La Danza della morte a Pinzolo e Carisolo, all’esterno delle chiese di San Vigilio e di Santo Stefano, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito uno studio di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Arte e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (30/10/2022)
1/ Le Danze della morte dei Baschenis a Carisolo e Pinzolo e il loro “meccanismo” teologico differente
La rappresentazione in affresco della Danza della morte da parte dei Baschenis nelle chiese di San Viglio a Pinzolo e di Santo Stefano a Carisolo non aveva assolutamente il compito di spaventare, dato che tali chiese erano cimiteriali e vi si andava – e vi si va – a pregare per i defunti. Invece, tali affreschi avevano ed hanno il compito di offrire parole e immagini all’esperienza della morte.
L’affresco di Carisolo è il più antico, recando la data del 1519: Simon De Baschenis Pingebat Die 12 Mensis Julii 1519.
La Danza è eseguita immaginando la morte che esegue una musica ed, infatti, le prime tre figure scheletriche suonano zampogna e tromba, aprendo la danza: proprio il forte contrasto della morte che è immobile e immobilizza e della danza che, invece, la segue, mostra subito uno stridente contrasto.
Ma subito è chiaro il senso teologico del corteo che non ha solo il compito di ricordare che tutti moriremo – il classico Memento mori –, ma anche quello di attestare che la morte stessa è sottomessa a Cristo e, quindi, destinata a cedergli il passo.
Infatti, l’iscrizione che accompagna le figure recita innanzitutto le parole della morte stessa:
«Io sonte la morte che porto corona
sonte signora de ognia persona».
La morte è, insomma, signora apparentemente onnipotente e onnipresente.
Ma subito è il Cristo che si rivolge a chi guarda l’affresco e dice:
«O tu che guardi pensa de costei,
la me a morto mi, che son signor de lei» - “Lei ha ucciso me che sono signora di lei!”.
Ecco che esiste un signore della stessa signora morte: come lei sconfigge tutti, così il Cristo sconfigge lei e riporta tutti alla vita.
Questa è la chiave di lettura della Danza della morte di Carisolo. Essa comincia sì in fondo a destra con il cavaliere della morte che scaglia frecce e trafigge chiunque, conducendolo alla morte, ma si chiude infine con il “dialogo” sulla signoria finale, fra la morte e il Signore.
L’affresco della Danza della morte di Pinzolo, datato da un cartiglio che è subito dopo il cavallo della morte al 25 ottobre 1539 e firmato da Simone II Baschenis – posteriore quindi di venti anni a quello di Carisolo -, ha, invece, una modalità teologica e spirituale differente per annunciare lo stesso messaggio: la sconfitta della morte.
È sempre la morte a parlare per prima, con parole ancora più altere e forti di quella di Carisolo:
«Io sont la morte che porto corona / Sonte signora de ognia persona / Et cossì son fiera e dura / Che trapaso le porte et ultra le mura / Et son quela che fa tremar el mondo / Revolzendo mia falze atondo atondo.
Ov’io tocco col mio strale / Sapienza, beleza forteza niente vale. / Non è signor, madona nè vassallo / Bisogna che lor entri in questo ballo / Mia figura o peccator contemplarai / Sinche a mi tu diverrai».
Anche qui la morte si presenta implacabile, annunciando che, nella sua fierezza e durezza, fa tremare il mondo e che dinanzi a lei nulla vale, né sapienza, né bellezza, né fortezza. Tutti debbono entrare nel ballo della morte e tutti verranno a lei.
Ma ecco che qui, a differenza di Carisolo, non è il Cristo che si rivolge allo spettatore, bensì la morte stessa che invita a guardare al Salvatore:
«Non ofender a Dio per tal sorte / Che al transire non temi la morte, / Che più oltre no me impazo in be’ nè in male, / Che l’anima lasso al giudice eternale. / E come tu avrai lavorato / Lassù hanc sarai pagato.
O peccator più no peccar no più / Che ‘l tempo fuge et tu no te n’ avedi / Dela tua morte che certeza ai tu? / Tu sei forse alo extremo et no lo credi / De ricorri col core al bon Jesu / Et del tuo fallo perdonanza chiedi.
Vedi che in croce la sua testa inchina / Per abrazar l’anima tua meschina».
Qui è la morte che invita il peccatore a convertirsi, poiché egli non sa quale sarà il giorno della propria morte, ma deve avere certezza del perdono, mentre cerca di non peccare più.
Qui la signoria di Cristo è riconosciuta dalla stessa morte, prima che il Cristo dica, come a Carisolo anche a Pinzolo:
«O peccatore pensa de costei / La me à morto mi che son signor di ley».
Anche qui il corteo segue poi, a partire dagli ecclesiastici (papa, cardinale, vescovo, sacerdote, frate), per passare alle autorità laiche (imperatore, re, regina, duca, medico, guerriero, mercante avaro, giovane vanesio, mendicante storpio), per giungere alle donne (monaca, dama, vecchia) e, infine, al bambino.
A Pinzolo, poi, la fine del corteo non è dato dal cavaliere mortifero che scaglia le sue frecce uccidendo tutti, ma dalla disputa fra il diavolo e l’arcangelo per la salvezza delle anime: Michele intende salvare le anime, gettando sul piatto della bilancia la grazia di Cristo, per controbilanciare i peccati.
È da notare che l’affresco di Pinzolo dipende dal testo di una Danza della morte che si ritiene essergli precedente: una Lauda nota a Simone II Baschenis e al committente è la fonte che il pittore mette poi in immagini. Si capisce così perché manchino personaggi tipici del luogo, come i contadini: l’affresco dà figura al testo e non si preoccupa di completarlo.
Qui, a differenza di Carisolo dove è molto rovinata, l’intera iscrizione si è conservata, poiché il tetto ha meglio protetto la parte alta della facciata pittorica, dove è appunto la danza della morte.
2/ Il testo integrale della Danza macabra di Carisolo
MORTE
Io sonte la morte che porto corona
sonte signora de ognia persona
GESÙ CRISTO, CON IL VESSILLO DELLA FEDE, SIMBOLO DELLA RISURREZIONE
Anco mi Iesus Xps (in alto)
O tu che guardi pensa de costei,
la me a morto mi, che son signor de lei.
PONTEFICE
O sumo pontefice de la christiana fede
balar te conven mecho como se vede
CARDINALE
Mecho balla o cardinale
chel cessar in dreto a ti no vale
VESCOVO
O episcopo mio iocondo
le giunto el tempo da abandonar el mondo
SACERDOTE
Sacerdote mio reverendo
da morte scapar no poi ch io te prendo
MONACO
O padre spirituale
tu et altri meno guale
IMPERATORE
O Cesario imperatore
fenito ai tu le tue hore
RE
O potente corona regale
altro techo no porti chil bene el male
GENTILUOMO (duca)
Non ti giova esser signor o ducha
ch alfine la morte ti trabucha
GUERRIERO
O tu homo gagliardo e forte
niente vale l’arme tue contra la morte
AVARO
O empio rico nel numero de li avari
ch in tuo cambio la morte no vol denari
ZERBINOTTO (giovane galante)
De le vostre zoventu fidar no se vole
giache la morte chi lei vole tole
MENDICO
No dimandar misericordia o poverel e zopo
ala morte ch pieta no ha ge dara intopo
FANCIULLO
O fantolin de prima etade
como sei ingenerato sei in mia libertade
MONACA
Per fuzer li piacer mondani monicha facta sei
ma da la morte scapar no poi da lei
GENTILDONNA
Che giova a te vanagloria pompe o beleze
perho che morte te fara puzar e perdere le treze
VECCHIA
Credevi tu vecchia el mondo reditare
che no pensasti quelo ch morte sa fare
All’inizio del corteo, a sinistra, stanno tre scheletri, che suonano zampogna e trombe e aprono la danza.
Al termine sta uno scheletro a cavallo che scaglia con l’arco le sue frecce mortali su tutti coloro che compongono la danza, ma in particolare gli sono vicine persone che si incamminano al ballo e fra di esse un papa, un imperatore, un cardinale, mentre altri sono già al suolo e vengono calpestati dal cavallo bianco (richiamo all’Apocalisse, dove però il cavallo bianco è il Cristo vincitore, mentre qui cavallo e cavaliere sono immagine della morte).
3/ Il testo integrale della danza macabra di Pinzolo
Io sont la morte che porto corona / Sonte signora de ognia persona / Et cossì son fiera e dura / Che trapaso le porte et ultra le mura / Et son quela che fa tremar el mondo / Revolzendo mia falze atondo atondo.
Ov’io tocco col mio strale / Sapienza, beleza, forteza niente vale. / Non è signor, madona nè vassallo / Bisogna che lor entri in questo ballo / Mia figura o peccator contemplarai / Sinche a mi tu diverrai.
Non ofender a Dio per tal sorte / Che al transire non temi la morte, / Che più oltre no me impazo in be’ nè in male, / Che l’anima lasso al giudice eternale. / E come tu avrai lavorato / Lassù hanc sarai pagato.
O peccator più no peccar no più / Che ‘l tempo fuge et tu no te n’avedi / Dela tua morte che certeza ai tu? / Tu sei forse alo extremo et no lo credi / De ricorri col core al bon Jesu / Et del tuo fallo perdonanza chiedi.
Vedi che in croce la sua testa inchina / Per abrazar l’anima tua meschina / O peccatore pensa de costei / La me à morto mi che son signor di ley.
O sumo pontifice de la cristiana fede / Christo è morto come se vede / a ben che tu abia de san Piero al manto / acceptar bisogna de la morte il guanto.
In questo ballo ti cone intrare / Li antecessor seguire et li succesor lasare, / Poi che ‘l nostro prim parente Adam è morto / Sì che a te cardinale no le fazo torto.
Morte cossì fu ordinata / In ogni persona far la intrata / Sì che episcopo mio jocondo / È giunto il tempo de abandonar el mondo.
O Sacerdote mio riverendo / Danzar teco io me intendo / A ben che di Christo sei vicario / Mai la morte fa divario.
Buon partito pilgiasti o patre spirituale / A fuzer del mondo el pericoloso strale / Per l’anima tua può esser alla sicura / Ma contra di me non avrai scriptura.
O cesario imperator vedi che li altri jace / Che a creatura umana la morte non à pace. / Tu sei signor de gente e de paesi o corona regale / Ne altro teco porti che il bene el male.
In pace portarai gentil regina / Che ho per comandamento di non cambiar farina. / O duca signor gentile / Gionta a te son col bref sottile.
Non ti vale scientia ne dotrina / Contra de la morte non val medicina. / O tu homo gagliardo e forte / Niente vale l’arme tue contra la morte.
O tu ricco nel numero deli avari / Che in tuo cambio la morte non vuol danari. / De le vostre zoventù fidar no te vole / Però la morte chi lei vole tole.
Non dimandar misericordia o poveretto zoppo / A la morte, che pietà non li dà intopo. / Per fuzer li piazer mondani monica facta sei / Ma da la sicura morte scapar no poi da lei.
Non giova ponpe o belese / Che morte te farà puzar e perdere le treze. / Credi tu vecchia el mondo abbandonare / Che no pe(s?)a… cu(elo?)… ch (morte?) fa fare.
O fantolino de prima etade / Come sei igenerato tu sei in libertade. / Fate bene tanto che siete in vita / Che come lombra tornerete in sepoltura / De li nostri deliti penitenza fate / Presto…
4/ Ulteriori iscrizioni presenti nella Danza della morte di Pinzolo
Oltre il testo interamente conservato e più lungo di quello di Carisolo, gli affreschi della chiesa cimiteriale di San Vigilio a Pinzolo conservano ulteriori iscrizioni e dettagli.
Dopo la morte che suona la danza, si vede Gesù crocifisso che ha anch’egli, come tutti, il petto passato dalla freccia della morte. Ed è proprio per questo che la Morte indica a tutti il crocifisso: «Vedi che in croce la sua testa inchina / Per abrazar l’anima tua meschina».
Tutte le figure che seguono sono condotte al ballo da uno scheletro. Lo scheletro che conduce il sacerdote porta una clessidra con l’iscrizione: “ala hora tertia”.
Il cartiglio, poi, portato da un ulteriore scheletro segna il passaggio alle autorità civili. Infatti lo scheletro che conduce l’imperatore lo porta e vi è scritto sopra: “pensa la fine”.
Lo scheletro che conduce il re porta un cartiglio col motto “mors est ultima finis”, mentre quello che invita alla danza la regina reca la sentenza “memorare novissima tua et in aeternum non peccabis”.
Quello invece che fa danzare il duca reca scritto “Memento homo qui cinis es et in cinerem reverteris”.
Dopo un cartiglio illeggibile, quello che conduce il medico recita invece: “Est comune mori”. Nemmeno la medicina salva dalla morte, che è comune.
Il guerriero ha la freccia nel cranio, unico con tale ferita, perché il petto dove sono conficcate le frecce di tutti è qui protetto dall’armatura.
Vicino al ricco che offre invano un bacile di monete d’oro è il cartiglio che recita “O dives dives, non longo tempores vives. Fac bene dum vivis si post mortem vivere velis”.
Il giovane, vestito elegantemente, ha scritto vicino: “semper transire paratus”.
Lo scheletro che accompagna il mendicante storpio porta un cartiglio con scritto “Tuti torniamo ala nostra madre antiqua che apena el nostro nome se ritrova”, reminiscenza di versi del Petrarca.
Vicino alla badessa sta scritto invece “Est nostrae sortis transire per hostia mortis”. Segue il cartiglio illeggibile di una gentildonna.
Quello della vecchia recita: “Omnia fert aetas perficit omnia tempus”.
Vicino al bambino è posta un’asta a sonagli con due cartigli “Dum tempus habemus operemur bonum” e “A far bene non dimora che in breve tempo passa lora”.
Segue poi uno scheletro alato che colpisce con le frecce i gruppi fin qui esposti, a somiglianza dell’affresco di Carisolo che ha il cavaliere su cavallo bianco.
Viene infine l’Arcangelo Michele con la bilancia e la spada sguainata sul quale sta uno scudo pendente con su scritto: “Arcangelo Michel de l anime difensore intercede pro nobis al Creatore”. Vicino è un angelo che ha scritto su di velo: “Morte struzer non pol chi sempre vive”. Entrambi si contrappongono “vincitori”, al diavolo che ha un libro aperto su cui sono scritti i sette peccati capitali, che erano dipinti nella fascia inferiore dell’affresco e sono ora molto rovinati. Sopra il diavolo un’iscrizione reca scritto: “Io seguito la morte e questo mio guardeano, d’onde è scripto, li mali oprator che meno al inferno”.
Dinanzi alle Danze della morte di Carisolo e Pinzolo tutti sono soliti ricordare che le prime battute della morte sono riprese da Angelo Branduardi nella canzone Ballo In Fa Diesis Minore, la cui melodia proviene, invece, da Schiarazula marazule tratta da Il primo libro de’ balli accomodati per cantar et sonar d’ogni sorte de instromenti, di Giorgio Mainerio Parmeggiano Maestro di Capella della S. Chiesa d’Aquilegia che fu stampato da Angelo Gardano a Venezia nel 1578.
Il testo di Branduardi cancella ogni riferimento cristologico, quasi che solo la danza bastasse a vincere la rigidezza finale della morte:
Sono io la morte e porto corona / Io son di tutti voi signora e padrona / E così sono crudele, così forte sono e dura / Che non mi fermeranno le tue mura
Sono io la morte e porto corona / Io son di tutti voi signora e padrona / E davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare / E dell’oscura morte al passo andare
Sei l’ospite d’onore del ballo che per te suoniamo / Posa la falce e danza tondo a tondo / Il giro di una danza e poi un altro ancora / E tu del tempo non sei più signora.