Ancora su Pio XII e il suo silenzio, nello sguardo intelligente di J.-D. Durand, di Andrea Lonardo
Riprendiamo un articolo di Andrea Lonardo a commento di J.-D. Durand, Pio XII e la Shoah. La storia tra approccio scientifico e passioni, in J.-D. Durand – U. Gentiloni-Silveri, A. Giovagnoli – M. Impagliazzo, Nel mare aperto della storia. Studi in onore di Andrea Riccardi, Bari-Roma, Laterza, 2021, pp. 225-242. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Resistenza e Liberazione. Per approfondimenti, cfr.
- 1/ I triangoli P ad Auschwitz e l’apertura dei documenti relativi a Pio XII nell’Archivio segreto Vaticano, di Andrea Lonardo 2/ Auschwitz e la Polonia: una memoria complessa e contesa
- Il testo integrale delle relazioni di don Pirro Scavizzi, cappellano militare sul fronte russo, che informarono Pio XII non solo dello sterminio degli ebrei, ma anche dello sterminio dei polacchi cattolici che si andava preparando. Vietate erano le comunicazioni fra il Vaticano ed i vescovi e sacerdoti polacchi
- La riduzione dei polacchi al rango di servi della “razza ariana”, con lo sterminio del clero e della borghesia, nella Polonia occupata dai nazisti. L’«Azione straordinaria di pacificazione» (Ausserordentliche Befriedigungsaktion - AB), di Andrea Lonardo
- 25 aprile, la Liberazione e la Resistenza al di là delle abituali polemiche storiografiche. La vera novità storiografica è che fu veramente un movimento di tutto il popolo italiano a partire dai suoi vescovi fino ai 650.000 giovani internati nei Lager nazisti, di Andrea Lonardo.
- 4 giugno 1944, Roma è salva: il senso della neutralità di Pio XII, di Andrea Lonardo
- Sul 25 aprile, ancora più in sintesi. Breve nota di Andrea Lonardo
Il Centro culturale Gli scritti (4/12/2022)
J.-D. Durand scrive con acutezza a fugare ogni dubbio su di una qualsivoglia presunta difesa dei regimi da parte di Pio XI e Pio XII:
«Il pontificato di Pio XI fu segnato dall'ascesa di regimi politici nonsolo autoritari, ma totalitari, che non lasciavano spazio alla libertà in virtù dell'onnipotenza del partito unico e del suo leader[1].
Quattro encicliche pubblicate tra il 1931 e il 1937, Non abbiamo bisogno (29 giugno 1931), Mit brennender Sorge (14 marzo 1937) sul nazismo, Divini Redemptoris (19 marzo 1937) sul comunismo e Firmissimam constantiam (28 marzo 1937) sui drammi vissuti dai cattolici in Messico,non lasciano dubbi sui sentimenti che questi regimi ispirarononel pontefice e nei suoi collaboratori, in particolare nel suo segretario di Stato, il cardinale Pacelli[2].
Il ruolo di quest'ultimo nella preparazione di Mit brennender Sorge è ben noto. È un testo duro, scritto in tedesco, inviato a tutti i vescovi già il 10 marzo, letto dal pulpito nelle chiese il 21. Ebbe un notevole impatto. Affermò l'incompatibilità del nazismo (mai chiamato per nome, tuttavia) con il cristianesimo, denunciando la deificazione del popolo, della razza, dello Stato. Condannò il mancato rispetto del Concordato da parte delle autorità del Reich, un accordo negoziato dal cardinale Pacelli nel 1933 in un clima di violenza, «un'arma puntata alla tempia», come confidava a un diplomatico britannico[3]. In una nota di protesta, l'ambasciatore tedesco accusò la Santa Sede di non avere mai fatto «nemmeno un tentativo per comprendere la mentalità nazionalsocialista»[4].
Gli anni Trenta mostrano Roma fondamentalmente ostile a regimi senza precedenti nella storia. La fine del pontificato di Pio XI fu segnata da un inasprimento dell'atteggiamento del papa, in particolare per quanto riguardava il regime fascista[5]»[6].
Durand scrive ancora che l’imparzialità di Pio XII non significò per lui neutralità, quasi che le due parti in guerra si equivalessero:
«Stretto collaboratore di Benedetto XV durante la prima guerra mondiale, Pio XII, che scelse come suo motto Opus Justitiae Pax, nell'estate del 1939 moltiplicò le iniziative diplomatiche, anche con l'Italia, per prevenire la guerra e per convincere Mussolini a non impegnarsi nell'avventura di Hitler. Invano.
Anche se condannò l'aggressione tedesca contro la Polonia e l'aggressione sovietica contro la Finlandia, anche se nel maggio 1940 inviò un messaggio di simpatia ai popoli belga, olandese, lussemburghese, francese, Pio XII rifiutò di abbandonare una posizione di imparzialità tra i belligeranti, con la speranza, come nel 1917, di una pace di compromesso attraverso la caduta di Hitler, che avrebbe evitato una vittoria dell'Unione Sovietica. Continuò a denunciare attacchi contro i civili, compresi i bombardamenti aerei. Aveva una grande idea della sua responsabilità di vicario di Cristo, successore di Pietro, che, secondo lui, gli imponeva di essere il «padre comune» e quindi di essere estremamente attento nel suo parlare in pubblico.
Ma questa imparzialità non significava per lui neutralità. Rifiutò di appoggiare la crociata anticomunista di Hitler e sostenne l'impegno degli Stati Uniti nella guerra, aiutando a dissipare i dubbi dei cattolici americani, riluttanti a supportare uno sforzo bellico in alleanza di fatto con l'Unione Sovietica[7]. Nei mesi successivi allo scoppio della guerra, dall'ottobre 1939 al gennaio 1940, fu in contatto con l'opposizione tedesca, attraverso l'avvocato di Monaco Josef Müller. Owen Chadwick scrive: «Mai nella storia un papa è stato impegnato in un modo così delicato in una cospirazione per rovesciare un tiranno con la forza»[8].
Una pista di ricerca poco utilizzata è quella dei flussi finanziari, dello studio degli investimenti del Vaticano nell'industria americana, che contribuirono indirettamente allo sforzo bellico degli Alleati. In questo senso, la storica britannica Patricia McGoldrick ha aperto prospettive fruttuose[9]»[10].
In particolare fu in occasione dell’occupazione nazista di Roma che Pio XII manifestò il suo fermo intento di difendere la popolazione ebraica dell’urbe:
«La Roma pontificia era come un villaggio in cui tutti si conoscevano. La stragrande maggioranza dei prelati era italiana, e ancora più spesso proveniente dalle ex legazioni pontificie, e più precisamente dal Lazio, e aveva frequentato gli stessi seminari. Non era necessario un ordine scritto per far circolare con rapidità un desiderio del papa. Il passaparola funzionava perfettamente: sarebbe bastato parlare di «autorità superiore» affinché tutti capissero cosa voleva il papa. Inoltre, era impensabile che i conventi di suore accogliessero gli uomini e che le monache di clausura rinunciassero al loro isolamento senza avere ricevuto assicurazioni proprio dalla «autorità superiore».
Questa è un'ulteriore prova del fatto che non possiamo aspettarci tutto dagli archivi, ma che una solida conoscenza delle mentalità dei segmenti storici studiati, senza anacronismi, ci consente di formulare ipotesi plausibili»[11].
Ma nel dopoguerra emersero voci che contestavano il silenzio di Pio XII sulla Shoah:
«Dopo la guerra, il silenzio continuò. Pio XII all'epoca godeva di una grande popolarità, ma ciò non impedì l'emersione di interrogativi.
Il 13 dicembre 1945, Paul Claudel scrisse a Jacques Maritain, allora ambasciatore di Francia presso la Santa Sede:
Attualmente nulla impedisce alla voce del papa di essere ascoltata. Mi sembra che gli orrori senza nome e senza precedenti commessi nella storia dalla Germania nazista avrebbero meritato una solenne protesta dal vicario di Cristo. Una cerimonia espiatoria, da rinnovare ogni anno, sarebbe stata una soddisfazione data alla coscienza pubblica. Abbiamo cercato invano di prestare ascolto [Nous avons eu beau prêter l'oreille], non abbiamo sentito se non lievi e vaghi gemiti»[12]»[13].
Durand risponde che tali critiche non si levarono contro nessuno degli altri silenti del tempo, come i leader di Inghilterra, Unione Spovietica e Satati Uniti – e, aggiungiamo noi, nemmeno contro i leader delle forze ebraiche presenti allora in Palestina, come ha sottolineato Elie Wiesel (cfr. su questo la nostra recensione al testo di Wiesel, La nostra colpa comune, in L’ebreo errante, Firenze, Giuntina, 1994[14]).
Durand suggerisce che l’accanimento contro il solo Pio XII - e non parimenti contro gli altri leader del tempo - non può essere spiegato se non con le aspettative che anche chi non condivide la fede cattolica nondimeno nutre verso la Chiesa e il pontefice:
«Ci si può interrogare all'infinito sull'accanimento mediatico attorno alla figura di Pio XII, in suo favore o per metterlo alla berlina.
Si tratta di un vero problema storico per il nostro tempo. I difensori del papa talvolta scorsero un complotto anti-cattolico. I successori di Pio XII aprirono la strada alla sua beatificazione: Paolo VI nel 1965 e Benedetto XVI dichiarandolo venerabile (decreto del 19 dicembre 2009), riattivando così il turbamento nel mondo ebraico e le polemiche mediatiche.
Ma non possiamo piuttosto vedere in tali dibattiti un tributo alla Chiesa cattolica? Non esiste un equivalente per i leader alleati. Né Roosevelt né Churchill, che non reagirono alla persecuzione degli ebrei, ricevettero molta attenzione. La questione del rifiuto degli alleati di bombardare i campi di sterminio e le ferrovie che vi conducevano non è quasi mai stata sollevata. Uno dei primi storici a sottolinearlo fu l'americano David S. Wyman in un articolo pionieristico del 1978[15].
Le polemiche che hanno circondato Pio XII non riflettono un'aspettativa molto forte nei confronti del messaggio della Chiesa? O forse troppo alta? Questo è ciò che intendeva dire Albert Camus, filosofo agnostico, quando scrisse sul quotidiano «Combat» il 29 dicembre 1944:
Aspettiamo da anni che la massima autorità spirituale di questo tempo sia molto chiara nel condannare le imprese delle dittature [...]. Il nostro desiderio segreto era quello di dirlo proprio nel momento in cui il male trionfava e quando le forze del bene venivano imbavagliate. [...] Sia detto chiaramente, avremmo voluto che il papa si schierasse, proprio nel cuore di questi anni vergognosi, e denunciasse ciò che doveva essere denunciato.
Qualche anno dopo, in una conferenza tenutasi nel 1948, tornò sull'argomento dell'attesa di una parola:
Ho aspettato a lungo in questi anni spaventosi che una grande voce si levasse da Roma. Io, un non credente? Certamente. Perché sapevo che lo spirito si sarebbe perso se non avesse emesso il grido di condanna davanti alla forza. Sembra che questa voce si sia levata. Ma vi giuro che milioni di uomini con me non l'hanno sentita e che allora c'era in tutti i cuori, credenti e non credenti, una solitudine che non ha smesso di crescere nella misura in cui i giorni passavano e i carnefici si moltiplicavano. Mi è stato spiegato dopo che la condanna era stata effettivamente posta. Ma essa era stata posta nella lingua delle encicliche, che non è affatto chiara. La condanna era stata emessa, ma non era stata compresa! [...] Ciò che il mondo si aspetta dai cristiani è che i cristiani parlino a voce alta e chiara[16].
A partire da Leone XIII, la Santa Sede si era affermata come una potenza morale, «la più grande potenza morale del mondo», come la definì il segretario di Stato Rampolla[17]. Leone XIII aveva stabilito relazioni con il mondo intero, compresi i sovrani ortodossi (lo zar di Russia), protestanti (la regina d'Olanda, la regina d'Inghilterra, l'imperatore di Germania), musulmani (lo scià di Persia). Il papa diventa un riferimento spirituale unico al mondo. Ci si aspetta molto. Dal presidente degli Stati Uniti o dal primo ministro del Regno Unito ci si aspetta l'espressione di una potenza; dal papa, che non ha mezzi economici o militari a sua disposizione, ci si aspetta una parola. Questo è ciò che sottolineava Émile Poulat quando si chiedeva:
Sarà possibile, un giorno, interrogarsi laicamente, con stupore, sul silenzio pubblico rimproverato a una istituzione - il papato - che i governi erano concordi a escludere dai loro giochi, mentre gli stessi intendevano guidare la politica internazionale al di fuori di qualsiasi intervento religioso, senza altro riferimento che non fosse civiltà e democrazia oppure rivoluzione?[18]
Tale domanda richiede una visione profetica della missione del successore di Pietro. Senza dubbio la croce da indossare era troppo pesante per Pio XII, come suggerisce lo storico Paul O'Shea con il suo libro A Cross too Heavy[19]».[20].
A Durand manca un tassello della questione: gli manca di comprendere come Hitler avesse decretato la morte di 2/3 della nazione polacca – cioè dei cattolici polacchi – poiché egli riteneva gli slavi razzisticamente inferiori quasi come gli ebrei, come abbiamo spiegato in
- 1/ I triangoli P ad Auschwitz e l’apertura dei documenti relativi a Pio XII nell’Archivio segreto Vaticano, di Andrea Lonardo 2/ Auschwitz e la Polonia: una memoria complessa e contesa
- Il testo integrale delle relazioni di don Pirro Scavizzi, cappellano militare sul fronte russo, che informarono Pio XII non solo dello sterminio degli ebrei, ma anche dello sterminio dei polacchi cattolici che si andava preparando. Vietate erano le comunicazioni fra il Vaticano ed i vescovi e sacerdoti polacchi
- La riduzione dei polacchi al rango di servi della “razza ariana”, con lo sterminio del clero e della borghesia, nella Polonia occupata dai nazisti. L’«Azione straordinaria di pacificazione» (Ausserordentliche Befriedigungsaktion - AB), di Andrea Lonardo.
Se si includono negli obiettivi sterminatori del nazismo anche i cattolici polacchi apparentemente la domanda si aggrava: perché Pio XII non pronunciò una condanna contro Hitler che aveva già iniziato lo sterminio del clero e dell’intellighenzia polacca?
Ma, d’altro canto, la domanda trova così anche una diversa contestualizzazione perché si comprende meglio come Pio XII avesse a cuore sia la sorte degli ebrei, sia quella dei cattolici polacchi, ma temesse che una esplicita condanna tornasse ancora più a danno dei polacchi e rendesse così ancora più difficile quella presenza sul campo dei cattolici polacchi che sola poteva qualcosa a beneficio di tutti, mentre niente poteva essere fatto a distanza.
Una condanna esplicita avrebbe comportato un’accelerazione della persecuzione anti-polacca: questo doveva essere il timore del pontefice. È da ritenere che l’apertura degli Archivi della Santa Sede di quegli anni possa mettere meglio in risalto questo aspetto.
Note al testo
[1] J.-D. Durand, Pio XI di fronte ai sistemi politici totalitari, in Il Papato e l'Europa, a cura di G. De Rosa e G. Cracco, Rubbettino, Soveria Mannelli 2001, pp. 293-403.
[2] Le encicliche di Pio XI sono raccolte nel vol. 5 di L'Enchiridion delle encicliche, Dehoniane, Bologna 1995.
[3] E.L. Woodward, R. Butler (a cura di), Documents on British foreign Policy, 1919-1939, Second Series, vol. 5, 1933, H.M. Stationery Office, London 1956, pp. 524-525. Il documento è citato in G. Coco, Il labirinto romano. Il filo delle relazioni Chiesa-Stato tra Pio XI, Pacelli e Mussolini, Archivio Segreto Vaticano, Città del Vaticano 2019, p. 237.
[4] Diego von Bergen, Nota diplomatica dell'Ambasciatore del Reich, 12 aprile 1937, Archivio Segreto Vaticano, AES, Germania, pos. 719, fasc. 316. Si veda anche la lunga risposta del cardinale Pacelli, 30 aprile 1937, ASV, AES, Germania, pos. 717, fase. 317.
[5] De Cesaris, Vaticano, fascismo e questione razziale cit.; E. Gentile, Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismi nell'epoca dei fascismi, Feltrinelli, Milano 2010; L. Ceci, L'interesse superiore. Il Vaticano e l'Italia di Mussolini, Laterza, Roma-Bari 2013. Si veda anche P. Pennacchini, La Santa Sede e il fascismo in conflitto per l'Azione Cattolica, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2012.
[6] Il brano è nel capitolo La posizione antitotalitaria della Santa Sede in J.-D. Durand, Pio XII e la Shoah. La storia tra approccio scientifico e passioni, in J.-D. Durand – U. Gentiloni-Silveri, A. Giovagnoli – M. Impagliazzo, Nel mare aperto della storia. Studi in onore di Andrea Riccardi, Bari-Roma, Laterza, 2021, pp. 227-228.
[7] J.-D. Durand, Voix dans la mêlée. Benoît XV et Pïe XII, in Rome, l'unique objet de mon ressentiment. Regards critiques, sur la papauté, a cura di P. Levillain, École Française de Rome, Rome 2011, pp. 115-134; The Holocaust and the Christian World. Reflections on the Past Challenges for the Future, a cura di C. Rittner, S.D. Smith e I. Stienfeld, Kuperard, London 2000, in particolare il capitolo 6, The Vatican, the Pope and the Persecution of the Jews, pp. 126-147.
[8] O. Chadwick, Britain and the Vatican, Cambridge University Press, Cambridge 1986, pp. 86-99.
[9] P.M. McGoldrick, New Perspectives on Pius XII and Vatican Financial Transactions during the Second World War, in «The Historical Journal», 55,4, 2012, pp. 1029-1048.
[10] Il brano è nel capitolo La scelta di imparzialità durante la guerra in J.-D. Durand, Pio XII e la Shoah. La storia tra approccio scientifico e passioni, in J.-D. Durand – U. Gentiloni-Silveri, A. Giovagnoli – M. Impagliazzo, Nel mare aperto della storia. Studi in onore di Andrea Riccardi, Bari-Roma, Laterza, 2021, pp. 228-229.
[11] J.-D. Durand, Pio XII e la Shoah. La storia tra approccio scientifico e passioni, in J.-D. Durand – U. Gentiloni-Silveri, A. Giovagnoli – M. Impagliazzo, Nel mare aperto della storia. Studi in onore di Andrea Riccardi, Bari-Roma, Laterza, 2021, p. 236.
[12] M. Bressolette, Exégèse d'une correspondance: Paul Claudel-Jacques Maritain, 1921-1945, in «Cahiers Jacques Maritain», 52, giugno 2006, pp. 2-16. La lettera del 13 dicembre è pubblicata nello stesso numero a p. 49.
[13] J.-D. Durand, Pio XII e la Shoah. La storia tra approccio scientifico e passioni, in J.-D. Durand – U. Gentiloni-Silveri, A. Giovagnoli – M. Impagliazzo, Nel mare aperto della storia. Studi in onore di Andrea Riccardi, Bari-Roma, Laterza, 2021, p. 236.
[14] Scrive Wiesel, ma è necessario leggere il saggio nella sua ampiezza: «Il giovane poeta israeliano Haim Gouri ebbe un giorno la curiosità di esaminare negli archivi dei giornali di Tel Aviv le annate 1943-44. Fu un'esperienza sconvolgente. “Non capisco”, mi disse. “Se tu sapessi quali erano i problemi che allora ci occupavano, mentre in Europa... Elezioni comunali a Hedera o altrove: titoli in prima pagina. In un angolo sperduto della pagina un piccolo trafiletto di poche righe: I tedeschi hanno cominciato a sterminare gli ebrei del ghetto di Lublino, o di Lodz...”. Non è colpa del popolo, ma dei suoi dirigenti. Non erano all'altezza. Davano prova di una sorprendente mancanza d'iniziativa, di maturità politica e di coraggio. Nahum Goldmann lo ha confessato recentemente, in occasione di una riunione a Ginevra del comitato esecutivo del Congresso mondiale ebraico. Le grandi organizzazioni ebraiche erano incapaci di superare le loro piccole questioni interne per realizzare un'azione comune. Per tutto il tempo che esistè, il comitato di emergenza per salvare il popolo ebraico fu boicottato da tutti i leader ebrei americani. Anche in questo caso avevano le loro ragioni, i loro motivi: niente alleanze con personaggi non ortodossi come Ben Hecht o Peter Bergson, niente collaborazione con il tale o il talaltro. Ma allora avrebbero potuto creare il loro proprio comitato di salvataggio in seno al quale tutti i partiti, tutte le organizzazioni sarebbero state rappresentate. Questo non è stato fatto. È per questo che non possiamo fare a meno di esprimere questa riflessione: per collocare il processo [ad Eichmann] al suo giusto livello morale, quello della verità assoluta, il procuratore generale Gideon Hausner (o lo stesso primo ministro David Ben Gurion in qualità di testimone) avrebbe dovuto abbassare la testa e gridare a voce alta in modo da farsi udire da tre generazioni: “Prima di giudicare gli altri dobbiamo riconoscere i nostri errori, le nostre debolezze. Non abbiamo tentato l'impossibile, non abbiamo neanche esaurito il possibile”».
[15] D.S. Wyman, Why Auschwitz Was never Bombed, in «Commentary», maggio 1978, pp. 37-49. Dello stesso autore si veda anche The Abandonment of the Jews: America and the Holocaust 1941-1945, Pantheon Books, New York 1984. Riportiamo anche l'opera collettanea The Bombing of Auschwitz: Should the Allies Have Attempted it?, a cura di M.J. Neufeld e M. Berenbaum, University Press of Kansas, Lawrence 2003. Una sintesi nel capitolo Bombarder Auschwitz? nella monografia di A. Wieviorka, Auschwitz, 60 ans après, Laffont, Paris 2005. Si veda anche U. Gentiloni Silveri, Bombardare Auschwitz. Perché si poteva fare, perché non è stato fatto, Mondadori, Milano 2015.
[16] A. Camus, Fragments d’un exposé fait au couvent des dominicains de Latour-Maubourg en 1948, in Actuelles. Chroniques (1944-1948), Gallimard, Paris 1950, pp. 211-219,
[17] J.-M. Ticchi. Aux frontières de la paix. Bons offices, médiations, arbitrages du Saint-Siège (1878-1922), École Française de Rome, Rome 2002, p. 208.
[18] É. Poulat, Prefazione a F. Desmurs, Le pape du silence toujours à l'affiche, Berg International, Paris 2002, p. 8.
[19] P. O'Shea, A Cross too Heavy? Pope Pius XII and the Jews of Europe, Palgrave Macmillian. NewYork 201l
[20] J.-D. Durand, Pio XII e la Shoah. La storia tra approccio scientifico e passioni, in J.-D. Durand – U. Gentiloni-Silveri, A. Giovagnoli – M. Impagliazzo, Nel mare aperto della storia. Studi in onore di Andrea Riccardi, Bari-Roma, Laterza, 2021, pp. 240-242.