La famiglia nel contesto culturale odierno. Relazione di mons. Sergio Lanza, tenuta il mercoledì 12 maggio 2004, per il I incontro formativo, nella XXVII prefettura, in preparazione alla missione alle famiglie della Diocesi di Roma (tpfs*)
La relazioni è stata trascritta dalla viva voce e non è stato rivisto dal relatore.
L’Areopago
Il tema dell’incontro di questa sera è il matrimonio e la vocazione ad amare per sempre.
Tocca il nucleo fondamentale della vita della coppia e della famiglia secondo la visione cristiana e immediatamente si avverte tutta la difficoltà del collocare questa visione nel contesto attuale. Spesso viene messa in discussione o, più rapidamente, messa da parte come superata, obsoleta. Non si pensa che non sia buona, si pensa piuttosto: “E’ buona, ma è noiosa! Metter su famiglia è buono, ma è noioso”.
Basta guardare l’effetto della presenza televisiva di qualche coppia. Quando capita di ospitarla tutti applaudono, sono commossi. Soprattutto i conduttori, che normalmente hanno esperienze molto più “articolate”! Si capisce che vogliono far passare l’idea che le coppie che stanno insieme da tanto tempo sono delle eccezioni, o se preferite possono essere collocate tra le specie protette in via di estinzione. Uno di questi conduttori, discutendo con Sofia Loren, in una trasmissione di qualche anno fa nella quale l’attrice sosteneva il matrimonio e la famiglia, ebbe a dire ad un certo punto per cavarsi di impaccio: “Ma… anche io sono un grande fautore del matrimonio: mi sono sposato quattro volte”.
Al di là della battuta, questo modo di vedere e di pensare dilaga; i nostri ragazzi, le nostre ragazze, quelle che frequentano le nostre parrocchie ne risentono fortemente. Anche se magari personalmente non sottoscrivono, tuttavia faticano a individuare le ragioni sostanziali per cui è bene vivere in modo diverso da quello proposto loro.
Un grave difetto della presentazione che noi facciamo, o meglio, di quello che viene recepito comunemente come visione cattolica, è presentare il problema a partire dall’idea che noi cattolici abbiamo regole più strette; leggi più restrittive. Quindi si tratterebbe, alla fin fine, di una questione di norme, di precetti, di limitazione della libertà. E questa è la tomba di ogni possibile proposta del valore del matrimonio cristiano e della famiglia cristiana. E’ evidente che la visione cristiana comporta poi, di fatto, delle scelte precise, ma guai quando l’indissolubilità viene intesa semplicemente come impossibilità di sciogliere qualcosa! Io non utilizzo quasi mai il termine “indissolubilità”, perché mi fa risuonare, anzitutto, l’idea di una cosa che non si può fare.
Mi piace molto di più parlare dell’unità perenne, cioè prospettare subito gli aspetti positivi, perché, come ripeto, uno dei modi più facili per avvilire, per screditare, una posizione cristiana cattolica è quella di farla apparire come rinunciataria, come cioè una posizione per la quale uno si preclude ciò che la vita nelle sue diverse pieghe e possibilità gli offre come possibile esperienza.
Ecco, allora: non basta qualche piccolo avvertimento, qualche piccola strategia. Bisogna cercare di andare in profondità, bisogna cercare di cogliere le ragioni per cui il matrimonio cristiano si presenta così come si presenta e avere lo smalto per presentarle - queste ragioni - come qualcosa di bello. Naturalmente qui, ancora una volta, le parole non bastano. Sono necessarie le coppie cristiane che mostrano che così è bello, che così è meglio. Perché un altro aspetto che voglio subito mettere a confronto con la cultura diffusa, quella semplice, che ci viene proposta in alcune trasmissioni televisive e film, è che vorrebbe illudere che è una meraviglia avere tre, quattro genitori: una cosa bellissima, che varietà! “Si sta benone”. Poi basta vedere come sono questi bambini!
Lavorando per tanti anni in una scuola cattolica, ho avuto modo di trovarmi a contatto con situazioni difficili. Le scuole cattoliche hanno una presenza maggiore di figli che provengono da famiglie con problemi. E’ facile capirne le ragioni. Generalmente non conosco prima le situazioni familiari, ma le intuisco, perché nel 99% dei casi non si sbaglia. Quando un ragazzo, una ragazza presenta comportamenti problematici generalmente è perché dietro c’è una situazione familiare disastrata
Per carità, niente da ridire, quando ci si aiuta fra genitori separati per l’educazione dei figli. Va bene in ogni caso, ma il presentarle come l’ottimo per i figli mi sembra un modo di vedere le cose un po’ fantasioso.
La pressione culturale e legislativa tende a far passare come situazione normale quella della famiglia aperta, cioè che si rompe, cioè della famiglia a tempo. E allora noi cogliamo un punto che ci colloca immediatamente in questo tema in un nuovo orizzonte più ampio: quello della mentalità del nostro tempo.
Un punto caratteristico dell’atteggiamento con il quale ci misuriamo è proprio quello dell’essere ristretti al momento presente. Si naviga a vista. Questo è un problema che non tocca solo il matrimonio e la famiglia, ma salta sempre fuori quando si parla delle vocazioni ministeriali, del servizio ecclesiale, della vita religiosa. Oggi un ragazzo (o una ragazza) è generosamente disponibile per qualcosa che abbia un arco temporale delimitato. Si trova estremamente in difficoltà a decidere per tutta la vita. Ma non dobbiamo pensare che i nostri ragazzi siano peggio di noi. Questo è un discorso da vecchi e un po’ da stupidi, se mi consentite. E’ la realtà che essi vivono che è fatta così. La civiltà occidentale ha vissuto per almeno 15 secoli con un idea del tempo che era una idea progressiva; all’inizio tipicamente religiosa, l’attesa del messia nella matrice ebraica, l’attesa del ritorno della Parusia, l’essere incamminati verso la vita eterna. Ma anche quando l’illuminismo ha secolarizzato tutto, questi contenuti sono stati mantenuti per lungo tempo. La escatologia cristiana è diventata il progresso. Vediamo questo ancora nel Leopardi che, nella Ginestra, parla delle “magnifiche sorti e progressive dell’umanità”.
L’idea del progresso negli ultimi trent’anni si è, invece, bloccata. Ed è riemersa l’idea pagana dell’incertezza, della fatalità, l’idea del destino, del Carpe Diem oraziano, dell’attimo fuggente e dunque di una instabilità che non deriva dalla cattiva volontà, ma deriva proprio dal non avere una prospettiva. Ecco allora che dobbiamo capire questi fenomeni, come fenomeni radicali. La vita di coppia e la vita di famiglia sono probabilmente il luogo dove queste dinamiche di trascinamento culturale generale si fanno più sentire con il loro peso distruttore. Non solo non abbiamo più una direzione, ma non abbiamo neanche più dei riferimenti sostanziali: questo è bene, questo è male, questo è giusto, questo è sbagliato. Noi siamo rapidissimamente passati da una società precettistica ed imperativa - io mi ricordo quando mi dicevano: obbedienza, pronta, cieca, assoluta - a delle giovani generazioni che non hanno più chiaro per niente cosa è bene e cosa è male. Oggi il motivo conduttore è: “Va dove ti porta il cuore”. Come se non si sapesse che il cuore porta da tante parti e che non sempre sono quelle verso le quali si dovrebbe andare.
C’è un autore che ha scritto un libro dal titolo interessante: “Dopo la virtù”. Siamo in una società che non conosce più il senso della parola virtù e dice di seguire le emozioni. Cosa dicono oggi le persone? “Mi sento”. “Mi sento”, questo è il criterio.
In questo contesto effettivamente non è facile parlare della coppia nella sua reciprocità, con tutta una serie di elementi che adesso cercheremo di elencare. Noi dobbiamo esplorare con profondità il senso del matrimonio cristiano, ma dobbiamo renderci anche conto del fatto che bisogna lavorare molto per ripristinare almeno alcuni fattori di compatibilità senza dei quali noi possiamo dire tutto quello che vogliamo ma è come se parlassimo un’altra lingua. Cioè non arriva, o se arriva non attecchisce, non trova terreno. Questo è il lavoro più grosso, in campo educativo, che parte sempre dalle famiglie, che investe la scuola, ecc. ecc.
Dunque la visione cristiana del matrimonio. Per relativizzarla oggi si dice: “Ma, certo, la visione della famiglia unita, numerosa, era funzionale ad un certo modello economico, la società rurale statica con tutte le sue esigenze”. Anche la prima industrializzazione, il famoso proletariato, aveva bisogno della famiglia, se non stabilissima, per lo meno, numerosa. I bambini li facevano lavorare presto e a poco prezzo. Il capitalismo, questa è l’analisi di Max Weber che è ben nota, si è costruito sulla base della morale calvinista e puritana dove un capitolo fondamentale era la rettitudine della vita familiare. Oggi non si ha più bisogno di questo, l’economia non ha più bisogno della famiglia, anzi è meglio se si tratta coi single. Quindi è chiaro che sono venuti meno i presupposti. C’è una verità in questo, ma attenzione: non cadiamo nel tranello. Non è vero tutto questo, se lo si analizza con più attenzione. E’ un’affermazione di matrice marxista - utilizzata anche dal capitalismo, ma di matrice marxista, - che l’economia è ciò che genera tutto. Tutti avete presente Marx: l’economia e la struttura, queste sono le basi. Tutto il resto è sovrastruttura. Allora sarebbe stata la situazione dell’economia rurale a generare il modello di famiglia. Cessata quella situazione economica, è finito quel modello di famiglia.
Non c’entrano niente, secondo questa lettura, la natura, l’antropologia, la Rivelazione, la Bibbia. Beh, sono tutte “invenzioni dei preti”!
Invece, se leggiamo il Nuovo Testamento, ci accorgiamo che l’ideale che Gesù propone non è esattamente quello che viene praticato nel giudaismo del suo tempo. Tanto è vero che quando gli domandano: “Ma è lecito per qualsiasi motivo rimandare la propria moglie”, Gesù risponde: “Ma voi siete matti; in principio non fu così”.
E noi sappiamo quanto i cristiani, diffondendosi nel mondo pagano, hanno dovuto lottare per far passare la visione del matrimonio di cui erano veri portatori - altro che un prodotto della società e dell’economia e dell’esigenza dell’economia! E’ stato un prodotto controculturale esattamente come adesso. I primi cristiani si sono trovati in una situazione in cui nel mondo giudaico c’era una certa vicinanza sul tema del matrimonio, ma non un’aperta identità di vedute che Gesù avrebbe fatto sua. E non parliamo poi del mondo pagano. Allora questo ideale del matrimonio proposto dalla fede cristiana viene davvero dal pensiero di Gesù che riprende l’ideale originario della creazione. In questo senso rappresenta una scelta culturalmente originale. Non lasciamocela deprezzare. Non facciamo che la mettano negli stand degli hard discount, tra i prodotti dozzinali. Se a qualcuno non piace, fatti suoi, però noi siamo portatori di un prodotto di qualità. E questo è il punto fondamentale. Non siamo portatori di una scelta di tipo moralistico, di una visione rinunciataria. Difatti, secondo la visione biblica che rimane il riferimento principale - Gesù stesso vi si ricollega - quando Adamo dice “Questo è osso dalle mie ossa , carne dalla mia carne”, immediatamente vede in questo la reciprocità. Uno è fatto per l’altra e viceversa. Si stabilisce una relazione che è necessaria, per cui una persona ha questo carattere di apertura e questa normale esigenza di un completamento. Come sapete nel cristianesimo ci sono le scelte della vita consacrata, della verginità maschile e femminile. Esse non sono in alcun modo in contrasto con questo ma hanno tra i loro scopi quello di collocare la relazione comune uomo-donna nella sua profonda verità che è quella di uno scambio di un amore di donazione, una reciprocità che esprime in qualche modo e manifesta ciò che è proprio la vita di Dio.
E qui abbiamo presente l’altro aspetto: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò”. L’immagine di Dio è posta certo nella singola persona, ma è posta in maniera saliente nella coppia perché nessuno di noi è persona da sola e tra le varie relazioni possibili la relazione costitutiva e fondante è quella dell’uomo e della donna che costituiscono un’unità. E quest’unità non è episodica. Ecco, se ci fermiamo sull’aspetto di unità, voglio citare la lettera del Papa alle famiglie, che è un testo che consiglio a tutti. Al numero 6 si dice: “Alla luce del Nuovo Testamento è possibile intravedere come il modello originario della famiglia vada ricercato in Dio stesso; nel mistero trinitario della sua vita”; cioè, è in questo riflesso che si vede il carattere assolutamente esigente ma necessario dell’unione. La famiglia scaturisce radicalmente dal mistero di Dio! Una donazione che per essere tale, non può che essere totale e nella totalità c’è il dono di sé, e nella totalità la caratteristica imprescindibile di non essere a tempo. Perché non ha senso dire: “Io mi do, ma fino ad un certo punto”. Oppure: “Io sono disponibile, però facciamo un contrattino!”
Una chimica americana ha detto tempo fa che le modificazioni biochimiche suscitate dall’attrazione reciproca durano due anni, due anni e mezzo. Allora facciamo un bel contrattino per questo periodo di tempo, poi cercherò un altro tipo di sollecitazione.
Se noi osserviamo un rapporto di coppia, così come si viene a costituire abitualmente, questo desiderio dell’amore che resiste al tempo è sempre presente. L’ideale cristiano del matrimonio che oggi sembra, come dire, non normale, invece trova riscontro nel desiderio di tutti e di ciascuno. Esistono un ragazzo e una ragazza che si mettono insieme con il desiderio che domani l’uno o l’altro dica: “Adesso ho un’altra/o”? Voi conoscete qualcuno che si mette insieme così? Io non credo, non credo che esista nessuno. Due persone si mettono insieme semplicemente perché si piacciono e quindi non possono pensare che il loro rapporto sia a termine. Lo temono magari, ma non è il loro desiderio. Tanto è vero che quando finisce un rapporto sembra che non si può vivere senza. E’ finito il mondo. Poi dopo tre giorni, tre settimane, hanno trovato altri sbocchi! Noi dobbiamo mostrare che è normale e naturale che l’unione coniugale sia stabile, sia perenne, sia totale. Non è un vincolo che si aggiunge. Ho letto oggi su internet un testo di parte cattolica (non dico il peccatore) che puntava tutto sul patto coniugale. Io sono convinto che in parte è vero – non fraintendetemi, gli impegni hanno il loro peso. Però guai se tutto fosse fondato semplicemente sul fatto di avere sottoscritto un impegno, se non fosse l’espressione di una realtà più profonda, più radicale.
Ecco, allora il matrimonio cristiano, così come proposto dalla fede cristiana, incontra il desiderio profondo del cuore umano, quello che ogni ragazzo e ogni ragazza innamorata prova e sente. E sfido chiunque a dire il contrario. Questo naturalmente non garantisce che poi le cose vadano secondo quel desiderio, ma permette di riconoscere che la parola della rivelazione davvero mostra la verità dell’uomo. C’è quella famosa frase della Gaudium et Spes (22), documento del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel mondo contemporaneo E’ un’espressione che dice che Gesù rivela l’uomo all’uomo e gli fa conoscere la sua altissima vocazione. Questa Parola mostra quella che è la sua verità profonda e l’unico modo di realizzarla in maniera felice. Certo l’aggancio alla sua radice, che è la vita trinitaria, ci mostra anche la chiave di tutto questo.
Qui entriamo in un'altra dimensione fondamentale: la reciprocità del dono. Noi sappiamo che ci sono tre modi per dire amare in greco – io lo devo dire in greco per fare bella figura ma lo si capisce pure in italiano: eros, agape e filia. Eros cioè l’amore di attrazione, l’erotismo o la dimensione erotica. L’erotismo come tanti “ismi” è una deviazione. La dimensione erotica fa parte della naturalità dell’amore. Se qualcuno pensa che in ambito cristiano questo suoni male sbaglia. Il problema non sta qui, sta nel fatto che troppo spesso ci si ferma lì. E allora cominciano i guai perché la dimensione erotica non si autosostiene. Citiamo un autore che non è di area cattolica: Francesco Alberoni. Qualcuno ricorderà un libro di qualche anno fa, fatto molto bene: “Innamoramento e amore”. Bisogna notare che se l’innamoramento non diventa amore non esiste più neanche come innamoramento. La biochimica americana che ha detto che l’attrazione dura due anni e mezzo, ha ragione, dal suo punto di vista. Se uno si limita a quell’aspetto, non dura. Se ci limitiamo a questa assimilazione dell’uomo all’animale, ha ragione! Siamo sorpresi che certi matrimoni saltino; ma è normale. Sarebbe strano il contrario, perché se sono stati coltivati soltanto sotto quell’aspetto, non possono avere consistenza. Però c’è anche la filantropia, amore di amicizia. Qualche volta succede così che si passa dall’uno all’altro, e non mi piace. Si dice che ad un certo punto “si diventa amici”. Mah!? Non mi convince. Che marito e moglie siano anche amici mi sta bene certo, “anche”.
Io credo che l’unico modo per far sì che anche la dimensione profonda dell’amore come eros continui a vivere è quella di arrivare all’amore agape cioè quello della donazione. E’ un cammino lungo e difficile e non basta una vita. Ci si può e ci si deve provare continuamente. La redenzione è un di più, ma che porta a compimento la creazione. La dinamica del peccato rende impossibile all’uomo “naturale” realizzare la propria natura. Il passare dall’eros all’agape, con l’aiuto della grazia, non è una mera legge naturale, è una esigenza profonda. Ciò che propizia l’amore è proprio ciò che lo ostacola: l’attrazione! Il peccato ti fa credere che abbia consistenza ciò che ha solo carattere di inizio. Se eros non diventa filia e agape, muore proprio come eros! Ma come eros, comunque, si trasforma!
L’originario è l’amore di Dio, quello che c’è in Dio, tra le persone della Trinità. Per noi è un po’ diverso, esistiamo sempre come relazioni. Se un bambino non incontra nessuno, non parla con nessuno, non impara a parlare, non impara neanche a riconoscersi. Si racconta che Federico II prese due bambini, permise che solo ad uno di loro due si parlasse, mentre all’altro nessuno doveva mai rivolgere la parola.. E questo povero bambino non solo non parlò, ma morì perché non riusciva a potersi aprire alla vita. Questa relazionalità profonda trova in Dio il suo paradigma; noi entriamo in relazioni occasionali in tanti modi. Ma la relazione vera tra le persone è quella che si esprime nella donazione e la relazione coniugale diventa il modello. La relazione di quest’uomo, fatto da Dio come “un prodigio”. Dio lo ha modellato come un artista. E’ bello il modo di parlare che si usava: “lo zio di...”, “il nipote di...”, “il figlio di...”. Oggi tendiamo a parlare per funzioni: “il medico”, “l’infermiere”, ecc. ecc. Nessuno prima diceva che la famiglia era l’unità fondamentale – o che lo era la parrocchia o la comunità – perché lo erano. Oggi se ne parla perché non lo sono. E’ straordinario questo non potersi pensare come “indipendente da...”. Ciò che io faccio, ciò che io vivo, porta sempre con me l’altro! Tanto è vero, voi lo sapete, che, in alcune coppie, se uno muore, dopo un po’ muore anche l’altro.
C’è così una soggettività reale della famiglia: i due sono una carne sola! Non c’è solo il concorrere di due scelte private, non c’è solo la privatizzazione: ma questo è possibile solo se uno si consegna totalmente. Conosciamo famiglie in cui si entra per caso – ad esempio a cena – e ci si trova bene. Si rimane a bocca aperta, meglio, a bocca chiusa! E’ ciò che indica la radice del verbo “muein”, chiudere la bocca, dove il “mistero” non è tanto “tenere il segreto”, ma accorgersi di ciò che è veramente più grande. Anche nelle migliori famiglie c’è sempre l’esposizione alla difficoltà, alla crisi, ma si sente questa presenza di bene.
Il matrimonio è un sacramento - non è che lo inventiamo stasera. Che cosa vuol dire che è un sacramento? Tante cose. Una di queste tante cose è che manifesta e concretizza, come è possibile alle realtà umane, l’amore di Dio. Cioè quell’amore di donazione totale ed esclusiva per il quale il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono uno e non solo non perdono la propria soggettività nel essere uno ma la esprimono nell’essere uno. La perderebbero se non fossero uno. Quel tipo di amore è manifestato dalla vita della coppia dove i due essendo se stessi sono uno. E più sono uno più diventano se stessi. E più diventano se stessi e più fanno uno. Come capita quando un’unione coniugale cresce e davvero l’uno non riesce a immaginare nulla della propria vita se non in relazione - non dico “in funzione”, ma “in relazione” con l’altro. Certo questo, come dice San Paolo è un grande mistero. Cioè una cosa che si può dire come sto facendo io, abusando della vostra pazienza, ma pure non si riesce a dirla fino in fondo.
Ma, attenzione! Questo vuol dire, prima di tutto, che è un dono e noi dobbiamo essere consapevoli di questo. Perché da un lato quello che noi esprimiamo come realtà profonda nucleare e sintetica del matrimonio è la sua verità naturale. Dall’altro è vero che tutto questo è non solo irrealizzabile, ma è in definitiva non del tutto comprensibile, se non per la Grazia. Non si può andare a parlare di queste cose senza un contesto di preghiera. Se uno va a far la visita alle famiglie non è che dice solo le giaculatorie. Si può fare anche questo, però è qui che si vede l’intreccio tra la dimensione della parola e quella della testimonianza. Dunque, dono di Dio che naturalmente il credente è chiamato a domandare, a riconoscere, e a esprimere. Per questo il matrimonio è sacramento. In esso si riceve la grazia sacramentale. E il matrimonio è un sacramento “che permane”, cioè non è un sacramento solo nell’atto in cui viene celebrato – e poi dico: “Fine, ora abbiamo già ricevuto un sacramento...” E’ un sacramento nel suo esistere, nel suo vivere, in tutte le sue manifestazioni, anche in quelle intime della coppia.
Leggete Gaudium et Spes dal numero 48 in avanti. L’intimità della coppia coniugale, correttamente intesa, esprime la sacramentalità del matrimonio. Cerchiamo di dire queste cose, di smettere di accettare che noi cattolici siamo considerati un po’ inibiti, un po’ sottosviluppati. Dobbiamo dimostrare che la fede cristiana valorizza la persona nella sua realtà profonda e la avvia sul sentiero della valorizzazione corretta, quella che consente alla coppia di cogliere tutto ciò che positivamente vi si esprime. Quella che consente anche, certo, di agire responsabilmente. Quella che consente - o esige - di essere fedeli al proprio ruolo, al proprio dovere, ai propri compiti. La legge c’è, certo, perché la grazia di Dio, a volte, non riesce a farsi sentire. Ma, come dice S.Paolo, di certo dovremmo agire per impulso dello Spirito Santo, non perché è comandato dalla legge - ogni tanto la legge comanda, ci richiama, funziona anche quello, quando non siamo troppo lucidi. Però non è certo questo la radice e la sorgente di un matrimonio felice; è l’altra, la Grazia, anche se a volte occorre che qualcuno tenga la mano sulla testa per non far commettere sciocchezze. Dunque questa realtà profonda della vita coniugale nella quale si esprime una alleanza. Dice ancora il Papa nella lettera ai conuigi: “L’alleanza coniugale: la famiglia prende inizio dalla comunione coniugale, che il Concilio Vaticano II qualifica come alleanza, nella quale l’uomo e la donna mutuamente si danno e si ricevono”.
E’ quello che credo dovremmo sviluppare: la valenza profonda del dono. E qui mi ricollego a quelle osservazioni di carattere più generale con le quali ho iniziato: vi ricordate quella della direzione del tempo, quella dell’etica senza riferimenti. Cioè abbiamo sviluppato una società per cui ci riconosciamo per funzioni e sempre meno ci rapportiamo come “io” e “tu”. Per fortuna devo dire nell’ambito di alcune correnti di pensiero si è sviluppata la filosofia del dono. I filosofi fanno un lavoro di carattere filosofico, laico, però riconoscono ripetutamente che coloro che hanno tenuto vivo questo pensiero sono i cattolici, è la Chiesa. E allora dice un filosofo in un’intervista recente: “Dobbiamo rivalutare questo aspetto: tra cattolici e dono c’è un legame storico molto importante. Il cattolicesimo si presentava come una religione del dono”. Naturalmente un autore parlando da laico postcristiano usava l’imperfetto: “Il cattolicesimo si presentava”. Io correggo il tempo: “Il cattolicesimo si presenta come la religione del dono”. Io penso che anche qui noi abbiamo qualcosa da dare e darlo con la semplicità, ma anche con la fierezza, di essere portatori di un pensiero che è tutt’altro che ammuffito, anzi che ha tenuto vivo il tema del dono nella società della tecnica, del pensiero calcolatore. Cito qui Martin Heidegger, che conoscono tutti: “Sta crescendo sempre più il pensiero calcolante, il pensiero calcolatore”.
Poi abbiamo in Italia due che seguono questa via, non questo pensiero, questa diagnosi: Emanuele Severino che è un noto filosofo e Umberto Galimberti che ha fatto un volume interessante Questi signori, mettono - badate bene, li ho citati perché non sono di matrice cristiana, cattolica - in guardia questa civiltà dal rischio di essere dominata dal pensiero calcolante. Guardate che i nostri figli lo succhiano nel latte materno. Che cosa domandano? “Cosa mi serve? A che cosa mi serve?” Questo è il pensiero calcolante. Vale ciò che serve. O aveva invece ragione il Piccolo Principe, “l’essenziale è invisibile agli occhi”? E questo è il dibattito culturale da proporre, nel senso della mentalità che si forma. Portare nei rapporti familiari, nella vita familiare, prima di ogni altra visione il “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. La vita è un dono che riceviamo e che è fatto per esprimersi donando. Tutta questa dimensione che sta dentro la logica profonda della fede cristiana, deve essere recuperata fortemente.
Ma quando parlo con quei ragazzi che hanno litigato, che si sono piantati, io dico: “Però tu dici: io ti voglio bene. Ma mica è vero. Noi vogliamo bene a noi stessi, mica agli altri”. E’ una crescita continua, quella di trasformare questo nella capacità del dono. La vita coniugale è il luogo dove questo si esprime in maniera massima. La vita religiosa consacrata esprime in un rapporto di relazione con Dio questa esigenza, in modo tale che la vita coniugale la riconosca. La vita coniugale insegna alla vita consacrata che l’amore per Dio è verticale ma poi se non lo si tocca nell’orizzontale non funziona. Allora c’è questa reciprocità. L’una e l’altra vivono e praticano questa dimensione fondamentale dell’amore che va fortemente ripristinata.
Allora la generosità delle famiglie: conosco alcune famiglie che si sono messe nella strada dell’aiuto, della solidarietà e si vede come i figli sono dentro questa dinamica e respirano concretamente un modo di vedere la vita completamente diverso. Perché allora cambiano anche tutti i valori in gioco. Perché per loro gli uomini e le donne non vivono solo in rapporto al mercato, alla quantificazione. Se noi andiamo a vedere quantitativamente nei telegiornali di oggi rispetto a quelli di 30 anni fa, ci rendiamo conto di quanto spazio occupano ormai le notizie economiche, la borsa. Non è innocente tutto questo! Vuol dire che sempre di più questo diventa il parametro su cui si misurano i rapporti. La vita coniugale è una vita che può vivere di donazione reciproca o altrimenti contraddice radicalmente se stessa. La proposta cristiana è quella di amare per sempre, non come obbligo, ma come esigenza profonda del dono.
Tra le cose che avevo portato c’era un altro discorso del Papa alla Rota dove si dice che l’indissolubilità esprime la natura profonda dell’unione coniugale; è una sua esigenza intrinseca. Non è una norma aggiunta dall’esterno. E’ un dono di Dio. Ed è un dono di Dio da chiedere per la vita di coppia e che la coppia cristiana propone agli altri. E allora diventa attraente, capace di suscitare adesioni profonde; è bello così. Anche per quelli che magari non si uniscono, o non ci sono riusciti e devono essere ricondotti in qualche modo dentro questo dinamica e questa dimensione. Allora, per finire, in Italia la famiglia rimane uno dei punti più alti secondo le statistiche nelle aspirazioni nei ragazzi. Teniamolo presente. Anche i sondaggi più recenti ci danno, tra i valori più importanti, la famiglia: al 92%. La famiglia è proprio nel desiderio del cuore dell’uomo. Poi certo, gli altri dati vanno invece in una direzione opposta. Pensate che in un foglio dell’Istat sugli ultimi anni del millennio trascorso, il fattore di divorziabilità è passato in un decennio dal 65% al 99%. Divorziabilità significa il pensiero che il divorzio possa essere una soluzione non auspicabile ma possibile. E però c’è l’altro dato: i ragazzi mettono al primo posto, davanti al lavoro, alla carriera - in uno degli ultimi sondaggi che ho visto, al 93 al 94% - la famiglia. Quindi ci muoviamo su un terreno che presenta dei lati sfavorevoli, addirittura di grande ostilità. Però rimane nel cuore dell’uomo il desiderio della famiglia, e quando dicono famiglia, in questo caso, si riferiscono alla famiglia così come viene intesa in ciò che abbiamo fin qui visto. Quel valore che non è confessionale, ma “culturale”, scritto nell’originario dell’uomo, come già indicava Aristotele, quando affermava che la famiglia è “di natura”.