Perché non funziona una parrocchia affidata a laici o a diaconi, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Catechesi e pastorale.
Il Centro culturale Gli scritti (14/11/2022)
Un bravissimo prete di una diocesi con molti piccoli paesi mi racconta delle sue perplessità sull’affidamento di parrocchie a laici o diaconi, in particolare di parrocchie piccole di montagna o di piccoli paesi (ma, attenzione, le ragioni riguardano anche altri casi).
Ha due serissime obiezioni.
1/
La prima è pratica e gli deriva dall’esperienza.
Una parrocchia affidata a qualche laico del paese o ad una famiglia diviene ben presto asfittica.
Più il paese o il quartiere è piccolo e più diviene asfittica.
La famiglia che la guida tende a costruirsela a propria immagine e a non essere equanime con le altre famiglie.
Se poi subentra qualche lite, è la disgregazione, per cui chi non è legato alla famiglia che presiede se ne allontana.
Ancor più se subentra qualche motivo politico, se ad esempio nel piccolo paese si crea un antagonismo politico fra famiglie che appoggiano candidati a sindaco diversi.
Da un punto di vista pratico il grande vantaggio, invece, della presenza di un prete è che è una figura esterna, che viene da fuori e non è implicato in beghe familiari. Venendo da fuori può essere più giusto nei giudizi, senza lasciarsi condizionare affettivamente da questa o quella famiglia.
Il suo permanere poi è solo di una decina d’anni o più, poi ne subentra un altro. Questo permette a chi viene dopo di avere uno sguardo più distaccato e di dire quei no che servono a crescere e che chi è del posto non ha più il coraggio di dire per paura di inimicarsi questo o quello.
2/
La seconda ragione è teologica.
È l’eucarestia che raduna la chiesa e non sono i cristiani da soli a scegliersi l’un l’altro e non è nemmeno la semplice appartenenza ad un determinato posto a generare la chiesa.
Solo la celebrazione dell’eucarestia fonda in senso teologico la chiesa.
Per questo è bene che ci sia una messa domenicale in un solo luogo, se è possibile raggiungerla anche dagli altri paesi.
Di solito è bene celebrarla nel paese più grande, dove comunque tutti si recano perché ci sono i negozi o la banca o altri uffici.
Nei paesi più piccoli il mio amico suggerisce di fare la messa solo nei giorni feriali, per i più anziani.
È bene fare anche la catechesi dei bambini se in quel paese vi sono le scuole elementari.
L’oratorio, invece, è bene che sia in un solo luogo per avere un numero di persone sufficienti a farlo funzionare bene e a portare allegria a tutti.
3/
Anche qui interviene una ragione pratica: dove si è troppo pochi, dove non si respira a pieni polmoni, le dinamiche interpersonali tendono a irrigidire ciascuno nel proprio ruolo e questo ben al di là del ruolo del presbitero.
Ascoltandolo, comprendo bene come abbia ragione.
Non basta che siano i laici a guidare al posto di un prete perché una parrocchia sia più sinodale.
La sociologia insegna che ovunque si instaura una società umana, lì si crea una gerarchia e lì si esercita l’autorità.
Non è assolutamente vero che dove manca il prete ci sia più sinodalità o maggiore responsabilizzazione.
Semplicemente al posto del prete è un laico che guida e quel laico può essere più autocentrato di un prete.
Si scherza spesso dicendo che esistono le vice-parroche o laici clericali.
È esattamente così.
Alcuni amici sacerdoti che hanno esercitato il ministero in Svizzera mi raccontarono precisamente questo: che dove è il consiglio pastorale che guida, in realtà sono le famiglie al potere da anni che detengono il potere e chi non è d’accordo con loro non può nulla.
Non c’è per niente una maggiore “democrazia”, bensì il “potere” è esercitato da qualcuno che non è prete, ma sempre “potere” resta, anzi può essere ancora più escludente.