Breve nota sul significato del termine arabo “Islām” (tpfs*), di Massimo Rizzi
La breve nota che presentiamo si prefigge il solo scopo di chiarire l’aspetto linguistico del termine “Islām”, la sua valenza di “sottomissione” a Dio ed alla sua volontà. L’affermazione che il termine nulla abbia a che vedere con la parola “salām”, “pace”, che ha le stesse tre consonanti come radicali, resta anch’essa una considerazione puramente linguistica.
Il tema del rapporto fra l’Islām e la pace, con le conseguenti questioni di come vadano interpretati i passi relativi alla guerra nel Corano e nella successiva tradizione orale dei detti di Maometto, anch’essi normativi, è problema che attiene a tutt’altra sfera, quella appunto teologica e normativa del rapporto fra Testo Sacro e successiva Tradizione che lo interpreta. Esula, perciò, dalla presente nota.
L’Areopago
N.B. La pronuncia corretta in arabo è: con la s dolce, come nella parola rossa e la a lunga, indice di una lettera e non semplicemente di una vocale, che in arabo non viene scritta. È tuttavia invalso oggigiorno nelle lingue europee la pronuncia con la s aspra e l’accento sulla prima sillaba.
Il termine oggi utilizzato per indicare la religione che professa l’unicità di Dio e la profezia di Muħammad è una parola araba. Come tutte le lingue semitiche, l’arabo costruisce le parole a partire da un radicale formato da tre lettere, a cui vengono poi aggiunti suffissi e prefissi per variare il significato del verbo e dei rispettivi derivati.
Nel suddetto caso, il termine è un nome verbale (ciò che corrisponde in qualche modo all’infinito della lingua italiana) dal verbo aslama, che è la IV forma (in arabo alla forma “af‘ala”), dalla radice SLM. Come tutti possono notare sono le tre stesse radicali che formano la parola araba pace (salām). Pur non potendo negare contatti a livello semantico (ogni radice infatti costituisce un campo semantico, all’interno della quale però spesso si raccolgono almeno due significati tra loro non connessi) il significato di islām non ha diretta relazione con quest’ultima.
Il verbo aslama ha come significato: affidare, consegnare, rimettere qualcuno al giudizio di (si veda il vocabolario Arabo-Italiano del Traini). Ha assunto poi anche il senso di abbracciare l’islām. Il nome verbale per questo assume il significato di abbandono, rassegnazione, e di conseguenza sottomissione alla volontà di Dio.
Per cogliere più facilmente l’utilizzo del verbo in arabo rimando al suo utilizzo nella liturgia cristiana, ovvero nella preghiera eucaristica II in cui si dice che “Egli offrendosi liberamente alla sua passione”; come anche nella III preghiera “nella notte in cui fu tradito” (qui nella forma passiva): i due verbi sono espressi nel testo arabo con il verbo aslama.
Il nome verbale islām ritorna poche volte nel Corano (il testo sacro per i musulmani che Dio ha fatto discendere sul Profeta Muħammad tramite l’arcangelo Gabriele): esso assume il significato di ritorno a Dio e di conversione, oppure di religione vera e propria, nonché il valore dell’interiorità. Tornano invece molto spesso il verbo aslama nel duplice senso di affidamento-sottomissione a Dio come anche professione di Islām, e il participio in forma attiva (muslim; per al pronuncia si veda quanto detto sopra, in questo caso “l’accento” andrebbe posto sulla prima sillaba), da cui il termine musulmano.
Oggi il termine islām si è diffuso nelle lingue europee per indicare l’insieme dei popoli dei paesi e degli stati musulmani, nei loro aspetti sociali, politici e religiosi. Questo utilizzo è di fatto piuttosto recente (XIX sec; basti pensare che alcuni anziani parlano ancora oggi di “maomettani”): questo sia in ambito europeo che per quanto riguarda gli scrittori di lingua araba.
Si può così leggere a tutt’oggi il termine con un’estensione semantica a tre direzioni:
- il senso immediato e esistenziale ovvero l’abbandono personale alla volontà divina,
- il mondo dell’islām sociologicamente inteso
- la comunità ideale musulmana, che ogni credente vorrebbe realizzare.
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