Le Dolomiti “immagine del nostro Dio”. Da Petrarca a Ruskin, una riflessione sulla montagna e sulla dimensione metafisica delle cattedrali della natura, di Albino Luciani (poi papa Giovanni Paolo I)
Riprendiamo sul nostro sito un testo di Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I, da I luoghi dell’Infinito, n. 275, XXVI (2022), pp. 42-43. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Ecologia. Cfr. anche I preti e la nascita dell’alpinismo, di Paolo Papone.
Il Centro culturale Gli scritti (23/10/2022)
Presentiamo il testo dell’omelia della Messa celebrata ad Auronzo di Cadore per il Club Alpino Italiano, il 7 luglio 1974.
Sono lieto di trovarmi qui a celebrare il secolo di vita della sezione cadorina di Auronzo del Cai. Sono tali le benemerenze del Cai e così elevati gli ideali che esso persegue fin dal suo sorgere, che ci si sente onorati di venire associati a qualcuna delle sue liete ricorrenze. Del resto, non è mistero per nessuno che nel 1863, tra i primi a dare il nome al Cai, è stato un santo: San Leonardo Murialdo, torinese, che nel 1864 ripeté brillantemente con suo fratello la scalata al Monviso, la cui cima era stata raggiunta per la prima volta l’anno antecedente da Quintino Sella, uno appunto dei fondatori del Cai.
Della sezione del Club Alpino di Milano fu invece socio Achille Ratti, con uno «stato di servizio» alpinistico veramente straordinario. Tra le molte imprese del futuro Papa, nel settore, fu eccezionale per quei tempi la traversata, da lui compiuta nel 1889, del Monte Rosa, attraverso il colle Zunstein.
Di essa egli estese una sobria relazione nel “Bollettino del Cai”. Leggerla è un piacere, tanto rende al vivo il pericolo sempre in agguato dietro le rocce e sui ghiacciai, la lotta tenace con le mani e con i piedi contro gli ostacoli, le notti passate all’addiaccio, il cappello soffiato via e inghiottito dal ghiacciaio, un sistema tentato in extremis, e riuscito, di superare un crepaccio al volo, mettendosi a sedere e scivolando dal ghiacciaio di qua a quello di là del crepaccio, con il rischio di non potersi fermare in corsa.
Balza dal racconto anche il compito difficile delle guide. Una di queste comanda un fermo improvviso e inaspettato: Ratti chiede spiegazioni. «Monsier - gli risponde la guida senza neppure voltarsi -, je vous en prie, ne parlez pas: cela me dérange l’esprit». Così devono essere le guide alpine: vigili, responsabili, ferme e pratiche.
Achille Ratti partecipò con passione a tutta la vita del Cai: una sua relazione ricorda l’escursione al cratere del Vesuvio con relativo banchetto fraterno e brindisi alla solidarietà alpinistica. Il 1° luglio è partita da Auronzo la spedizione “Groenlandia ‘74”. Nel 1899 anche il Ratti aveva vagheggiato sul serio di prendere parte alla spedizione polare del duca degli Abruzzi.
Sia il Murialdo che il Ratti, proprio perché alpinisti di razza, a contatto con la grande montagna, seppero elevarsi al grande Iddio. Cosa del resto antica quanto il mondo. Signore, diceva il salmista, «emergono i monti, scendono le valli / al luogo che hai loro assegnato [...]/ Fai scaturire le sorgenti nelle valli e scorrono tra i monti [...]/ Per i camosci sono le alte montagne, / le rocce sono il rifugio per gli iràci [...] / Quanto sono grandi, Signore, / le tue opere!» (Sal 104).
Sentimenti simili espresse Francesco Petrarca, quando il 26 aprile 1336 scalò il monte Ventoux. La sua lettera al padre Dionigi di San Sepolcro è forse il primo autentico documento storico dell’alpinismo di tutto il mondo.
Arrivato in cima, con non poca fatica, fu tale lo spettacolo panoramico che si presentò davanti agli occhi ammirati del poeta, che non poté trattenersi dal tirare fuori di tasca le Confessioni di sant’Agostino, che portava sempre con sé. Aprì e volle leggere ai suoi compagni il brano seguente: «Ho interrogato la terra: “Sei tu Dio?” e mi rispose: “Non sono io”. E mi fecero la stessa dichiarazione tutte le cose che sono in essa. Ho interrogato il mare e i suoi abissi, i viventi che vi si muovono, e risposero: “Non siamo il tuo Dio; cerca più in alto”. Ho interrogato il sussurro del vento; e tutta l'atmosfera con i suoi abitatori rispose: “Anassimene s’inganna; non sono la divinità". E ho interrogato il cielo, il sole, la luna, le stelle: “Nemmeno noi”, mi dicono, “nemmeno noi siamo il Dio che cerchi”. Dissi allora a tutto ciò che siede davanti alle porte dei miei sensi: “Se non lo siete voi, ditemi qualche cosa del mio Dio, parlatemi di lui”. E a gran voce tutto rispose: “È il nostro creatore”.
Guardare le creature era come interrogarle; la loro bellezza era la loro risposta [...]
Ho interrogato intorno al mio Dio tutto l'universo, e la sua risposta fu: “Non sono io, ma il mio creatore [...] né la terra, né il cielo, né quello che è corporale sono il tuo Dio. La loro natura lo dimostra. In una massa la parte è minore del tutto. E tu, tu, o anima, sei la parte migliore, perché tu animi la massa del tuo corpo, dandogli la vita che nessun corpo può dare a un altro corpo. Ora, il tuo Dio per te è anche vita della vita"» (Confessioni, 10.6).
Scusate, se vi ho inflitto l'ascolto di questo brano. Sono persuaso che l'alpinismo praticato serve molto a temprare il carattere e la volitività, che esso abitua i giovani al sacrificio e alle privazioni, alla riflessione, al silenzio, al rischio prudente e coraggioso, ma sembra a me che mancherebbe all'alpinismo qualcosa, se al contatto con la montagna l'alpinista non fosse capace di sentire la presenza e il messaggio di Dio, privandosi di quell'autentica ricchezza che è il salire anche con lo spirito.
John Ruskin non era cattolico, ma è stato capace di vedere nelle montagne «le grandi cattedrali della terra, con le loro porte di roccia, con i loro mosaici di nubi, con il loro coro di ruscelli e di cascate, con i loro altari di neve, con le loro volte risplendenti di sole o scintillanti di stelle» (J. Ruskin, Pagine scelte e tradotte, Lanciano 1915, pag. 293).
Credo siano molti i luoghi in cui si può seguire Ruskin in questa visione idealizzata. Auronzo, però, è privilegiata, circondata com'è da monti che si chiamano le Tre Cime di Lavaredo, il Corno del Doge, l’Ajarnola, i Cadini di Misurina, il Sorapis, le Marmarole. Queste ultime il Carducci le voleva «...palagio di sogni, / eliso di spiriti e di fate» (G. Carducci, Cadore, vv. 39-40). Con il salmista e con san Francesco d’Assisi, noi andiamo più in là del Carducci: vediamo nei monti l’immagine del nostro Dio: «Sei tu, Signore, la rupe, alla quale si appoggia con fiducia la nostra debolezza» (In Opera omnia VI, Edizioni Messaggero 1989, pagg. 375-377).