Omelia della notte di Natale 2004 (tpfs*), di d. Andrea Lonardo
Dove tutto ha inizio? Dove ha inizio la nostra vita? Da quando siamo ciò che siamo? Dove sono nate la nostra fede, la nostra carità, la nostra speranza, cioè noi stessi? A chi dobbiamo rendere grazie del nostro modo di capire la vita, di donare, di sperare?
La seconda lettura usa un'espressione bellissima: “è apparsa la Grazia di Dio”. Se è apparsa vuol dire che si è resa visibile, che si può vedere. Non è un'idea, non è un sogno, una fantasia. S.Paolo dice “è apparsa”, ed è il modo di Dio. Dio è colui che propone il suo amore. E' il mistero dell'atto di fede che come l'amore è qualcosa di assolutamente libero. Dio non può imporre l'amore, può solo donare il suo Figlio e noi ne facciamo quello che vogliamo. Ma non è così di ogni amore, di ogni amicizia, di ogni rapporto genitori-figli, nonni-nipoti? Vedete la Chiesa che ama e propone la libertà religiosa. Noi amiamo la libertà, perché è la condizione dell'amore. La libertà non è un assoluto, l'amore è un assoluto. Ma un gesto di amore che fosse obbligato, sarebbe già distrutto come amore. Dio ponendo in questa notte il Bambino Gesù in mezzo a noi, chiede l'amore e lo offre prima di tutto. Offre il suo amore in questa libertà assoluta. In questi giorni è venuto qui da noi il cardinal Tonini; ci parlava di questo decreto straordinario del Concilio Vaticano II sulla libertà religiosa. La Chiesa chiede perdono per i momenti nei quali non è riuscita a rispettarla o ha dato l'impressione di non farlo, e chiede ad ogni Stato, ad ogni realtà, che si possa predicare Gesù liberamente. Sapete che in molti Stati, la Cina per esempio, o nei regimi comunisti rimasti, o nei Paesi a maggioranza islamica, è proibito raccontare Cristo a chi già non lo conosce. La Chiesa cerca di convincere i cuori, dinanzi a questo diniego della libertà. Che tipo di uomo ci sarà in quella realtà? Ma è una domanda di amore, una domanda che va al cuore. Chi è il vostro Dio, se avete paura che, se date libertà, non sarà più obbedito? Non si può amare un Dio che non si offre liberamente!
Ognuno di noi sa che è venuto qui questa notte liberamente, perché quel bambino lo ha amato, perché in quel bambino ha compreso il mistero di un amore che viene offerto. Pensavo al nostro Papa. A me piace sempre rovesciare le domande che si fanno abitualmente, i modi di pensare correnti. Tanti dicono: “Ma perché il Papa non lascia? E' anziano!”. Ma perché non ci facciamo la domanda opposta. Come accogliere la libertà di un uomo che dice: “Io avrei tutto il diritto di lasciare. Mi devono aiutare per fare qualsiasi cosa, per vestirmi, per lavarmi, ma io liberamente accetto di restare al mio posto perché voglio raccontare Gesù”? Liberamente! “Al mio posto potrebbe esserci un altro, ma nella mia libertà accetto di donare ancora me stesso”. Ogni volta che noi capiamo la libertà, noi capiamo chi è l'altro, ogni volta che noi capiamo il mistero dell'atto d'amore che un altro compie. Come potremmo capire diversamente questo essere là del Papa, questo continuare a celebrare le messe, magari a metà, questo articolare faticosamente le parole, se non come un gesto di libertà? Il cardinale Tonini ha riferito una frase bellissima che gli ha detto il Papa. Al cardinal Tonini che gli diceva: “Andando in Polonia si sarà commosso nel vedere i luoghi di quando era bambino, la casa dove è stato accolto quando è morto il padre”, il Papa rispondeva: “Non è per questo che io torno in Polonia. Sono tornato più volte nella mia terra perché voglio mostrare che anch'io sono figlio della Chiesa, che anch'io stato amato dalla Chiesa che mi ha dato la fede, che questa fede che io ho come una roccia, l'ho ricevuta da una generazione precedente. Voglio che tutti sappiano che come sono loro, così sono io, la fede mi è stata raccontata, dalle persone, dalla famiglia, dalla realtà. Questa fede che liberamente ho accettato”. Vedete, il primo riconoscimento di questa notte: “E' apparsa la Grazia di Dio”. E' riconoscere la libertà di Dio.
La seconda espressione bellissima è proprio “la Grazia di Dio”. La Grazia vuol dire, noi lo sappiamo benissimo, che Dio non era obbligato a salvarci, ma neanche a salvarci attraverso il farsi uno di noi. Dio nella sua assoluta libertà poteva salvare l'uomo in mille modi, ma ha voluto liberamente accogliere questo gesto di venire come uno di noi. Una frase di sant'Agostino, della liturgia delle ore di ieri così recitava: “Avendo un Figlio unigenito Dio l'ha fatto figlio dell'uomo, e così viceversa ha reso il figlio dell'uomo figlio di Dio. Cerca il merito, la causa, la giustizia di questo e vedi se trovi mai altro che Grazia”. Dov'è il nostro merito per avere questo bambino? Dov'è la nostra giustizia? Dov'è la nostra causa? Dire che è apparsa la Grazia di Dio, vuol dire che è apparsa la sua Grazia, la sua libertà, il suo dono. Era talmente non necessario che tanti filosofi, tanti uomini di altre religioni, dicono che è una bestemmia: non è possibile che l'Infinito si faccia uomo, è assurdo, vi rendete conto voi stessi cristiani che siete degli sciocchi. Come può l'Infinito farsi uno di noi? Noi invece rispondiamo “Perché non vi accorgete che proprio voi date un limite a Dio? Se Dio è veramente l'onnipotente e l'Infinito, perché non può scegliere di farsi uno di noi? Questa è proprio cogliere l'onnipotenza di Dio”. Non solo Dio ci ha parlato, ci ha dato un libro, dei comandi, delle regole, ma il mistero del Natale è che Dio si è fatto uno di noi. Rimanendo se stesso, rimanendo Dio, ha assunto il tempo e la vita di noi uomini. Nella teologia antica, che dovremmo amarla e conoscere di più, ci sono due concetti che si chiariscono vicendevolmente. I teologi discutevano dicendo che alcune cose si fanno per necessità , mentre altre - è una parola che noi non comprendiamo più immediatamente - Dio le ha fatte per convenienza. Convenienza per noi oggi è un termine economico, pensiamo ad esempio al prezzo più conveniente, al mercato più conveniente. Invece questa parola antica vuol dire che l'ha fatto secondo il suo stile, secondo il suo modo di essere. Lo stile non è solo l'eleganza - quanto teniamo a questo; un ragazzo deve avere un look e guai se esce con dei vestiti o delle scarpe che non sono secondo il suo stile! In realtà lo stile non è solo un fatto esteriore, ma è il nostro modo di essere che è assolutamente libero, e proprio per questo è solamente nostro. Guai se una persona non ha un suo stile. Lo stile di Dio è questo dono senza un limite, donare tutto se stesso. Se Dio avesse detto solo delle parole, e non fosse venuto in mezzo a noi... Noi le intuiamo appena, sono solo dei balbettii queste parole che dico. Noi intuiamo che in quel bambino c'è più di qualsiasi altra cosa Dio abbia mai dato, perché è venuto lui stesso. E' lo stile di Dio, è ciò che gli conviene: non fermarsi mai, fino al dono totale. E' questo lo stile di Dio.
Lo stile di Dio è venire rispettando le creature che ha fatto e accettando il tempo. Pensate a quest'altro aspetto incredibile, il rispetto assoluto della creatura umana. Dio vuole donarsi e si dona come uomo. Ma lo stesso vale per i nostri rapporti, perché noi siamo fatti ad immagine di Dio. Che necessità c'era che un figlio dicesse grazie ad un genitore? Perché le mamme si commuovono quando i bambini scrivono la lettera di Natale e le ringraziano? Perché non è necessaria? La bellezza di quella lettera sta proprio nel fatto che non è scritto da nessuna parte che bisogna scriverla. Se non ci fosse questo stile noi saremmo degli automi, noi faremmo solo cose necessarie. Ma il cuore della vita è questo stile che fa il dono di se stesso, e che lo fa accogliendo e rispettando l'esistenza dell'altro. Il Natale è questo, è questa Grazia di Dio che appare nella carne dell'uomo. E' questa Grazia di Dio che si rende visibile in questo bambino, in Gesù.
Noi lo sappiamo bene. E possiamo capirlo ancora meglio per annunziarlo, per condividerlo come popolo, che questo bambino ci fa comprendere quanto è grande il nostro rapporto con Dio. Siamo, in questi anni, continuamente sottoposti a sollecitazioni politiche, economiche: cosa succederà quando per esempio la Cina entrerà prepotentemente nel mercato? E il problema dell'Islam, dei paesi arabi, di quelli islamici non arabi? Ma la vera provocazione non è economica, non è politica! E' sull'uomo ed il suo Dio. “In quale Dio credi?”. Perché questo è il cuore della vita dell'uomo. E' questo che poi illumina di sé tutte le altre cose. Sapete che l'Islam, quello serio, non quello dei terroristi – che usano politicamente ed economicamente della religione e per i quali bisognerebbe una buona volta rovesciare tante superficiali affermazioni dei dibattiti, quando tanti criticano certa politica americana perché in passato alleata con terroristi islamici in funzione antisovietica, ad esempio in Afghanistan, mostrando che se c'era aiuto, questo era reciproco e faceva ben comodo ai terroristi di avere come partners i dollari che ora dicono di disprezzare! - l'Islam serio, l'Islam che conosce il primato di Dio, non riesce a misurarsi con un occidente che non crede. Non sono i cristiani a fare problema, non è il crocifisso, non è la presenza del Presepe nella scuola! Perché lì c'è la trascendenza, c'è il mistero della presenza della fede, dell'orazione, dell'adorazione di Dio. Per nessun musulmano serio il crocifisso è un problema. Il problema dell'Islam è un occidente laicizzato che non comprende la trascendenza di Dio come dimensione costitutiva della vita, della cultura e dell'uomo. Nel Natale noi riscopriamo la vita umana come ciò che più di tutto è legata alla presenza di Dio. Ed accogliamo anche la provocazione di altri popoli che ci mostrano questa realtà come costitutiva del vivere.
Pensavo alla realtà della missione, dell'evangelizzazione. Avete visto quante volte nei testi di questa notte, quante volte si ripete: “Tutti i popoli lo conosceranno, è venuto per tutti”. E' per l'annunzio della Chiesa, per la sua missione che si compie questa realtà. Un altro passaggio importante dell'intervento del cardinal Tonini è stato quando, in risposta a chi gli diceva: “Ma in fondo ciò che conta è che sia cristiano io, che sia coerente con la mia fede, che le mie opere esprimano la fede che ho”, Tonini rispondeva: “Non basta che mi salvi io. A te è chiesto di salvare gli altri, non di salvare te stesso”. Gli altri hanno bisogno di Cristo, il dramma dell'uomo è che manca di questo dono totale. Tonini parlava dei ragazzi, di se stesso ragazzo, di quando da bambino ha avuto la percezione di cosa significa portare Cristo agli altri, di quando ha cominciato a pensare al suo futuro e ha capito cosa voleva dire vivere una vita per portare Gesù agli altri, perché gli altri capissero questo dono. Usava un'espressione molto bella a proposito degli adolescenti, diceva: “Gli adolescenti vanno per sapori; se un ragazzo sente il sapore di cosa vuol dire avere Cristo nella propria vita, lo sceglie, gli va dietro, lo vuole condividere con altri”.
Ecco cosa c'è di straordinario in questa realtà di questo rapporto che apre il nostro cuore a Dio. E' il mistero di questo bambino che dice l'assoluta importanza della vita dell'uomo. Facendosi uomo questo bambino dice che la nostra vita è preziosa, che la nostra vita pasticciata, rovinata, inconclusa, sofferente, è preziosa per Dio. La grande domanda che noi portiamo dentro è: “Ma è bene che noi esistiamo?”. Ieri su un quotidiano un filosofo della Sorbona, R.Brague, parlava di un atteggiamento esistenziale che viene chiamato il nichilismo gaio, l'essere felici di non avere nessuna idea forte, chiara, decisiva. Sembra ad alcuni – diceva - che per non uccidere l'altro, per non conculcarlo, sia meglio avere idee fragili, deboli, perché se uno crede può desiderare di uccidere per difendere le proprie idee o può addirittura uccidersi per esse. Lui rispondeva che non è questo il problema: “Per non uccidere basta il decalogo. Quello di cui l'uomo ha bisogno è capire perché vivere. Capire come annunziare all'altro che la sua vita ha un valore enorme, è di una dignità altissima. A un bambino, a un malato, a un moribondo, a me stesso, alla persona con cui vivo da anni nella stessa casa, quale motivo dare perché viva la sua vita?”. La tua vita ha un grande valore, perché Dio l'ha accolta in sé, l'ha amata – dice la notte di Natale!
Vorrei sottolineare un aspetto particolare della vira proprio oggi. E' quello della pazienza. Quando Dio si fa uomo nasce una storia di una pazienza infinita. Maria non poteva far nascere il bambino prima che si compisse il tempo, doveva aspettare esattamente quel giorno. “Quando si compirono per lei i giorni del parto...” dice l'evangelo di Luca. Non è lei a decidere. Anche Gesù, deve studiare, andare a scuola, imparare tante cose. La pazienza è il vestito dell'amore, non è tanto una qualità della persona, ma nasce e cresce insieme all'amore. Ognuno di noi conosce la necessità della pazienza. Chi aspetta un figlio che non arriva mai, chi vorrebbe che il figlio cambiasse, chi ha una malattia e giorno dopo giorno convive con questo problema. Il mistero del lavoro, dello studio, del costruire una cosa. Ognuno di noi sa qual è il peso della pazienza che però è il mistero dell'amore di Dio che ti dice che, in quella pazienza, in quel tempo in cui niente sembra cambiare, la tua vita è preziosa. Penso anche ad un mistero del quale si parla poco, quello del lutto, di una vedovanza, della morte di un figlio più giovane di noi, quando si aspetta un nuovo incontro nell'eternità con una persona cara che il Signore ha chiamato a sé, sembra che il tempo non passi mai. Poco tempo fa ho partecipato agli esercizi spirituali e il sacerdote ci diceva: “Voi celibi dite che solo voi annunziate il tempo che verrà perché non vi sposate. Ma perché non dite che anche un vedovo, anche chi vive aspettando di incontrare nuovamente una persona cara, vive una pazienza, un'attesa. Non appropriatevi dell'attesa escatologica solo voi, celibi e vergini! E' l'attesa dell'amore, è l'attesa del popolo di Dio”. Ognuno di noi testimonia, con la pazienza, una presenza di Dio più grande nella nostra vita. Pensate anche alla pazienza che ci è richiesta dalla situazione internazionale, dove è evidente che niente si risolverà in un attimo. Servono tanti gesti piccoli, ci saranno tanti martiri. Serve quella pazienza di saper attendere, saper proporre sempre qualcosa che costruisca e non distrugga. E' lo stile di Dio, di questo Dio che si fa uomo in mezzo a noi.
E allora noi non possiamo ancora una volta che celebrare l'eucarestia. Perché una messa a Natale? Che c'entra? Non potevamo ricordare in un altro modo, solo con il Presepe, o solo con i canti natalizi? No, perché la messa è il Natale presente oggi. Il Papa ci ha chiesto di riflettere quest'anno in particolare sull'eucaristia, perché l'eucaristia è l'incarnazione di Cristo che è attuale, presente oggi. E' quel Cristo che in terra ha detto: “Fate questo in memoria di me”. Noi lo amiamo: come possiamo fare diversamente da come lui ci ha chiesto? E' lui che ha promesso che su ogni altare della terra, in ogni tempo, ogni volta che sarà celebrata la messa, Lui sarà presente. Pensate a quella frase bellissima, che ha citato il Card. Tonini, del vangelo di Giovanni, quando Gesù, poco prima di morire, dice “Questi uomini erano tuoi e li hai dati a me”. Noi tutti eravamo del Padre, eravamo di Dio. Il Padre ci ha dati al Figlio. Noi esprimiamo nella liturgia eucaristica questo essere stati dati a Gesù Cristo. Accogliamo ancora il Natale che è questa grazia che è apparsa in mezzo a noi, questo Dio che assume l'uomo in sé, che accetta la pazienza dell'uomo come dono prezioso, facendo dono della sua divinità, accoglie il dono che l'umanità fa di se stessa e in questo mistero di libertà e di scambio di doni fonda il senso di tutto il nostro vivere. E così sia.