò sempre più stanco ma anche sempre più vicino a Te. L'uomo non deve lottare sulla terra? Ma c'è una consolazione da Dio in questa vita. Un Angelo di Dio che conforta l'uomo – che è l'Angelo della Carità. Non dimentichiamolo. E quando ognuno di noi torna alle cose quotidiane e ai doveri quotidiani non dimentichiamo che le cose non sono quello che sembrano, che Dio ci insegna cose più alte attraverso le cose della vita quotidiana, che la nostra vita è il cammino di un pellegrino, e che noi siamo stranieri sulla terra, ma che noi abbiamo un Dio e padre che protegge gli stranieri, - e che siamo tutti fratelli.
Amen.
E ora la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, e l'amore di Dio Padre e la compagnia dello Spirito Santo, siano con noi sempre di più.
Amen.
George Henry Boughton (1833?-1905) Dio ti sia favorevole! Pellegrini che si mettono in cammino per Canterbury (1874, Amsterdam, Museo Van Gogh) |
E' questa figura di speranza che non appare più visibilmente nel "Campo di grano con volo di corvi". Non una compagnia umana e divina, ma solo un volo di neri corvi, lontana e opposta figura dell'Angelo di Dio, sembra profilarsi all'orizzonte.
Il Sermone riprende, quasi con le stesse parole, il tema già espresso da van Gogh nella lettera al fratello Theo, scritta da Isleworth, il 26 agosto 1876 (lettera 74):
Ogni giorno leggo la Bibbia coi ragazzi, e questo è qualcosa di più che un semplice piacere. Non passa giorno che non si preghi Dio e che non si parli di Lui. Per ora, i miei discorsi su di Lui non sono gran che, ma col Suo aiuto e la sua benedizione miglioreranno. Ti ho mai parlato del quadro di Boughton, 'Il progresso del pellegrino'? Cala la sera. Un sentiero sabbioso conduce per le colline fino a un monte in cima al quale sorge la Città Santa, illuminata dal sole rosso che tramonta dietro le grigie nuvole della sera. Sul sentiero sta un pellegrino che vuole salire alla Città; ma è già stanco e chiede a una donna in nero il cui nome è 'Triste, ma sempre esultante':
La strada sale sempre?
Sì, fino alla fine.
Il viaggio dura l'intera giornata?
Dal mattino alla sera, amico mio.
Il sentiero serpeggia attraverso un paesaggio bellissimo – la landa bruna, disseminata qua e là da pini e betulle con chiazze di sabbia gialla, e la montagna in lontananza, contro il sole. Più che di un quadro si tratta di un'ispirazione. Ti scrivo tra una lezione e l'altra. Oggi mi sono allontanato per qualche minuto e ho passeggiato tra le siepi con Giovanni e Teogene per studiarli. Vorrei che tu potessi vedere il cortile in questo momento e i giardini dietro, immersi nel crepuscolo. Nella scuola, vacillano le fiammelle del gas e risuonano le allegre voci dei ragazzi che studiano le lezioni; di tanto in tanto, uno di essi si mette a canticchiare l'aria di qualche inno, e in me c'è qualcosa dell' “antica fede”: non sono certo ancora quale vorrei essere, ma con l'aiuto di Dio ci riuscirò.
In quegli anni Van Gogh legge continuamente, oltre alla Bibbia, l'Imitazione di Cristo e, a più riprese si sofferma su di uno dei passaggi più noti di quel testo, come nella lettera 80:
Isleworth, 10 novembre 1876
Ho fatto bellissime passeggiate in questi ultimi tempi: mi sono state di grande sollievo dopo la quasi reclusione dei primi mesi qui. E' vero che ogni giorno ha il suo male, ed anche il suo bene. Ma la vita è difficile se non viene rafforzata e confortata dalla Fede, specialmente nei giorni a venire, quando il male di ogni giorno aumenta per quanto riguarda le cose del mondo. In Cristo tutte le cose del mondo possono diventare migliori e, quasi, santificarsi.
“Nulla mi soddisfa se non in Cristo, e in Lui tutto mi soddisfa” è un bellissimo detto, e felici coloro che lo conoscono. Ma non è facile farlo proprio; tuttavia, “cercate e troverete”.
Incontriamo già la coscienza della difficoltà della vita. Essa non ha senso in se stessa – più volte, nelle lettere di questo periodo, van Gogh ritorna su questo assunto - non è in grado di appagare, se Cristo non ne svela il mistero, ma, alla sua luce, addirittura ogni cosa, ogni frammento, riceve pienezza di senso.
Van Gogh predicatore nel Borinage
Il sermone che la lettera a Theo ci riporta non fu, comunque, l'apice del cammino cristiano del pittore. Sebbene la famiglia decidesse, quando Vincent tornò per il Natale 1876, di non far ripartire il figlio per l'Inghilterra, perché lì sembravano non esserci possibilità di carriera, l'insistenza di van Gogh nella convinzione di essere chiamato dal Signore ad essere predicatore, convinsero il padre ad aprirgli la strada perché studiasse a questo fine. Fu così che, nel 1877, van Gogh iniziò gli studi di latino, greco e matematica, per essere ammesso agli studi di Teologia, presso l'Università di Amsterdam, per divenire pastore. Così scrive in quell'anno:
Mi sento attratto dalla religione e desidero consolare gli umili. Penso che il mestiere di pittore e di artista sia bello, ma credo che il mestiere di mio padre sia più sacro.
I risultati negli studi non furono buoni e, non essendo riuscito ad essere ammesso alla scuola della missione di Laeken, ottenne infine una autorizzazione ad iniziare un periodo di prova come predicatore presso il distretto carbonifero di Borinage, in Belgio, una delle regioni più povere a quel tempo.
Iniziò le sue funzioni di predicatore nel gennaio 1879. Scelse di condividere pienamente le condizioni di vita dei minatori di quella regione, mettendo in comune tutto quello che aveva e trovandosi presto in uno stato di grande povertà. I responsabili della missione lo destituirono perciò dall'incarico, disapprovando il suo forte ascetismo e l'eccessivo, a loro giudizio, coinvolgimento nella condizione dei suoi fedeli (la motivazione addotta fu, invece, l'incapacità oratoria di van Gogh) [2] .
Van Gogh si rifiutò di abbandonare la regione e si trasferì a Cuesmes, dove visse in totale povertà.
Le testimonianze raccolte dal nipote V.W. van Gogh sul periodo del Borinage, lo mostrano diviso tra il rapporto continuo e concreto con la vita dei minatori e delle loro famiglie e la dedizione al desiderio di rappresentare attraverso la pittura le situazioni a cui partecipava, la vita povera e semplice dei suoi compagni di quel tempo. Scegliamo fra le varie testimonianze quella del vecchio pastore del Borinage Bonte che rilasciò questa dichiarazione:
La famiglia che ospitava Vincent van Gogh aveva abitudini semplici e viveva come gli operai.
Ma il nostro evangelista manifestò ben presto nei riguardi del suo alloggio i sentimenti particolari che lo animavano, trovando che era troppo lussuoso; esso offendeva la sua umiltà cristiana, ed egli non poteva sopportare di stare sotto un ricovero diverso da quello dei minatori. Lasciò perciò le persone che lo circondavano di simpatia e andò ad abitare in una piccola capanna. Ci abitava assolutamente solo, non aveva mobilio e si diceva che dormisse raggomitolato in un angolo del focolare.
Del resto il modo con cui si vestiva quando usciva era rivelatore delle sue aspirazioni originali; lo si vedeva uscire con la vecchia uniforme di soldato e un brutto berretto, e con questo camuffamento percorreva il villaggio.
I begli abiti coi quali era arrivato non si videro più ed egli non ne acquistò dei nuovi.
Eppure percepiva uno stipendio modesto, ma sufficiente da permettergli di vestire secondo la sua condizione sociale.
Perché mai quel ragazzo si era modificato a quel punto?
Davanti alle miserie che incontrava nelle sue visite, la sua pietà l'aveva spinto a regalare quasi tutti i suoi abiti; anche il suo denaro era passato nelle mani dei poveri ed egli non aveva conservato per se stesso praticamente niente. I suoi sentimenti religiosi erano molto profondi ed egli voleva ubbidire alla parola di Gesù Cristo nella forma più assoluta.
Si sentiva tenuto ad imitare i primi cristiani, a rinunciare a tutto quello cui poteva fare a meno, e voleva essere più misero della maggior parte dei minatori ai quali predicava il Vangelo. Devo aggiungere pure che aveva abbandonato stranamente anche la pulizia olandese; il sapone era negletto come un lusso colpevole e se il nostro evangelista non era coperto di uno strato di carbone, pure aveva abitualmente la faccia più sporca di quella dei minatori. Questo particolare esteriore non lo preoccupava affatto; egli era assorbito dal suo ideale di rinuncia, e mostrava ovunque che la sua attitudine non era quella accomodante, ma voleva mettere in pratica fedelmente gli ideali che guidavano la sua coscienza.
E se ormai non aveva più il pensiero del benessere personale, il suo cuore si svegliava davanti ai bisogni degli altri. Preferiva andare dai più disgraziati, dai feriti, dai malati, e restava a lungo con loro; era pronto a tutti i sacrifici per alleviare le loro pene. La sua profonda sensibilità si allargava del resto oltre l'umanità. Vincent van Gogh rispettava la vita degli animali anche di quelli inferiori. Un brutto bruco non gli ispirava disprezzo, era una creatura animata e bisognava rispettarla.
La famiglia che l'ha avuto come ospite mi ha raccontato che se vedeva in giardino un bruco per terra, lo raccoglieva con delicatezza e andava a posarlo su un albero. Accanto a questo lato del suo carattere, che potrebbe anche essere giudicato insignificante o stupido, io ho tratto l'impressione che Vincent van Gogh è stato perseguitato da un ideale bellissimo: obliare se stesso e dedicarsi a tutti gli altri esseri era veramente l'idea fondamentale che egli accettava con tutto il cuore.
Non avvilirò certo l'uomo ammettendo che, secondo me, aveva un difetto: era un incorreggibile fumatore. Talvolta l'ho contraddetto su questo punto, ed, essendo io nemico del tabacco, gli dicevo che faceva male a non rinunciarvi; egli non ne fece nulla e fu una piccola ombra; ma per i pittori anche queste sono necessarie. Quanto alla sua pittura non ne posso parlare da esperto; d'altronde non la si prendeva sul serio. Andava ad accoccolarsi per terra vicino alle miniere; ritraeva le donne che vi raccoglievano il carbone o che partivano cariche di sacchi.
Osservavamo che non rappresentava le cose appariscenti, quelle alle quali noi attribuiamo la bellezza.
Ha fatto qualche ritratto a delle vecchie, e del resto noi non davamo molta importanza a ciò che consideravamo come una distrazione. Sembra però che anche nella pittura il nostro giovanotto abbia avuto la predilezione per tutto ciò che sembrava miserabile. Ecco dunque, signore, i pochi ricordi che la mia vecchia memoria ha cercato di riunire...
Testi successivi di van Gogh ci mostrano come la predicazione nel Borinage non era da lui ricordata solo come esagerazione e follia religiosa, ma, talvolta, con accenti di vera nostalgia, come periodo in cui una reale fecondità e sensatezza dell'esistere si erano dispiegate (oltre che come tappa decisiva dell'evoluzione pittorica!). Così, ad esempio, nella lettera 553b all'amico Eugène Bock senza data (probabilmente del settembre 1888):
Mio caro amico Bock,
Molte grazie per la sua lettera che mi ha fatto molto piacere. Mi congratulo con lei che questa volta non ha esitato ad attaccare il Borinage. Quello è un campo dove avrà la possibilità di lavorare per tutta la vita [illeggibile] – lo scenario straordinario (come pure le figure. Specialmente le ragazze nei loro cenci di miniera sono superbe).
Se mai le capitasse di andare a Petit Wasmes, la prego di informarsi se l'agricoltore Jean Baptiste Denis, e il minatore Joseph Quinet vivono ancora là, e in questo caso dica loro da parte mia che non ho mai dimenticato il Borinage e che sarei felice di vederlo un'altra volta...
Tutto ciò che lei farà mi interesserà straordinariamente, poiché io amo quello squallido paese del Borinage, che rimarrà sempre indimenticabile per me. Ho già deciso, quando l'anno prossimo andrò a Parigi, di spingermi fino a Mons. E forse fino al mio paese natale per ritrarre dei posti che già conosco. Sulla stessa via del Borinage Marcusse, e da Antoine a Petit Wasmes. E al di là di Cour de l'Agrappes in Francries, dove si trova lei ora. Naturalmente fu al Borinage che cominciai a copiare dal vero.
Ma naturalmente ho distrutto tutto da un bel pezzo. Ma ho in cuore di dover finalmente dipingere quei posti.
L'eclissi della fede cristiana. Vivere senza "compagnia" divina
Poi pian piano il cristianesimo scompare dall'orizzonte esplicito di van Gogh. Non ne è causa solo il fallimento, decretato dai responsabili della missione del Borinage, della sua opera di predicazione e di servizio al distretto dei minatori, ma questa sconfitta si incrocia – ne è ancora testimonianza diretta l'epistolario – con l'opposizione paterna alle successive e differenti scelte affettive del pittore. Mentre van Gogh si innamora sempre di donne problematiche, il padre sembra non comprendere il dramma del figlio che brancola confusamente, non sapendo orientarsi nelle storie d'amore. Lo scontro fra i due è via via crescente. Non ci è dato comprendere fino in fondo quanto il progressivo allontanarsi dalla fede dipenda da una pienamente libera, cosciente ed autonoma presa di posizione di van Gogh e quanto in questa decisione pesi l'identificazione fra la fede cristiana e la figura del padre, pastore e difensore della moralità ufficiale del protestantesimo di allora. Le lettere – e come vedremo anche le opere pittoriche – ci mostrano, in alternanza, tutte le possibili sfumature in questa eclissi della fede.
Ritroviamo ancora citazioni bibliche (ma in misura infinitamente minore che nel precedente periodo), come il grido del salmista nell'angoscia: "Fino a quando, mio Dio?", nella lettera del luglio 1880 da Cuesmes:
"Non devi dunque pensare che io rinneghi questo o quest'altro, in un certo senso sono un fedele nella mia fedeltà e, pur essendo cambiato, sono lo stesso e il mio tormento non è altro che questo: in che cosa potrò riuscire, non potrei servire o riuscire utile a qualcosa, e come potrei saperlo, e devo approfondire un soggetto piuttosto che un altro? Vedi, ciò che mi tormenta continuamente, e poi uno si sente prigioniero dell'imbarazzo, escluso dalla partecipazione a questa o a quell'opera, mentre queste e quelle cose necessarie non sono a portata di mano. A causa di ciò si è per forza presi dalla malinconia, poi si sente il vuoto là dove potrebbero essere amicizia e grandi e seri affetti, e si sente un terribile scoraggiamento rodere la stessa energia morale, e la fatalità sembra poter mettere dei freni all'istinto dell'affetto, e c'è una marea di disgusto che ti sommerge. E poi si dice: “Sino a quando, mio Dio?”.
L'esplicito distacco definitivo dalla fede si compie intorno al Natale 1881, come ci testimoniano le lettere. Van Gogh, che vive dall'estate del 1881 una relazione osteggiata dalla famiglia con Kee, rifiutata dalla stessa donna (é la cugina Kate Vos, soprannominata Kee, figlia del pastore Stricker, di sette anni più anziana, vedova e con un figlio), si ritrova sempre più in conflitto con il padre. Così la lettera 164 ci testimonia il rifiuto di Dio, misto al rinnegamento della morale impostagli dalle visioni della sua casa, che non riesce più a comprendere:
Etten, dicembre 1881
Mi sentivo ancora raggelato fin nel profondo dell'anima dalla fredda parete di chiesa, reale o immaginaria, di cui ti ho parlato. E non volevo rimanerne stordito. Vorrei essere con una donna, mi dissi; non posso vivere senza amore, d'infinito, di profondo, di reale. Ma poi mi rimproverai: Come, avevi detto “lei e nessun'altra” e ora vorresti andare da un'altra donna? È irragionevole, è contrario ad ogni logica. Ed ecco la mia risposta: Chi è il padrone? La logica o io? È la logica che deve servire me, o sono io che devo servire la logica? Non c'è forse una certa dose di ragione e di coerenza nella mia illogicità? Comunque sia — giusto o sbagliato — quel dannato muro di chiesa è troppo freddo per me; ho bisogno di una donna; non posso, non devo, non voglio vivere senza amore. Sono un uomo e come tale ho le mie passioni; devo andare da una donna se non voglio diventare di ghiaccio o di pietra. Fu una dura battaglia quella che combattei e nella quale ebbero la meglio le mie cognizioni di scienze naturali e igiene, insegnatemi da amare esperienze. Non si può vivere troppo a lungo impunemente senza una donna. E non credo che quello che alcuni chiamano Dio e altri Essere Supremo e altri ancora Natura possa essere irragionevole e senza pietà. Per farla breve, venni a questa conclusione: devo trovarmi una donna. E, figliolo caro, non dovetti cercare molto...
Tutte sciocchezze! E' forse un peccato amare, aver bisogno di amore, non poter vivere senza amore? Penso che la vita senza amore sia immorale e peccaminosa. Se di qualcosa devo pentirmi, è del periodo durante il quale nozioni mistiche e teologiche m'indussero a condurre una vita troppo appartata. Poco per volta, ho compreso il mio errore. Quando ti svegli al mattino e non ti trovi solo, quando nella prima luce dell'alba vedi una creatura accanto a te, il mondo ti appare più buono. Assai più buono e cordiale dei diari religiosi e delle pareti di chiesa imbiancate di cui sono innamorati i cosiddetti uomini di Dio...
E temo non si renda conto che Dio forse incomincia veramente quando diciamo la frase con cui Multatuti [3] termina la sua Preghiera di un Incredulo: “Oh, Dio, non c'è Dio!” Per me, quel Dio degli uomini di chiesa è morto e sepolto. Ma sono forse ateo per questo? Gli uomini di chiesa mi considerano tale – ma io amo, e come potrei provare amore se non vivessi e se altri non vivessero? E nella vita c'è qualcosa di misterioso. Che venga chiamato Dio, o natura umana, o altro, è cosa che non riesco a definire chiaramente, anche se mi rendo conto che è viva e reale, e che è Dio o un suo equivalente. Figliolo, amo Kee per mille ragioni, e appunto perché credo nella vita e nella realtà, non mi perdo nelle astrazioni come facevo ai tempi in cui avevo su Dio e sulla religione le stesse idee che Kee sembra avere oggi. Non rinuncio affatto a lei, devo dare tempo a quella crisi di angoscia in cui sembra trovarsi: avrò pazienza, e nulla di quanto potrà dire o fare riuscirà ad irritarmi.
La rottura con la pratica religiosa è totale da quel Natale, come scrive nella prima lettera conservataci dall'Aia, la lettera 166. Van Gogh sente ormai come un pericolo, per le sue scelte e per il suo equilibrio, il riferimento alla religione:
L'Aia, giovedì sera
Il giorno di Natale ebbi una violenta scenata con Papà, il quale finì per gridarmi di andarmene da casa. Lo disse con tale decisione che partii quel giorno stesso. Causa di tutto fu il fatto che mi rifiutai di andare in chiesa, aggiungendo che, se fossi stato costretto ad andarvi quel giorno, non vi avrei più messo piede nemmeno per cortesia, come avevo fatto con una certa regolarità durante tutto il mio soggiorno a Etten. Ma dietro a questa, c'erano molte altre ragioni, non ultima delle quali la faccenda della scorsa estate fra Kee e me. Non ricordo di essere mai stato tanto furibondo in vita mia. Dichiarai apertamente che il loro intero sistema religioso era orribile e che, appunto perché avevo approfondito troppo il problema durante un triste periodo della mia vita, non volevo più pensarci e dovevo badare a guardarmene.
Fui forse troppo violento? Può darsi. Ma almeno, ho chiarito le cose una volta per sempre.
La decisione di non affrontare più in maniera esplicita il problema religioso è ormai presa. Non è facile, lo ripetiamo, chiarificare totalmente se, nel pensiero di van Gogh, tale scelta faccia perno su di un rifiuto esplicito del Cristo – in precedenza tanto amato oppure sulla necessità di difendere la precarietà del proprio equilibrio di vita, da una visione morale intransigente. Di certo la visione religiosa, fin qui respirata, assorbita e proclamata dal pittore sarà, da un lato, causa remota della difficoltà - che perdurerà nella sua vita - di costruire scelte serene ed equilibrate di vita, dall'altro, insieme, motivo di persistente sensibilità alla domanda sul senso del vivere, al bisogno di speranza che anima il cuore umano.
Non vogliamo con questo affermare che van Gogh conservi, da questo momento in poi, una visione cristiana della vita, e nemmeno che evolva verso una diversa concezione di fede più naturalistica, come taluni hanno sostenuto. Vogliamo piuttosto mostrare come van Gogh sarà sempre cosciente del fatto che niente sarà più in grado di colmare ciò che il suo abbandono del cristianesimo ha distrutto.
La figura della Provvidenza, che aveva fin lì dato forza al cammino, non sarà rimpiazzata. Ma, nemmeno, potrà essere dimenticata. Rimarrà questione irrisolta. Ogni realtà creaturale – anche nella sua rappresentazione pittorica – si misurerà, nell'evoluzione del pittore, con la sua assenza. Ed è proprio in questo continuo riferimento che sta la qualità della pittura di van Gogh: essa, come la sua vita ed i suoi pensieri, ha perso il senso della vita, ma ne parla continuamente. Ogni figura umana, ogni realtà vegetale, ogni paesaggio è rappresentato – vogliamo affermare – come sospeso sull'abisso. Trae la sua bellezza da una drammaticità non risolta, che non si rassegna alla prospettiva dell'assenza di un senso in tutto ciò che esiste, ma non riesce assolutamente a ritrovare la strada di esso. Ogni tanto, furtivamente, riappaiono i temi, le immagini, la speranza del cristianesimo. Più spesso la natura delle cose e l'opera dell'uomo si stagliano su di un infinito che è lì, senza avere parola di consolazione o motivazione.
Vogliamo considerare alcuni momenti di questa ricerca senza risposta.
“Le religioni passano, Dio resta”. Nuenen e la Chiesa di Auvers
La vecchia torre di Nuenen con uomo all'aratro (Nuenen, febbraio 1884; Otterlo, Museo Kroeller-Muller) |
La domanda sull'infinito e sull'eternità è manifesta in una serie di dipinti relativi al periodo di Nuenen, dove Van Gogh abitò dal dicembre 1883, raggiungendo nuovamente il padre che era stato nominato pastore in quel luogo. Van Gogh ha dipinto più volte la chiesa della comunità cristiana di Nuenen e l'abitazione della sua famiglia, ma più attenzione ha dedicato al vecchio cimitero ed alla torre intorno alla quale riposavano i morti di Nuenen.
Il vecchio campanile di Nuenen (Nuenen, maggio 1884; Zurigo, Fondazione E.G.Buhrle) |
Così commenta nelle lettere a Theo, nel giugno del 1885, il motivo della Vecchia torre del cimitero:
Il campanile del vecchio cimitero nella neve (Nuenen, gennaio 1885; Collezione Niarchos) |
Ho voluto dire come quella rovina dimostri che lì da secoli i contadini vengono messi a riposare negli stessi campi in cui hanno lavorato da vivi. Ho voluto dire come morire e seppellire siano cose semplici, belle come la caduta delle foglie d'autunno; nient'altro se non un po' di terra rivoltata, una croce di legno. I campi che lo circondano formano un'ultima linea contro l'orizzonte, dove l'erba del cimitero finisce, oltre il muretto, come l'orizzonte del mare.
Il vecchio campanile di Nuenen (Nuenen, fine maggio-inizio giugno 1885; Amsterdam, Museo Van Gogh) |
E ora quella rovina, malgrado le sue solide fondamenta, sta a significare che la fede e la religione si sono sbriciolate, che la vita e la religione di contadini è in ogni caso la stessa: nascere e appassire come l'erba e i fiori che crescono lì nel cimitero. “Les religions passent, Dieu demeure” (le religioni passano, Dio resta), è un detto di Victor Hugo, che è stato seppellito pure lui da poco.
La vecchia torre nei campi (Nuenen, luglio 1884, Collezione privata) |
La memoria di tutto ciò non si esaurirà con il passare degli anni. E' significativo, infatti, che così van Gogh si esprima ancora, nell'ultimo anno della sua vita, commentando alla sorella Will, nell'aprile del 1890, il dipinto La Chiesa di Auvers:
E' quasi lo stesso tema degli studi che ho fatto a Nuenen della vecchia torre e del cimitero. Solo che forse adesso il colore è più espressivo, più pieno.
La Chiesa di Auvers (Auvers-sur-Oise, giugno 1890; Parigi, Museo d'Orsay) |
L'uomo dei dolori e la grande universalità della miseria umana
Nell'ottobre 1885 van Gogh dipinge una Natura morta con Bibbia. Alcuni critici hanno ricollegato il dipinto, che rappresenta una Bibbia aperta ed una copia de La gioia di vivere di E.Zola unitamente a due candelabri spenti, ad una riflessione sulla morte improvvisa del padre. Tale lutto è, però, precedente di molti mesi – è, infatti, il 26 marzo 1885 che avviene la morte improvvisa del padre, appena rincasato da una passeggiata. Nessun brano delle lettere di van Gogh chiarisce il motivo di questa tela.
Non possiamo, però, trascurare un particolare del dipinto che non può esser casuale per un conoscitore delle Scritture come il pittore olandese. Van Gogh ha, infatti, rappresentato la Bibbia aperta in corrispondenza del libro del profeta Isaia, come recita in francese la scritta in alto a sinistra del dipinto, ed ha voluto anche indicarne il capitolo, il LIII. E' il brano oggi identificato come “quarto canto del servo del Signore” dove si annunzia “l'uomo dei dolori che ben conosce il patire”, profetizzando la passione del Cristo. Il contrasto dolore-gioia dei due libri rende ancora più evidente la scelta esplicita della pagina biblica. Superficiale ci apparirebbe a questo punto una lettura che privilegi uno dei due testi sull'altro. Piuttosto è l'interrogazione aperta e non conchiusa su dove siano la vita e la gioia, il dolore e la speranza. In Dio? Nella sua dimenticanza? Od in entrambe le prospettive non è data possibilità di pienezza?
Se scorriamo all'indietro l'epistolario troviamo riflessioni esplicite del pittore sul testo di Isaia, come nella lettera 127 scritta dal Borinage il 26 dicembre 1878:
Alla riunione di questa settimana, ho parlato sugli Atti, 16,9, “E una visione apparve di notte a Paolo. Un uomo macedone gli si presentò, pregandolo, e dicendo: Passa in Macedonia e soccorrici”. Mi ascoltarono attentamente quando cercai di descrivere il Macedone che anelava al conforto del Vangelo e alla conoscenza dell'unico vero Dio. Dissi che dobbiamo immaginarlo come un povero lavoratore col volto segnato dalla fatica, dal dolore e dalle sofferenze – senza ricchezza o splendore, ma con un'anima immortale che sente il bisogno del cibo che non perisce mai, la parola di Dio. Spiegai come Gesù Cristo sia il Maestro capace di confortare e infondere forza a chiunque sia come il Macedone – un pover'uomo dalla vita dura – poiché Egli è il Re del Dolore che conosce i nostri mali, che fu figlio di un falegname pur essendo figlio di Dio, che lavorò per trent'anni in un'umile bottega per compiere il volere di Dio. E Dio vuole che, imitando Cristo, l'uomo viva umilmente senza cercare di raggiungere il cielo, ma adattandosi a questa povera terra, imparando dal Vangelo ad essere umile e semplice di cuore. Ho già avuto occasione di visitare alcuni ammalati, poiché ve ne sono parecchi, qui.
Natura morta con Bibbia (Nuenen, ottobre 1885; Amsterdam, Museo Van Gogh) |
Nella lettera 133, del luglio 1880, è in primo piano il chinarsi sul dolore umano, sulla “grande universalità della miseria” umana:
Ugualmente tutto ciò che c'è di veramente buono e bello, di beltà interiore morale, spirituale e sublime negli uomini e nelle loro opere, io penso che venga da Dio, e che tutto ciò che c'è di cattivo e di brutto nelle opere degli uomini e negli uomini non venga da Dio e che Dio stesso non lo approvi. Ma involontariamente sono sempre portato a credere che il mezzo migliore per conoscere Dio sia di amare molto. Amare un amico, una persona, una cosa, quello che vuoi tu, e tu sarai sulla buona strada per saperne di più, ecco ciò che mi dico. Ma bisogna amare di intima simpatia interiore, con volontà, con intelligenza e bisogna sempre cercare di approfondire la conoscenza in ogni senso. Tutto ciò conduce a Dio, tutto ciò conduce alla fede incrollabile. Qualcuno, per esempio, amerà Rembrandt, ma profondamente, e quello saprà con certezza che c'è un Dio e ci crederà. Qualcun altro approfondirà la storia della Rivoluzione francese – e neppure quello sarà incredulo, perché vedrà che anche nelle grandi cose c'è una potenza sovrana che si manifesta. Qualcun altro avrà seguito per un certo tempo lo svolgersi gratuito della grande universalità della miseria e avrà notato le cose che gli sono capitate sotto gli occhi, che ha intese con le sue orecchie, e ci avrà riflettuto sopra e finirà anche lui per credere e per apprendere più di quanto non possa egli stesso dire. Cerchiamo di capire la parola definitiva contenuta nei capolavori dei grandi artisti, dei veri maestri e ci si troverà Dio. Qualcuno lo avrà scritto o detto in un libro, qualche altro in un quadro. Poi leggere semplicemente la Bibbia e il Vangelo, come fa pensare e quanto pensare e a quante cose pensare. Ebbene, pensate questo molto, pensate questo tutto, e il pensiero si solleverà al di sopra del livello ordinario nonostante voi stessi. Dato che si sa leggere, si legga dunque!
E, nel luglio 1882, da L'Aja (lettera 218), è ancora il dolore del creato al centro dell'attenzione:
Voglio che tu capisca bene la mia concezione dell'arte. Bisogna lavorare a lungo e duramente per afferrarne l'essenza. Quello a cui miro è maledettamente difficile eppure non penso di mirare troppo in alto. Voglio fare dei disegni che vadano al cuore della gente. “Sorrow” non è che un inizio, forse anche quei piccoli paesaggi come il “Laan van Meedervoort”, “Campi a Ryswyk” e “Aia per seccare il pesce” sono un piccolo inizio. In quelli per lo meno c'è qualcosa che mi viene direttamente dal cuore. Sia nella figura che nel paesaggio vorrei esprimere, non una malinconia sentimentale ma il dolore vero. In breve, voglio fare tali progressi che la gente dica delle mie opere: “Sente profondamente, sente con tenerezza” – malgrado la mia cosiddetta rozzezza e forse perfino a causa di essa. Sembra pretenzioso parlare oggi in questo modo, ma è questo il motivo per cui voglio spingermi innanzi con tutte le mie forze. Cosa sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico o sgradevole – qualcuno che non ha posizione sociale né ne avrà mai una, in breve, l'infimo degli infimi. Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c'è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno. Questa è la mia ambizione che, malgrado tutto, è basata meno sull'ira che sull'amore, più sulla serenità che sulla passione. E' vero che spesso mi trovo nello stato più miserando, ma resta sempre un'armonia calma e pura, una musica dentro di me. Vedo disegni e dipinti nelle capanne più povere, nell'angolo più lurido. E la mia mente è attratta da queste cose come da una forza irresistibile. Le altre cose vanno perdendo sempre più di interesse e più io me ne disfo, più rapidamente il mio occhio afferra le cose per il loro valore pittorico.
Appare chiaramente, pur nelle diverse fasi di vita, come il centro dell'interesse non sia assolutamente in una contrapposizione di una laica gioia di vivere ad una presunta tristezza insita nella fede, quanto piuttosto come il cammino si muova, come a tentoni, in una tensione fra gioia cercata e dolore trovato e fra sfiducia e fede. Quando il contrasto dei colori, che li esalterà ancor più, si accenderà nella ricerca di van Gogh, la tensione fra amarezza e pienezza sarà identica, non modificata dalla innovazione pittorica.
La riflessione su Tolstoj: la natura al posto di Dio?
Quale sia l'orizzonte sul quale si staglia la natura e la vita umana, infatti, non è questione che scompaia dall'orizzonte di van Gogh con il trasferimento al Sud, con il periodo di Arles, quando le sue opere assumono quei colori che lo renderanno universalmente noto.
Più volte, nel settembre 1888, da Arles, ritorna sul problema di cosa possa rendere consolante la vita, “come un tempo fece già il cristianesimo”, con espliciti riferimenti al tentativo di Tolstoj. Proprio in quegli anni in Russia Tolstoj, distaccandosi dalla Chiesa ortodossa russa – fino al punto da esserne rifiutato esplicitamente - si era incamminato sulla via di una “fede” senza trascendenza e senza Chiesa. Van Gogh, che pure non aveva sotto mano gli scritti del secondo periodo tolstojano, a lui si richiama, per esprimere la non adesione al cristianesimo, ma insieme la necessità non chiarita di qualcosa simile ad esso. Così nella lettera 542 (da Arles, intorno al settembre 1888):
Deve esistere un libro religioso di Tolstoj, credo che sia intitolato “La mia religione”, deve essere molto bello. Da quello che posso capire attraverso quell'articolo, lui cerca ciò che resterà di veramente eterno nella religione del Cristo, e ciò che tutte le religioni hanno in comune. Pare che non ammetta né la resurrezione del corpo né quella dell'anima, ma che dica come i Nichilisti, che dopo la morte non c'è più niente, ma che anche se l'uomo è morto definitivamente, resta pur sempre viva l'umanità. Comunque dato che non ho letto il libro, non potrei dire esattamente come vede la cosa. Ma non credo che la sua religione sia crudele e aumenti le nostre sofferenze, ma al contrario deve essere molto consolante, e dare il coraggio di vivere e un sacco di altre cose.
Van Gogh parla nuovamente della speranza e della consolazione che solo la religione rende possibili. Il cristianesimo è ormai lontano, pure ne resta la memoria. "Studiare un unico filo d'erba" resta l'unica cosa da fare, resta gesto di una dignità altissima, ma non tale, da solo, da dare senso al vivere:
Pare che nel libro La mia religione Tolstoj insinui che, benché non si tratti di una rivoluzione violenta, ci sarà anche una rivoluzione intima e segreta fra i popoli, dalla quale nascerà una religione nuova, o piuttosto qualcosa di assolutamente nuovo, che non avrà nome, ma che servirà lo stesso a consolare, a rendere la vita possibile, come fece un tempo la religione cristiana.
Mi sembra che quel libro sia molto interessante, si finirà con l'averne abbastanza del cinismo, della menzogna, dello scetticismo e si desidererà vivere più musicalmente. Come avverrà ciò e cosa troveremo? Sarebbe curioso poterlo predire, ma è ancora meglio sentirlo piuttosto che vedere nel futuro altro che catastrofi, che non mancheranno di caderci addosso al pari dei terribili fulmini del mondo moderno e della civilizzazione attraverso una rivoluzione o una guerra o il crollo degli Stati infraciditi. Studiando l'arte giapponese si vede un uomo indiscutibilmente saggio, filosofo e intelligente che passa il suo tempo a far che? A studiare la distanza fra la terra e la luna? No. A studiare la politica di Bismark? No. A studiare un unico filo d'erba.
Ma quest'unico filo d'erba lo conduce a disegnare tutte le piante, e poi le stagioni, e le grandi vie del paesaggio, e infine gli animali, e poi la figura umana. Così passa la sua vita e la sua vita è troppo breve per arrivare a tutto.
Ma insomma non è quasi una vera religione quella che ci insegnano questi giapponesi così semplici e che vivono in mezzo alla natura come se fossero essi stessi dei fiori?
E non è possibile studiare l'arte giapponese, credo, senza diventare molto più gai e felici, e senza tornare alla nostra natura nonostante la nostra educazione e il nostro lavoro nel mondo della convenzione.
Nella lettera successiva, sempre del settembre 1888, continua la sua riflessione su Tolstoj, mettendo in evidenza possibili assonanze con il nihilismo, ma anche distanziandosi da esso:
Sembra che (Tolstoj) non creda molto alla resurrezione né del corpo né dell'anima. Pare soprattutto che non creda molto al cielo, quindi ragiona delle cose come un nichilista, ma, in opposizione in un certo senso con questi, annette una certa importanza a far bene ciò che si fa, dato che probabilmente non c'è che questo. E se non crede alla resurrezione, sembra invece che creda al suo equivalente – alla durata della vita, al cammino dell'umanità, all'uomo e alla sua opera che continua infallibilmente nell'umanità attraverso la generazione che gli succede. Comunque non sono solo consolazioni effimere che lui addita. Lui stesso gentiluomo s'è fatto operaio, sa fare le scarpe, sa riparare le stufe, sa condurre l'aratro e vangare la terra. Io non so niente di tutto ciò, ma so rispettare un'anima umana abbastanza energica per rieducarsi in questo modo. Dio mio, nonostante tutto non possiamo lamentarci di vivere in un'epoca di fannulloni, quando assistiamo all'esistenza di simili campioni di umanità, che non credono pure molto al cielo stesso. Egli crede – penso di avertelo già detto forse – a una rivoluzione pacifica, nata dal bisogno di amore e di religiosità, che dovrebbe farsi strada fra la gente come reazione allo scetticismo e alla sofferenza disperata e esasperante.
Teoria del ritratto. L'uomo ed il suo sfondo
Non solo la resa della natura non è mero naturalismo, ma ancor più la figura umana porta con sé domanda – o grido – sul mistero dell'esistenza umana. E' proprio su questo sfondo che, anzi, acquista bellezza e significato il ritratto.
L'estremizzarsi dei colori ci appare differente dal tentativo impressionistico di rendere l'attimo fuggevole, poiché, invece, vuole contrapporre l'attimo alla tensione con il senso e con l'eternità, il passo del viandante alla presenza del "forno della mietitura". Così scrive a Theo da Arles, l'11 agosto 1888:
Non sarei per nulla stupito se fra poco gli impressionisti trovassero a ridire sul mio modo di dipingere, che è stato fecondato più dalle idee di Delacroix che dalle loro.
Perché invece di cercare di rendere esattamente ciò che ho davanti agli occhi, mi servo del colore in modo più arbitrario per esprimermi con intensità. Comunque lasciamo stare la teoria, voglio darti un esempio di ciò che intendo dire. Vorrei fare il ritratto di un amico artista che sogna i grandi sogni, che lavora come l'usignolo canta perché questa è la sua natura. Quest'uomo dovrebbe essere biondo. E vorrei mettere nel quadro la stima e l'amore che ho per lui. Lo ritrarrei dunque così com'è, più fedelmente possibile, per cominciare. Ma il quadro non sarebbe terminato così. Per finirlo farò il colorista arbitrario. Esagererò il biondo dei capelli, arrivando ai toni arancione, ai gialli cromo, al limone pallido. Dietro la testa, invece di dipingere il muro banale del misero appartamento, dipingerò l'infinito, farò uno sfondo semplice del blu più ricco, più intenso che riuscirò ad ottenere; da questa semplice combinazione, la testa bionda, illuminata su questo sfondo blu sontuoso, rende un effetto misterioso come di stella nell'azzurro profondo.
Nel ritratto del contadino mi sono regolato con lo stesso sistema. Tuttavia senza pretendere in questo caso di evocare lo splendore misterioso di una pallida stella dell'infinito. Ma immaginando l'uomo terribile che dovevo fare in mezzo al forno della mietitura, in pieno mezzogiorno. Da ciò gli arancioni sfolgoranti, come ferro arroventato, da ciò i toni di oro vecchio luminoso nelle ombre. Ah caro fratello… e le persone per bene vedranno in queste esagerazioni solo della caricatura.
Ritratto di Patience Escalier (Arles agosto1888; Collezione Niarchos) |
Nella lettera 531, scritta ancora da Arles, compare il simbolo dell'aureola che, un tempo, manifestava la fede “in un so che d'eterno” nella storia umana:
Nella vita e nella pittura posso fare bene a meno del buon vino, ma non posso, io che soffro, fare a meno di qualcosa più grande di me, che è la mia vita, la potenza creativa. E quando si è frustrati nella potenza fisica, si cerca di dar vita ai pensieri al posto dei figli, e si partecipa così dell'umanità. E con un quadro vorrei poter esprimere qualcosa di commovente come una musica. Vorrei dipingere uomini e donne con un non so che di eterno, di cui una volta ne era simbolo l'aureola, che noi cerchiamo di rendere con lo stesso raggiare, con la vibrazione dei colori.
Ritratto di Patience Escalier (Arles, agosto 1888; Pasadena, California, The Norton Simon Museum of Art) |
E' una tenerezza per l'uomo che Van Gogh riconosce in autori da lui amati come Shakespeare o nella pittura di Rembrandt e che vorrebbe a sua volta esprimere. Così scrive nella lettera 597 da St.Rémy:
Ti ringrazio pure molto dello Shakespeare. Ciò mi aiuterà a non dimenticare il poco inglese che conosco. Ma è soprattutto così bello. Ho cominciato a leggere la serie che conosco meno, che altre volte, essendo distratto o non avendone tempo, mi era stato impossibile leggere. La serie dei re; ho già letto Riccardo Il, Enrico IV e la metà di Enrico V. Leggo senza stare a pensare se le idee della gente di quei tempi erano le stesse delle nostre, o che cosa succederebbe mettendoli a faccia a faccia con il credo repubblicano, socialista, ecc. Ma ciò che mi commuove come in certi romanzi del nostro tempo, è che le voci di quella gente, che nel caso di Shakespeare ti arrivano da una distanza di secoli, non ci sembrano sconosciute, sono talmente vive che sembra di rivederle e di riconoscerle. È ciò che solo o quasi solamente Rembrandt possiede fra i pittori, questa tenerezza verso gli altri esseri, che noi sentiamo sia nei Pellegrini di Emmaus, sia nella fidanzata ebrea, sia in quella strana figura di angelo, come nel quadro che hai avuto la fortuna di vedere, — questa tenerezza accorata, questo infinito sovrumano appena dischiuso, e che di Shakespeare appare così naturale in molti punti. E poi i ritratti gravi o allegri come I sei, e il Viaggiatore, e la Saskia, sono soprattutto ricchi di questo.
Il suo ritrarre non può, però, non avere i tratti dell'attesa e del grido. Qualcosa manca. Qualcosa caratterizza la condizione dell'uomo, in maniera differente che nel passato. Così nella lettera W 23 alla sorella da Auvers-sur-Oise, alla metà del giugno 1890:
Ho fatto il ritratto del signor Gachet con una espressione di malinconia che spesso a chi guarderà il quadro potrà sembrare una smorfia. Eppure è così che bisognerebbe dipingere, perché solo un questo modo ci si può rendere conto come, in confronto ai ritratti calmi degli antichi, i nostri attuali abbiano l'espressione della passione e come dell'attesa e come di un grido. Triste ma dolce, chiaro e intelligente, così bisognerebbe fare l'espressione dei ritratti.
Ritratto del dott.Gachet (Auvers-sur-Oise, giugno 1890; Parigi, Museo d'Orsay) |
Il ritrarre l'uomo e la natura non è mai puramente naturalistico e immerso nel presente, ma pone continuamente la domanda sul domani che si avvicina e che insidia il momento presente.
Ritratto del dott.Gachet (Auvers-sur-Oise, giugno 1890; Collezione privata) |
Ecco ancora la lettera W 22 alla sorella da Auvers-sur-Oise, nella prima metà del giugno 1890:
Vorrei fare dei ritratti che alla gente di un secolo più tardi sembrino come delle apparizioni. Quindi io non cerco più niente attraverso la rassomiglianza fotografica, ma attraverso le nostre espressioni di sentimenti, usando come mezzo di espressione e di esaltazione del carattere la tecnica e il gusto moderno del colore... Vedendo il quadro, osservandolo a lungo, si potrebbe credere di assistere ad una rinascita, totale ma benefica, di tutte le cose alle quali abbiamo creduto, che abbiamo desiderato, un incontro strano e felice fra i tempi molto antichi e la cruda modernità.
E' la verità che van Gogh cerca. Ma questa verità non è data dalla perfezione della mimesis, dall'imitazione della natura. E' data piuttosto da una emozione, dinanzi alla vita dell'uomo, mistero irrisolto che non arriva a chiarire quale chiave interpretativa possa essere usata per comprendere la vita stessa.
E poi vuoi sapere perché i quadri di Delacroix – i quadri religiosi e storici, La Barca di Cristo – la Pietà, le Crociate, hanno quell'atmosfera? Perché Eugenio Delacroix quando dipinge un Getsemani è andato prima a vedere sul posto ciò che era un oliveto, e lo stesso vale per il mare frustato dal mistral, e perché si è detto: la gente di cui ci parla la storia, dogi di Venezia, crociati, apostoli, sante donne, erano dello stesso tipo e vivevano in modo analogo a quello dei loro attuali discendenti. E perciò te lo devo dire – e tu lo puoi vedere nella Berceuse, per quanto quel tentativo sia mancato e debole – se avessi avuto la forza di continuare, avrei fatto dei ritratti di santi e di sante dal vero, e che sarebbero sembrati di un altro secolo, pur essendo gente di oggi e avrebbero avuto un'intima parentela con i cristiani più primitivi. Le emozioni che questo ci provoca sono però troppo forti, io rinuncio, ma più tardi, più tardi, non è detto che non ritorni alla carica.
Cosciente è, a questo proposito, la sua distanza, pur nella vicinanza di alcuni aspetti, dall'impressionismo a lui contemporaneo. Non è la ricerca dell'impressione o della modernità che sta a cuore a Van Gogh. Così da Arles nella lettera 539:
Per conto mio, lo dico francamente, preferisco ritornare a quello che cercavo prima di venire a Parigi, non so se qualcuno prima di me abbia mai parlato di colore suggestivo, ma Delacroix e Monticelli, pur non avendone parlato, l'hanno fatto. Ma io sono ancora come ero a Nuenen, quando ho fatto uno sforzo inutile per imparare la musica, tanto sentivo già allora le relazioni che ci sono fra il nostro colore e la musica di Wagner. E' vero che nell'impressionismo io vedo la resurrezione di Eugène Delacroix, ma è anche vero che le interpretazioni sono così inconciliabili, che non sarà certamente l'impressionismo a darci la dottrina definitiva. E' per questa ragione che rimango fra gli impressionisti, perché essi non professano nulla, non mi impegnano a nulla, e, pur facendone parte, non devo definirmi con nessuna formula.
Il tema si approfondisce e chiarisce nella lettera 597 da St.Rémy. Cosa vuol dire - domanda van Gogh - essere “primitivi” (termine con cui van Gogh sembra sì definire, secondo l'uso consueto, i pittori pre-rinascimentali, ma anche una comprensione di vita non artefatta, aderente al vivo vero dell'uomo) non nella tecnica usata, ma nella realizzazione di una vita “primitiva”, aderente a ciò che è primario e fondativo?
Quando penso agli impressionisti e a tutti i problemi di arte attuali, quante lezioni ci sono per noi lì dentro. Da ciò che sto leggendo mi viene l'idea che gli impressionisti abbiano mille volte ragione, ma che ciò nonostante debbano rifletterci a lungo, e ne consegue che essi hanno il dovere e il diritto di farsi giustizia da sé. E se osano definirsi dei primitivi, farebbero bene ad imparare ad essere primitivi anche come persone, prima di pronunciare la parola primitivo come un titolo, che dia loro diritto a qualcosa. Ma coloro che sono la causa dell'infelicità degli impressionisti, ebbene il loro caso è grave anche se ne ridono. E poi dare battaglia sette volte alla settimana mi sembra una cosa che non può durare.
Non solo malattia, ma smarrimento
La ricerca di un senso del vivere si palesa anche nella questione della propria vocazione personale ed esistenziale – un tempo risolta nell'orizzonte della predicazione del vangelo - e del perché della propria solitudine.
Il pittore olandese ha coscienza di essere malato psichicamente, a volte argomenta con una introspezione accuratissima sui sintomi e gli stadi del suo disagio mentale. Ma, altre volte, si eleva sopra la malattia, nella consapevolezza che, se anche essa scomparisse, non per questo la pace abiterebbe la sua esistenza. Vogliamo, con ciò, anche relativizzare l'eccessiva importanza attribuita dagli studi recenti alla difficile situazione fisica e psichiatrica di van Gogh.
Caffè di notte in piazza Lamartine ad Arles (Arles, settembre 1888; New Haven, Conn., Yale University Art Gallery) |
Van Gogh appare padrone di sé, pur nella sua malattia. Quando essa sembra dominarlo, pure di questo si mostra cosciente. Possiamo rileggere, ad esempio, la coscienza della fatica mentale nella celebre lettera scritta da Arles il 10 settembre 1888, a commento del "Caffè di notte":
Nel mio quadro sul Caffè di notte ho cercato di esprimere l'idea che il caffè è un posto dove ci si può rovinare, diventar pazzi, commettere dei crimini. Inoltre ho cercato di esprimere la potenza tenebrosa quasi di un mattatoio, con dei contrasti tra il rosa tenero e il rosso sangue e feccia di vino, tra il verdino Luigi XV e il Veronese, con i verdi gialli e i verdi blu intensi, tutto ciò in un'atmosfera di una fornace infernale di zolfo pallido.
E pur tuttavia sotto un'apparente levità giapponese e una bonomia alla Tartarin… Che direbbe di questo quadro il dottor Tersteeg… davanti al mio quadro direbbe che si tratta di un delirium tremens in pieno.
Acquerello de Il caffè di notte (Arles, settembre 1888; Berna, Collezione H.R.Hahnloser) |
Ma - ecco il punto - il disagio non è semplicemente la possibilità di essere malato, ma, più profondamente, il non avere una destinazione. Meno nota è, infatti, la lettera in cui descrive la nascita dell'idea del quadro, il momento della sua concezione, scritta a Theo il 6 agosto 1888, sempre da Arles:
Oggi stesso probabilmente comincerò l'interno del caffè dove abito, visto di sera con la luce a gas. E' quello che chiamano qui un "caffè notturno" (sono abbastanza frequenti). I nottambuli ci possono trovare un asilo quando non hanno di che pagarsi un alloggio o quando non sono troppo ubriachi per essere ammessi. Tutte le cose, la famiglia, la patria sono forse più incantevoli nell'immaginazione, per noi che ce la caviamo abbastanza bene senza patria e senza famiglia, che non nella realtà. A me sembra sempre di essere un viandante diretto a una qualche destinazione. A ben vedere questa cosiddetta destinazione non esiste, eppure mi sembra ben pensato e vero.
Avere una direzione: sensualità o nostalgia di vita familiare?
Continuiamo ad insinuare che questo sia il mistero della vita di van Gogh, al di là delle singole incompiutezze concrete del suo vivere: un sentiero che ha la nostalgia della meta, del senso.
Nello scorrere l'epistolario ricorre continuamente la coscienza di un fallimento relazionale. La drammaticità del suo manifestarsi non è legata tanto agli innumerevoli singoli episodi affettivi - dalla scoperta che Ursula Loyer, di cui si innamora all'età di 21 anni, è già fidanzata, all'impossibile relazione con la cugina Kate (Kee) che già abbiamo visto, alla relazione osteggiata dalla famiglia con Sien (Clausina), prostituta di 30 anni, alcoolizzata e con un viso butterato dal vaiolo, incinta di un secondo figlio, relazione che terminerà, infine, dopo lunghi tentennamenti, per la ferma opposizione del fratello Theo, alla relazione con Margot Begemann, nel 1884, osteggiata dalle famiglie di entrambi, all'amarezza per la voce circolata a Nuenen, nel 1885, e dimostratasi poi falsa, che van Gogh sia padre di un bambino di cui è incinta una contadina che ha posato per lui, voce che porterà il parroco cattolico di Nuenen a proibire alle fedeli della parrocchia di posare come modelle per il pittore, alla breve relazione con Agostina Segatori, nel 1887, all'incontro con la prostituta, conosciuta anche da Gauguin, cui van Gogh porterà il proprio orecchio reciso, dopo il litigio con l'amico.
Eppure non nelle singole sconfitte sta il problema ed il dramma, quanto nell'assenza di un filo che unifichi i dispersi momenti in una unità in cui riconoscersi. La possibilità sempre più remota di dare vita ad una famiglia, in un legame stabile affettivo è una dimensione lungamente vagheggiata nell'epistolario, come di una costruzione che edificherebbe il senso della propria casa.
Nella lettera 573, scritta da Arles, probabilmente il 23 gennaio 1889, van Gogh esprime la sua gioia per il matrimonio del fratello Theo. Pure nella richiesta di originalità, nell'esigenza di un differenziarsi dagli altri, è evidente la nostalgia di una famiglia:
Ora la cosa principale è che il tuo matrimonio non vada per le lunghe. Sposandoti, tu renderai la mamma tranquilla e felice, e farai quello che è necessario alla tua sistemazione nella vita e nel commercio. Sarai apprezzato dalla società alla quale appartieni, ma forse non più di quanto gli artisti pensino che talvolta anch'io ho lavorato e sofferto per la comunità... Certo che da me, tuo fratello, tu non vorrai delle felicitazioni banali e l'assicurazione che sarai di colpo trasportato in un paradiso. Ma con tua moglie cesserai di essere solo, è questo che auguro anche a nostra sorella. Dopo il tuo matrimonio, ce ne saranno forse altri in famiglia, e in ogni modo tu vedrai il tuo cammino tracciato e la tua casa non sarà più vuota. Qualsiasi cosa pensi su altri punti, è certo che nostro padre e nostra madre sono stati esemplari come marito e moglie. E non dimenticherò mai la mamma, in occasione della morte di nostro padre, quando disse solo una unica parola, che mi ha fatto ricominciare ad amare ancora di più la vecchia mamma.
L'assenza di una prospettiva si rende palpabile anche sotto un'altra prospettiva: la coscienza dell'assenza di una fecondità generativa nella sua vita.
Nell'epistolario, il desiderio di un bambino si manifesta in tante lettere, come in quella del 6 agosto 1888:
Anche un bambino nella culla, se lo si osserva con calma, ha l'infinito negli occhi. Comunque non so niente, ma proprio questo senso di non sapere niente rende la vita che viviamo attualmente paragonabile a un semplice viaggio in ferrovia. Si va svelto, ma non si distingue nessun oggetto da molto vicino, e soprattutto non si vede la locomotiva.
In conclusione, non è la sensualità il cuore del fallimento avvertito dal pittore olandese. Non le singole incomprensioni affettive emergono, ma l'intenso desiderio non realizzato di famiglia, con il dono della fecondità e della generazione [4] .
La memoria della presenza di Dio - che un tempo accompagnava il cammino - e la ricerca di una partecipazione alla generazione della vita, ci appaiono non due temi giustapposti, ma due aspetti della stessa domanda sul senso del vivere.
Ciò che rende totalmente diversa - ed anzi opposta - l'arte di van Gogh all'arte decadente è che non vi è alcun gusto del fallimento. Anzi l'arte nasce a partire dal desiderio di sollevarsi dal fallimento, dal vuoto, dal nulla. Ogni quadro di van Gogh ci appare proprio come una interrogazione sulla presenza o sull'assenza di un orizzonte che confermi del suo senso la meraviglia del colore che si vede e che si crea. E' sull'infinito che si staglia e che contrasta la pochezza del risultato umano, senza alcun compiacimento dell'assenza di una meta.
Ed è la stessa coscienza che l'arte non basti a vivere. Non tanto per l'incomprensione che circonda l'artista e la conseguente insicurezza economica che sempre attanaglia il pittore che non ha ancora conosciuto il successo - esperienza autobiografica del nostro autore - ma proprio nel senso primo e più pieno che l'arte non è meta e senso di una vita. E' anzi essa a vivere del contrasto fra il presente, sempre finito, ed un senso misterioso, intuito e perso, dell'orizzonte e di Dio.
Nelle ultime lettere è evidente l'attenzione al bambino nato a Theo ed a sua moglie Jo - con i quali Vincent passerà alcuni giorni felici, nell'ultimo anno di vita [5] .
Poco prima della nascita del nipote Vincent Willem, nella lettera 611, vediamo nuovamente mescolate le esperienze e la loro rappresentazione nell'arte:
Ah, certo che ora tu sei in pieno nella natura, dato che scrivi che Jo sente già vivere il bambino – è ancora più interessante del paesaggio e sono molto contento di questo cambiamento per te. Come è bello il Millet, I primi passi di un bambino!
Primi passi (da Millet) (Saint-Rémy, gennaio 1890; New York, Metropolitan Museum of Art) |
Molto nota è la vicenda del rapporto ricercato, ma subito conflittuale con Paul Gauguin. Van Gogh sembra desiderare una qualche forma di vita comune, costituzione di un gruppo di pittori, che sia per lui vittoria sull'isolamento, quasi sostituto di vita familiare. Nella lettera 626a al sig. Aurier, inviata in allegato alla lettera a Theo del 12 febbraio 1890 da St.Rémy, il fallimento del progetto di una comunione di vita diviene ancora pittura:
E poi devo molto a Paul Gauguin, con il quale ho lavorato per dei mesi ad Arles, e che del resto conoscevo già a Parigi. Gauguin, quest'artista strano, questo straniero il cui portamento e lo sguardo richiamano vagamente il ritratto di un uomo di Rembrandt della Galleria Locaze – questo amico che desidera far capire che un buon quadro deve corrispondere a una buona azione, non che lo dica, ma insomma è difficile frequentarlo senza sentire una certa responsabilità morale. Alcuni giorni prima di separarci quando la mia malattia mi ha obbligato a entrare in una casa di cura, ho tentato di dipingere “il suo posto vuoto”.
E' uno studio della sua poltrona di legno bruno rosso scuro, con il sedile in paglia verdastra, e al posto dell'assente un candelabro acceso e dei romanzi moderni.
La sedia di Paul Gauguin (Arles, dicembre 1888; Amsterdam, Museo Van Gogh) |
Intorno alle questioni dirette su Dio
Non solo nella sofferta analisi di tanti aspetti del vivere, ma anche nella esplicita questione su Dio e sulla sua Provvidenza, si staglia la domanda di van Gogh.
Ecco tutti i temi del conflitto fra una visione credente ed una materialistica del vivere intrecciati nella lettera W1 del 1887 alla sorella minore Wilhelmina J. van Gogh.
Esiste la Provvidenza? La fede è identica con la morale conosciuta attraverso il padre e la predicazione protestante conosciuta da van Gogh? Non è più importante amare, innamorarsi e costruire famiglie? E se l'uomo fosse solo frutto della combinazione chimica degli elementi che lo compongono?
Ci basta la Bibbia?
Di questi tempi, credo che Gesù stesso direbbe a coloro che si siedono tristemente: non è qua, alzati e cammina. Perché cerchi i vivi tra i morti?
Se la parola parlata o scritta deve restare la luce del mondo, allora è nostro dovere riconoscere che viviamo in un periodo in cui – per poter trovare qualcosa di egualmente grande, buono, originale e tanto potente da rivoluzionare l'intera società – la si dovrebbe scrivere e pronunciare in modo tale che la si possa confrontare in coscienza con la rivoluzione cristiana [6] . Quanto a me, sono sempre lieto di aver letto la Bibbia meglio della maggior parte della gente al giorno d'oggi, perché mi rasserena sapere che esistono idee tanto elevate. Proprio perché penso che le cose antiche siano tanto belle, devo pensare a maggior ragione che siano belle le cose nuove. A maggior ragione, dato che possiamo agire solo nel nostro tempo e che il passato come il futuro ci riguardano solo indirettamente...
Per tornare ancora una volta al tuo piccolo brano letterario; trovo difficile presumere, per mia consolazione, e così pure consigliare altri di presumere che ci siano dei poteri superiori che interferiscono con gli avvenimenti per poterci aiutare e confortare. La Provvidenza è una cosa molto strana, e ti assicuro solennemente che davvero non so che pensarne. Nel tuo piccolo schizzo c'è un certo sentimentalismo e, nella forma in particolare, fa pensare a racconti sulla Provvidenza di cui sopra – diciamo la Provvidenza in questione – racconti che spesso non stanno a galla ed ai quali possono muoversi tante obiezioni. E soprattutto mi allarma il pensiero che tu ritenga di dovere studiare per poter scrivere. No, sorellina mia cara, impara a ballare, innamorati di uno o di più d'uno...
Per quanto mi riguarda, continuo ad avere gli affari di cuore più impossibili e piuttosto sconvenienti, da cui di regola ne vengo fuori danneggiato, vergognoso e null'altro. E a parer mio faccio bene, perché mi dico che negli anni passati, in cui avrei dovuto essere innamorato, mi sono dedicato a manie religiose e sociali, e consideravo l'arte come cosa più santa di quanto non faccio ora. Perché debbono esser poi così sante la religione, la giustizia o l'arte?...
Non voglio appartenere ai malinconici od a coloro che diventano acidi, amari o di pessimo umore. Tout comprendre c'est tout pardonner; la comprensione completa è il perdono completo e penso che se conoscessimo tutto, potremmo raggiungere una certa serenità...
Forse che ne A' la recherche du bonheur non è scritto che il male è nella nostra natura – che non abbiamo creato noi? Penso sia una bellissima cosa dei moderni il fatto che non assumano, come gli antichi, un tono moraleggiante. Molti ritengono la cosa oltraggiosa e si scandalizzano, ad esempio quando sentono dire che il vizio e la virtù sono prodotti chimici come lo zucchero ed il vetriolo.
In una seconda lettera alla sorella, la lettera W2, del marzo-aprile 1888, volutamente ironizza sulla possibilità di una vita spirituale dell'uomo e sui presunti “scopi migliori”:
E' un'ottima cosa che tu abbia iniziato a conoscere tutti i pasticci cui diede inizio Voltaire, quel malfattore, ed indubbiamente troverai che in Candide Voltaire ebbe già la faccia tosta di ridere della “vita serenissima, che dovremmo impiegare e dedicare agli scopi migliori”. Non c'è bisogno che io ti dica che grave delitto sia già in sé questo...
Mi è tanto difficile pensare che coloro che penetrano i segreti della vita, che quanto al resto pensano a sé stessi come se pensassero ad un altro e trattano gli altri con la stessa familiarità come se avessero a che fare con loro stessi - mi è difficile pensare che persone del genere possano cessare di esistere. Quei bruchi bianchi delle patate e dell'insalata, che poi diventano farfalle, è ben difficile pensare che si creino alcun concetto fondato sulla loro esistenza nell'aldilà. E so bene che sarebbe prematuro da parte loro fare ricerche sul soprannaturale per trarre lumi su questo problema, visto che il giardiniere od altre persone che s'interessano dell'insalata e delle verdure li schiaccerebbero calpestandoli, in quanto insetti dannosi. Per ragioni analoghe però ho ben poca fiducia nella esattezza dei nostri concetti umani della vita futura. Siamo altrettanto capaci di giudicare le nostre metamorfosi senza pregiudizi e senza che la cosa sia prematura, quanto le cavolaie, per la ragione fondatissima che i vermi dell'insalata devono mangiare insalata nell'interesse del loro sviluppo superiore.
Ma, prospettive diverse, se non addirittura opposte – la differenza di linguaggio e di impostazione a seconda dei differenti destinatari delle lettere, non ci appare un tema ancora sufficientemente indagato, al fine di una precisa comprensione della figura di van Gogh – sono presenti in altre lettere, sempre dell'ultimo periodo dell'epistolario.
Così il riferimento all'illuminismo si muta, nella lettera 596, del 25 giugno 1888 da Arles:
Ho riletto con molto piacere “Zadig o il destino” di Voltaire. E' come Candide. Qui almeno il grande autore fa intravedere che esiste una possibilità che la vita abbia un senso “benché si possa concludere che le cose del mondo non vadano sempre secondo i gusti dei più saggi”.
Nella lettera B8 della fine giugno 1888 ad Emile Bernard [7] ecco inaspettatamente il fascino della figura di Cristo. E non solo del Cristo maestro di morale e assolutamente giusto e amoroso, quanto del Cristo portatore di senso e di una speranza che vince il morire:
Mio caro Bernard
Fai molto bene a leggere la Bibbia. Comincio a dirti questo, perché mi sono sempre astenuto dal raccomandartelo. Involontariamente, leggendo le molte citazioni di Mosè, di S.Luca, ecc., ecco, mi dico, non gli manca che questo, adesso c'è dentro in pieno... Nella nevrosi artistica. Perché lo studio di Cristo la provoca inevitabilmente, soprattutto nel caso mio nel quale è complicata dall'affumicamento di innumerevoli pipe.
La Bibbia è Cristo, perché l'antico testamento tende a questo fine ultimo. San Paolo e gli Evangelisti occupano l'altro pendio della montagna sacra. Come è breve questa storia! Eccola qua tutta. Ci sono solo questi ebrei al mondo, che cominciano col dichiarare che tutto ciò che non è loro è impuro. Gli altri popoli sotto lo stesso grande sole di quaggiù, gli Egiziani, gli Indiani, gli Etiopi, Babilonia e Ninive come hanno scritto con ugual cura i loro annali! Comunque lo studio di tutto ciò è bello, e saper leggere alla fine tutto, significherebbe non saper leggere in conclusione. Ma la consolazione di questa Bibbia così rattristante che provoca la nostra disperazione e la nostra indignazione - ci addolora davvero, pur spazientiti dalla sua meschinità e dalla sua follia contagiosa – la consolazione che essa dà, come il nocciolo in una scorza dura, in una polpa amara, è il Cristo.
La figura del Cristo è stata dipinta come io la sento – solo resa da Delacroix e da Rembrandt – e poi Millet ha dipinto... la dottrina di Cristo. Il resto mi fa un poco sorridere, il resto della pittura religiosa – dal punto di vista religioso – non da quello della pittura. E i primitivi italiani – Botticelli, diciamo i primitivi fiamminghi, Van Eyck, tedeschi, Cranach, non sono che dei pagani che si interessavano solo allo stesso modo dei greci, di Velasquez e di tanti altri naturalisti.
Il Cristo soltanto – fra tutti i filosofi, maghi, ecc. – ha affermato come principale certezza la vita eterna del tempo, il nulla della morte, la necessità e la giustificazione d'essere della serenità e della dedizione. Egli ha vissuto serenamente, come il più grande artista di tutti gli artisti, sdegnando sia il marmo che l'argilla e il colore, e lavorando sulla carne viva. Vale a dire che questo artista inaudito e quasi inconcepibile, con lo sfruttamento ottuso dei nostri moderni cervelli nervosi e abbrutiti, non faceva né statue, né quadri, né libri: lo afferma ad alta voce – egli faceva... degli uomini vivi, degli immortali.
Ciò è grave, soprattutto perché è la verità.
Questo grande artista non ha neppure fatto dei libri; la letteratura cristiana nel suo complesso lo indignerebbe certamente, e ben rari sono in essa i prodotti letterari che possono trovar grazia accanto all'Evangelo di Luca, alle Epistole di Paolo – così semplici nella loro forma dura e guerriera. Questo grande artista – il Cristo – se disdegnava scrivere dei libri sulle idee (sensazionali), ha certamente disdegnato meno la parola parlata, la parabola soprattutto. (Che seminatore, che mietitura, che albero di fichi! ecc.).
E chi di noi oserebbe dire che abbia mentito il giorno in cui, predicando con disprezzo la rovina delle costruzioni romane, affermò: “E anche quando il cielo e la terra saranno passati, le mie parole non passeranno”.
Queste parole dette – che da gran signore prodigo non si degnava neppure di scrivere, sono fra i più alti – il supremo – vertici raggiunti dall'arte che diventa forza creatrice, pura potenza creatrice.
Queste considerazioni, mio caro amico, ci portano ben lontano, ben lontano; ci sollevano al di sopra della stessa arte. Esse ci fanno intravedere l'arte di creare la vita, l'arte di essere dei vivi immortali. Esse hanno dei rapporti con la pittura. Il patrono dei Pittori, san Luca, medico, pittore, evangelista – che ha per simbolo – ahimé, nient'altro che un bue, è là per darci speranza. Eppure la nostra vita vera è ben umile, quella di noialtri pittori che vegetiamo sotto il gioco avvilente delle difficoltà di un mestiere quasi impraticabile su questo pianeta ingrato sulla superficie del quale “l'amor dell'arte fa perdere il vero amore”.
Poiché però nulla si oppone – supponendo che negli altri numerosi pianeti e soli ci siano ugualmente linee, forme e colori, ci è permesso conservare una certa serenità riguardo alle possibilità di fare della pittura in condizioni migliori e diverse di esistenza, esistenza mutata da un fenomeno forse non più difficile e più sorprendente della trasformazione della larva in farfalla, del verme bianco in maggiolino.
La quale esistenza del pittore-farfalla avrebbe per campo d'azione uno degli infiniti astri che, dopo la morte, non ci sarebbero più inaccessibili dei puntini neri che sulla carta geografica ci rappresentano le città e i villaggi nella nostra vita terrestre.
La scienza – il ragionamento scientifico – mi sembra essere uno strumento che andrà molto lontano. Ecco perché: si supponeva che la terra fosse piatta. Era vero: lo è ancora oggi, da Parigi a Asnières, per esempio. Il che non impedisce che la scienza dimostri che la terra è soprattutto rotonda, il che ora nessuno si sogna di contestare. Attualmente, nonostante tutto ciò crediamo ancora che la vita sia piatta e che vada dalla nascita alla morte. Solo che anch'essa, la vita, è probabilmente rotonda, e molto più vasta in estensione e in capacità dell'emisfero che noi attualmente conosciamo. Nelle future generazioni, è probabile che faremo luce su questo argomento così interessante; e allora la scienza stessa potrà – speriamo – arrivare a delle conclusioni più o meno parallele alle dichiarazioni di Cristo relative all'altra metà dell'esistenza. Comunque, il fatto è che noi siamo pittori nella vita reale e che bisogna respirare di questo respiro finché ci resta il respiro. Ah! Il bel quadro di Delacroix: la Barque du Christ sur la mer (sic) de Génésareth. Lui – con la sua aureola color limone pallido – che dorme luminoso in una macchia di viola drammatico, di blu cupo, di rosso sangue fatta dal gruppo dei discepoli spaventati – sul tremendo mare di smeraldo che sale, che sale fino ad occupare tutto l'alto del quadro. Ah, lo scorcio geniale! Te ne farei degli schizzi se non fosse che avendo disegnato e dipinto da tre o quattro giorni con un modello – uno zuavo – non ne posso più; invece scrivere mi riposa e mi distrae. E' molto brutto quello che ho buttato giù: un disegno dello zuavo seduto, uno scorcio dipinto dello zuavo contro un muro tutto bianco, e infine il suo ritratto contro una porta verde e i mattoni arancione di un muro. E' riuscito duro, brutto, uno schifo. Però, dato che ho affrontato la vera difficoltà, mi può appianare la strada per il futuro. La figura che ho fatto è quasi odiosa ai miei stessi occhi, figuriamoci agli occhi degli altri; comunque è lo studio della figura che rinforza, specie se lo si fa in modo diverso di quello che si insegna dal signor Benjamin Constant. La tua lettera mi ha fatto molto piacere, lo schizzo è molto, molto interessante, e te ne ringrazio tanto. Dal canto mio ti manderò in questi giorni un disegno; questa sera sono troppo sfinito, se non lo fosse il mio cervello, sono stanchi i miei occhi. Dimmi un po', ti ricordi del Giovanni Battista di Purvis? Io per conto mio, lo trovo fantastico e magistrale come un Eugène Delacroix. Il passaggio che sei andato a scovare nel Vangelo riguardante il Giovanni Battista corrisponde perfettamente a ciò che hai visto... Della gente che si affolla intorno a qualcuno: “Sei tu il Cristo? Sei Elia”. Come se ai nostri giorni chiedessimo all'impressionismo o a qualcuno dei suoi rappresentanti: “Hai trovato?” E' proprio così. In questo momento mio fratello ha una esposizione di Claude Monet – dieci quadri, eseguiti ad Antibes da febbraio a maggio – pare che sia molto bella. Hai mai letto la vita di Lutero? Perché Cranach, Dürer, Holbein, gli appartengono. E' lui – la sua personalità – la grande luce del Medioevo. Neppure a me piace il Re Sole – questo Luigi XIV mi sembra piuttosto uno spegnitore – Dio mio, come infanga tutto questa specie di Salomone metodista. Neppure mi piace Salomone e i metodisti poi – Salomone mi sembra un pagano ipocrita, non ho nessuna considerazione per la sua architettura che è una imitazione di altri stili, e ancor meno dei suoi scritti, perché i pagani hanno fatto cose migliori...
Van Gogh conosce la teologia ed essa riappare talvolta improvvisamente come nella famosa lettera 490, scritta da Arles, nel maggio 1888 - o poco dopo – dove si affronta il tema del mondo come creazione e come “studio mal riuscito” di Dio. In maniera inaccettabile, la maggior parte dei commentatori si fermano alle prime frasi di questo brano, senza intravedere in controluce la riproposizione della dottrina del peccato originale (“l'opera è stata sciupata da parecchi rifacimenti”) e la prospettiva della redenzione, della resurrezione e dell'attesa di un nuovo cielo ed una nuova terra (“dobbiamo aspettare a vedere qualcosa di meglio nell'altra vita”):
Sono sempre più convinto che non bisogna giudicare il buon Dio da questo nostro mondo, perché uno dei suoi studi mal riuscito. Cosa vuoi, negli studi sbagliati, quando piace l'artista, non si trova tanto da criticare, - si tace.
Ma si è in diritto di chiedere di meglio. Sarebbe necessaria per noi poter vedere altri lavori della stessa mano, perché questo mondo è stato evidentemente abborracciato in fretta in un momento infelice, durante il quale l'autore non sapeva quel che faceva, o per lo meno non aveva più la testa a posto. Però stando a ciò che ci racconta la leggenda, il buon Dio si è dato un sacco di pena con questo suo studio del suo mondo. Sono portato a credere che la leggenda dica il vero, ma che l'opera sia stata sciupata da parecchi rifacimenti. Soltanto i grandi maestri si possono sbagliare in questo modo, ecco forse la miglior consolazione, visto che da allora si ha il diritto di sperare che la stessa mano creatrice si prenda la rivincita. E quindi questa vita, così criticabile e per così buone ragioni, dobbiamo prenderla solamente per quello che essa è in realtà e dobbiamo aspettare a vedere qualche cosa di meglio nell'altra vita.
E' evidente come non sia possibile far combaciare in una visione semplificata le prospettive degli stati d'animo di van Gogh. La vita appare ora solo in una lettura naturalistica, ora in una nostalgia di una speranza lontana e persa, ora addirittura in un apparente nuovo convincimento di fede. Certo il “mestiere di vivere” non dimentica mai, nelle sue parole, la possibilità che il mondo sia creazione e che, perciò, la trascendenza lo fondi e lo abiti.
Ecco che la natura può talvolta presentarsi come espressione di un mondo sensato, come nella lettera W7 scritta da Arles l'8 settembre 1888 alla sorella:
Mia cara sorella, credo che attualmente occorra dipingere gli aspetti ricchi e magnifici della natura. Abbiamo bisogno di letizia e di felicità, di speranza e di amore.
In alcuni istanti emerge prepotentemente l'antico “bisogno di religione”. Talvolta van Gogh lo vive come una patologia da cui difendersi, conscio dei sensi di colpa che porta con sé. Ne sono testimoni le lettere scritte da St. Rémy de Provence, quando si trova ad abitare nella Casa di Cura Saint-Paul-de-Manson, per “alienati” gestita da suore cattoliche. Così nella lettera 607:
Devo supporre che, essendo molto sensibile all'ambiente, il soggiorno prolungato in questi vecchi monasteri che sono il ricovero di Arles e quello di qui, potrebbe da solo giustificare queste crisi. E allora – anche se fosse un cambiamento in peggio – potrebbe essere ora necessario traslocare in una casa di salute laica. Ciò nonostante per evitare di fare o almeno di aver l'aria di fare un colpo di testa, ti dichiaro, dopo averti avvertito che io potrei in un certo momento desiderare un cambiamento, ti dichiaro che mi sento abbastanza calmo e fiducioso per poter aspettare un altro po' di tempo per vedere se quest'inverno avrò un altro attacco. Ma se in quel momento ti scrivessi: voglio uscire di qui, tu non avresti da esitare e sarebbe già tutto sistemato fin da ora, perché allora sapresti che io dovrei avere una grave ragione, o anche molte ragioni per volere andare in una casa diretta non da suore come questa per quanto bravissime esse possano essere.
E ancora:
Ebbene siamo intesi che se ti scrivessi ancora espressamente chiaro e tondo che desidero venire a Parigi, avrei per farlo la ragione che ti ho spiegato prima. Nel frattempo niente è veramente urgente, e ho abbastanza fiducia dopo averti avvertito di poter aspettare l'inverno e la crisi che allora forse verrà. Ma se avessi ancora l'esaltazione religiosa, in quel caso nessuna indulgenza, desidererei senza altre spiegazioni partire immediatamente. Solo che non è lecito, per lo meno o almeno sarebbe indiscreto, intromettersi nel modo di fare delle suore oppure criticarle. Esse hanno la loro fede e un modo di fare il bene agli altri che è loro particolare, e talvolta va benissimo.
Ma guarda che non ti avverto alla leggera.
E non è per avere più libertà o altro che qui non abbia. Perciò aspettiamo con molta calma che si presenti l'occasione per sistemarmi.
Altre volte il desiderio è sempre “terribile”, ma è foriero di aspetti positivi e si concretizza in opere pittoriche altissime. Così scrive, nella lettera 543:
Ciò non impedisce che senta un bisogno terribile di – la chiamerò con il suo nome – religione – e allora vado fuori di notte a dipingere le stelle, e sogno sempre un quadro come quello con un gruppo di figure degli amici vivi...
Quel padre Benedettino deve essere stato molto interessante. Quale sarebbe secondo lui la religione del futuro? Lui risponderà probabilmente: sempre la stessa del passato. Victor Hugo dice: Dio è un faro a eclissi, e allora è certo che in questo momento siamo nell'eclissi. Vorrei soltanto che si riuscisse a dimostrarci che esiste qualcosa di tranquillizzante e che ci consolasse in modo che noi non ci sentissimo più colpevoli o infelici, e che noi potessimo camminare così come siamo senza smarrirci nella solitudine o nel nulla, e senza dover temere ad ogni passo o misurare nervosamente il male, che noi senza volerlo possiamo procurare agli altri. Quello strano tipo di zoppo, di cui la biografia dice che era sempre sofferente e sempre pieno di ardore e di idee, ecco, vorrei potere arrivare a quella sicurezza che rende felici, gai e vivi in ogni occasione. Ciò è più possibile in campagna o in una piccola città che non nella fornace parigina.
Il famoso Cielo stellato è il risultato pittorico di queste notti del pittore olandese.
Cielo stellato sul Rhone (Arles, settembre 1888; Parigi, Museo d'Orsay) |
Nella lettera 556, scritta da Arles, intorno all'ottobre 1888, il pittore stesso scherza sulla sua doppia natura, mai dimentico di essere pittore, mai lontano dall'idea del monachesimo:
Insomma sono nuovamente ridotto quasi al caso di follia di Hugue van der Goes nel quadro di Emile Wauters. E se non fosse che ho una doppia natura, di monaco e di pittore, sarei, e ciò da molto tempo e in modo completo, ridotto al caso sopra nominato. Però anche in queste eventualità non credo che la mia sarebbe una follia di persecuzione, perché i miei pensieri, quando sono in uno stato di esaltazione, si volgono piuttosto verso le preoccupazioni di eternità e della vita eterna. Però devo comunque stare in guardia dai mie nervi, ecc.
Notte stellata (Saint-Rémy, giugno 1889, New York, Museum of Modern Art) |
Dinanzi all'oggettività del cristianesimo
Negli ultimi due anni di vita incontriamo quattro temi pittorici di esplicito argomento cristiano. Van Gogh è conquistato da opere di Delacroix e Rembrandt; ne fa ordinare le stampe al fratello e si accanisce a copiarle, a reinterpretarle.
La resurrezione di Lazzaro (da Rembrandt) (Saint-Rémy, maggio 1890; Amsterdam, Museo Van Gogh) |
Tre di esse, La resurrezione di Lazzaro (con il sole che - feroce o salvatore? - si staglia dietro le figure del dipinto), Il Buon Samaritano, La pietà, ci riportano alla fatica del pellegrino, alla domanda sul domani, alla pietà che si desidera sul cammino.
Il buon samaritano (da Delacroix) (Saint-Rémy, maggio 1890; Otterlo, Museo Kroeller-Muller) |
Riconosciuta la fatica del vivere, le tre tele domandano "chi" accompagni "i passi del nostro vagare", quale figura umana o divina consoli il camminare dell'uomo. La resurrezione di Lazzaro, tratta da una incisione di Rembrandt, è del maggio 1890.
La Pietà (da Delacroix) (Saint-Rémy, maggio 1890; Amsterdam, Museo Van Gogh) |
Dello stesso mese è Il Buon Samaritano, da una litografia di J.Laurens, tratta da Delacroix. Della Deposizione o Pietà, da Delacroix abbiamo una prima versione dipinta da van Gogh nel settembre 1889 ed una seconda nel giugno 1890.
La Pietà (da Delacroix) (Saint-Rémy, maggio 1890; Roma, Musei Vaticani, Collezione d'arte religiosa moderna) |
L'Angelo, tratto da una riproduzione incisa da C.Courtry, di un dipinto attribuito ancora a Rembrandt, ci riporta al tema della Provvidenza di Dio sulla strada dell'uomo.
Angelo (da Rembrandt) (Saint-Rémy, settembre 1889; Collocazione sconosciuta) |
Di altri due progetti non realizzati abbiamo accenni nella lettera 625 del 1 febbraio 1890 da St.Rémy:
Sai che trovo talmente splendida la Vergine (di Millet), che non ho osato guardarla. Immediatamente ho sentito dentro un “non ancora”. Certo la malattia mi rende molto sensibile e per il momento non mi sento capace di andare avanti in queste “traduzioni” quando si tratta di simili capolavori.
e nella lettera 630 del maggio 1890:
Forse cercherò di lavorare copiando i Rembrandt, ho soprattutto in mente di fare L'uomo che prega, nella gamma dei toni che parte dal giallo chiaro fino al viola.
Il seminatore (Arles, giugno 1888; Otterlo, Museo Kroeller-Muller) |
Possederemmo un lavoro ancor più significativo, forse un'ultima cena od una crocifissione, se la straordinaria – o purtroppo ordinaria? - assenza di senso della bellezza nella comunità di suore che lo ospitò per un anno, non lo avesse impedito! Infatti, nel periodo che va dall'8 maggio 1889 al 16 maggio 1890, periodo nel quale van Gogh abitò a St. Rémy de Provence, nella Casa di Cura Saint-Paul-de-Manson, per “alienati” (è l'espressione francese del tempo per indicare “persone con disturbi psichici”), dove entrò liberamente, avvenne questo episodio che così il nipote V.W. van Gogh, nell'edizione completa dell'epistolario, ricostruisce, accompagnando le lettere di quel periodo, ai paragrafi 634b e 634c:
La superiora era la signora De Schanel, come religiosa suor Epifania, che, molto anziana, lavora ancora. Essa inoltre cura la direzione della casa di cura, perché il medico del ricovero ha ai nostri giorni solo delle attribuzioni amministrative. Suor Epifania conserva un ricordo molto preciso del “signor Vincent”. Essa sola presagiva il suo talento. Pensò persino di chiedergli un quadro per decorare la sala di riunione delle suore. Ma le sue compagne la dissuasero in modo reciso. Ciò che la stupiva di più dei quadri di van Gogh era il modo di mettere giù il colore, “in fiocchi di colore” secondo il suo modo di dire. Essa era stupefatta dalla velocità con la quale lavorava. Era questa del resto causa di stupore per tutti quelli del ricovero. Il figlio del dottor Peyron scrive in una lettera recente che ci è stata mandata, che Vincent dipingeva “a vapore” (634 b).
Checché ne sia, le suore non si accorsero mai di ciò che pensava Vincent nei loro riguardi. Esse lo trovavano educato, deferente, cortese, e commiseravano con tutto il cuore l'infelice “signor Vincent” come lo chiamavano familiarmente al ricovero. Per esempio, esse non potevano assolutamente apprezzare la sua pittura, e non mancavano di prendere in giro suor Epifania, la loro giovane superiora, (ancora in carica ora) che trovava che il signor Vincent era forse un pittore di talento. “Sono sicura, diceva un giorno alla sua comunità, che se chiedessimo al nostro povero artista un quadro per la nostra sala di riunione non ce lo rifiuterebbe e noi ne saremmo onorate”. Generalmente, spiegava la suora superiora all'autore di queste righe, generalmente io tengo testa alle mie suore. Mi è sempre rincresciuto di aver ceduto quella volta; non tanto per il valore commerciale che si dice abbiano oggi i quadri del signor Vincent, ma per il ricordo duraturo che ne avremmo avuto del suo passaggio fra di noi (634c).
Il seminatore (Arles, ottobre 1888; Winterthur, Villa Flora) |
Più volte van Gogh ritorna sul valore delle opere di tema religioso di Delacroix e Rembrandt. Talvolta, come nella lettera 605 del 10 settembre, per opporle alla religiosità dei cristiani con cui vive:
Non parlar troppo di questo con il dottore quando lo vedrai – ma io non so se ciò dipenda dal fatto di vivere per tanti mesi sia al ricovero di Arles che qui, in questi vecchi chiostri. Insomma bisogna che io non viva in un ambiente come questo, allora è meglio persino la strada. Io non sono indifferente, e nella sofferenza talvolta i pensieri mi consolano. E questa volta durante la malattia mi è successo una disgrazia – quella litografia di Delacroix, La Pietà, con altre tavole era caduta nell'olio e nella pittura e si era rovinata. Me ne ero rattristato – e allora nel frattempo mi sono preoccupato di dipingerla e tu la vedrai un giorno, su una tela da 5 o 6 ne ho fatto una copia che credo sia sentita.
Del resto avendo visto poco tempo fa il Daniel e le Odalische e il ritratto di Brias e la Mulatta a Montpellier, sono ancora sotto l'impressione che mi ha provocato. Ecco ciò che mi edifica, come leggere un bel libro quale quello di Beecher Stowe o di Dickens, mentre quello che mi dà fastidio è di vedere in ogni momento quelle brave donne che credono alla Vergine di Lourdes e che inventano delle cose del genere, oppure di sapersi prigioniero di una amministrazione come questa, che favorisce molto volentieri queste aberrazioni religiose, mentre sarebbe necessario guarirne.
Il seminatore (Arles, novembre 1888; Amsterdam, Museo Van Gogh) |
Altre volte quasi prescindendo dal tema religioso che è in esse rappresentato:
Ho parlato qualche volta con lei quando dipingevo gli ulivi dietro alla loro piccola capanna, e allora essa mi diceva che non credeva che io fossi malato – e anche tu diresti questo ora se mi vedessi lavorare, con i pensieri limpidi, la mano sicura, che ho disegnato senza prendere una sola misura quella Pietà di Delacroix, nella quale ci sono ben quattro mani e braccia in primo piano, gesti e posizioni di corpo non proprio comode e semplici. Te ne prego, mandami presto la tela se ciò ti è possibile e poi credo di aver bisogno di altri dieci tubi di bianco di zinco. E io so che la guarigione viene – se si è coraggiosi – dal di dentro, con la rassegnazione alla sofferenza e alla morte, con l'abbandono della propria volontà e dell'amor proprio. Ma ciò non ha importanza per me, mi piace dipingere, mi piace vedere gente e cose, e mi piace tutto ciò che costituisce la nostra vita – diciamo pure anche superficiale -. Sì, la vita vera sarebbe un'altra cosa, ma io non credo di appartenere a quella categoria di anime che sono pronte a vivere e anche a soffrire in qualsiasi momento. Che cosa strana è il tocco, il colpo di pennello. All'aria aperta, esposti al vento, al sole, alla curiosità della gente, si lavora come si può, si riempie il quadro alla disperata. Ed è proprio facendo così che si coglie il vero e l'essenziale – questa è la cosa più difficile. Ma quando dopo un certo tempo si riprende lo stesso studio e si dispongono le pennellate nel senso degli oggetti è certamente più armonioso e piacevole da vedere, e ci si può aggiungere ciò che si ha di serenità e di sorriso. Ah, non potrà mai rendere le mie impressioni di alcune figure viste qui. Certo c'è la strada dove ci sono tante cose nuove, la strada del sud, ma gli uomini del nord fanno fatica a capirla. E io prevedo già che io giorno in cui avrò un certo successo, comincerò a rimpiangere la mia solitudine e il mio accoramento di qui, quando guardo attraverso le sbarre di ferro della mia cella il falciatore nei campi ai miei piedi. La disgrazia serve a qualcosa. Per riuscire, per assicurarsi un successo che duri, bisogna avere un temperamento diverso dal mio, io non farò mai ciò che avrei potuto e dovuto volere e perseguire.
Il seminatore (Arles, novembre 1888; Zurigo, Fondazione E.G.Buhrle) |
Altre volte ancora a partire dalla sua visione del naturale – che, come già abbiamo osservato, naturalismo non è! – è posta la questione di un uomo nuovo, a cui sia permesso oggi di rivivere la novità data un tempo dal vangelo. Così nella lettera 614 b:
Fra l'altro il suo ultimo quadro (di Puvis de Chavannes) “Al campo di Marte” mi sembra alludere a un'equivalenza fra un riaccostamento strano e provvidenziale di antichità molto lontane e la cruda modernità. Più vaghi e più profetici ancora di quelli di Delacroix, davanti ai suoi quadri in quest'ultimi anni si assiste commossi a una continuazione di tutte queste cose in un rinascimento fatale ma positivo. Ma è meglio non insistere ulteriormente su questo capitolo, quando ci si raccoglie con riconoscenza davanti a un quadro definitivo come è il “Discorso della montagna”. Ah, lui li farebbe gli alberi di olivo del sud, lui, il Veggente. Io le dico da amico di sentirmi impotente davanti a questa natura e che il mio cervello settentrionale ha sofferto gli incubi in questi posti belli, perché sentivo che bisognava essere migliori per concludere qualcosa. Eppure non ho voluto rinunciare completamente a fare uno sforzo, ma esso si è limitato alle due cose soprannominate – i cipressi – gli uliveti – di cui altri migliori e più potenti di me sono riusciti ad esprimere il linguaggio che non posso più pensare a Puvis de Chavannes senza presentire che un giorno forse lui o un altro riusciranno a spiegarci il linguaggio degli ulivi. Io posso intravedere da lontano la possibilità di una nuova pittura, ma è una cosa più grande di me ed è con piacere che ritorno nel nord. Vede, il problema si presenta anche al mio spirito. Quali sono gli esseri umani che abitualmente vivono fra i frutteti, gli aranceti, i limoneti e gli uliveti. Il contadino di questi è diverso da quello che vive fra i grandi campi di grano di Millet. Ma Millet ci ha riaperto la porta che conduce a vedere colui che abita nella natura. Però non ci ha ancora dipinto l'attuale abitante del meridione. Ma quando Chavannes o un altro ci avranno indicato quell'essere umano, ci ritornerà alla mente il vecchio Vangelo, ma con un significato nuovo: beati i poveri di spirito, beati coloro che hanno il cuore puro, parole di una tale importanza che noi altri scolari delle vecchie città del nord, confusi e vinti, dobbiamo arrestarci a grande distanza dalla soglia di quelle dimore. E allora per quanto convinti si possa essere dalla visione di Rembrandt, pure ci si domanda: e Raffaello voleva ciò, e Michelangelo e il Vinci? Non lo so, ma credo che Giotto, essendo meno pagano, lo sentisse di più, quel grande valetudinario che ci è familiare come un contemporaneo.
Campi di grano con mietitore e sole (Saint-Rémy, tardo giougno 1889; Otterlo, Museo Kroeller-Muller) |
Anche due dei temi carissimi a van Gogh, il seminatore ed il mietitore, vengono da lui stesso riletti, nelle lettere, in un ottica simbolica che riprende la scia della lettura evangelica della semina e della mietitura, ma distaccandosene. Nella lettera B7, scritta a Bernard, da Arles, nella seconda metà di giugno del 1888, così van Gogh commenta il seminatore:
Non ti nascondo che amo la campagna perché ci sono cresciuto – delle ondate di ricordi di altri tempi, delle aspirazioni di questo infinito di cui il seminatore e il covone sono i simboli, mi incantano ancora come una volta.
Campi di grano con mietitore al sorgere del sole (Saint-Rémy, inizio settembre 1889; Amsterdam, Museo Van Gogh) |
Pure la lettera continua poi, nella dialettica dell'affermare e del negare, sempre presente in van Gogh:
Ma quando farò il cielo stellato, questo quadro che mi ossessiona sempre... Si tratta però di muovere all'attacco, per quanto ci si senta impreparati di fronte alle ineffabili perfezioni degli splendori gloriosi della natura.
Ma come vorrei vedere lo studio che hai fatto del bordello!
Mietitore (da Millet) (Saint-Rémy, settembre 1889; Amsterdam, Museo Van Gogh) |
In maniera simmetrica al seminatore, così parla del mietitore, nella lettera 604 del settembre da St.Rémy:
Sto lottando con un quadro cominciato alcuni giorni prima della mia ricaduta, un falciatore, lo studio è giallo, terribilmente impastato, ma lo spunto era bello e semplice. E allora ho visto in questo falciatore – vaga figura che lotta come un demonio sotto il sole per venire a capo del suo lavoro – ci ho visto l'immagine della morte, nel senso che l'umanità sarebbe il grano che si falcia. E' quindi – volendo – l'antitesi di quel Seminatore che avevo tracciato prima. Ma in questa morte nulla di triste, tutto succede in piena luce con un sole che inonda tutto di una luce d'oro fino.
Mietitore (da Millet) (Saint-Rémy, settembre 1889; Inghilterra, Collezione privata) |
Come attraverso un fondo di bicchiere, oscuramente
Un punto ci appare chiaro, nella poetica del pittore olandese: l'arte non è motivo sufficiente per vivere. La coscienza di essere creatore di forma espressive nuove che sarebbero state apprezzate nel tempo a venire, non fu a lui sufficiente senso di vita. In una espressione sembra riassumere tutta la sua esistenza: vedere “come attraverso un fondo di bicchiere, oscuramente”.
Quel che mi ha colpito nella tua lettera è che mi dici che, dopo essere stata a Nuenen, hai rivisto tutte quelle cose "grata che fossero state tue un giorno" ed ora puoi lasciarle ad altri a mente serena. Come attraverso un fondo di bicchiere, oscuramente - così mi appare la vita ed il perché del dire addio, le partenze, l'irrequietezza continua; non se ne comprende di più. Per me la vita può ben continuare a restare isolata. Coloro cui mi sono più affezionato - mai li ho visti altrimenti che come attraverso un fondo di bicchiere, oscuramente. Eppure una ragione c'è perché a volte ci sia una maggiore armonia nel mio lavoro. Dipingere è un'entità a sé. L'anno scorso lessi in un qualche libro che lo scrivere o il dipingere un'opera era come avere un figlio. Questo non lo ritengo valido nel caso mio - ho sempre pensato che la seconda delle due cose fosse la migliore e la più naturale - quindi dico, se soltanto così fosse, se soltanto fosse davvero la stessa cosa. E' proprio per questo che mi sforzo al massimo, anche se accade che proprio quel mio lavoro è compreso meno, e per me ciò che costituisce il solo legame fra il passato e il presente… Domenica scorsa Theo con la moglie ed il loro bambino sono venuti a trovarmi ed abbiamo fatto colazione dal dottor Gachet.
Così van Gogh scrive alla madre l'11/12 giugno 1890. Van Gogh cita, implicitamente, il versetto di 1 Cor 13, 12: "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia" che già lo aveva colpito nel periodo dedicato allo studio delle Scritture. Il vedere allo specchio o attraverso un fondo di bicchiere indica uno sguardo non ancora diretto, come quello che S.Paolo annuncia per l'eternità, il momento in cui vedremo Dio faccia a faccia e lo "conosceremo come ora siamo conosciuti da lui" [8] . Tutto questo traspare nell'opera pittorica. L'impressionismo, a differenza di van Gogh, sembra accettare il fluire del tempo. Esso - si perdoni l'espressione - nasconde più facilmente la nostalgia di Dio e di un senso dell'esistere. Non così l'opera di van Gogh. Il pittore olandese sa di non poter vedere faccia a faccia, ma non ha perso la coscienza che questo è l'orizzonte che è stato annunciato all'uomo. Ogni suo quadro, ritratto o tela en plein air, è un chinarsi sulla realtà, un trasfigurarla, ma la realtà conosciuta attraverso lo sguardo dell'arte si staglia su di un orizzonte infinito che, pur nel suo mistero, non scompare all'orizzonte. I colori apparentemente accecanti in realtà non rendono ciechi, ma interrogano sul mistero che a loro da vita.
Un espressione agostiniana ci soccorre: "Il mio errore non è stato quello di amare le creature, ma di aver cercato in esse la felicità". L'uomo non è chiamato ad odiare, a non amare, ciò che esiste e la bellezza del suo colore, ma a spingere il suo sguardo più in là, a riprendere quel cammino che porta più lontano, nella compagnia dell'Angelo di Dio, con cui si cammina per arrivare a vedere faccia a faccia.
Eravamo tanto fratelli!
Alla fine di Vincent seguì presto quella del fratello, amato e amante, Theo. Così scrisse Theo alla madre, poco dopo la morte del fratello:
Non posso scriverti il mio dolore, né trovare conforto. E' un dolore che durerà e che certo rimarrà in me finché vivrò. La sola cosa che si possa dire è che Vincent gode finalmente di quel riposo al quale agognava... La vita era un peso per lui; ma ora, come capita sovente, tutti sono pieni di lodi per il suo talento... Oh, mamma! Eravamo tanto fratelli!
Nell'edizione italiana possediamo circa 650 lettere scritte da Vincent a Theo, dall'agosto 1872 (Vincent aveva 19 anni) alla morte, per un totale di più di 1500 pagine. Sono il grido di una solitudine che cerca comunione, richiesta di ascolto e di comprensione, affetto. Non solo nei grandi problemi, ma anche nelle piccole gioie della vita, come nella lettera 541 da Arles:
Mio caro Theo,
So benissimo che ti ho già scritto ieri, ma la giornata era ancora tanto bella. E il mio grande dispiacere è che tu non possa vedere le belle cose che vedo io. Già alle sette del mattino ero davanti non a una gran cosa, un cespuglio di cedri o di cipressi in mezzo all'erba. Tu lo conosci quel cespuglio di cedri a palla, perché l'hai già in uno studio di giardino. Del resto ti accludo uno schizzo del mio quadro, sempre trenta quadrati. Il cespuglio è verde, un verde bronzo e variegato. L'erba è molto, molto verde, veronese limone, il cielo è molto molto azzurro. La fila dei cespugli del fondo è tutta di oleandri, assolutamente pazzi, queste benedette piante fioriscono in un modo che alcune di esse potrebbero buscarsi una atacsia locomotrice. Sono cariche di fiori freschi e di un sacco di fiori già appassiti, e il loro verde si rinnova ugualmente con vigorosi germogli nuovi in apparenza inesauribili. Un cipresso funebre tutto nero si rizza lì sopra e alcune figurine colorate girovagano sul sentiero rosato.
Con la morte di Vincent la fragile salute di Theo subì un duro colpo. Sei mesi dopo, il 25 gennaio 1891, seguiva il fratello diletto. Riposano fianco a fianco nel piccolo cimitero fra i campi di Auvers.
Campi di grano: non “nature”, ma riflessi
Campi di grano vicino Auvers (Auvers-sur-Oise, giugno 1890; Vienna, Galleria Belvedere) |
Ecco allora i campi di grano, non più solo paesaggio e natura sotto i nostri occhi, ma specchio del dramma umano e del desiderio di un senso di pace che torni ad abbracciare l'esistere umano. Nella lettera 649 da Auvers-sur-Oise:
Campi di grano sotto un cielo nuvoloso (Auvers-sur-Oise, luglio 1890; Amsterdam, Museo van Gogh) |
Cari fratello e sorella.
La lettera di Jo è stata per me veramente come un Vangelo, una liberazione dall'angoscia, che mi avevano causato le ore un po' difficili e penose per tutti noi, che avevo diviso con voi. Non è poca cosa quando tutti sentiamo che è in pericolo il pane quotidiano, non poca cosa quando sentiamo che per altre ragioni come quella anche la nostra esistenza è fragile. Ritornato qui mi sono sentito molto triste, e ho continuato a sentire pesare su di me la tempesta che vi minaccia. Che farci — vedete, di solito cerco di essere di buon umore, ma anche la mia vita è attaccata a un filo, anche il mio passo vacilla. Ho temuto — non completamente, ma però un pochino — di avervi spaventato di essere a vostro carico ma la lettera di Jo mi dimostra chiaramente che voi capite che per parte mia sono in travaglio e in pena come voi. Ecco — ritornato qui mi sono rimesso al lavoro — però il pennello mi cadeva quasi di mano — sapendo bene ciò che volevo ho ancora dipinto ancora tre grandi quadri. Sono delle immense distese di grano sotto cieli nuvolosi e non mi sento assolutamente imbarazzato nel tentare di esprimere tristezza, e un'estrema solitudine. Spero che li vedrete fra poco – perché spero di portarveli a Parigi il più presto possibile, perché ho persino fiducia che tutti questi quadri vi potranno dire, ciò che non riesco a dire a parole, ciò che io vedo di sano e di rinfrancante nella campagna. Ora il terzo quadro è il giardino di Daubigny, un quadro che meditavo da quando sono qui.
Pianura vicino Auvers (Auvers-sur-Oise, luglio 1890; Monaco, Neue Pinakothek) |
... e nella lettera 650 da Auvers-sur-Oise alla mamma e alle sorelle:
Io sono completamente preso dalla immensa pianura con i campi di grano contro le colline, senza confini come un mare, di un giallo, di un verde tenero, delicato, il viola tenero di un pezzo di terreno zappato e sarchiato, con il verde delle piante di patate in fiore che forma un disegno a scacchi regolari, e tutto ciò sotto un cielo a tonalità delicate di azzurro, bianco, rosa e violetto. Sono di un umore sin troppo calmo, sono dell'umore adatto a dipingere questo.
Poi, di lì a poco, il gesto del suicidio.
Requiem aeternam dona eis, Domine.
Appendice I
Il sermone sul Salmo 119, 19
Questo il testo integrale del sermone di van Gogh, secondo la traduzione a cura di Maria Pia Martini:
Primo sermone domenicale di Vincent van Gogh (29 ottobre 1876) sul Salmo 119, 19 "Sono uno straniero sulla terra, non mi nascondere i Tuoi comandamenti".
E' un'antica e buona tradizione di fede affermare che la nostra vita è il cammino di un pellegrino – che noi siamo stranieri sulla terra, ma che, sebbene sia così, pure non siamo soli perché il nostro Padre è con noi. Noi siamo pellegrini, la nostra vita è un lungo cammino o viaggio dalla terra al Cielo.
L'inizio di questa vita è questo: c'è soltanto una persona che non ricorda più il suo dolore e la sua angoscia per la gioia che sia nato un uomo nel mondo. E' nostra Madre. La fine del nostro pellegrinaggio è l'entrata nella casa di Nostro Padre, dove ci sono molti posti, dove Egli è andato prima di noi a preparare un luogo per noi. La fine di questa vita è ciò che chiamiamo morte - è un'ora in cui verranno alla luce le parole, saranno visibili e udibili quelle cose che sono custodite nelle camere segrete dei cuori di coloro che attendono - è così che tutti noi abbiamo tali cose e presentimenti di tali cose nei nostri cuori. C'è dolore nel momento in cui un uomo nasce nel mondo, ma anche gioia, profonda e indescrivibile, una gratitudine così grande che raggiunge il più alto dei cieli. Sì gli Angeli di Dio sorridono, sperano e si rallegrano quando un uomo nasce nel mondo. C'è dolore nell'ora della morte, ma c'è anche una gioia indescrivibile quando è l'ora della morte di uno che ha combattuto una buona lotta.. C'è Uno che ha detto: "Io sono la resurrezione e la vita, se un uomo crede in Me sebbene sia morto, pure egli vivrà". Ci fu un Apostolo che udì una voce dal cielo che diceva: "Benedetti sono coloro che vivono nel Signore, poiché si riposano dalle loro fatiche e le loro opere li seguono". C'è gioia quando un uomo nasce nel mondo, ma c'è gioia più grande quando un anima è passata attraverso la grande tribolazione, quando un angelo è nato in Cielo. Il dolore è meglio della gioia – e anche nella gioia il cuore è triste – ed è meglio andare alla casa del lutto che alla casa delle feste, poiché dalla tristezza della prova il cuore è reso migliore. La nostra natura è triste, ma per quelli che hanno imparato e stanno imparando a guardare a Gesù Cristo c'è sempre ragione di gioire. E' una buona parola quella di S.Paolo: "Essere tristi pur sempre nella gioia". Per quelli che credono in Gesù Cristo, non c'è morte o dolore che non sia unito alla speranza – nessuna disperazione – c'è solo un nascere costantemente di nuovo, un andare costantemente dall'oscurità alla luce. Essi non piangono come quelli che non hanno speranza - la fede cristiana cambia la vita in vita eterna.
Noi siamo pellegrini e stranieri sulla terra – veniamo da lontano e andiamo lontano. Il cammino della nostra vita va dall'amorevole grembo della nostra Madre sulla terra alle braccia di nostro Padre in cielo. Tutto sulla terra cambia - noi non abbiamo qui la città eterna – è l'esperienza di tutti. Che è la volontà di Dio che ci stacchiamo da ciò che è più caro sulla terra – noi stessi cambiamo da molti punti di vista, non siamo quello che eravamo una volta, non rimarremo quello che siamo ora. Da bambini diventiamo ragazzi e ragazze – giovani uomini e giovani donne – e se Dio ci risparmia e ci aiuta, mariti e mogli, Padri e Madri a nostra volta, e poi, lentamente ma sicuramente il viso che una volta aveva la rugiada mattutina, acquista le sue rughe, gli occhi che una volta splendevano di gioventù e gioia parlano di una sincera, profonda e onesta tristezza, sebbene possano conservare il fuoco di Fede, Speranza e Carità – sebbene possano splendere dello Spirito di Dio. I capelli diventano grigi o li perdiamo – ah! – davvero noi siamo solamente di passaggio sulla terra, noi siamo solamente di passaggio attraverso la vita, noi siamo stranieri e pellegrini sulla terra. Il mondo e tutta la sua gloria passano. Fai che i nostri ultimi giorni siano più vicini a Te e perciò migliori di questi.
Pure noi non possiamo vivere casualmente ora per ora – no, abbiamo una battaglia da combattere e una lotta da vincere. Che cosa dobbiamo fare: dobbiamo amare Dio con tutta la nostra forza, con tutta la nostra anima, dobbiamo amare il nostro prossimo come noi stessi. Dobbiamo osservare questi due comandamenti, e, se li seguiamo, se siamo ad essi devoti, non siamo soli, perché il nostro Padre in Cielo è con noi, ci aiuta e ci guida, ci da forza giorno per giorno, ora per ora, e così possiamo fare tutto in Cristo che ci dà forza. Siamo stranieri sulla terra, non ci nascondere i Tuoi comandamenti. Apri i nostri occhi affinché possiamo contemplare le cose meravigliose della Tua legge. Insegnaci a fare la Tua volontà e influenza i nostri cuori perché l'amore di Cristo possa obbligarci e noi possiamo essere portati a fare quello che dobbiamo fare per essere salvati.
Sulla strada dalla terra al Cielo
Guidaci con il Tuo sguardo;
Noi siamo deboli, ma Tu sei forte,
Sostienici con la Tua mano potente.
Potremmo paragonare la nostra vita ad un viaggio, andiamo dal luogo dove siamo nati ad un porto lontano. La nostra vita potrebbe essere paragonata ad un veleggiare su un fiume, ma molto presto le onde diventano più alte, il vento più violento, arriviamo al mare quasi prima che ne siamo consci – e dal cuore sale la preghiera a Dio: "Proteggimi, o Dio, poiché la mia barca è così piccola e il Tuo mare è così grande. Il cuore dell'uomo è molto simile al mare, ha le sue tempeste, le sue maree e i suoi abissi; ha anche le sue perle. Il cuore che cerca Dio e una vita in Dio ha più tempeste che qualunque altro. Vediamo come un Salmista descrive una tempesta nel mare. Deve aver sentito la tempesta nel suo cuore per descriverla così. Leggiamo nel Salmo 7: "Coloro che scendono in mare in navi che fanno affari in grandi acque, questi vedono le opere del Signore e le Sue meraviglie nel profondo. Poiché Egli comanda e alza un vento tempestoso, che solleva le onde. Esse salgono fino al Cielo, si inabissano di nuovo nel profondo, la loro anima si annulla a causa del loro travaglio. Poi piangono rivolti al Signore nel loro dolore ed egli li solleva dalle loro afflizioni.
Egli li porta al loro desiderato porto".
Non sentiamo questo qualche volta nel mare delle nostre vite?
Ognuno di voi non sente con me le tempeste della vita o il presentimento di esse o il ricordo di esse?
E adesso leggiamo una descrizione di un'altra tempesta nel mare nel Nuovo Testamento, come la troviamo nel sesto capitolo del Vangelo secondo S.Giovanni dal versetto 7 al 21: “E i discepoli salirono su una barca e andarono sul mare verso Cafarnao e il mare si alzò a causa di un gran vento che soffiava. Così quando essi ebbero remato per circa 25 o 30 miglia, essi videro Gesù che camminava sul mare e si avvicina alla barca ed ebbero paura. Poi volentieri Lo accolsero sulla barca e subito la barca arrivò alla terra dove essi erano diretti”. Voi che avete sperimentato le grandi tempeste della vita, voi su cui tutte le onde e i flutti del Signore sono passati – non avete sentito, quando il vostro cuore veniva meno per la paura, l'amata e ben conosciuta voce con quel qualcosa nel suo tono che vi ricordava la voce che incantava la vostra infanzia – la voce di Lui il cui nome è Salvatore e Principe della pace, che dice come se parlasse a te personalmente, proprio a te personalmente: “Sono io, non avere paura”. Non temere. Non lasciare che il tuo cuore si turbi. E noi, le cui vite sono state calme fino ad ora, calme in paragone di ciò che gli altri hanno sentito – non temiamo le tempeste della vita, tra le alte onde del mare e sotto le grigie nuvole del cielo - vedremo avvicinarsi Colui che abbiamo così spesso desiderato e guardato, Colui di cui abbiamo così bisogno e sentiremo la Sua voce: "Sono io, non temere". E se dopo un'ora o un periodo di angoscia o di cordoglio o grande difficoltà o pena o dolore Lo sentiamo che ci chiede: “Mi ami tu?” Allora diciamo: "Signore Tu sai tutte le cose, Tu sai che io Ti amo". E conserviamo quel cuore pieno dell'amore di Cristo e possiamo perciò vivere una vita che l'amore di Cristo sospinge: "Signore Tu sai tutte le cose, Tu sai che io Ti amo". Quando guardiamo indietro al nostro passato sentiamo come se Ti avessimo amato, perché qualunque cosa abbiamo amato, abbiamo amato in Tuo nome.
Non abbiamo avuto spesso i sentimenti di una vedova o di un orfano – nella gioia e nella prosperità e ancor più che nel dolore – a causa del pensiero di Te?
In verità la nostra anima Ti aspetta più di quelli che vegliano per il mattino, i nostri occhi sono rivolti a Te, o Tu che dimori in Cielo. Anche nei nostri giorni ci può essere una tale cosa come cercare il Signore.
Cos'è che chiediamo a Dio – è una cosa grande? Si, è una cosa grande, pace per il profondo del nostro cuore, riposo per la nostra anima – dacci quell'unica cosa e poi non vogliamo molto di più, poi possiamo stare senza molte cose, possiamo soffrire grandi cose in nome Tuo. Vogliamo sapere che siamo Tuoi e che Tu sei nostro, vogliamo essere Tuoi – essere Cristiani – vogliamo un Padre, l'amore di un Padre e l'approvazione di un Padre. Possa l'esperienza di vita rendere il nostro sguardo unico e fisso su di Te. Possiamo noi diventare migliori, mentre andiamo avanti nella vita. Abbiamo parlato delle tempeste nel cammino della vita, ma ora parliamo delle quieti e delle gioie della vita Cristiana. Eppure, miei cari amici, aggrappiamoci piuttosto ai periodi di difficoltà e di fatica e di dolore, poiché la quiete è spesso ingannevole. Il cuore ha le sue tempeste, ha i suoi periodi di abbattimento, ma anche i suoi periodi di calma e di esaltazione. C'è un tempo per sospirare e per pregare, ma c'è anche un tempo per rispondere alla preghiera. Il pianto può durare per una notte ma al mattino viene la gioia.
Il cuore che sta venendo meno
Può riempirsi fino a traboccare
E quelli che lo guardano
Si meraviglieranno e non sapranno
Che Dio alle sue sorgenti
Molto lontano lo stava colmando.
Io vi lascio la mia pace – abbiamo visto come c'è pace anche nella tempesta. Grazie a Dio, che ci ha permesso di nascere e vivere in una città Cristiana. Qualcuno di noi ha dimenticato le ore d'oro dei nostri primi giorni a casa e, dal momento in cui abbiamo lasciato quella casa – poiché molti di noi hanno dovuto lasciare quella casa e guadagnarsi da vivere e farsi strada nel mondo. Non ci ha Egli portato fino a questo punto, ci è mancato qualcosa? Signore noi crediamo che Tu aiuti il nostro scetticismo. Io ancora sento il rapimento, il brivido di gioia che ho provato quando per la prima volta ho guardato profondamente nelle vite dei miei Genitori, quando ho sentito istintivamente quanto erano Cristiani. E ancora provo quel sentimento di eterna giovinezza e di entusiasmo con cui andai verso Dio dicendo: “Anch'io sarò Cristiano”. Siamo quello che sognavamo che avremmo dovuto essere? No, ma pure i dolori della vita, la moltitudine delle cose della vita quotidiana e dei doveri quotidiani, così tanto più numerosi di quello che ci aspettavamo, l'agitarsi avanti e indietro nel mondo, lo hanno nascosto, ma non è morto, dorme. L'antica eterna fede e l'amore di Cristo possono dormire in noi, ma non sono morti e Dio può farli rivivere in noi. Ma ancorché siamo nati di nuovo a vita eterna, alla vita di Fede, Speranza e Carità, - e a una vita perpetua – alla vita di un Cristiano e di un lavoratore Cristiano, siamo un dono di Dio, un'opera di Dio – e di Dio solo, pure poniamo mano all'aratro nel campo del nostro cuore, lanciamo la nostra rete una volta ancora - proviamo un'altra volta. Dio sa l'intenzione dello spirito, Dio ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, poiché Lui ci ha creato e non noi. Egli sa di che cosa abbiamo bisogno. Egli sa ciò che è bene per noi.. Possa darci la Sua benedizione sul seme della Sua parola, che Egli ha seminato nei nostri cuori. Con l'aiuto di Dio, passeremo attraverso la vita. Egli ci darà il modo di sfuggire a ogni tentazione.
Padre noi non ti preghiamo che ci porti fuori dal mondo, ma ti preghiamo che ci preservi dal male. Non ci dare né povertà né ricchezza, nutrici con il pane adatto a noi. E lascia che i tuoi canti siano la delizia nelle case del nostro pellegrinaggio. Dio dei nostri Padri, sii il nostro Dio: possa il loro popolo essere il nostro popolo, la loro fede la nostra fede. Noi siamo stranieri sulla terra, non nasconderci i Tuoi comandamenti, ma possa l'amore di Cristo sospingerci. Aiutaci a non lasciarTi o a smettere di seguirTi. Il Tuo popolo sarà il nostro popolo. Tu sarai il nostro Dio.
La nostra vita è il cammino di un pellegrino. Una volta ho visto un bellissimo quadro: era un paesaggio alla sera. In distanza sul lato destro una fila di colline appariva azzurra nella leggera nebbia della sera. Su quelle colline lo splendore del tramonto, le nuvole grigie con i loro orli d'argento, d'oro e di porpora. Il paesaggio è una pianura o una landa coperte di erba e di foglie gialle perché era autunno. Attraverso il paesaggio una strada porta a un'alta montagna, lontana, molto lontana, sulla cima di quella montagna è una città su cui il sole tramonta glorioso. Sulla strada cammina un pellegrino, qualcosa in mano. Ha già camminato per lungo tempo ed è molto stanco. E ora incontra una donna, o una figura in nero, che fa pensare alla parola di S.Paolo: "Come essere colmi di pena eppure gioire sempre". Quell'Angelo di Dio è stato messo là per incoraggiare i pellegrini e rispondere alle loro domande e il pellegrino le chiede: "La strada va su per la collina tutto il tempo?".
E la risposta è: “Si, fino alla fine”.
E lui chiede di nuovo: “E il cammino durerà tutto il giorno?”.
E la risposta è: “Dalla mattina alla sera amico mio”.
E il pellegrino va avanti colmo di pena eppure sempre gioendo – pieno di pena perché è così lontano e la strada così lunga. Pieno di speranza mentre guarda su verso la città eterna, lontana, risplendente nella luce della sera e pensa a due antichi detti che ha sentito tanto tempo fa – uno è:
“Molta lotta deve essere combattuta
Molta sofferenza deve essere sofferta
Molte preghiere devono essere pregate
E allora la fine sarà pace”
E l'altro è:
“L'acqua arriva alle labbra
Ma non arriva più in alto”
Ed egli dice: Sarò sempre più stanco ma anche sempre più vicino a Te. L'uomo non deve lottare sulla terra? Ma c'è una consolazione da Dio in questa vita. Un Angelo di Dio che conforta l'uomo – che è l'Angelo della Carità. Non dimentichiamolo. E quando ognuno di noi torna alle cose quotidiane e ai doveri quotidiani non dimentichiamo che le cose non sono quello che sembrano, che Dio ci insegna cose più alte attraverso le cose della vita quotidiana, che la nostra vita è il cammino di un pellegrino, e che noi siamo stranieri sulla terra, ma che noi abbiamo un Dio e padre che protegge gli stranieri, - e che siamo tutti fratelli.
Amen.
E ora la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, e l'amore di Dio Padre e la compagnia dello Spirito Santo, siano con noi sempre di più.
Amen.
Lettura: Salmo 91.
Amen.
Appendice II
Testimonianze raccolte da V.W. van Gogh, figlio di Theo van Gogh, sul periodo in cui van Gogh fu predicatore evangelico nel Borinage (pubblicate al numero 143a dell'edizione completa delle lettere di van Gogh)
[Da La vie tragique de Vincent van Gogh di Louis Piérard, Edition Revue, Paris, Editions Correa & Cie., 1939.]
La lettura di un articolo dì M. Pierre Godet apparso nel L'Art Décoratif e i commenti fatti da una pubblicazione protestante: Fede e Vita, m'indussero un giorno a fare delle ricerche nel mio paese natio su questo periodo inquietante della vita di van Gogh. Sapevo che Vincent era stato mandato come missionario al Borinage, niente di più.
Ho interrogato pazientemente i pastori di diversi villaggi come pure un certo numero di fedeli. E infine sono riuscito a sapere.
Avvenne durante uno sciopero. Davanti alla Casa del Popolo del villaggio, un vecchio minatore accucciato, col mento sui ginocchi, la pipa fra i denti, nella posizione preferita dei « tapeurs à la veine » in riposo, mi disse nel suo duro dialetto: “Il pastore Vincent? Se me lo ricordo? Lo credo bene...” Mi sforzai di fargli precisare i suoi ricordi. Egli aveva presente van Gogh seduto su un seggiolino pieghevole nel cortile di una miniera di carbone (al pozzo N° 10 di Grisoeul) che disegnava la gabbia e la sua armatura di ferro, poi l'uscita dei minatori neri di polvere con le palpebre che sbattevano alla luce improvvisa del giorno e la lampada in mano...
Seppi finalmente che van Gogh aveva abitato presso un tizio chiamato Jean-Baptiste Denis, fornaio, e aveva predicato nel vecchio «salone del Bambino» (al Borinage una sala dove si balla o si tengono riunioni si chiama sempre salone). La vecchia casa che faceva contemporaneamente da fattoria e da “salone”, era stata ben trasformata da 30 anni in qua. Ma ritrovando intatta la vasta cucina con le grosse travi del soffitto intonacato di bianco, il grande focolare aperto, una tavola di pietra in un angolo dove Vincent amava sedersi per mangiare, ne fui commosso... Il salone o come si diceva: “L'timpe” [il tempio] del Bambino si trovava al margine del bosco di Colfontaine. I muri a calce della sala di riunione erano di un bianco bluastro. Dietro l'oratore si scorgevano attraverso una finestra dei giardini in pendio, delle aiuole rettangolari di legumi...
Ecco qui dunque van Gogh, a cominciare dal novembre 1878 al Borinage, grande regione mineraria nei pressi di Mons... Qui la religione riformata vi ebbe sempre e possiede ancora oggi importanti focolai. In ogni villaggio minerario o quasi c'è un tempio protestante e talvolta due (uno della Chiesa nazionale, l'altro della Chiesa libera che rifiutava i sussidi dello Stato). Dopo molte ricerche sono riuscito alfine a ritrovare nella regione di Tour un vecchio pastore, il signor Bonte che, istallatosi nel 1878 a Warquignies, villaggio vicino a Wasmes, accolse Vincent van Gogh con la più grande benevolenza. Ecco qui le notizie che mi ha mandato:
Vorrei accontentarla per quanto mi è possibile a riunire alcuni ricordi di Vincent van Gogh. Infatti l'ho conosciuto 45 anni fa, al Borinage, dove fu evangelista (non pastore perché non era provvisto di titolo teologico). Egli lavorò a Wasmes per circa un anno.
Era figlio di un pastore olandese; mi ricordo il suo arrivo a Paturages; era un giovanotto biondo di media taglia e di viso piacevole; era molto ben vestito, aveva bei modi e mostrava sulla sua persona tutte le caratteristiche della pulizia olandese. Si esprimeva correttamente in francese e riusciva a parlare abbastanza correntemente nelle riunioni religiose del piccolo gruppo protestante di Wasmes alle quali lo si destinava. Un'altra comunità di Wasmes aveva il suo pastore. Vincent van Gogh esercitava le sue funzioni nei pressi della boscaglia, verso Warquignies; presiedeva al culto in una vecchia sala da ballo.
Il nostro giovanotto prese alloggio in una fattoria di Petit-Wasmes; la casa era relativamente bella; si distingueva in modo notevole da quelle circostanti che non erano altro che casette da minatori.
La famiglia che ospitava Vincent van Gogh aveva abitudini semplici e viveva come gli operai.
Ma il nostro evangelista manifestò ben presto nei riguardi del suo alloggio i sentimenti particolari che lo animavano, trovando che era troppo lussuoso; esso offendeva la sua umiltà cristiana, ed egli non poteva sopportare di stare sotto un ricovero diverso da quello dei minatori. Lasciò perciò le persone che lo circondavano di simpatia e andò ad abitare in una piccola capanna. Ci abitava assolutamente solo, non aveva mobilio e si diceva che dormisse raggomitolato in un angolo del focolare.
Del resto il modo con cui si vestiva quando usciva era rivelatore delle sue aspirazioni originali; lo si vedeva uscire con la vecchia uniforme di soldato e un brutto berretto, e con questo camuffamento percorreva il villaggio.
I begli abiti coi quali era arrivato non si videro più ed egli non ne acquistò dei nuovi.
Eppure percepiva uno stipendio modesto, ma sufficiente da permettergli di vestire secondo la sua condizione sociale.
Perché mai quel ragazzo si era modificato a quel punto?
Davanti alle miserie che incontrava nelle sue visite, la sua pietà l'aveva spinto a regalare quasi tutti i suoi abiti; anche il suo denaro era passato nelle mani dei poveri ed egli non aveva conservato per se stesso praticamente niente. I suoi sentimenti religiosi erano molto profondi ed egli voleva ubbidire alla parola di Gesù Cristo nella forma più assoluta.
Si sentiva tenuto ad imitare i primi cristiani, a rinunciare a tutto quello cui poteva fare a meno, e voleva essere più misero della maggior parte dei minatori ai quali predicava il Vangelo. Devo aggiungere pure che aveva abbandonato stranamente anche la pulizia olandese; il sapone era negletto come un lusso colpevole e se il nostro evangelista non era coperto di uno strato di carbone, pure aveva abitualmente la faccia più sporca di quella dei minatori. Questo particolare esteriore non lo preoccupava affatto; egli era assorbito dal suo ideale di rinuncia, e mostrava ovunque che la sua attitudine non era quella accomodante, ma voleva mettere in pratica fedelmente gli ideali che guidavano la sua coscienza.
E se ormai non aveva più il pensiero del benessere personale, il suo cuore si svegliava davanti ai bisogni degli altri. Preferiva andare dai più disgraziati, dai feriti, dai malati, e restava a lungo con loro; era pronto a tutti i sacrifici per alleviare le loro pene. La sua profonda sensibilità si allargava del resto oltre l'umanità. Vincent van Gogh rispettava la vita degli animali anche di quelli inferiori. Un brutto bruco non gli ispirava disprezzo, era una creatura animata e bisognava rispettarla.
La famiglia che l'ha avuto come ospite mi ha raccontato che se vedeva in giardino un bruco per terra, lo raccoglieva con delicatezza e andava a posarlo su un albero. Accanto a questo lato del suo carattere, che potrebbe anche essere giudicato insignificante o stupido, io ho tratto l'impressione che Vincent van Gogh è stato perseguitato da un ideale bellissimo: obliare se stesso e dedicarsi a tutti gli altri esseri era veramente l'idea fondamentale che egli accettava con tutto il cuore.
Non avvilirò certo l'uomo ammettendo che, secondo me, aveva un difetto: era un incorreggibile fumatore. Talvolta l'ho contraddetto su questo punto, ed, essendo io nemico del tabacco, gli dicevo che faceva male a non rinunciarvi; egli non ne fece nulla e fu una piccola ombra; ma per i pittori anche queste sono necessarie. Quanto alla sua pittura non ne posso parlare da esperto; d'altronde non la si prendeva sul serio. Andava ad accoccolarsi per terra vicino alle miniere; ritraeva le donne che vi raccoglievano il carbone o che partivano cariche di sacchi.
Osservavamo che non rappresentava le cose appariscenti, quelle alle quali noi attribuiamo la bellezza.
Ha fatto qualche ritratto a delle vecchie, e del resto noi non davamo molta importanza a ciò che consideravamo come una distrazione. Sembra però che anche nella pittura il nostro giovanotto abbia avuto la predilezione per tutto ciò che sembrava miserabile. Ecco dunque, signore, i pochi ricordi che la mia vecchia memoria ha cercato di riunire...
Ecco un'altra lettera. Mi guarderei bene dal cambiarvi anche una virgola. Il bravo fornaio che l'ha scritta e che ha vissuto nell'intimità di Vincent van Gogh non me ne deve volere di riprodurla qui integralmente, fedelmente [9] .
Signor Pierard,
Fu in un bel giorno di primavera quando io vidi arrivato il nostro giovane amico Vincent van Gogh riccamente vestito i nostri occhi non cessarono di contemplarlo il giorno dopo andava fare visite il pastore signor Bonte. Subito messo vicino alla classe operaia il nostro amico cadde nella più grande umiliazione nella quale non tardò a di spogliarsi di tutto suoi vestiti.
Così arrivato a non più avere di camicia più di calzette ai piedi noi l'abbiamo visto fabbricarsi la camicia con il sacco. Io ero troppo giovane allora.
La mia buona madre gli diceva: Signor Vincent perché lei si spoglia così dei suoi vestiti e lei che è di una famiglia nobile come del pastore olandese. E lui rispondeva. Io sono l'amico del povero come lo aveva il Signore, lei rispondeva lei non è più nelle condizioni normali.
In quell'anno stesso arrivò un'esplosione di grisù al pozzo n° 1 del Charbonnage Belge dove diversi operai erano bruciati. Nostro amico Vincent non avette alcun riposo giorni e notti tagliando il resto della sua biancheria per fare grandi bende con della cera e del olio d'oliva per correre dai bruciati della catastrofe. L'umanità del nostro amico non faceva che aumentare di giorno in giorno e intanto le perquisizioni gli aumentavano continuamente. I rimproveri dei membri del Concistoro non cessavano di raddoppiare la ingiuria e lapidare e pure restava sempre nella più grande umiliazione. Un giorno tornò a casa e si mettò a sputare sullo zoccolo della casa. Era ancora troppo di lusso per lui e ci avrebbe occorso restare in una stamberga. Il suo nutrimento era riso e sciroppo di melassa niente burro sul suo pane.
Intanto era sempre agli studi in una sera leggeva un volume di cento pagine, durante la settimana aveva fondato una scuola per i bambini per insegnare a stare nel timore di Dio e nello stesso tempo occupato al disegno di fotografia e dei minatori.
E in un giorno di forte calore un furioso uragano fu scatenato sulle nostre regioni. Che fece il nostro amico andò a mettersi in mezzo al campo per guardare le grandi meraviglie di Dio e così ritornando bagnato fino all'osso. Fu così che il nostro amico si fece cacciare dal suo ministero partì per Parigi dove noi non abbiamo più avuto di notizie di lui. E quando camminava sul lato della strada caro amico signor Pierard io non saprei dirle di più, non avevo che 14 anni allora.
Il ricordo di alcuni aspetti è restato particolarmente vivo. Quando i minatori di Wasmes andavano in miniera, infilavano sopra i loro indumenti di tela grigia delle vecchie giubbe di tela da imballaggio a forma di camiciotti da marinaio per proteggersi contro i getti d'acqua, che cadevano talvolta dalle pareti dei pozzi nella gabbia. Questa miserabile tenuta eccitava al massimo la pietà di Van Gogh. Un giorno vide sulla schiena di un operaio la parola «Fragile» stampata sulla tela. Non ne rise. Al contrario ne parlò nei giorni successivi a tavola, commovendosi. Non lo si capiva. Questo, e l'episodio del temporale bastarono per convincere la signora Denis “che il signorino non era come tutti gli altri”. Il suo cuore di madre si spezzava... Scrisse alla madre di Van Gogh descrivendo la vita miserabile di Vincent nella sua capanna. Nella regione era scoppiata una epidemia di tifo. Vincent aveva dato tutto, soldi e vestiti, ai poveri minatori malati. Un Ispettore del Comitato di Evangelizzazione aveva dichiarato che gli «eccessi di zelo» del missionario rasentavano lo scandalo e non aveva nascosto la sua opinione alla riunione di Wasmes. Il padre di van Gogh partì da Nuenen per Wasmes. Trovò suo figlio che dormiva su un sacco pieno di paglia terribilmente debole e smagrito. Nella stanza, fiocamente rischiarata da una lampada che pendeva dal soffitto, alcuni minatori dai visi affamati e sofferenti si affollavano intorno a Vincent. Grandi ombre fantastiche danzavano sui muri intonacati di verde... Il missionario si lasciò condurre come un bambino e fece ritorno al focolare della signora Denis.
Van Gogh operò celebri conversioni fra i protestanti di Wasmes. Si parla ancora di quel minatore che andò a visitare dopo un'incidente sopravvenuto alla miniera di carbone di Marcasse. Era un alcolizzato, un «incredulo e blasfemo» a detta delle persone che mi hanno raccontato l'episodio. Quando Vincent si presentò da lui per soccorrerlo e consolarlo fu accolto da una serie di ingiurie. Fu trattato in più da «masticatore di rosari», come se fosse stato un prete cattolico [10] . Ma la dolcezza evangelica di van Gogh convertì l'uomo.
Si racconta pure che nel periodo del «sorteggio della coscrizione» le donne venivano a domandare al santo uomo di indicare loro il passaggio delle scritture che doveva servire da talismano ai loro figlioli perché pescassero un numero buono, che li dispensasse dal servizio di caserma... Si trovano tracce del passaggio di van Gogh al Borinage negli archivi delle comunità protestanti. C'è in particolare una relazione della Chiesa di Rue du Bois a Wasmes, diretta sulla «Ospices (sic) del Sinodo». Ho trascritto questa relazione ed ecco quello che si legge:
Il signor pastore Peron di Dour è venuto a Wasmes. Vedendo il numero (dei fedeli senza dubbio) e le opere che si potevano fare, si è messo d'accordo con i signori Neven, Joan Andry e con il soprannominato Peron, tutti e tre pastori della direzione della Setta Sinodale per inviare una relazione della nostra situazione al Comitato Sinodale allo scopo di sapere se poteva venirci in aiuto.
Dopo aver ricevuto l'ammissione il signor Peron è venuto a Wasmes, ed essendosi messo d'accordo con gli altri sono venuti tutti a turno a fare il servizio in una sala che il signor Peron aveva visitato con i membri del Concistoro.
Dopo che era trascorso un lasso di tempo di circa un anno e mezzo la Società Sinodale ha creduto bene di mandarci il signor Vincent; dopo è venuto il signor Huton tutti e due evangelisti durante un periodo di quattro anni. «Siamo stati molto aiutati nell'opera di evangelizzazione».
Ed ecco la relazione 1879-1880 dell'Unione delle Chiese Protestanti del Belgio, al capitolo «Wasmes» (ventitreesima relazione del Comitato Sinodale di Evangelizzazione. 1879-1880).
La prova che è stata fatta, accettando i servizi di un giovane olandese, signor Vincent van Gogh, che si sentiva chiamato ad evangelizzare nel Borinage, non ha dato i risultati desiderati. Se alle mirabili qualità che egli esercitava presso i malati e i feriti, alla dedizione e allo spirito di sacrificio di cui ha dato tante prove, sia consacrando le sue notti per loro sia privandosi per loro della parte migliore dei suoi abiti e delle sue lenzuola, si fosse aggiunto il dono della parola. indispensabile a chiunque è alla testa di una Congregazione, il signor van Gogh sarebbe certamente stato un evangelista completo. Evidentemente non è concepibile esigere delle doti straordinarie. Ma è un fatto normale che l'assenza di alcune qualità può rendere completamente inutile l'esercizio dell'opera principale dell'evangelista. Fu questo purtroppo il caso del signor van Gogh. Appena terminato il tempo di prova — alcuni mesi — è stato necessario rinunciare all'idea di confermarlo per più a lungo. L'evangelista attualmente in funzione, il signor Huton, ha preso possesso del suo posto il primo ottobre 1879.
1879, anno tragico; scoppiò una epidemia di tifo, “la febbre stupida” e poi una grande catastrofe colpì il paese (l'esplosione di grisù del Agrappe a Frameries). Vincent si prodigò senza risparmio per curare i malati e gli ustionati dal grisù dal viso nero e tumefatto. Successivamente scoppiò uno sciopero: i minatori in rivolta non volevano più dare ascolto a nessuno, solamente a «l'pastore Vincent” nel quale avevano tutta la fiducia. In questo frattempo van Gogh disegnava sempre di più. Un giorno parte per Bruxelles a piedi. Arriva dal pastore Pietersen, cencioso, coi piedi sanguinanti. e gli porta alcuni dei suoi disegni (Pietersen si dedica all'acquarello come dilettante). L'accoglienza è cordiale, lo riconforta. Viene deciso che van Gogh ripartirà per il Borinage, ma questa volta andrà in un altro comune, a Cuesmes.
Ho ricevuto poco fa, da uno dei miei concittadini protestanti, il signor G. del Saut, che l'ha conosciuto a Cuesmes nel 1880, queste poche note su Vincent van Gogh, che riproduco qui senza nulla aggiungere.
Era un giovanotto intelligente, che parlava poco, sempre pensieroso. Viveva molto sobriamente: quando si alzava al mattino faceva colazione con due panini secchi, beveva una grande tazza di caffè nero e freddo. Fuori dei pasti beveva dell'acqua. Mangiava sempre solo o comunque faceva in modo di non mangiare in compagnia. Quando mangiava disegnava col foglio appoggiato sulle ginocchia oppure leggeva. Occupava tutto il suo tempo a disegnare. Andava spesso nel bosco di Ghlin, al cimitero di Mons, e spesso in campagna.
Disegnava soprattutto paesaggi, castelli, pastori col gregge, mucche al pascolo.
Il quadro più impressionante e che è rimasto nel ricordo di mia cognata, presso la quale egli abitava, è il disegno che rappresentava la famiglia occupata alla raccolta delle patate; gli uni che vangavano, le altre (le donne) che raccoglievano le patate.
Ha lasciato disegni e libri, ma tutto ciò oggi è sparito a causa della dispersione della nostra famiglia.
La pigione veniva pagata da suo padre che gli mandava i soldi. Egli spendeva molti soldi nell'acquisto di Bibbie e di Nuovi Testamenti che distribuiva gratuitamente quando andava in giro a dipingere. Una volta suo padre fu obbligato a venire a Cuesmes per metter fine alle sue spese in libri. Andava in giro a dipingere con uno sgabello pieghevole sotto il braccio e la scatola dei colori sulla schiena come un facchino. Quando provava un dispiacere si fregava le mani senza più smettere.
[Nel Groene Amsterdammer (settimanale di Amsterdam) del 19 settembre 1925, Piérard aggiunse quanto segue al suo resoconto.]
Credevo di avere ormai raccolto ogni possibile notizia sul conto di Van Gogh finché il vecchio signor Denis, che ebbi occasione di vedere qualche giorno fa, mi narrò che un bel mattino, quando (parole sue) “la rugiada aveva cosparso gli alberi e i fiori in giardino con perle d'argento” era stato fermato nel gesto di schiacciare sotto il piede un grosso bruco da un'esclamazione di Vincent: “Perché volete uccidere quella piccola creatura? E' opera di Dio...”
Louis Piérard fu senatore socialista per l'Hainault, la provincia alla quale appartiene il Borinage; dopo la liberazione (1918) venne talvolta chiamato ambasciatore culturale del Belgio. Alla mia domanda riguardante le sue dichiarazioni circa i tentativi fatti da Vincent per placare gli scioperanti, rispose con la seguente lettera, scritta poche settimane prima di morire.
Bruxelles 8 ottobre 1951
Caro signor van Gogh,
Mi affretto a rispondere alla sua lettera del 4 ottobre. Sono felice di apprendere che lei sta preparando una nuova edizione delle lettere di Vincent. La ringrazio di aver voluto dare un posto alle precisazioni che, nel mio libro, ho fatto sul soggiorno di van Gogh al Borinage. La catastrofe alla quale faccio allusione e nel corso della quale Vincent si dedicò senza risparmio (il che conferma la lettera del pastore Bontè), fu in seguito a una delle esplosioni che si verificarono una sull'altra nel 1879 ai pozzi del Agrappe a Frameries, vicino a Wasmes. Ci furono centinaia di vittime. La maggior parte era costituita da minatori uccisi sul colpo dall'esplosione. Ma gli altri, i feriti, erano stati probabilmente ustionati dalla accensione delle polveri di carbone. Vincent cercava di calmare le atroci sofferenze di questi infelici applicando sulle carni ustionate degli impacchi di olio d'oliva. Queste catastrofi frequenti nelle miniere di carbone (ce ne furono tre una dopo l'altra al Agrappe e a Boule), finirono per alimentare nella popolazione dei minatori un'ondata di collera e di rivolta. Si pensava che l'ispezione delle miniere non fosse fatta in modo da assicurare il minatore, da garantirne la sua incolumità. Scoppiarono quindi degli scioperi di vera e propria disperazione. In questo caso gli scioperanti erano tentati di lasciarsi andare ad atti di violenza e di distruzione. La gendarmeria e persino l'esercito venivano allora mobilitati per mantenere l'ordine. E' molto probabile che per evitare degli scontri sanguinosi, Vincent, con la grande autorità morale che esercitava, si sia intromesso per cercare di riportare i minatori alla calma. Altrove, io faccio allusione alla profondità alla quale si lavora nelle miniere di carbone. Sa lei che ce n'è una, ai giorni nostri) a Quaregnon, nella quale si lavora a 1400 metri di profondità? Voglia la prego ricordarmi alla signora van Gogh.
Suo Louis Piérard,
47, av. V. Rousseau, Bruxelles
Note
[Nota 1] Il Sermone è accluso alla lettera 79 da Isleworth. Così Vincent van Gogh lo presenta: Theo, tuo fratello ha predicato per la prima volta, domenica scorsa, nella casa di Dio di cui è scritto: “In questo luogo, io darò la pace”. Ti accludo una copia di quanto dissi. Possa essere il primo di una lunga serie di sermoni... Salendo sul pulpito, mi sentii simile a qualcuno che uscendo da una buia caverna sotterranea ritorni nella calda luce del giorno. Il pensiero che, in avvenire, predicherò il Vangelo ovunque vada mi procura una gioia profonda. Per compiere bene tale missione, bisogna portare il Vangelo in cuore. Possa il Signore concedermi questa grazia.
[Nota 2] In Appendice al presente articolo sono state trascritte tutte le testimonianze raccolte da V.W. van Gogh, figlio di Theo van Gogh, sul periodo in cui van Gogh fu predicatore evangelico nel Borinage (pubblicate al numero 143a dell'edizione delle lettere di van Gogh).
[Nota 3] Famoso autore olandese.
[Nota 4] Ci sia permesso un breve cenno a due esperienze che toccano lo stesso mistero della vita familiare e della generazione della vita.
Amedeo Modigliani scrive, dietro un disegno preparatorio, poco dopo aver avuto una figlia, il 29 novembre 1919, da Jeanne Hébuterne, conosciuta l'anno precedente, diciannovenne, durante il Carnevale: “Il novo anno: Hic incipit vita nova”. E' il momento in cui dipinge l'unico suo autoritratto, cerca di moderarsi nel bere, di condurre una vita meno sregolata. Il suo fisico è però ormai minato dalla malattia ed il 24 gennaio 1920 muore all'età di 36 anni, seguito, poche ore dopo, dalla moglie suicida.
Solo un anno prima Egon Schiele dipinge la celebre opera "La famiglia", proprio nell'attesa di un bambino dalla moglie Edith, che però si ammala e, al sesto mese di gravidanza, muore per l'epidemia di "spagnola" che in quegli anni attanagliava l'Europa, seguita pochi mesi dopo, a causa della stessa malattia, dallo stesso Egon. La critica è divisa nella discussione se si tratti di un vero autoritratto - poiché la donna del dipinto sembra essere una modella presente in altre opere del pittore e non la moglie - ma certo il quadro vive della desiderata nuova condizione attesa per la presenza di una nuova vita.
[Nota 5] Solo la campagna appare, nell'epistolario, il luogo adatto per la crescita del nipotino. Il rifiuto della vita cittadina è, da un lato, atteggiamento interiore che differenzia ulteriormente van Gogh dall'impressionismo, dall'altro, tratto nevrotico nella paura che l' “aria cittadina” con i suoi fumi possa nuocere alla salute del piccolo.
[Nota 6] Usa la parola Kristenen invece del più consueto Christenen.
[Nota 7] Van Gogh ebbe una grande simpatia per Emile Bernard, di lui più giovane di quindici anni. La loro amicizia risale al tempo del loro incontro presso lo studio di Cormon. Bernard, pittore e scrittore, sembrò in un primo momento proseguire lo stile pittorico di van Gogh (e probabilmente van Gogh vivente vide in lui un suo possibile continuatore), ma se ne distaccò presto. Comunque collaborò, subito dopo la morte di van Gogh, alla preparazione della prima mostra postuma delle tele, curata da Theo, adoperandosi perché i quadri fossero disposti in maniera da porre accanto tele eseguite con gamme cromatiche complementari, in maniera da porne ancora più in risalto i colori (uno blu accanto ad uno arancione, uno rosso accanto ad uno verde e così via), conformemente al modo di dipingere proprio del pittore olandese. Bernard scrisse una breve biografia di Vincent già nel 1891. Nel 1911 fece pubblicare l'edizione completa delle lettere a lui scritte da van Gogh.
[Nota 8] Una interpretazione opposta alla nostra è stata sostenuta da Jorge Luis Borges nella sua analisi del riferimento paolino, nelle lettere di van Gogh alla madre.
[Nota 9] (N.d.R.) La traduzione italiana cerca di riprodurre le sgrammaticature dell'originale.
[Nota 10] (N.d.R. Van Gogh, in un contesto diverso dall'attuale, quando molto forte era la diffidenza fra cristiani di differenti confessioni, non esitava a frequentare talvolta liturgie cattoliche e culti protestanti diversi dal suo e ad avere relazioni, anche negli ultimi anni di vita, con preti e suore cattolici e pastori di diverse confessioni evangeliche.
Per altri articoli e studi sui rapporti tra arte e fede presenti su questo sito, vedi la pagina Arte nella sezione Percorsi tematici