Omelia della Veglia della notte di Pasqua 2004 (tpfs*), di don Andrea Lonardo
Veramente la notte di Pasqua è il momento in cui capire finalmente tutta la nostra vita. La possiamo amare di più, perché la poniamo dinanzi alla vita di Dio. Come poniamo la vita dei bambini che fra poco battezzeremo nelle mani di Dio, così facciamo di tutta la nostra esistenza. Nelle due letture dei profeti abbiamo ascoltato che è il Signore che ha creato le stelle, che ha creato il mondo, che ha creato gli animali e che le stelle gioiscono alla sua voce, alla sua presenza. Dio innanzitutto noi lo contempliamo in questa notte come Colui che è l'amante della vita.
E' perché, innanzitutto, Dio ha creato la vita che ci ha invitato, già per questo fatto, insieme a tutti gli uomini, a credere nell'eternità. Vedete questi bambini non potrebbero essere eterni, se Dio non li avesse creati! Noi non preghiamo per loro perché abbiamo paura che muoiano, ma preghiamo per loro perché hanno origine da Dio. Perché se non nascessero da Dio, se la loro origine non fosse Dio, perché dovrebbero vivere per sempre? Il materialismo è proprio la convinzione che tutto è materia, che tutto è caos, tutto è cellule, molecole, ormoni, senza desiderio, senza volontà, senza libertà, soprattutto senza la creazione di un Creatore amante della vita. Ma ciò che non nasce da Dio, come può vivere per sempre? Ciò che è frutto del caso, ha vita eterna? E' perché Dio è all'origine di tutto che i libri della Scrittura lo chiamano “Dio, l'amante della vita”. Già a Natale riflettevamo insieme su come noi non possiamo non comprendere Dio come il Dio felice di essere Dio e di creare la vita. La Scrittura ci parla della varietà degli animali, della natura, delle piante. Questa infinità di specie che esistono, è Dio che l'ha voluta. Dio ha fatto sorgere nell'uomo l'idea di eternità, lo ha preparato all'eternità, dichiarandosi il creatore della sua vita. Nessuna vita umana è un caso! Sapete noi diciamo spesso che una persona che veramente ama è capace di partecipare alla sofferenza di un altro. Certo questo è vero, ma una persona ama veramente un altro soprattutto se è capace di partecipare alla sua gioia. Chi non è capace di partecipare alla vita e alla gioia di un altro non sa amare. Ma non perché è cattivo: perché non ha compreso il Dio della vita e della gioia. Che bella la vita di persone che stanno bene, solo perché vedono un altro stare bene! La caratteristica del credente è di avere talmente nel cuore questo Dio della creazione, della vita e della gioia, da essere felice dell'esplosione della vita. Essere felici di questi bambini, di voi genitori, della vita, del mondo, delle persone, del cosmo, del creato. Perché la vita non è frutto del caso. Realmente nella Resurrezione di Cristo noi vediamo non un meteorite estraneo alla nostra vita, ma il compimento dell'opera che Dio ha cominciato.
La tragedia dell'uomo è la sua pretesa di essere felice senza volere e sapere partecipare alla gioia del fratello ed alla gioia di Dio! Noi non siamo felici non perché ci manchi qualcosa, ma perché pretendiamo di essere felici senza gli uomini e senza Dio! Non appena partecipiamo alla gioia dell'uomo, del creato, e soprattutto, del Creatore, ecco che nella vita sgorga il ringraziamento. Essere nella gioia ed essere nella gratitudine, in fondo, è la stessa cosa!
Ma prima ancora di essere Dio il Creatore, Dio è il Dio della vita perché Dio è amore in se stesso. Dio è già nella gioia prima ancora che esistessero questi bambini ed i loro genitori ed i loro nonni. Perché sono il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo che si amano. E' il mistero della Trinità. Noi sulla terra abbiamo capito questo, noi comprendiamo la croce di Cristo come il mistero del Padre che dice al Figlio: “Tu amerai”. Ed il Figlio che dice: “Sì Padre, io ti amo, chiedimi qualunque cosa e nell'amore la donerò”. E la Resurrezione è il mistero del Padre che richiama il Figlio alla vita, che lo ridesta. E lo Spirito è il dono di questa vita donata agli uomini. Questo Dio della vita, prima ancora che il mondo esistesse. L'incarnazione e poi la croce e poi la resurrezione rivelano a noi uomini ciò che Dio è da sempre e come è la sua vita nell'amore delle tre Persone!
Ed è per questo che nella lettura di Ezechiele abbiamo ascoltato che Dio “fa le cose per amore del suo nome”. Sapete, chi di noi fa le cose per amore del proprio nome è un imbecille. Chiunque di noi è infastidito da uno che dice sempre “io”. Chi dice: “Io ho fatto questo, io ho sofferto questo, io ho fatto quest'altro, ecc.”. Io, io e sempre io! A Roma diciamo: “Chi si loda, si sbroda!” Per una creatura fare le cose a lode della propria gloria è il disastro più grande. Quando uno chiede l'attenzione per sé ecco che gli altri gliela rifiutano. E giustamente! Dio è l'unico che può dire: “Io faccio le cose per la mia gloria”. Perché è il bene dell'uomo lodare Dio. L'uomo che non arriva a ringraziare Dio, ha fallito la sua vita. Dio “deve” chiedere all'uomo di lodarLo, perché l'uomo non sarà mai felice se non arriverà a ringraziare Dio.
In questa notte noi ascoltiamo tutta la storia della Salvezza: la Creazione, il passaggio dell'Esodo, attraverso i profeti l'annunzio della Salvezza e poi il battesimo, proprio perché noi ringraziamo Dio dell'opera che Lui ha fatto. Dio deve chiedere a noi di lodarlo. Ce lo deve chiedere per amore perché è la nostra stessa identità, è la nostra vita.
Vedete, noi comprendiamo in questa notte anche - sarebbero dei discorsi lunghissimi – come la Chiesa annunzi che in Dio non c'è il Male, anzi come Egli sia il nemico del male e sia il “vittorioso sul male”. L'uomo lo aveva già intuito in qualche modo. Un filosofo dell'antichità, Plotino, aveva detto: “La natura del Bene era già ciò che è, prima delle altre cose, quando il male ancora non c'era” (Enneadi , VI, 7, 23).
Ma è questa notte che ci fa comprendere e vivere la lotta di Dio contro il male. “Il male non è in Dio, né ha in sé nulla di divino, né viene da Dio” ha scritto lo PseudoDionigi Areopagita, autore cristiano, nel Trattato sui nomi divini, quasi parafrasando 1Gv 1,5: “Dio è luce e in Lui non ci sono tenebre”.
Dio è il Bene ed è il Creatore del bene. Il bene, nelle creature, è forzatamente limitato – questo lo avevano già compreso i pensatori non cristiani, avevano capito un aspetto del male come mancanza di bene, come bene non perfetto, dal momento che ogni creatura è limitata e soggetta alla morte. Dio dando la libertà agli angeli e agli uomini è andato molto oltre! Dio ha creato la possibilità di essere rifiutato. Il Male non è solo assenza di Bene, ma è opporsi ad esso, opporsi a Dio Creatore, rifiutarsi di lodarlo, di seguirlo, rifiutare la Sapienza che Dio ci ha donato. Ecco allora il grande dramma dell'uomo! Ed ecco l'Incarnazione, la Risurrezione, la liberazione dal peccato. E' l'opera di Dio dove l'uomo, per il peccato d'origine e per tutti i peccati che l'hanno seguito, ha sciupato questa bellezza della creazione, della propria vita e della vita degli altri. E prima ancora dell'uomo l'hanno sciupata gli angeli decaduti.
Vedete questa notte è una notte di speranza. Ma perché l'uomo ha bisogno di sperare, eppure non spera? Pensate a quanto è facile che accada – e forse questo tempo si caratterizza proprio per questo - una miopia verso il futuro. Quante persone non riescono ad avere un progetto che vada al di là di un anno? Lavorare per qualcosa che duri tutta la vita, vincere la paura di sposarsi, di rifiutare un bambino, diventando padri o madri, rinunciare al sorgere di una vocazione al sacerdozio od alla vita religiosa.
Perché è solo per la speranza che si ha nel cuore che si chiama un altro a vivere, che si progetta un futuro di servizio. Pensate a quanto disagio mentale, che non nasce dalla cattiveria, ma nasce proprio da una mancanza di speranza, di persone che danno coraggio, di punti di riferimento. Questa ansia che l'uomo ha per il peccato, perché ha perso la fiducia in Dio, ha perso questa comunione che dice a lui: “La tua vita è amata, tu puoi fare il bene. Tu lo farai”. Ecco anche la tragedia del terrorismo, così simile a tante altre realtà, con la sua idea del “tanto peggio, tanto meglio”! Sappiamo tragicamente che, se anche l'ONU intervenisse - e magari lo facesse, anzi dobbiamo lavorare perché questo avvenga - sarebbe a sua volta attaccato, come già è avvenuto mesi fa, come è stata attaccata la Croce Rossa, perché il fine del terrorismo non è quello di costruire, ma quello di distruggere. Il suo fine è proprio quello di distruggere ogni possibilità di dialogo. Guai a confondere il terrorismo con la difesa dei poveri. Sono due discorsi distanti anni luce tra loro. L'uomo che vuole uccidere il futuro! Il terrorismo è veramente nemico dei poveri, ed è ciò che più ancora di qualsiasi altra cosa deprime la possibilità dei popoli di crescere e crea problemi su problemi alle generazioni che verranno. Il difficile è costruire, non distruggere. L'opera della speranza non è devastare, ma proporre ipotesi di soluzione che possano essere accettate dalle varie parti e che indichino vie di cultura, di libertà religiosa, di crescita delle persone, degli uomini e delle donne e di ogni etnia.
Così la paura di prendere una decisione! Vediamo quanto è difficile trovare una persona che dinanzi ad un problema abbia il coraggio di dire: “Prendiamo una decisione, costruiamo, facciamo questo”. Però, nei disastri che il peccato degli angeli e dell'uomo hanno combinato, Dio non ha mai lasciato l'uomo. In tutto questo disastro del peccato, in questo non voler mai fidarsi di Dio e del suo futuro, l'uomo, per altri aspetti, ha continuato a credere, per la Grazia di Dio Creatore, nel futuro. La meraviglia dei bambini - guardate, anche quelli delle famiglie non cristiane! La grandezza della gioia del cristianesimo è questa capacità che Dio ha dato a qualsiasi uomo di fare una famiglia, di far nascere la vita, di commuoversi per un povero e di condividere la sua fatica, di scegliere di aiutare gli altri, di costruire, di lavorare, di pensare, di progettare.
Dinanzi a noi, dinanzi all'uomo che è sempre a rischio, lasciato a se stesso, di perdere la speranza, il futuro, Dio non ha mai smesso di creare la “natura” stessa, la vita stessa, il cuore, l'intelligenza, perché l'uomo comunque avesse forza e internamente si accorgesse di desiderare la speranza. Mi colpiva, durante il viaggio in Turchia, in un Paese lontano per certi aspetti dal mondo cristiano, vedere la meraviglia della primavera. Pensavo con quale profonda unità Dio ha pensato il genere umano. C'è la stessa primavera dappertutto, gli stessi alberi - o anche di specie diversissime - che fanno fiori e frutti. Dio, anche non accolto da nessuno, dà la meraviglia della sua opera, della sua Grazia.
Ma questa notte annunzia, vedete, che questo nostro desiderio di speranza, di futuro - perché chi pensa solo al presente perde tutta la vita, chi non sa dove andrà, chi non guarda lontano, sta perdendo anche il suo presente e il suo passato - viene radicato però nella Resurrezione di Gesù. Non siamo noi a dire cos'è il futuro, ma è Gesù a dire che il futuro è nelle sue mani. Vedete, il fatto che siano gli angeli ad annunziare la Resurrezione, è proprio la forza con la quale il Vangelo dice che la Resurrezione non la facciamo noi. Nessuno di noi può dare la Resurrezione ad un altro, né a se stesso, né a nessun'altra persona su questa Terra. Sono gli angeli che dicono: “Il Padre ha donato la vita al Figlio suo Gesù Cristo” o, che è la stessa cosa, “Il Figlio è resuscitato ed è salito al Padre”. E' l'annunzio che viene solamente da Dio. Dinanzi all'uomo che costruisce il futuro come lotta tra i popoli, le etnie, le classi sociali – così l'uomo ha pensato il futuro o l'utopia di esso nei secoli – dinanzi all'uomo che pensa al proprio futuro come se fosse solo nelle sue mani, questa notte annunzia che è Gesù il cuore del futuro, il cuore della speranza. Vedete la speranza è - tante volte ne abbiamo parlato - come la fede. Non basta dire “io credo”, perché la domanda forte è: “In chi credo?” Perché la fede ha un contenuto. Se tu non sai dire in chi credi, quella fede è una pura emozione, è un sentimento vuoto, non significa nulla. Così nell'amore, io amo una persona, ma poi mi accorgo che amo uno che tradisce, che non è fedele, che è stupido, sciocco. Per amare una persona devo davvero conoscerla. Così è per la speranza. La speranza ha senso in relazione al contenuto di questa speranza. S.Tommaso d'Aquino diceva che l'atto è specificato dall'oggetto, l'atto di sperare dipende da chi è la persona nella quale io spero. Vedete questa speranza che è fortissima, che è l'origine di ogni speranza, la speranza di questa notte, è quella che abbiamo cantato venerdì santo: “Niente potrà, da questa notte in poi, mai più separarci dall'amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore”. Qualsiasi cosa accada a noi, agli angeli, agli uomini, alle generazioni, nessuno potrà mai più toglierci l'amore di Cristo, perché l'amore di Dio è Cristo. Niente potrà mai strapparci questa comunione con Dio, nessuno potrà mai più separarci da questo. Ieri, sabato santo, sembrava che per un attimo il Signore Gesù fosse lontano da noi; sembrava non dicesse più niente, per il suo essere nella tomba. Ma da questo giorno in poi, da questa notte, è la certezza della sua presenza sempre con noi.
Comprendiamo così come la fede, la speranza e la carità, le tre grandi virtù che solo da Dio possono venire all'uomo - la Chiesa le chiama virtù teologali - nascono tutte da Gesù. Come si può sperare senza credere? Tanti autori hanno parlato della speranza, ma da atei. Mons. Fisichella ha raccontato in una sua conferenza di uno scrittore che parlava della speranza come di una donna che non vede niente, una donna che è cieca ed accoglie chiunque si rivolga a lei. Lei non sa, brancola nel buio, sta vicino ad un suicida che si è appena suicidato e anche il suicida in qualche modo crede che il domani sarà migliore, ma non sa niente di quel domani. Invece la speranza è sorella della fede, perché la fede sa che Cristo è il cuore del mondo e la speranza crede e si affida e dice: “Io ho speranza in te, in Cristo risorto”.
Ma anche la fede senza la speranza è niente, perché la fede invecchia, smette di attendere, di gustare il giorno che passa, il domani che verrà, il costruire qualcosa di nuovo, senza la speranza. La fede senza speranza muore, come la speranza senza fede diventa insignificante. E' poiché credo nella Trinità che la mia speranza si rinnova continuamente e rinnova la mia fede ed il mio sguardo sulla vita. Ma la speranza e la fede senza l'amore sono vuote, sono nulla. Perché la Chiesa spera la Salvezza del mondo intero? La Chiesa ci invita, a differenza delle altre religioni, a differenza dell'ateismo, a credere alla possibilità che Dio salvi il mondo intero. Questo è possibile solo con l'amore. Solamente chi ama Dio stesso ed ama che Dio stesso ama gli uomini, acquista questa speranza che diventa amore per tutta l'umanità.
Ed ora veniamo a questi battesimi che tra poco si compiranno. Vedete, questa speranza che Dio ha dato ad ognuno di noi, l'ha data anche a tutta la Chiesa insieme. S.Paolo dice: “Una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati”, come una è la fede, è la Chiesa, una è l'Eucarestia, uno è il Battesimo, così una sola è la speranza. E' la stessa dei nostri nonni, dei nostri bisnonni, dei nostri trisnonni, degli antenati, del Papa, dei Santi, dei martiri, del popolo, di ogni persona. E' una sola la speranza, è la speranza che il Signore ha dato a tutti quanti noi. Uno potrebbe dire: “Cosa è cambiato con la resurrezione di Cristo? Il mondo è peccatore come prima, dov'è la speranza? Gesù è risorto e le persone fanno le stesse sciocchezze che hanno sempre fatto, hanno la stessa indifferenza, la stessa difficoltà a perdonare, si deprimono come prima. Ma il Signore annunzia che in questa notte nasce la Chiesa. La Chiesa è veramente l'opera di Dio che cammina in questo mondo, è l'opera di Dio che si realizza ed è questa speranza che diventa realtà. Per questo è sciocco chi dice: “Io scelgo Cristo, ma rifiuto la Chiesa”, perché perde proprio quel segno che Cristo ha posto come germe. Se non fosse vero questo, che senso avrebbe il battesimo dei vostri figli? Vedete la Chiesa è la madre che dà il dono di Cristo a noi. Amiamo questa espressione bellissima che questa notte risuona della “Chiesa che è madre”.
Torno a ripeterlo, se c'è una cosa che accomuna tutti i sacramenti, è che nessuno se li può dare da solo. Il perdono della confessione che tanti di voi hanno ricevuto durante la Quaresima, l'Eucarestia, il battesimo, la cresima, il matrimonio, il sacerdozio che riceverà Andrea, la forza per chi è nella malattia, è sempre un altro, è la Chiesa madre, che ti dona queste realtà perché tu la abbia. Ma la Chiesa, dandoti i sacramenti, dandoti la forza di Cristo, ti rende corpo di Cristo. Da questo momento in poi questi bambini non saranno mai più separati da Cristo, perché la Chiesa veramente non è solo fatta dalle famiglie che si amano, che si vogliono bene, non è solo un popolo, una città, una parrocchia, ma è la presenza di Dio sulla terra. I bambini diventano corpo di Cristo, e dovunque c'è un cristiano, un battezzato, il Signore è lì con lui. Niente appare cambiato, ma in realtà tutto è cambiato perché realmente Cristo è legato alla nostra vita, è legato alla vita dei vostri figli. Ecco celebriamo ancora la gioia di questa realtà che diventa vita, diventa sacramento, diventa chiesa, diventa speranza e futuro, diventa desiderio di costruire, di donare la vita a nuovi bambini, di aiutare ogni bambino a diventare grande, ad essere libero, a diventare protagonista della propria vita ed a trasmettere a sua volta il dono ricevuto. E' il Cristo che risorge ma in Lui è la nostra vita che diventa nuova, è realmente la possibilità di vivere la vita come vita nuova perché niente ormai ci potrà più separare dall'amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore. E così sia.