A quarant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II: l’intuizione di Giovanni XXIII e la realizzazione di Paolo VI. Una conferenza del card. Ersilio Tonini (martedì 14 dicembre 2004) (tpfs*)
Il presente testo è la trascrizione della conferenza che S.Em. il card.Ersilio Tonini ha tenuto il martedì 14 dicembre, presso il Centro Culturale L’Areopago della parrocchia di S.Melania. Il testo non è stato rivisto dall’autore
L’Areopago
Introduzione di d.Andrea Lonardo
L’abbiamo invitata questa sera per ascoltare una sua riflessione, una sua testimonianza, sul grande evento del Concilio Ecumenico Vaticano II, dalla ispirazione di indirlo, opera dello Spirito Santo, di Giovanni XXIII al passaggio a Paolo VI che lo guiderà fino in fondo. Ed anche per ascoltarla sul grande valore spirituale, sulla attualità, sia storica sia ecclesiale, del Vaticano II per l’oggi.
Voglio ringraziare la Commissione Storica dell’Areopago che ha organizzato questo incontro, d.Francesco e i laici che l’hanno aiutato. E’ veramente un grande servizio reso a tutti quanti noi.
Monsignor Tonini, come sapete, è nato nel 1914, è divenuto vescovo subito dopo il Concilio. Appartiene alla prima generazione di vescovi nominati da Paolo VI dopo il Concilio. Divenuto vescovo di Macerata, nelle Marche, è stato poi vescovo in Romagna, terra amata, a Ravenna e Cervia, con tutta la fatica dell’unificazione della Diocesi. E’ stato nominato Cardinale nel 1994 - i cardinali, con il loro abito di colore rosso come il sangue, segno della loro disponibilità a testimoniare il Cristo fino al martirio, sono proprio coloro che danno questa testimonianza grande, insieme al Santo Padre, come suoi consiglieri.
Pensando a Lei, pensavo soprattutto al grande valore dell’esperienza. A volte, nel linguaggio giovanile, l’esperienza può ridursi all’aver provato una cosa, all’averla assaggiata, in un mordi e fuggi che finisce in un istante. Ma “esperienza” vuol dire anche la qualità di una realtà provata a lungo, consolidatasi in anni e anni di fedeltà e costanza, con gioie e fatiche che si sono susseguite. Tutti La amano proprio per la sua esperienza, per la sua testimonianza che è una testimonianza provata nel passare degli anni, nel passaggio delle stagioni, nel cambiamento dei momenti, perché l’esperienza è sempre radicata nella storia, nel tempo. E la vera esperienza è sempre anche pensata, riflessa, perché non basta aver vissuto qualcosa, se poi non ci si ferma a capire il motivo ed il senso di ciò che si è vissuto.
Ecco che la teologia, il pensiero, l’essere vescovo e cardinale, l’essere annunciatore del vangelo nascono dall’esigenza di capire qual è l’opera che Dio compie e continuamente realizza nella storia, di saper rispondere alla domanda dove sia il dono vivificante di Dio per l’oggi.
Ecco, vogliamo veramente darLe il benvenuto qui. Questa sera siamo qui per ascoltarLa. Ci sarà la sua relazione e poi la possibilità di fare domande. Grazie davvero di essere qui in mezzo a noi.
Conferenza di S.Em. il card. Ersilio Tonini
Grazie dell’invito perché mi consente di dire cose che premono qui dentro: mi verrebbe la voglia di mettermi sui tetti e gridare alla gente che passa - però non lo faccio perché finirei in manicomio e non mi conviene - o di fermare la gente per la strada, specialmente i ragazzi, per dire: “Sai che cosa sta accadendo? Sai che cosa ci si aspetta da te?” Perché noi stiamo vivendo il momento storico più straordinario della storia moderna, il più straordinario che il mondo abbia conosciuto.
E prima di passare al passato, al Concilio, voglio proprio proiettarmi nel futuro: ecco noi siamo qui, in vista del futuro e ci chiediamo se siamo preparati, se la Chiesa, la generazione precedente ci ha preparati in vista di questa immensa missione. Cosa sta accadendo? Un grande studioso francese ha scritto un libro intitolato “Pourrons nous vivre ensemble?”. Ce la faremo a stare insieme? E’ il grande problema: si ricomincia a stare insieme daccapo. L’Europa non è da sempre. Fortunatamente, dopo aver visto, fino a cinquantadue, cinquantatre anni fa, camini che fumavano di carne umana, noi ci ritroviamo in questa Europa che ha sentito il bisogno di rinsavire. Quando abbiamo visto arrivare i convogli carichi di bambini, donne e uomini - i bambini e le donne più deboli erano gettati per primi nei forni! Noi l’abbiamo saputo dopo, ma è bastato poi andare a vedere, perché il mondo si decidesse ad arrivare al processo di Norimberga. Il mondo ha capito che così non si poteva andare avanti! E allora le nazioni hanno finalmente deciso di smetterla di combattersi. E’ un paradosso, capitemi bene, ma senza Hitler non avremmo l’Europa unita. Senza i campi di concentramento, senza i campi di d sterminio, senza il processo di Norimberga noi avremmo ancora le nazioni europee che si uniscono in alleanze e si schierano contro altre alleanze - cinque secoli di guerre! - durante i quali non c’è stato un periodo di pace che superasse i cinquanta anni.
Ed eccoci adesso qui ed incomincia una stagione immensa e all’improvviso ci accorgiamo che da un’epoca in cui i tedeschi si sentivano prima tedeschi e poi uomini, ci accorgiamo che prima siamo uomini, poi francesi, tedeschi, spagnoli. Insomma ci sentiamo prima uomini. E’ una cosa immensa!
Ecco il futuro! Qual è il futuro? Nel frattempo l’Europa comincia ad essere ripopolata. Si dice che nel 2040 ci saranno 63 milioni di afroasiatici, qualcuno dice che saranno un po’ di più, comunque sta di fatto che saremo ripopolati. Ce la faremo a stare insieme? Ecco la grande domanda. E la storia del passato, le generazioni passate, la generazione del Concilio ci ha preparati? Ci ha reso avvertiti e ci ha consentito di respirare un clima tale per cui siamo in grado di farcela? Noi siamo la generazione - lo dico specialmente ai ragazzi - sulla quale è posta la speranza di Dio: non c’è mai stata nessuna generazione su cui Dio ha contato tanto come questa, come la nostra.
Ma questo è poco in confronto a un altro grande evento che sta qui dinnanzi: voi lo sentite ripetere ovunque, la cosiddetta “globalizzazione del mercato”. Cosa sta succedendo? Che i confini fra le nazioni vanno ormai sbriciolandosi, diventano trasparenti. I nostri bambini cominciano a studiare l’inglese, fra poco studieranno anche il cinese. Allora incominciamo ad accorgerci che diventiamo veramente mondiali. Gli aeroporti si vanno ormai moltiplicando ovunque; a Bologna hanno fatto crescere in dieci anni un aeroporto immenso. Ho visto gente, piccoli presidenti di cooperative, che vanno nel mondo intero. Allora la sorte di un popolo dipende dalla sorte degli altri popoli. E ci accorgiamo che fino a quando ci sarà un popolo che soffrirà la fame non ci sarà pace per il resto del mondo. Pensate alla Palestina. Palestinesi e israeliani: se non si mettono d’accordo non ci sarà pace per il resto del mondo. E’ una novità assoluta. Domanda: ma a questa novità siamo tutti preparati? Abbiamo una indicazione nel passato, specialmente negli elementi del Concilio, un’indicazione che ci renda capaci allora di affrontare questo futuro? Siamo capaci di tirar su una generazione di queste dimensioni?
E questo è poco, perché mentre l’economia sta ormai tramutando il mondo intero, adesso sentiamo parlare della Cina o dell’India che fanno concorrenza ormai agli Stati Uniti nella capacità della produzione di software. Nel mondo dell’elettronica stanno superando un po’ tutti, tanto è vero che ci sono tanti docenti universitari indiani che insegnano nelle Università americane.
Mentre accade tutto questo - parlo da vescovo! - io sono ossessionato dal pensiero dell’Africa. C’è un continente, invece, che sta per precipitare: ci sono 450 milioni di uomini intrappolati dalla fame, dalle malattie. Io sono stato due volte nel Burundi, due volte ad Addis Abeba - quando senti dire che tu porti il mal d’Africa nella tua anima. Nella zona dei grandi laghi, Burundi, Tanzania, Congo, ecc. la media della vita scende dai quarantacinque ai quarant’anni. Ho visto dei bambini a gruppi mangiare formiche; c’è una facoltà di medicina nel Burundi dalla quale escono ogni anno venti medici e una parte se ne va nel Sud Africa perché non son pagati, la gente è povera. E’ un precipizio incredibile. Domanda: possiamo assistere impotenti al precipitare di un continente, che è un continente gemello, tanto è vero che adesso ci siamo resi conto di come - i giornali ci han fatto sapere, ci avvertono ogni giorno - gli sbarchi dei clandestini non avvengono più sulle coste dell’Adriatico, ma sulle coste della Sicilia, Lampedusa e la Spagna. Evidentemente sta per accadere qualche cosa di disastroso. Allora l’Europa lo deve sapere. Domanda: ma che ci sta a fare il Concilio, che ci sta a fare questa generazione che ci ha preceduto, ci ha trasmesso qualcosa? Siamo pronti a questa missione?
Voglio ancora dire l’ultima cosa che mi preme di più, poi finalmente dopo questo aggancio potremo parlare del Concilio non come una curiosità storica, non per sapere sapere cosa hanno detto, cosa hanno fatto, previsto, ecc. A che servirebbe tutto quello che hanno fatto se adesso noi non fossimo in grado di affrontare questa responsabilità storica?
Orbene vi do una notizia incredibile: la dava un grande filosofo francese, due o tre anni fa, Paul Ricoeur, uno dei più noti pensatori viventi: il mondo della politica deve sapere che il suo compito non sarà più quello di garantire un’equa distribuzione della giustizia e dei diritti umani ai popoli e ai singoli, il suo compito sarà quello di salvare la specie umana. Nessuno ce lo fa sapere, la realtà però è questa: si sta tentando di cambiare la specie umana. Come? Nei laboratori. Non si discute tanto della famosa legge 40? Ricordate, no? Ci hanno detto che sarebbe la legge più iniqua, che metterebbe l’Italia fuori dall’Europa, tutte queste “grandi” cose per cui si pensa adesso che si debba consentire ad una donna di avere figli anche a costo di essere fecondata da un altro che non è suo marito. Di più! Si pensa di selezionare preventivamente 4, 5, 6 embrioni, sceglierne alcuni, e buttar via gli altri. Qualcuno pensa di avere un figlio più sano, più bello, ecc. Dovete sapere che è in gioco proprio questo: quindici giorni fa c’è stato un incontro fra grandi scienziati del quale voglio parlarvi.
Ora penserete che vi sto portando fuori dal tema, ma non vi porto fuori! A me della storia del passato interessa soltanto una cosa: se ci ha messo in grado di capire cosa sta accadendo. Il Concilio aveva un compito enorme, aiutare il mondo cattolico a capire che aveva la responsabilità di riedificare la Chiesa. Perché, mentre i greci consideravano la storia come un eterno ritorno circolare, la Bibbia ci ha trasmesso un altro concetto: la Bibbia parla di un’umanità che si costruisce col tempo, come un bambino che nel grembo materno, via via si forma, prima un organo, poi un altro, la Chiesa è concepita così. Nella Chiesa ogni generazione prepara la generazione successiva.
La generazione di mia madre e mio padre aveva un compito molto semplice:insegnarti il “santo timore di Dio”, come lo chiamavano i nostri contadini. La chiesa cattolica ha voluto darci di più: aiutarci a vivere in grazia di Dio e uscire dai limiti della famiglia, assumerci la responsabilità della formazione cristiana delle generazioni che venivano dopo, e prepararle ad essere apostoli. Capaci allora di assumerci la responsabilità, di condividere la responsabilità pastorale del clero. Quindi ha fatto un bene enorme, ci ha preparato.
Adesso allora dobbiamo renderci conto che la nostra generazione è la generazione su cui Dio conta di più, soprattutto in seguito a questa enorme novità dell’ingegneria genetica: fra poco, nei laboratori, potranno entrare dentro il genoma umano e fare delle cose splendide. Eliminare per sempre dei morbi ereditari. Il Santo Padre nel 4 marzo del 1984, quindi un po’ di tempo fa, venti anni fa, ricevendo i più grandi studiosi di ginecologia, disse loro che bisogna benedire la ricerca scientifica che ci metterà in grado prossimamente di entrare nel genoma umano ed eliminare per sempre le malattie ereditarie più impietose, Alzheimer, ecc. Quindi è un dovere sacrosanto, la scienza è un dono grande, di cui non bisogna aver paura, anzi. L’etica assume nuove proporzioni. L’etica non riguarda solo la vita morale, non serve solo a difenderci dal male, ma a costruire il meglio. Senonché c’è anche il rischio che si possa cambiare radicalmente la vita umana!
A Londra c’è stato, una quindicina di giorni fa, vi dicevo, un incontro fra grandi studiosi, a cominciare dal medico che aveva fatto nascere la prima bambina in provetta, Louise Brown, qualcuno lo ricorderà. Durante questo incontro hanno detto delle cose incredibili: una ricercatrice ha detto che il bambino fino a due anni non è un essere umano perché il cervello non è ancora pronto. Un altro ricercatore ha detto che lasciar nascere un bambino down è inquinare il mondo umano così come la polluzione può inquinare il mondo fisico. E un altro grande ricercatore americano, Gregory Stock, ha annunciato che in questo mese a Chicago ci sarà un incontro fra i più grandi ricercatori, i ricercatori più decisi, quelli più arditi, che annunceranno l’inizio di una nuova campagna per l’eugenismo. Cosa vuol dire eugenismo? Eliminare, non lasciar nascere, i bambini malati, i bambini down e così via e riuscire a produrre addirittura una nuova specie. Questo signore ha scritto di recente un libro intitolato “Ridisegnare gli umani”.
Vi chiedo scusa, avrete l’impressione che io vada altrove, spero che non vi venga questa sospetto. Povero Concilio, se fosse una grande cosa del passato e noi fossimo qui a guardare questo passato, a ricordare il tal cardinale, il tal discorso del Papa, i grandi personaggi, a cosa sarebbe servito? Diciamoci la verità: a nulla. Siamo responsabili noi: voi che siete padri e madri lo capite meglio di me. Voi capite bene che la vostra missione è creare qualcuno migliore di voi: è vero o non è vero che è questo? Paternità cosa vuol dire? Speranza, no? Essere capaci di affrontare la vita in maniera tale che risulti veramente speranza del Creatore. Il messaggio cristiano è proprio questo: Dio spera in noi.
Questa signora qui dinanzi a me, Silvana, è la speranza di Dio. Questo ragazzo di quindici anni, Tommaso, è la speranza di Dio. E quel che sto dicendo ti riguarda, figliolo mio, ti riguarda da vicino. Beato Tommaso se capisce che è atteso; il futuro del mondo dipende da Tommaso.
Mia madre, che era una povera contadina con il solo titolo di studi della terza elementare, aveva, però, un rapporto personale con Dio. Quando arrivai ad otto anni mi disse: “Preparati ragazzo, perché il Signore ha del bene da farti fare”.
Se Tommaso, qui davanti in prima fila, ci credesse sul serio, non perderebbe la testa per “L’isola dei famosi”, vero? Guardate che non è una sciocchezza; il problema è che impediscono ai giovani di capire che cosa sta accadendo. Riducono le loro speranze.
Ma torniamo a Gregory Stock. Questo signore, nel suo libro incredibile, intitolato “Ridisegnare gli umani”, ha riassunto il suo pensiero in una lettera alla natura dove dice: “Cara natura, ti ringraziamo perché ci hai fatti, ma insomma, in tutta confidenza, potevi farci meglio. Ci hai condannati ad ammalarci, ad invecchiare e a morire e poi non ci hai fornito del libretto d’uso. Ma adesso noi, da quando abbiamo potuto avere la mappatura del DNA ed abbiamo scoperto che l’85% dei geni, questi elementi che dirigono i lavori, sono identici nell’uomo, nei primati, nel topo e nell’orangutango, beh adesso nei nostri laboratori potremo fare un uomo, un essere del tutto nuovo, del tutto diverso, infinitamente migliore”. Come? Mettendo insieme gli elementi chimici, i geni delle piante, degli animali e dell’uomo, tutto ben studiato - s’intende, con tutte le cure, con tutte le precauzioni - sì che non sarà più un essere umano, sarà qualcosa di perfetto, che potrà campare 150, 200 anni. Lo scorso anno a Londra, in una grande piazza di Londra, c’è stato un dibattito tra lui ed un altro grande scrittore americano, Fukuyama, con migliaia di spettatori, su questo grande tema. Gli inglesi si sono resi conto che è in gioco questo.
Conclusione: allora? E’ in gioco il capolavoro di Dio. La nostra generazione risponde della creazione. Torniamo ai principi. Il primo articolo del Credo, quando la domenica lo recitate insieme, dice: “Io credo in Dio Padre”. Perché diciamo “Io credo” e non “Noi crediamo”? Tommaso, perché si dice “Io credo in Dio Padre Onnipotente” e non si dice “Noi crediamo”?
TOMMASO
Perché è un rapporto personale.
CARD. TONINI
Certo. Io sono stato fatto personalmente, mica come massa. Io personalmente, io! Studiato, pensato, progettato, con una missione personale, un tu per tu. Orbene, ecco il discorso allora. La generazione attuale ha il compito di salvare la creazione. Vuol dire allora che torniamo agli inizi del mondo. Di nuovo agli inizi del mondo.
L’umanità è il bene di Dio. Cosa se ne fa il Signore delle costellazioni. Non se ne fa mica niente, non gli servono. Siamo noi. E’ stato fatto tutto per noi, vero? Il Verbo Incarnato! Dio ha stimato tanto questo essere umano, pare che ne fosse abbastanza contento. S’è incantato quando ha visto l’uomo, si è lodato da solo, l’Onnipotente: “Vide Dio che era cosa molto buona”. Signora, ci crede che il Signore quando ha pensato a lei, Silvana, ha pensato: “Ho fatto qualcosa di buono”. Si è compiaciuto di noi il Creatore. Sapeva che eravamo pasticcioni, però ci ha amato anche come pasticcioni. Questo è il discorso. Ci ha pensato come speranza ed ha fatto festa ed ha comandato di fare festa anche a noi, di gloriarci di essere uomini Ci ha stimati al punto, che per venirci incontro ha mandato il figlio a farsi uomo. Sant’Agostino dice uno sproposito: “Cristo Signore non ha stimato cosa grande di essere figlio di Dio, ha stimato cosa grande essere figlio dell’uomo”. Un po’ uno sproposito, un paradosso, si è rimpicciolito però è una cosa molto buona. E stamattina nelle letture della Messa Cristo dice che le prostitute andranno avanti ad altre persone, anche il peccatore può essere la gloria di Dio.
Alla generazione di oggi dobbiamo far capire queste cose qui: questo bene immenso Dio l’ha affidato a noi, quindi anche il Verbo Incarnato. Sarebbe un fallimento del Verbo Incarnato se cambiasse la natura umana, si o no? Ecco perché mi verrebbe voglia di fermare la gente per le strade, di dire ai cristiani: “Ma volete rendervi conto che questo è un momento straordinario?”
Ecco capiamo allora perché noi benediciamo quel gesto inaudito che ha fatto il Papa Giovanni, indicendo il Concilio. Non era stato il primo a pensarci. Pio XI lo aveva già pensato, dopo la prima guerra mondiale. C’era un tale sconvolgimento, che si è ben capito che la Chiesa aveva un compito enorme di riconciliare queste nazioni europee che si massacravano a vicenda. Pio XII, tutti lo sanno, aveva sognato di buttarcisi dentro, perché lui aveva un grande sogno: progettare una specie nuova di convivenza umana. Pio XII ha avuto un’idea grandiosa, finita la guerra: si deve ricominciare da capo. Dopo la guerra, dopo che aveva lanciato quei famosi messaggi natalizi, aveva cominciato proprio il prospetto del futuro. Tanto è vero che Papa Giovanni, quando fa la Pacem in terris, la fa ricucendo, prendendo in mano le grandi intuizioni di Pio XII, però pieno di dubbi. E’ l’episcopato mondiale a vedere chiaramente gli eventi. Perché, se si trattava di confermare l’antica fede, non ce n’era bisogno, di concili ce n’erano stati tanti. Ma si trattava di dare, di svelare alla nuova generazione, il compito del futuro: questo è il discorso.
Permettete che mi soffermi un momento allora: non esiste prima la Chiesa universale nello spazio. Noi con gli ebrei, con gli africani, con gli asiatici, formiamo una sola comunità distribuita nel mondo. Ma c’è un’altra cattolicità, nel tempo. Siamo la stessa comunità di duemila anni fa, dei dodici apostoli, che continua, e assume una responsabilità in vista di quella che sta per venire, secondo i bisogni del tempo. Ecco perché Sant’Agostino continua sempre a parlare di Ecclesia huius temporis, la Chiesa di “quel” tempo, la Chiesa che è adesso. Allora compito della Chiesa è chiedersi: cosa devo fare io per preparare la nuova generazione? Ecco perché la preparazione, l’attenzione ai ragazzi, non è soltanto perché crescano buoni e non diventino dei delinquenti. Si tratta di metterli in condizione di dire, di capire qual è il loro compito in questo momento storico.
Tommaso, devi sapere allora, che il compito tuo è proprio questo, chiedere a noi sacerdoti, chiedere di farti aiutare dalla Chiesa: in che cosa ti deve preparare, su che cosa, quali sono gli aspetti che devi sottolineare, quali le virtù principali, come misurare la tua intelligenza, la priorità, le cose che importano di più e quelle che importano di meno? E la Chiesa ti deve rispondere. E’ qui il nostro discorso, comincia qui.
Cosa ha fatto il Concilio? Papa Giovanni ci ha convinto che per davvero la Chiesa era pronta per questo. Voi sapete che c’era già stato un passaggio enorme: Pio XII aveva tracciato l’idea generale di una nuova società umana con i suoi discorsi natalizi. Papa Giovanni capì che stava per scoppiare la guerra - ricordate le tensioni fra Kruscev e Kennedy. Il Papa interviene e ferma la guerra. Però capite che non bastava quell’intervento e allora esce questa Enciclica, la Pacem in Terris, che fa capire la via per arrivare alla pace: cominciare a venerare la singola persona. Bisogna consentire ad ogni uomo di realizzare la sua vita come fine, mai come mezzo, di conoscere le proprie capacità e dargli spazio per espandersi all’interno della comunità.
La Pacem in Terris è tutta qui: bisogna che l’uomo, ogni uomo, conosca il fine della propria vita, la destinazione, le possibilità che gli sono offerte, trovi nella comunità la possibilità di realizzarle. La famiglia è il luogo dove questo accade. Perché è il luogo dove questo accade? Perché l’istinto più forte che Dio ha dato all’uomo è quello di valere. Tanto è vero che il bambino, appena cresce, come fa a distinguere il padre e la madre dagli altri? Perché si accorge che il padre e la madre sono quelli per cui vale di più, per cui conta di più. Io ho provato varie volte ad andare alla scuola materna quando ero parroco e a dare uno scappellotto a uno e tutti volevano uno scappellotto. Il bisogno di valere! Ora bisogna che la società sia fatta in modo che al bambino che cresce non sia offerto soltanto un mezzo di cui godere, con cui soddisfare i suoi istinti, bisogna che cresca, bisogna che capisca che la sua vita è un grande dono.
Allora, comincia qui il compito della nostra generazione. I padri e le madri sono i costruttori del futuro: ecco perché nel Concilio un grande spazio è dato al tema della famiglia.. C’è sempre questo tema della famiglia. Per quale motivo? Perché la famiglia è il luogo della rivelazione, dello svelamento, è il luogo dove nasce la Chiesa, dove si svela. Perché? Perché è il luogo dove avviene la generazione, dove comincia il mondo, è la creazione. Ogni bimbo che nasce è il mondo che nasce. Siamo alle origini del mondo, quando sei nato tu è cominciato il mondo.
Ma voi, padri e madri, voi lo sapete meglio di me. E’ vero o non è vero che veder nascere un figlio - nato da te - è il più grande spettacolo del mondo? Rispondete voi genitori: è vero o non è vero? E’ vero o non è vero che gli occhi del padre e della madre se ne impregnano al punto da non abituarcisi mai? Son sempre occhi nuovi. Anche a ottant’anni il figlio di sessanta è visto sempre con occhi mai abituati, perché è lui. Se fossero cinque figli, ognuno è lui. Ognuno è lui! E’ un miracolo. La religione incomincia lì. La religiosità incomincia lì, perché egli vede la potenza di Dio, vede la sua grandezza. Il padre e la madre fanno un’esperienza incredibile: si accorgono - sono piccole, enormi cose - che c’è qualcuno che è nato da te, manufatto da te. Senza di te non sarebbe fatto. Vero o no? Ci volevi tu. Ecco perché quando Gesù dice: “Pregherete così, Padre Nostro”, perché il padre è colui in cui il mondo ricomincia da capo. L’adorazione, l’adorazione, l’adorazione: il futuro si prepara nell’adorazione.
L’Islam sarà un pericolo per l’Europa, perché dà più spazio di noi all’adorazione! Adorano. Svegliandosi, mangiando, lavorando, adorano, adorano sempre. Sia Dio principio, sia Dio principio, sia Dio principio. Ma allora le nostre mamme che ci hanno insegnato le preghiere del mattino l’avevano indovinata giusta. Se c’è qualche giornalista qui, lo prego che non riveli quel che dico: spero che un giorno ci sia un documento pontificio che, dopo i grandi temi trattati, insegni, ricordi ai cristiani come salutare il Signore appena svegli, come impostare il senso di gratitudine, della donazione: camminare e sentirsi guardati da Dio. Dio non è colui che ha dato dei comandi da osservare, che se lavori una giornata ti paga secondo la giornata, no! Dio, senza che tu lo avessi chiesto, ti ha inventato, perché sperava in te e ha goduto pensando te. E come dirà Gesù Cristo: “Il Signore ti ha regalato il Figlio suo”. Provate a leggervi il capitolo XVII di Giovanni - io quando lo leggo fremo: “Erano tuoi, li hai dati a me e li ho custoditi”. Ma è proprio vero, Signore? Gesù ha benedetto, ha ringraziato il Padre perché ha dato me a lui. Pensateci un po’.
Lei si chiama? Angela. Gesù ha ringraziato il Signore, perché gli ha dato Angela. Gli ha dato un aiuto. Certo quando penso a mia madre, capisco. Per affrontare il futuro ci vuole proprio questo! Ecco perché il Concilio, il primo documento che ha fatto è stato quello della liturgia, della preghiera personale, dell’adorazione, del rapporto a tu per tu, perché questo viene prima del fare. D’altra parte anche in famiglia, un marito che portasse a casa dei miliardi, però non ha un riguardo non serve a niente. E viceversa. Un figlio che diventa un onore! Non so se quelle due gemelle Lecciso, famose in questi giorni, siano la gloria dei loro genitori; non lo so, non mi interessa mica tanto saperlo. Però, sapete ciò che mi dispiace? E’ che anche loro sono creature studiate da Dio, chiamate da Dio al mondo, sperando in loro. La delusione di Dio deve essere infinita! Ma è vero! Ecco perché il Concilio per prima cosa dice: la forza è nella preghiera, la forza è nel rapporto con Dio, la forza è nell’Eucaristia. Che il cristiano non è convocato per fare, fare, ma prima è per ricevere, per ricevere. Tommaso l’hai capito?
Valentina, tu hai venti anni, ma ci pensi ai disegni di Dio? Penso a mia madre: ricordo quel che mi diceva. Quando ero ragazzo, 14-15 anni, ero già catechista, ma guardavo tutto con tanta meraviglia, perché c’era questo rapporto. Mia madre era convinta di avere un compito: ecco perché mi ha fatto capire che c’era un progetto di Dio su di me. Mi diceva che mi aveva accolto con tanto stupore e aveva fatto tanta festa. Questo rapporto con Dio! La preghiera è il rapporto con Dio. Non servono parole, ma guardarsi sotto il suo sguardo. E’ scambio. E’ vivere in grazia. Nelle Marche ancora oggi quando si salutano dicono: “Come stai?” “In grazia di Dio”. Cioè so che il Signore è contento di me; c’ho qualche pasticcetto però mi capisce, mi comprende. Chi vive un innamoramento che è vissuto in questo modo è tutta un’altra cosa, perché non è un amore che è solo sbaciucchiarsi, ma è soprattutto capire che c’è un disegno insieme, l’uno per il bene dell’altro.
Allora si spiega perché poi nel primo documento della liturgia si dà tanto spazio alla Eucaristia e si introducono le lingue nazionali e si passa dal latino al linguaggio e alle parole che tutti capiscono.Tra parentesi, per dire il clima di un tempo: quando io ero in seminario nel 1925, torno a casa, il primo anno, in vacanza, e mi dicono in dialetto “Sei già arrivato al Kyrie?”. Pensavano che si stesse un anno a studiare come dire la messa.. Dei battesimi la cosa che capivano, e che attirava di più, è che davano anche un po’ di sale se per caso si gustava o meno. Per il resto non si capivano i significati. Non c’era la preoccupazione. Ecco perché quando il Santo Padre ha lanciato il Concilio allora mi sono messo io a fare i battesimi la domenica pomeriggio. Durante la messa il cappellano battezzava e io spiegavo, spiegavo. Un prete un po’ anziano mi disse “Ecco, così tu spiegando diminuisci la maestà, fai perdere la maestà della liturgia”. Cosa c’entra la maestà della liturgia con l’impossibilità di capire? Quello con Dio è un rapporto personale e l’Eucaristia è il momento più solenne perché veramente dà il significato alla nostra religione. Io insisto: non è un comando da eseguire, è la potenza di Cristo data a noi. Allora bisogna pure che per preparare questa generazione, per assolvere a questo compito che ci aspetta, ci sia della gente che per davvero sia persuasa, di avere una missione più grande di lui e che Cristo Signore è dentro di lui. Scusate, ma cosa ci sta a fare Gesù nel tabernacolo? Io non credo che ci sia molto colloquio fra Gesù e la porticina, fosse anche d’oro, non credo. O con le pareti di marmo. Non credo che si dicano gran che. Ma con me sì, a me ha da dire qualche cosa, a me ha da suggerire qualche cosa, a me dà da superare immense difficoltà. A un ragazzo di 15, 16, 17 anni ha modo di fargli capire che tante balordaggini che passano per la testa non contano più. E questa è potenza di Dio data a noi. Il Concilio ha fatto capire questo, ripeto, che non siamo degli esecutori che devono rendere conto; siamo invece dei fiduciari, dati in aiuto a Cristo Signore. E’ la potenza di Dio.
Ecco perché allora può accadere che capiti anche ai vostri preti ciò che accadeva a me, quando ero parroco a Salsomaggiore. In confessionale dicevo: “Siete gente più brava di me”. Quanta santità ho scoperto in confessionale! Anche di creature che fino a ieri erano balorde. E’ questa la grazia del Signore. Ripeto, insisto: il cristiano – “cristiano” non è appena un aggettivo, “colui che segue Cristo”, no! - il cristiano è quello in cui Gesù Cristo opera, in nome del Padre, è colui che guarda gli uomini con gli occhi di Dio.
Poi naturalmente viene l’altro grande aspetto; la realizzazione della persona, la persona singola che ha la speranza. Quando il Santo Padre andò in Polonia mi disse poi: “Ma io sono andato mica soltanto per intenerirmi e rivivere la vita passata là, la mia giovinezza; sono andato per far capire all’umanità intera che anche io sono figlio della Chiesa e devo tutto alla Chiesa”. E quando si fermò a guardare quella casa dove è stato ospitato dopo la morte del padre e della madre: “Io a questo uomo devo tutto, mi ha accolto come suo figlio, figlio della Chiesa”.
Arriviamo così all’altro grande documento del Concilio, la Lumen gentium, dedicato alla Chiesa. Anche lì ci si dice una cosa che tutti sapevamo, che i primi Padri delle prime comunità cristiane sapevano molto bene, che bisognava sapere per affrontare il mondo. Ci sono vari modi di “essere ordinati” alla Chiesa, poiché la Chiesa non è lì a dire: “Io sono la Chiesa, quindi sono nella verità, e gli altri non mi interessano”. Esistono vari modi di essere ordinati alla Chiesa. Innanzitutto, certo, la Chiesa cattolica, dei battezzati, di coloro che frequentano i sacramenti.
Ma anche l’ortodosso che frequenta i sacramenti ha la stessa verità cristiana, anche i protestanti poiché credono anch’essi in Gesù Cristo Signore, però non accolgono i sacramenti e poi via via fino all’Islam, che ha dei valori che appartengono a Dio ugualmente, fino a chi ha solo un pensiero buono. Pensate un po’: si appartiene alla Chiesa anche con un solo pensiero buono, perché è Cristo che opera dentro tutti.
Deve finire allora la guerra all’interno della Chiesa, la competizione all’interno delle varie comunità. I rapporti devono essere di rispetto - non di tolleranza soltanto - di aiuto vicendevole, lasciando la libertà. Così nasce quell’altro grande decreto sulla libertà religiosa, Dignitatis humanae. Nasce da questo principio: un rapporto d’amore è un rapporto d’amore. Allora non puoi costringere nessuno ad avere un rapporto d’amore. E anche se tu incontri l’altro, non puoi dire che quell’altro è dannato - quell’altro potrà innanzi a Dio presentarsi, in fin di vita, meglio di me. I parroci, i cappellani, sono le creature più fortunate del mondo, perché assistono a dei miracoli continui non solo in confessionale. Abbiamo visto delle cose da strabiliare, gente che all’ultimo istante di vita, d’improvviso ha degli squarci di fede, di amore!
E dico allora: “Signore ti predico tanto, ti predico tanto”. E lui: “Parlate di Dio e tu prete, tu sai che devi venerare, devi rispettare - io sono cardinale di Santa Romana Chiesa, spesso le donne mi vedono e mi dicono “Eminenza, la vedo sempre in TV, ma ora la vedo in carne ed ossa” e rispondo “Di carne non molta veramente” – quelle presenze meravigliose mie che sono le persone con il bene che fanno nel mio nome”. Che mi serve essere cardinale, sentirmi chiamare eminenza, quando ho visto delle persone che dinanzi a Dio hanno vissuto slanci infiniti. Io ho qui la vita di Annalena Tonelli, la donna che è stata uccisa un anno fa, che è una meraviglia. A sei anni diceva già: “Io voglio lavorare, io voglio dedicarmi agli altri”. E poi è andata davvero in Africa. Una donna di una potenza di volontà immensa, una vera meraviglia della grazia di Dio. In un suo discorso, una relazione che ha fatto in Vaticano, ha detto: “Vivo il servizio senza un nome, senza la sicurezza di un ordine religioso, senza appartenere a nessuna organizzazione, senza uno stipendio, senza versamento di contributi volontari per quando sarò vecchia, sono non sposata perché così scelsi nella gioia quando ero giovane, volevo essere tutta per Dio. Era un’esigenza dell’essere quella di non avere una famiglia mia e così è stato per grazia di Dio”. Dio fa queste meraviglie.
Il concetto della Lumen Gentium, è questo: Dio opera i miracoli, ma il tempio, il luogo, dove Dio continuamente opera è nelle singole persone! Dopo di che dà il senso della responsabilità, ti dà l’esigenza di pensare agli altri, di metterti a disposizione degli altri.
E qui io posso testimoniare che stanno succedendo delle cose straordinarie. Nella Chiesa c’è un bene infinito. Non spaventatevi, non pensate che tutto il mondo è il “grande fratello”, che tutto il mondo è fatto di veline o di velone! Non ci credete mica, sapete, è un inganno terribile. E’ più il bene che il male. Io mi trovavo venerdì scorso a Verona, 1500 giovani, in cattedrale, che fremito che c’era.
Il Concilio ha fatto capire che era questa l’ora storica. Ecco allora un altro grande tema del Concilio trattato nella Gaudium et spes, la Chiesa nel mondo: cosa ci sta a fare la Chiesa nel mondo e nella comunità civile. Chi legge la Gaudium et spes si rende conto che il suo intento è far sapere ai cristiani, ai cattolici in modo particolare, in epoche di grande tensione, di grandi contrapposizioni fra credenti e non credenti, quello che la Chiesa sente fin dall’inizio, (infatti richiama spesso quel documento chiamato “La lettera a Diogneto” che dice “i cristiani non hanno città proprie, quartieri propri, strade proprie, vivono come fermento in mezzo alla pasta, come l’anima è nel corpo”). Il cristiano è fermento della comunità, cittadino come tutti i cittadini, senza nessuna differenza, però con questo compito: sentire che ogni persona che incontra, credente o non credente, santo o bestemmiatore, comunque sia, è opera del tuo Signore, tuo fratello affidato a te.
Il senso della paternità, del perché sei madre, o padre. La nostra generazione che vien su deve sapere queste cose, non deve mica impressionarsi se leggendo, supponiamo, Repubblica, come è accaduto tre giorni fa, tu leggi certi articoli di una turpitudine infinita. Ma allora dici: la Chiesa è perseguitata - mentre altri dicono che la Chiesa li sta perseguitando. Ma tu non ti spaventi. Lascia fare, lascia dire; tu pensa a dare, e basta.
Quando ero vescovo, c’era un clima... altro che Natale, il Presepe! In un grande quartiere, scuola elementare ed asilo avevano preparato in occasione del Natale, non Babbo Natale, ma la “festa della metamorfosi”. Rappresentavano i girini, con tanti vestitini, poi la farfalla. Io mica mi sono arrabbiato. Facciano pure, tanto poi si sono resi conto: quando si è trattato di prendersi cura dei tossico-dipendenti, lo abbiamo fatto noi, la nostra comunità. E quando poi hanno visto prima l’opera di Santa Teresa per i cerebrolesi, e poi di recente hanno visto nascere una clinica per i malati terminali di AIDS... La gente ha buon senso e capisce. Mi ricordo che una delle prime cresime in cui andai in un paese, arrivato sul sagrato, trovai lì un mezzadro, sui cinquant’anni, che mi disse, mostrandomi una sporta piena di bottiglie: “Queste sono per l’Opera di Santa Teresa, perché un’opera come questa non l’ha fatta il nostro partito”. La testimonianza!
Tutto il Concilio si svolge poi, specialmente nella fase finale, nei grandi appelli che il Papa Paolo VI fa proprio a questo scopo. Far sapere al mondo intero che può sperare nella Chiesa, che la Chiesa non è una che contende i diritti, che vuole occupare gli spazi, ma si mette al servizio proprio come ha fatto il Signore.
Vorrei per concludere accennare a due aspetti: il primo è che l’immagine della Chiesa sono i nostri ragazzi. Sono la nostra speranza, sono i giovani che devono far venir su i più piccoli. E non pensiate che i nostri ragazzi siano talmente viziati che non sentono l’attrazione. Il dramma della Chiesa in questo momento è che sta perdendo la capacità di attrazione. Per fortuna gli scout hanno ancora la capacità di attrarre. Nelle nostre parrocchie, quando d’estate si fanno i GREST, corrono tutti. Una volta in una parrocchia, uno dei primi GREST - eravamo in Chiesa - le mamme mi dicono: “Perché non ve li prendete tutto l’anno?”. Scappavano di casa. Nel mondo giovanile, dovete essere voi capaci di attrarre i nostri ragazzi. Non solo con le preghiere, ma creando un clima. I ragazzi di undici, dodici anni - è un’età decisiva - devono avere una comunità che li accoglie, dove ci sia l’inventiva, dove ci sia la fantasia.
Concludo con le parole di una donna straordinaria, Simone Weil, quella che ha lanciato l’idea dell’Europa, una guerriera, una docente di filosofia che poi andò a lavorare, a fare i mestieri più pesanti nelle fabbriche, fino poi a prendersi la tubercolosi - morì esule a Londra. Lei, ebrea, innamorata di Gesù Cristo, scrisse: “Perché è un bene che ci sia anch’io e non soltanto Dio”. Che bello, facciamogli un applauso, è bene che ci sia anch’io e non soltanto Dio, anche se non faccio altro che dei gemiti, anche l’anziano che fa dei gemiti. Il gemito è una grande forza, è una potenza che richiama l’attenzione di Dio.
Se è così allora, che la nostra generazione la smetta di piagnucolare e se ci sono difficoltà diamoci da fare: gli apostoli, non hanno avuto paura.
DOMANDA
Io ho ascoltato con molta attenzione ovviamente, soprattutto questi riferimenti anche a quelli che sono i mezzi di comunicazione, la televisione e tutto il resto. E pensando al Concilio, riflettendo su quanto Lei ci ha detto, mi torna sempre un dubbio di cui parlo sempre con i miei sacerdoti: ma la Chiesa sta facendo tutto quello che potrebbe, non ha qualche momento di esitazione, qualche incertezza? Per esempio perché non fa un po’ di più anche verso i mezzi di comunicazione? Per essere molto brutali, non è che c’è troppa prudenza per non disturbare i manovratori?
CARD. TONINI
Ho capito; c’è un po’ di malizia in questa domanda. Rispondo subito, perché sa, alla mia età, ci si può dimenticare qualche volta. Il tema è delicatissimo, la domanda è se siamo preparati, se abbiamo capito fino in fondo. Perché la Chiesa è comunicazione! Gesù andò e disse: “Fate annunciare, fate sapere”. “Euangelion” vuol dire “comunicazione”. La parola però è più bella: annunciate la buona novella. Euangelion viene da “angelion” che significa “annuncio” ed “eu” che significa “bello”. Date questa bella notizia; portate speranza sapendo che Dio conta su di voi. E la Chiesa lo ha fatto, è riuscita in poco tempo nonostante le persecuzioni, ma lo ha fatto a costo di sangue.
Pensate che nel secondo e terzo secolo, all’epoca delle persecuzioni, a Roma era proibito tenere i libri, i Vangeli, eppure c’erano i martiri. Come si spiega? Le catacombe, i simboli. Visitando le catacombe si scopriva l’annuncio della fede, la grandezza di Dio che si è fatto uomo in mezzo a noi. Fino al martirio, vuol dire che avevano una fede piuttosto forte. Certo poi la Chiesa si è trovata di fronte ad epoche oscure, come il Quattrocento, il Cinquecento. Specialmente il Quattrocento. Savonarola diceva: “Un tempo avevamo calici di legno e sacerdoti d’oro, adesso abbiamo sacerdoti di legno e calici d’oro”. Però con aspetti positivi: il cinquecento, i grandi slanci, le missioni. La Chiesa ogni tanto si sveglia. Come faceva il popolo ebraico che aveva bisogno delle deportazioni.
Venendo a noi adesso: non c’è dubbio che la comunicazione nella Chiesa rimane ed è ancora forte sapete, è forte perché poi la nostra gente è anche sapiente. Cosa volete... “Il grande fratello”, quelli dell’ “Isola dei famosi” potranno attrarre per una sera, due sere, ma quando vengono i grandi guai non serve. Nasce un figlio e diventa malato: a cosa può servire? Sapete dove sta il guaio di queste trasmissioni? Impediscono alla gran parte della nostra gente di capire i valori della vita. Aiutano i nostri ragazzi a buttar via l’epoca migliore dei grandi slanci, dei grandi desideri. Perché poi quando mettono al mondo dei figli non sanno cosa fare, non sanno cosa dire e cosa offrire.
Posso parlare della mia Romagna - non è la sagrestia d’Italia, ha avuto una tradizione piuttosto dura, la seconda metà dell’Ottocento i repubblicani andavano di casa in casa a dire che per essere colti e moderni bisognava essere atei! I cristiani erano persone che andavano dai preti e basta. Allora si rifiutava il battesimo, si chiedevano i funerali civili, e così via. C’era una propaganda in nome della cultura. Quando sono arrivato io, era ancora tanto presente questa realtà. Ma quando nasce quest’opera Santa Teresa che si sviluppa, dove sono accolti 183 ricoverati, con l’alzheimer, dove abbiamo 15 bambini cerebrolesi... E’ arrivato là, otto anni fa, il figlio di un ingegnere di Roma; suo padre lo aveva lasciato un anno intero in clinica perché aveva un testone deforme e non volevano portarlo a casa perché avevano un bambino di quattro anni, che si sarebbe impressionato. Il direttore rispose: accetto a una condizione, che ce lo portiate subito. Arrivò alla vigilia di Natale, fu accolto come un principe, è diventato la tenerezza di tutta la città. Quando è morto lo scorso anno, la notizia ha colpito tutta la città. E’ gente che si gloria di essere comunista, di essere repubblicana, di non aver messo mai messo piede in Chiesa, però per queste cose gli prende una tenerezza infinita.
E allora accade che quelli che sembrano comunisti, atei, al momento opportuno passano dal parroco. Tanti venivano segretamente da me - e vengono tuttora - per farmi le loro confidenze, per chiedere aiuto, pareri. Diventano come dei bambini. Bisogna credere a questo assolutamente ed evitare di credere che trionferanno i politici. No, sotto sotto c’è chi distingue bene tra quel che del politico è sincero e quello che è soltanto propaganda. La gente distingue molto bene e più la vita politica si fa superficiale, più la gente cerca dei valori autentici. Ecco perché la Chiesa deve restare libera dalla politica, anche se deve aiutare i cittadini cristiani ad intervenire e ad assumere degli impegni politici. Ma la Chiesa in quanto tale dice: “No, vi prendo in quanto figli di Dio”. Poi la responsabilità dovete prendervela in coscienza, però io vi dico ciò che è bene per l’umanità.
Sapete però il punto debole dov’è? Io sono molto schietto stasera: noi per grazia di Dio abbiamo un quotidiano molto buono che è Avvenire, che è fatto molto ma molto bene, va crescendo ed è stimato da tutto il mondo giornalistico. E’ uno di quelli fatti meglio, ha una sintesi splendida, non ha niente che sappia di antico, di stufato, quindi come giornale va bene. Ma la TV? Abbiamo questa SAT 2000: io sinceramente ho l’impressione che non siano ancora in grado di far fronte.
I grandi dibattiti, facciamo un esempio: la legge 40, la famosa legge 40, quella sulla fecondazione artificiale. Si sono scatenati in tanti a gridare in TV a dire che con quella legge lì l’Italia si metteva fuori dall’Europa. Ma è una menzogna totale. Sapete cosa dice la legge 40: proibisce la fecondazione eterologa. La fecondazione extra-corporea sarà permessa in casi eccezionali: nei casi in cui marito e moglie non possono avere figli, possono fecondare tre ovuli col seme del marito e poi immetterli nell’utero. L’hanno vista come una legge infame, è una menzogna.
Perché la Germania il 1 gennaio 1991 ha fatto una legge severissima: la Germania non è un paese essenzialmente cattolico e prevede che la fecondazione extracorporea sia permessa alle coppie regolarmente sposate, con non più di tre embrioni, col divieto di creare degli embrioni congelati in sovrannumero. Sembra che ci siano nel mondo più di un milione di embrioni congelati che sono l’inizio della vita. Lo stesso in Inghilterra, in Svezia, in Norvegia. L’Inghilterra adesso si sta preparando a cambiare la sua legge: si sono resi conto che ogni anno nascono circa mille bambini in quella maniera, cioè con un padre che non è il padre. Adesso stanno crescendo dei giovani i quali vogliono sapere chi è il padre. Allora il Ministro della Sanità ha annunciato che l’anno prossimo farà una legge che vieti la donazione anonima, perché, dice lui, noi pensavamo che avendo la donna il diritto di avere un figlio e la scienza offrendogliene il mezzo, si poteva. Ora però ci siamo resi conto che il figlio che nasce ha diritto di sapere chi è suo padre per diversi motivi. Se per esempio domani si ammalasse di leucemia, avrebbe bisogno di attingere al midollo spinale del padre. Cosa succede se il padre non c’è oppure si deve ricorrere ad un uomo che nel frattempo si è sposato e ti arriva uno che dice: “Sono tuo figlio?” C’è una campagna di falsificazione delle cose alle quali non siamo in grado di rispondere.
Un mese fa è arrivato da me un parroco di Ravenna e mi ha chiesto: “Tre miei parrocchiani mi hanno fermato in meno di un chilometro per dirmi: volete spiegarci cosa sta succedendo? Cosa ci state a fare voi vescovi se non ci spiegate?” Non abbiamo spiegato, è una responsabilità grossa. Forse noi vescovi dobbiamo trovare un altro modo. SAT 2000 dovrebbe forse diventare uno strumento che arriva in tutte le case, ma comunque confessiamo che su questo punto siamo in una condizione di debolezza, abbiamo le nostre responsabilità.
DOMANDA
Volevo chiederle questo: dalle sue parole cogliamo l’attualità del Vaticano II. Non vorrei essere troppo critico ma mi sa tanto che invece molti di noi lo ignorano. Bisognerebbe quindi riscoprirlo nella catechesi parrocchiale.
CARD. TONINI
Questo è un bel desiderio: se l’incontro di stasera non fosse servito ad altro che a far capire che la Chiesa è stata pronta per questo momento, sarebbe già un grande risultato. Papa Giovanni che non era un grande scienziato, un grande teologo, però ha avuto l’intuizione e il coraggio che non hanno avuto gli altri Papi. Il Concilio è stato una grande benedizione per la Chiesa. Sono convinto come lei che i grandi temi che hanno appassionato gli anni ‘70 - la Gaudium et spes per esempio, che affronta un tema meraviglioso, cioè il cristiano nella società, che è la sua casa, il suo posto - adesso si sono attenuati.
DOMANDA
Volevo chiederLe questo: non so se esula un po’ da quello che Lei ha detto. Lei ha accennato appunto che nel Concilio la Chiesa ha capito qual’era il compito del cattolico. Lei invita un po’ tutti noi a seguire quello che ha detto il Concilio. Noi sappiamo però che la Chiesa, il nostro Papa, appunto ha non dico condannato, ma ha recriminato sul fatto che nella Carta Costituzionale dell’Europa è stato omesso il vero valore del cattolicesimo, del cristianesimo. Cosa ne pensa?
CARD. TONINI
La ringrazio tanto perché siamo veramente a un punto dolente. Allora, diciamoci chiaramente una cosa: che non dobbiamo meravigliarci del fatto che attualmente ci siano molte incertezze e molti sconquassi nella nostra mentalità. Questo è il motivo per il quale è abbastanza evidente che il clima è cambiato, il panorama è cambiato radicalmente.
Voi pensate ad un’Europa che per cinque secoli ha vissuto di alleanze, di un gruppo di Stati contro gli altri Stati. I nazionalismi hanno divorato l’Europa, è un miracolo che sia rimasta ancora un po’ di fede, che le guerre tra nazioni e nazioni non si siano tramutate in odi di cattolici contro cattolici, di cristiani contro cristiani. E’ un miracolo che adesso l’Europa sia unita, che abbia sentito il bisogno di piantarla lì, di smetterla di massacrarsi. E’ un miracolo. Non c’è da meravigliarsi però se nel momento in cui decidono non più soltanto di non massacrarsi, ma di creare una comunità civile, una specie di nazione unica, si trovino in difficoltà.
Il punto è che nel frattempo in questi secoli si sono divulgate delle filosofie che sembravano riservate soltanto ai grandi pensatori, mentre invece hanno toccato poi tutti. Nel tempo questo modo di concepire la vita si è diffuso, è diventato modo di sentire. Mi spiego subito: prendiamo il momento nel quale, per venire ai secoli più vicini, alla fine dell’800 un certo filosofo tedesco di origine polacca, ha insegnato delle cose incredibili che poi si sono diffuse in maniera immensa, sono divenute un po’ un modo di sentire pubblico.
Qual è il contesto sul quale si staglia la figura di Nietzsche? Nietzsche odiava Socrate come nemico dell’umanità. Perché? Perché Socrate aveva insegnato – Socrate, un grande pensatore di cinquecento anni prima di Cristo – il primato dell’uomo. Mentre gli Egiziani studiavano il movimento delle stelle, i Greci, con i loro grandi filosofi, hanno detto: “Pensiamo a noi, cosa siamo nell’universo? Cosa ci distingue dal resto del mondo?” In secondo luogo: “Cosa c’è di comune fra di noi, uomini?” In terzo luogo: “Ma allora il cosiddetto mondo animale è un mondo determinato!” L’ape fa cose splendide ma non può sbagliare, il passero canterà ma poi non sa far altro. Noi invece abbiamo la nostra mente, che capisce, che comprende e quindi può scegliere, perché può giudicare, può valutare. Questo mi piace, questo non mi piace, questo è bene, questo non lo è. Socrate dunque ha dato questa grande bella notizia: che l’uomo è il capolavoro dell’universo. Socrate e Aristotele poi hanno insegnato come si usa il pensiero, come si distingue la ricerca, il dubbio, la probabilità, la certezza. Insomma qual è l’essenza dell’essere umano, cosa ci rende uomini anziché cavalli: questa è una cosa straordinaria. Sono arrivati poi a concludere che l’uomo ha una dignità enorme, con un solo limite, non da poco: che però gli schiavi erano materiale e niente di più, che gli uomini non sono tutti uguali.
Arriva il Vangelo - questa è la grande novità - e dice: “No, gli uomini non solo sono tutti uguali, ma i più deboli sono più uguali dei più forti”. Allora nasce il concetto di famiglia: l’uomo sì, ma, il più debole deve essere aiutato più del più forte. Nasce la caritas, la nostra civiltà e si trasmette al mondo romano. Si arriva poi al VI secolo e avviene quel miracolo grande che è il Corpus iuris civilis di Giustiniano. Giustiniano ebbe un’idea grande: di preparare un corpo legislativo - si chiama appunto il Corpus iuris civilis - che è la più grande meraviglia del mondo, la cosa più straordinaria del mondo, immensa. E’ documentato, con quest’opera viene a conclusione questa nostra civiltà romana che poi si trasmette a tutto il Medio Evo: l’uomo è vivo, immenso, ma il mondo è come una famiglia, dove i più forti devono essere al servizio dei più deboli. Questa è la grande notizia.
Nietzsche dice: Socrate ci ha abituati male. Socrate è l’anticipatore del socialismo, ha rovinato l’universo. Perché le nazioni per andar bene hanno bisogno di capi, di gente robusta. Adesso invece questo Socrate ha voluto tagliare le unghie, le zanne dei più forti perché tutti potessero vivere. I deboli ricorrono alla mamma per farsi proteggere. Allora l’uomo vale in quanto creativo, e chi riesce di più? Chi ha più potenza, conta di più. Solo un uomo forte non ha paura.
Voi capite che è un rovesciamento totale. Certo che la Chiesa a questo punto ne subisce il contrasto: perché quando si sviluppa l’economia voi vedete che chi ha più soldi conta di più. Ne sappiamo qualche cosa, no? Chi sa di più conta di più, chi è più abile conta di più.
Allora il mercato diventa la legge del mondo. Il mercato! Ci sono continenti che vanno allo sfacelo: è un’ottica spaventosa. Adesso però l’ottica è cambiata.
Poi c’è stato Sartre che ha lanciato una grande idea: ciò che conta è la tua libertà. Avete sentito in questi giorni a proposito dell’eutanasia: “Scusate sono padrone della mia vita, posso decidere di morire. Perché mi impediscono di morire, di chiedere di morire se io lo voglio?” Quel che diceva Montanelli a me. Biagi rispondeva: “Un momento, se la vita mi è stata data non posso buttarla via”. Comunque, allora Sartre diceva che ogni uomo è niente per natura, che ogni uomo è uno che deve farsi; e sono io che faccio me stesso, dunque allora non debbo avere limiti in questo. Chiaro che chi è più capace di farsi è più potente. E’ chiaro che siamo contro il Vangelo; però è una legittimazione che si cerca di darsi. Ecco allora cercare di volere di più, di potere di più, di governarsi insieme, di spingersi insieme, di proteggersi insieme. I trucchi li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni: chi è più potente è in grado di farsi la legge, di farsi il processo in una qualche maniera, e i poveri e i più deboli sono quelli che pagano.
Rimaniamo almeno al concetto di natura: continuo a dire che ci sono i diritti naturali. Il bambino ha il diritto di natura di essere protetto, il matrimonio è un diritto naturale. E’ un diritto naturale sposarsi, è un diritto naturale essere curato, è un diritto naturale andare in giudizio e chiedere la presenza di un giudice. E’ un diritto naturale, perché siamo uomini.
L’ultima teoria dice: “No, la natura non esiste”. Perché non esiste? Perché noi pensiamo che ci sia stato un qualche cosa che è rimasto identico, sempre identico in noi. Non è vero. Quello che noi crediamo, le leggi naturali, sono convincimenti come una massicciata che si è formata con varie sedimentazioni. Si è formata casualmente, e casualmente possiamo anche cambiarla. E a questa concezione si riallaccia l’idea di quel ricercatore americano che dice: “Adesso noi possiamo nei nostri laboratori fare l’uomo”.
Ecco la Chiesa si trova di fronte uno sbandamento infinito. Ecco perché allora la parrocchia diventa il luogo dove i cristiani trovano la maniera di ricaricare l’orologio. Che ora è della vita, che ora è del mondo? Ecco perché l’incontro di questa sera per me è provvidenziale, perché è bene sapere che non dobbiamo mica spaventarci di quello che fanno. Perché l’uomo è sempre lo stesso. Mi ha colpito quando è morto Versace leggere sul Times, un articolo che diceva: Versace ci ha fatto sapere veramente chi siamo noi, uomini di questo secolo, uomini che hanno bisogno di mettersi in mostra. Perché il vestito è quello che dà valore.
Ecco perché i giovani devono assaggiare che la comunità è un grande valore, ecco perché avere la coscienza pulita è un grande valore. Il mio papà, che non era un filosofo ma un grande muratore, quando mio fratello voleva andare in America a fare un po’ di soldi, ci disse: “Ragazzi, le cose che importano di più sono un pezzo di pane, volersi bene e la coscienza pulita”. Queste sono le grandi verità che resistono. Però resistono se il ragazzo vuole, se lo prova personalmente e non solo se glielo ricordano gli altri. Se il mondo interno del ragazzo è sconvolto, la madre può piangere, il padre può minacciare, ma non serve proprio a niente perché più il mondo è intimo più è tuo e la libertà va conquistata tutti i giorni.
DOMANDA
Traggo una lezione questa sera e di questo ringrazio la presidenza e gli organizzatori. Vorrei sapere se è riduttiva questa lezione oppure se può essere verosimile. E’ vero forse che è meglio essere cristiani senza dirlo piuttosto che dirlo senza esserlo? E che ha ragione una persona a me cara e vicina che dice “Tu non devi pensare di salvare il vicino di casa, il quartiere, la città, la provincia, la regione, l’Italia, il mondo. Tu pensa a salvare te stesso. Convertiti e credi nel Vangelo.” E penso che se fosse così, se facessi così, e non mi preoccupassi se nella Costituzione Europea ci sta quello e non l’altro, perché malgrado sia stata cristiana in Europa si sono ammazzati come Caino e Abele e hanno fatto fumare la carne dai camini, cose terribili. Allora io devo fare questo e non mi debbo lamentare con la parrocchia se fa o non fa. Se faccio così e se tutti fanno così è Dio che salva il mondo non io. Dio ha bisogno di un piccolo gregge, ha bisogno dei trecento di Gedeone, non di trentamila, trecentomila, un piccolo gregge, un po’ di lievito, poi il resto lo fa lui. Che ne sappiamo le meraviglie che fino ad ora ha fatto e che continuerà a fare. E’ riduttiva questa visione?
CARD. TONINI
Sì è riduttiva, ma per capirlo meglio bisogna pensare che allora basterebbero padri che mettono al mondo i figli prendendoseli a cuore, ma non è così. Ogni bambino che nasce ha il diritto di sapere perché è al mondo, quando lo chiederà, ha il diritto di sapere che vale, che ha delle capacità. Ha il diritto di sapere che Dio conta su di lui, che è una potenza. Il battesimo non è un rito dell’appartenenza - sei iscritto dunque! No! E’ Cristo che si mette dentro.
Io - scusate se parlo sempre della mia famiglia - io mi sono reso conto che mia madre mi ha dato più che il mio parroco, i miei vescovi, il Papa. Perché? Perché ha approfittato di questa potenza enorme della maternità, della vicinanza, della capacità di quell’amore che porta poi a capire anche quello che un ragazzo non riesce a dire ma ad intuire da lontano, per farmi capire che c’erano delle mire di Dio su di me. Ed io non finirò mai di benedirla perché sono vissuto con questo forte convincimento e senza mia madre io oggi non sarei qui.
Scusate non è che mi dia importanza ma, se stasera ho dato qualche cosa, l’ho potuto fare perché a sua volta una povera donna mi ha detto qualcosa. Anche la Vergine Maria del resto non era una principessa e questo mi deve aver convinto, ma proprio convinto, perché altrimenti saremmo al casualismo. Noi non siamo quelli che devono salvarsi, ma che devono salvare! Questo è il discorso. Non quelli che devono essere amati, ma che devono amare. Il matrimonio è questo, la scuola è questa, la parrocchia è questa, è comunicazione, tutto è comunicazione. Sarà perché io - scusate se parlo di me, ma lo voglio fare come testimone, per non parlare solo come un predicatore, come un teorico - io ho avuto la fortuna di sentire da ragazzo, perché mia madre me lo ha fatto capire, che c’erano delle intenzioni di Dio su di me. Io da ragazzo ho cominciato a pensare a chi avevo incontrato e questa è stata una potenza enorme.
Un altro esempio: ero in seminario nel ’25, eravamo poco dopo la Prima Guerra Mondiale.Ad un certo momento sento il superiore che racconta della fase ultima della guerra, di quando cioè i soldati austriaci, prigionieri a Piacenza, volendo fare la pace, non la potevano fare perché non c’era nessuno che sapesse il tedesco. Io nella mia testolina di piccolo, abituato da mia madre a pensare al futuro, mi son detto: “Ma allora se per caso, quando sarò grande e diventato prete, scoppiasse la guerra e io non sapessi il tedesco?” Il mio vescovo mi mandò a Roma a studiare, e al Laterano ho trovato, insieme alle altre materie, le lezioni di tedesco. Mi ci sono buttato. Nel luglio del ‘44 - sto preparando un esame, alle quattro del pomeriggio, in casa nostra e c’erano dei soldati tedeschi di guardia ad un ponte - sento bussare: “Posso entrare?” “Bitte, bitte”. Entra questo soldato tedesco, un omone, in divisa tedesca, di cinquant’anni e mi dice: “Vater... Padre, posso confessarmi?”. Ho detto: “Ma guarda il cerchio si chiude”. Guardate è una cosa che mi ha impressionato immensamente.
Quando racconto questo episodio ai ragazzi dico loro: “Ragazzi, voi non sapete cosa possono produrre i desideri!” La gioia di quest’uomo. Il comando tedesco viene a sapere della cosa, mi invita là in parrocchia a celebrare tutti i giorni. Mi mandava i soldati, quelli cattolici, naturalmente. E avevo modo di parlare, di meditare insieme a loro, poi di confessare, celebrare la messa. Mio padre era un contadino che aveva fatto la terza elementare, mia madre ha zappato tanta erba medica e barbabietole. Alle sei si mangiava polenta, al mattino si andava a scuola a piedi nudi, perché le scarpe si mettevano per andare in Chiesa. Però questa sete del sapere, mio Signore e mio Dio! In vista di questo per fare la quarta elementare bisognava fare sette chilometri a piedi, sette ad andare e sette a tornare. Quattordici chilometri a piedi ogni giorno, neve, pioggia e vento. Per fare la quinta, otto chilometri andare e venire.
Ecco bisogna gettare questa semente: la semente c’è, bisogna farla sviluppare. Ecco perché se fra i ragazzi della parrocchia si trova qualcuno che se la prende sul serio, i ragazzi si animano. Scusate, il mio parroco era molto bravo, il mio vescovo era molto bravo, ma senza mio padre e mia madre non avrebbero fatto proprio niente, è questa la verità. La Chiesa si comunica attraverso questo, noi creiamo le condizioni, ma chi ha gettato la semente fino in fondo, chi dà il gusto della vita... perché poi è il gusto della vita che bisogna dare, mica i precetti e i comandi. Il ragazzo va avanti per gusto, per i sapori.
Manzoni, che se ne intendeva, quando traccia la vita del Cardinal Federico nei Promessi Sposi, dice pressappoco così: “Il Cardinal Federico, fin da fanciullo, apprese quelle massime che si trasmettono di generazione in generazione, le gustò e le trovò vere”. Se c’è una mamma che è una mamma, un papà come si deve, se c’è un fratello e se c’è in parrocchia qualcuno che ti attira, i ragazzi gustano. E allora non c’è bisogno di comandare. Quando abbiamo fatto il primo Grest alla parrocchia alla fine mi dicevano: “Perché non ce li prende tutti i giorni”. Ecco qual è il discorso. Insomma, sapere che siamo necessari.
Sapete come i latini chiamavano i figli? Li chiamavano i necessari. La parentela sapete come la chiamavano? Necessitudo. C’è un brano di un testamento che dice “Lascio ai miei necessari il fondo, le attrezzature, gli animali e gli schiavi”. Lascio ai miei necessari!
DOMANDA
Nel Concilio si parla tanto di matrimonio, soprattutto nella Gaudium et spes. Guardando all’oggi, quarant’anni dopo il Concilio, Lei pensa che sia necessario un’altra volta parlare a fondo del matrimonio?
CARD. TONINI
E ancora di più. Perché fino ad appena quarant’anni fa, in Europa almeno, la famiglia era ancora considerata fondata sul matrimonio e in tutte le legislazioni europee il matrimonio fra uomo e donna era inizio della famiglia. Cosa sta succedendo invece adesso? La vita si può trasmettere anche nei laboratori, anche i gay possono prendersi cura dei bambini, si può benissimo stare insieme senza essere sposati e senza vincoli. Negli anni ‘70 è avvenuta la grande rivoluzione, quando le teorie di Sartre e, in particolare, di quel grande psichiatra viennese Reich hanno fatto sapere che è vietato vietare. La più grande ingiustizia era vietare, limitare la libertà. Si usava il verbo “reprimere”. Nasce così questo mondo degli anni ’70, dove nel rapporto uomo-donna valeva soltanto il sentimento. Si era passati dal noi all’io: due io che si mettono insieme finché si piacciono. Il compito è tutto lì e i figli non interessano. Finché dura questo affetto va bene, ma il giorno che si attenua finisce tutto.
Ora è chiaro che così non c’è spazio per il matrimonio, perché la sessualità non è l’unico fine della vita. Due mesi fa è morto un grande filosofo francese, Derrida, il quale un mese prima ha rilasciato un’intervista a Le Monde di dieci pagine, scrittura finissima. Questo signore che è giudicato un grande pensatore ad un certo punto dice: “Il matrimonio, è un’invenzione della Chiesa”. Poi sostiene che è lo Stato che ha fatto questo favore alla Chiesa di consentire il matrimonio, ma in realtà il matrimonio non ha più ragion d’essere perché la coppia si fa come si vuole, uomo-uomo, donna-donna.
E’ una sciocchezza! Voi prendete l’Iliade, l’Odissea, prendete la storia di Roma. Qui a Roma, a un certo momento, i plebei fanno la famosa secessione perché pretendono di poter sposare anche i patrizi. Non c’era mica ancora la Chiesa. Si dicono delle cose spaventose. Vedete questo Zapatero cosa sta facendo? Ha voglia proprio di distruggere tutto ciò che sa di sentimento cristiano. Cosa faremo? Diremo che è la fine del mondo? No, diremo che è una fase storica difficile. Cosa faremo? Continueremo ad aiutare i nostri ragazzi a capire che la sessualità non è soltanto un piacere qualsiasi, ma ha una finalità enorme. Da questo nascono i figli! Che è una cosa sacrosanta, è una potenza immensa della creazione. Proprio per questo allora va custodita, non va disprezzata, perché la Chiesa non è sessuofoba, ne ha un’ammirazione infinita. Perché sa che è collegata alla creazione.
D’altra parte, il Quattrocento, il Cinquecento, il Seicento ne hanno conosciute di tempeste. Il Concilio è arrivato in un momento tempestoso, è arrivato proprio per avvertire i cristiani. Avevo pensato di farvi sentire qualche cosa delle conclusioni finali, quando i vescovi mandano un appello a tutto il mondo, ai governanti, agli intellettuali, agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri, ai malati, ai giovani. E’ come una convocazione generale del mondo intero. Dobbiamo recuperare questa speranza e per far questo non dobbiamo lasciarci rattristare. Valentina, mi raccomando niente paura, il mondo è bello, vale la pena, è molto bello, ringrazio il Signore.
Tutte le mattine quando mi sveglio - qui siamo in famiglia posso confidarmi un po’ - quando mi sveglio ho voglia di gridare: ”Vedo, sento, penso!”. Però non lo faccio altrimenti le suore chiamano il 113. Io mi meraviglio, quando metto le calze e guardo queste vene: “Chi le ha messe lì, con il sangue che va verso l’alto?” Guardo la testa: qui dentro ci sono 42 miliardi di neuroni. E’ una meraviglia! Voi mamme, voi donne siete quelle che gustate questa meraviglia più di tutti! Ecco perché il figlio gli occhi di sua madre dovrebbe lasciarseli mettere addosso.
E’ venuto da me di recente un uomo di sessant’anni, ha perso la madre, non riesce quasi più a vivere perché questa benedetta donna lo cullava ancora senza tante parole, ma sa che direbbe adesso, sai che ti vuol bene: stai attento qui, stai attento lì, metti a posto questo.
Io ho una sorella che ha preso il vizio di mia madre. Mia mamma quando mi vedeva uscire, fino a quando uscivo dall’angolo: “Mi raccomando, neh! Mi raccomando”. Questa mia sorella ancora adesso. Un giorno ero andato a Salsomaggiore dove viveva lei e si era dimenticata di dirmi: “Stai attento, neh”. Scendo a Fidenza, dove c’è l’altra sorella, era al telefono e diceva: “Dice Maria: E’ passato don Ersilio e mi sono dimenticata di dirgli che mi raccomando”!
Vi racconto di come è morta mia madre. Mia madre è morta a 52 anni. Le viene una peritonite, viene operata, la portiamo in un ospedale di provincia. In una città forse l’avrebbero salvata, ma noi eravamo poveri. C’era l’aiuto del comune, la portiamo là, viene operata. Tutto bene, ma poi scoprono che c’erano i calcoli al fegato. Il primario si ammala, rimangono due medici che non si intendono di nulla. Insomma, conclusione, hanno continuato a strapparle calcoli al fegato di giorno in giorno. Arriva il professore, fa l’operazione, poi arriva la setticemia e muore. Mia madre la sera prima dice a papà: “Diciamo il rosario, Cesarino, perché domani sera io muoio.” Il mattino arrivo e mi dice: “Chiama il medico perché stasera io muoio”. Arrivano i fratelli più grandi, le sorelle più piccole, mia madre le abbraccia e dice: “Care le mie gallinelle” e dà ad ognuno il suo testamento, poi chiama me e me li affida dicendomi: “Ti raccomando, trattali ciascuno alla sua maniera”, perché il primo era molto mite, il secondo era piuttosto vivace. Io gli avevo detto: “Mamma, io fra pochi giorni divento prete, verrai con me”. Mi aveva detto “Non ci arrivo, sai, non sono degna” e si preparò a morire serena, mentre i suoi ragazzi, per due ore si guardavano senza un segno di disperazione. Andava incontro al Signore.
E a questa figlia, l’ultima, mia sorella - quando morì la madre aveva appena sette anni - aveva fatto in tempo a mettergli nel cuore la custodia della sua coscienza, dell’innocenza. Diventò docente di lettere. Era già in pensione quando a 73 anni le trovano un tumore al polmone. Una sera mi chiama. Era turbata perché: “Ho l’impressione che qui in ospedale mi facciano dei privilegi, perché sono sorella di un cardinale”. “Guarda non ti fanno nessun privilegio. Ad ogni modo se tu hai paura facciamo così: ti trovo una stanza per conto tuo”. “Don Ersilio non lo fare, non dimenticare che siamo figli di contadini”. Poi chiamò una sua alunna che l’aiutasse a dire il Magnificat. Sono delle cose molto belle, sapete.
Sì, sì, vale la pena esser cristiani.
DON ANDREA
Ci siamo impegnati a finire entro le 10,30, l’abbiamo di poco superate. Concludo solo sottolineando gli atteggiamenti della speranza: Don Francesco spesso ripete, straordinario cappellano, che è facile essere profeti di sventura, bisogna fare denunce, vedere i problemi, ma la caratteristica di un cristiano, come Lei ci ha indicato, è proprio quella di saper vedere oltre al male, anche l’opera che Dio continua a compiere. Lei veramente ci è testimone di questo: nella denuncia delle cose che non vanno ma anche nel vedere il bene che Dio compie dalla persona singola, agli eventi dei segni dei tempi.
La ringraziamo veramente per questo giorno e come sempre le facciamo un piccolo omaggio: una vita di S. Melania di un altro cardinale, alcune immagini della Madonna della nostra Parrocchia, alcune immagini della Croce del nostro campanile ed un libro sui luoghi giubilari a Roma, con un piccolo omaggio per i suoi poveri e per la sua comunità di Santa Teresa, per l’Africa.
CARD. TONINI
Vi do questa bella notizia: noi stiamo per aprire in Africa una facoltà di medicina. La facoltà di medicina di Verona e quella del Sacro Cuore qui del Gemelli mettono insieme il loro corpo insegnante. La Banca Mondiale sta costruendo un ospedale nel nord del Burundi e questi qui andranno il prossimo anno ad insegnare. Noi abbiamo creato a Milano una Fondazione. I milanesi ed un gruppo di banche, cooperative e banche di credito, hanno deciso di assumersi la responsabilità e doneranno circa 700 milioni per le spese di gestione. Queste banche si preparano ad aiutare questa gente dando un microcredito, per diventare piccoli imprenditori. Ci stanno riuscendo in America Latina, in due anni si stanno tramutando, cominciano a costruire e produrre. Vi dico che sono delle cose molto belle, ci sono poi dei missionari che fanno delle cose molto belle.