In morte di Gian Luigi Prato, maestro e caro, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Sacra Scrittura.
Il Centro culturale Gli scritti (20/11/2022)
Prato è stato un gigante. Certo nell’ambito specifico della sua metodologia che era quella scientifica - quella “storico-critica” come si usa dire con fare ridondante negli ambienti biblici.
Le sue lezioni sono state illuminanti per la loro scientificità. Ogni parola era pesata, confrontata con ogni possibile posizione, con un aggiornamento impossibile alla maggior parte degli studiosi.
Ricordo con nostalgia la passione che mi ispirarono le ore in cui presentava luogo per luogo le fortificazioni delle antiche città dell’età del ferro in Israele, per affermare che non vi era traccia di eventi bellici che sostenessero l’idea di una conquista. Con lo stesso spirito critico indagava sui re dell’Israele ancora unitario, ponendo seriamente in dubbio i racconti davidici.
Solo anni dopo, proseguendo la ricerca se gli eventi veterotestamentari fossero solo narrazioni o anche attestazione di eventi, mi resi conto che i profeti più antichi già parlavano di Mosè e di Davide, anche se non è dato sapere cosa conoscessero dei racconti che ora sono nel Pentateuco.
Da lui ho imparato che i cananei sono i fenici dell’interno e che la loro lingua è quella che si ritrova in tutti i siti fenici antichi – notazione di un interesse mostruoso che mai ho sentito ripetere da altri.
Ricordo le sue lezioni su Caino e Abele dove egli – sempre a partire dall’esegesi storico-critica – sosteneva a ragione una lettura che mi apparve indubitabile nella sua analisi.
Caino aveva fatto sacrifici, ma la sua vita non aveva avuto fortuna, mentre Abele aveva offerto sacrifici analoghi e tutto gli era andato per il verso giusto. Insomma il gradimento divino del sacrifico, compreso nel contesto dell’epoca, significava il successo di vita, il successo familiare, il successo nel lavoro.
Il mancato gradimento, invece, l’insuccesso. Perché per questo si offriva un sacrificio: perché Dio desse “successo” alle opere che si intendevano compiere.
Ecco allora la questione di Caino e Abele: quando tuo fratello ha successo e tu invece fallisci, il peccato si affaccia al tuo cuore e tu desideri non vederlo, non incontrarlo, perché ti ricorda la disparità delle sorti, perché il suo successo ti fa male. “Il peccato è accovacciata alla porta del tuo cuore”, è accovacciato quando la sorte di tuo fratello è migliore della tua. Una lettura incredibilmente vera, sia dal punto di vista esegetico, che dal punto di vista esistenziale.
Una persona è un maestro quando le sue parole ti restano impresse, ti hanno fatto cogliere cose nuove e indimenticabili.
Ma tale profondità culturale del prof. Prato riguardava ogni ambito del sapere. Ricordo una sua visita guidata ad una mostra sulle Crociate, in cui iniziò dicendo che esse erano rivolte non contro gli arabi, ma contro l’incipiente pericolo turco – nel 1071 le popolazioni che poi saranno definite turche si presentarono per la pima volta in Anatolia e sconfissero i bizantini a Manzikert. Subito l’impero di Costantinopoli comprese che quel pericolo era gravissimo, più grave del pericolo arabo che fin lì era stato in grado di fronteggiare. E chiesero aiuto ai latini che decisero la prima crociata.
Di fatti i turchi distrussero non solo i bizantini, ma anche gli arabi e per ben otto secoli gli arabi furono soggiogati da una diversa popolazione musulmana, quella turca che li impoverì.
Mai qualcuno mi aveva spiegato che le Crociate affrontavano i turchi e non gli arabi.
Per tornare agli studi biblici, memorabili furono le sue lezioni di critica testuale, quando spiegò dell’importanza della LXX greca tradotta da maestri ebrei che dal punto di vista testuale poteva attestare un testo ebraico più antico del Testo Masoretico come nel caso di Dt 32,8 (noi traduciamo “divideva i popoli secondo il numero degli Israeliti” – incomprensibile -, la LXX “secondo il numero degli angeli”, cioè “dei figli delle divinità”).
Memorabili le sue lezioni sul testo consonantico di Qumran che, in alcuni passaggi non decisivi, ma comunque importanti, è diverso dal Testo Masoretico, segno di un progredire del testo che non può essere nascosto, quasi non ce ne fossero attestazioni – il mio libro La Parola si è fatta carne e non libro deve a lui i capitoli in cui si spiega che la fede ebraico-cristiana non possiede un testo delle Scritture stabilito in maniera assoluta, per cui non esiste una Sola scriptura anche solo perché esistono versioni che attestano lezioni originarie diverse di passi biblici diverse, sulle quali non è possibile giungere ad una definizione indubitabile.
Il suo rapporto con gli studiosi delle università non pontificie lo rendeva incredibilmente aperto. Ricordo i suoi riferimenti agli studi di Mario Liverani, invitato proprio da lui all’Associazione Biblica Italiana, che difendeva a ragione la costruzione ideale dei figli di Giacobbe, quasi che ognuno portasse il nome di una tribù poi nota storicamente (come se Italo avesse come figli Ligure, Lombardo e Laziale).
Ma Prato non era solo il docente più competente che abbia mai conosciuto – scriveva alla lavagna in ugaritico, in accadico, in geroglifico egiziano.
Era anche umile, cosa rarissima in studiosi del suo calibro: era buono, era disponibile a qualsiasi domanda e colloquio.
Ho scoperto poi che era giusto: alla notizia del concepimento della sua bambina non ebbe dubbi, la sua nascita meritava l’abbandono di tutto, tutto doveva essere lasciato per lei.
La notizia generò sconcerto, ma manifestò la sua serietà, il suo senso di responsabilità, la sua giustizia.
Bellissimo è, peraltro, che i suoi figli portino nomi biblici, come Noemi e Davide, segno che le storie veterotestamentarie sono bellissime e “vere”.
Il limite dell’esegesi di Prato era che non leggeva le Scritture secondo lo spirito dell’unità delle Scritture e in chiave tipologica, “nello stesso Spirito con cui sono state scritte”, come afferma Dei Verbum.
Questo gli impediva di cogliere tutta la ricchezza del testo biblico, eppure Noemi e Davide sono i nomi che ha scelto per i suoi figli amati, insieme a Pinuccia.
Il suo carattere garbato, delicato e timido lo rendeva un solitario, anche se, paradossalmente, sapeva essere veramente amico. La leggenda voleva che egli vivesse nella biblioteca del Seminario Lombardo, mentre non fosse abituale vederlo concelebrare con gli altri.
Eppure era attentissimo alla vita della chiesa e amava sostenerla. Lo invitai a parlare di Qumran e della civiltà egizia a Santa Melania – quelle memorabili lezioni sono on-line a questi link:
- Qumran, mito e realtà, di Gian Luigi Prato
- Il Museo Egizio di Torino: una introduzione alla visita, di Gian Luigi Prato
- La creazione nei racconti del Vicino Oriente Antico, di Gian Luigi Prato
Quando ero direttore dell’Ufficio catechistico nacque l’idea di sostenere i catechisti di ogni prefettura con tre incontri l’anno su questioni decisive ed un anno si scelse il tema della Genesi, dei racconti di creazione per restituire ai catechisti la capacità di commentare in maniera entusiasmante Genesi 1-11 nell’Iniziazione cristiana.
Ebbene, una sera mi preparavo a parlare della creazione ad un incontro dove c’erano centinata di catechisti e lo vidi arrivare a salutarmi, dicendomi che era venuto per ascoltare la mia relazione. Io, imbarazzatissimo, gli dissi: “Professore, ma la prospettiva con la quale affronterò il tema utilizzerà i suoi studi, ma anche metodologie diverse da quelle che ho appreso da lei!”.
Mi rispose che era contento di essere lì, di ascoltarmi, che era importante che i catechisti mi ascoltassero. Restò fino alla fine dell’incontro, ascoltò le domande dei catechisti e le risposte e mi fece i complimenti. Io mi vergognai ancora di più. Anche quella volta dimostrò di essere non solo un uomo raffinato, capace di amicizia, al punto di venire umilmente ad ascoltare la relazione di un suo alunno ai catechisti! Dimostrò di essere un uomo ecclesiale.
Il suo parroco, nell’omelia per il suo funerale, ha ricordato come ogni domenica – o spesso al sabato sera – venisse in parrocchia per la messa e come, alla richiesta se avesse voluto l’Unzione degli Infermi e il Viatico, sentendo avvicinarsi la fine, avesse risposto, vigile, di sì.
È stato per me un maestro, l’ho seguito in corsi e conferenze ogni volta che potevo – una volta stetti una settimana con lui a Pragelato, dove teneva ancora una volta un corso su Genesi 1-11.
Ci siamo incontrati – e cercati – raramente, ma in momenti forti della vita. Con queste parole voglio rinnovare la mia gratitudine e la mia ammirazione.