Camminare affondando nella sabbia o immobili nel traffico: una metafora di ciò che si deve superare nei cammini ecclesiali e nella riforma sinodale, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Ecclesiologia e Teologia pastorale.
Il Centro culturale Gli scritti (14/11/2022)
Esercizi spirituali in una casa in riva al mare. Su suggerimento della predicatrice cammino. Ma, non appena i passi si posano sulla sabbia il cammino diventa lentissimo. E pesante. E stancante, estenuante. Non si può avanzare tutta la vita a quel passo.
Gli uomini, però, vi costruiscono sopra percorsi con mattonelle o con assi di legno, per rendere più agevole la strada. L’esperienza permette così non solo di sostare sulla sabbia, ma anche di camminare più velocemente, senza che i percorsi più veloci offuschino la bellezza del mare.
Mi torna in mente l’angosciante traffico della città. Certo non lo si può evitare, ma chi è intelligente approfitta delle ore del mattino per dirigersi nei luoghi dove lavorare o incontrare persone, altrimenti la stasi è quasi totale.
Chi presiede al cambiamento deve accogliere ogni suggerimento per costruire nuovi percorsi e modalità e itinerari, ma guai se persone e comunità venissero immobilizzate, come costrette a camminare eternamente sulla sabbia o nel traffico.
I momenti di verifica, di revisione, di trasformazione anche radicale, debbono avere dei tempi stabiliti, dei tempi non eterni, al fine di generare passaggi che permettano di “sorpassare” la sabbia e di “evitare” il traffico.
Guai se si camminasse sempre sulla sabbia e nel traffico.
Il discutere porterebbe allora non ad avere “ospedali da campo” che si possono allestire e spostare velocemente per venire incontro ai bisogni dell’uomo, bensì diverrebbe struttura pesante che mortificherebbe ogni libertà, ogni creatività.
La riflessione e la discussione deve condensarsi in esperienza, perché è ciò che è solido e non “sabbioso” che permette a tutti di percorrere una strada buona, senza dover aspettare mesi e anni per poter fare un passo.
Anzi proprio il crescere di una scioltezza nei processi decisionali comunitari, diocesani, nazionali e globali dovrebbe essere il segno che il processo sinodale sta andando a buon termine.
Proprio la snellezza di un’approvazione della bontà di un cammino, di un’iniziativa, di un gesto coraggioso, divengono il segno di un cammino sinodale vero e non all’opposto mortificante.
Quando si cammina in montagna si dice che un sentiero è segnato, per indicare che non ti farà perdere nella boscaglia. Si dice che un sentiero è consolidato, cioè è comprovato nella sua solidità dall’esperienza. Si dice che è un sentiero è battuto, per dire che i tanti che lo hanno percorso ne assicurano la percorribilità e la bellezza proprio perché il loro passo ha schiacciato le erbacce, ha strappato i pericoli, ha eliminato i tronchi trasversali. Resta un sentiero da percorrere, è in alta montagna, è immerso nel creato, ma è anche battuto.
Ecco, dopo un percorso sinodale bisogna arrivare a questo. Bisogna percorrere tutto il cammino sinodale ed esserlo sempre, ma per arrivare non troppo tardi a sentieri battuti che si possano percorrere speditamente.