Verbum Domini, Esortazione apostolica postsinodale di Benedetto XVI sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa
Ripresentiamo sul nostro sito l’esortazione scritta da Benedetto XVI a conclusione del Sinodo dei vescovi su La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di sottolineare on-line alcuni passaggi. Vedi anche, su questo stesso sito, il Messaggio al popolo di Dio del Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della chiesa (sintesi) ed il testo Il cardinal Carlo Maria Martini: un instancabile maestro della “lectio divina”, dell’allora cardinal Joseph Ratzinger. Sulla Sacra Scrittura vedi la sezione omonima Sacra Scrittura. Libri biblici.
Il Centro culturale Gli scritti (3/12/2010)
Indice
- INTRODUZIONE
- PRIMA PARTE VERBUM DEI
- IL DIO CHE PARLA
- Dio in dialogo
- Analogia della Parola di Dio
- Dimensione cosmica della Parola
- La creazione dell’uomo
- Il realismo della Parola
- Cristologia della Parola
- Dimensione escatologica della Parola di Dio
- La Parola di Dio e lo Spirito Santo
- Tradizione e Scrittura
- Sacra Scrittura, ispirazione e verità
- Dio Padre, fonte e origine della Parola
- LA RISPOSTA DELL’UOMO AL DIO CHE PARLA
- L’ERMENEUTICA DELLA SACRA SCRITTURA NELLA CHIESA
- La Chiesa luogo originario dell’ermeneutica della Bibbia
- «L’anima della sacra Teologia»
- Sviluppo della ricerca biblica e Magistero ecclesiale
- L’ermeneutica biblica conciliare: un’indicazione da recepire
- Il pericolo del dualismo e l’ermeneutica secolarizzata
- Fede e ragione nell’approccio alla Scrittura
- Senso letterale e senso spirituale
- Il necessario trascendimento della «lettera»
- L’unità intrinseca della Bibbia
- Il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento
- Le pagine «oscure» della Bibbia
- Cristiani ed ebrei in riferimento alle sacre Scritture
- L’interpretazione fondamentalista della sacra Scrittura
- Dialogo tra Pastori, teologi ed esegeti
- Bibbia ed ecumenismo
- Conseguenze sull’impostazione degli studi teologici
- I Santi e l’interpretazione della Scrittura
- IL DIO CHE PARLA
- SECONDA PARTE VERBUM IN ECCLESIA
- LA PAROLA DI DIO E LA CHIESA
- LITURGIA, LUOGO PRIVILEGIATO DELLA PAROLA DI DIO
- La Parola di Dio nella sacra liturgia
- Sacra Scrittura e Sacramenti
- Parola di Dio ed Eucaristia
- La sacramentalità della Parola
- La sacra Scrittura e il Lezionario
- Proclamazione della Parola e ministero del lettorato
- L’importanza dell’omelia
- Opportunità di un Direttorio omiletico
- Parola di Dio e Liturgia delle Ore
- Parola di Dio e Benedizionale
- Suggerimenti e proposte concrete per l’animazione liturgica
- LA PAROLA DI DIO NELLA VITA ECCLESIALE
- Incontrare la Parola di Dio nella sacra Scrittura
- L’animazione biblica della pastorale
- Dimensione biblica della catechesi
- Formazione biblica dei cristiani
- La sacra Scrittura nei grandi raduni ecclesiali
- Parola di Dio e vocazioni
- Lettura orante della sacra Scrittura e «lectio divina»
- Parola di Dio e preghiera mariana
- Parola di Dio e Terra Santa
- TERZA PARTE VERBUM MUNDO
- LA MISSIONE DELLA CHIESA: ANNUNCIARE LA PAROLA DI DIO AL MONDO
- La Parola dal Padre e verso il Padre
- Annunciare al mondo il «Logos» della Speranza
- Dalla Parola di Dio la missione della Chiesa
- La Parola e il Regno di Dio
- Tutti i battezzati responsabili dell’annuncio
- La necessità della «missio ad gentes»
- Annuncio e nuova evangelizzazione
- Parola di Dio e testimonianza cristiana
- PAROLA DI DIO E IMPEGNO NEL MONDO
- Servire Gesù nei suoi «fratelli più piccoli» (Mt 25,40)
- Parola di Dio e impegno nella società per la giustizia
- Annuncio della Parola di Dio, riconciliazione e pace tra i popoli
- La Parola di Dio e la carità operosa
- Annuncio della Parola di Dio e i giovani
- Annuncio della Parola di Dio e i migranti
- Annuncio della Parola di Dio e i sofferenti
- Annuncio della Parola di Dio e i poveri
- Parola di Dio e custodia del creato
- PAROLA DI DIO E CULTURE
- Il valore della cultura per la vita dell’uomo
- La Bibbia come grande codice per le culture
- La conoscenza della Bibbia nelle scuole e università
- La sacra Scrittura nelle diverse espressioni artistiche
- Parola di Dio e mezzi di comunicazione sociale
- Bibbia e inculturazione
- Traduzioni e diffusione della Bibbia
- La Parola di Dio supera i limiti delle culture
- PAROLA DI DIO E DIALOGO INTERRELIGIOSO
- CONCLUSIONE
- LA MISSIONE DELLA CHIESA: ANNUNCIARE LA PAROLA DI DIO AL MONDO
- NOTE AL TESTO
INTRODUZIONE
1. La Parola del Signore rimane in eterno. «E questa è la Parola del Vangelo che vi è stato annunziato» (1Pt 1,25; cfr Is 40,8). Con questa espressione della Prima Lettera di san Pietro, che riprende le parole del profeta Isaia, siamo posti di fronte al mistero di Dio che comunica se stesso mediante il dono della sua Parola. Questa Parola, che rimane in eterno, è entrata nel tempo. Dio ha pronunciato la sua eterna Parola in modo umano; il suo Verbo «si fece carne» (Gv 1,14). Questa è la buona notizia. Questo è l’annunzio che attraversa i secoli, arrivando fino a noi oggi. La XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, celebratasi in Vaticano dal 5 al 26 ottobre 2008, ha avuto come tema La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. È stata un’esperienza profonda di incontro con Cristo, Verbo del Padre, che è presente dove due o tre si trovano riuniti nel suo nome (cfr Mt 18,20). Con questa Esortazione apostolica postsinodale accolgo volentieri la richiesta dei Padri di far conoscere a tutto il Popolo di Dio la ricchezza emersa nell’assise vaticana e le indicazioni espresse dal lavoro comune[1]. In questa prospettiva intendo riprendere quanto elaborato dal Sinodo, tenendo conto dei documenti presentati: i Lineamenta, l’Instrumentum laboris, le Relazioni ante e post disceptationem e i testi degli interventi, sia quelli letti in aula sia quelli in scriptis, le Relazioni dei Circoli Minori e le loro discussioni, il Messaggio finale al Popolo di Dio e soprattutto alcune proposte specifiche Propositiones), che i Padri hanno ritenuto di particolare rilievo. In tal modo desidero indicare alcune linee fondamentali per una riscoperta, nella vita della Chiesa, della divina Parola, sorgente di costante rinnovamento, auspicando al contempo che essa diventi sempre più il cuore di ogni attività ecclesiale.
Perché la nostra gioia sia perfetta
2. Vorrei innanzitutto richiamare alla memoria la bellezza ed il fascino del rinnovato incontro con il Signore Gesù sperimentato nei giorni dell’Assemblea sinodale. Per questo, facendomi eco dei Padri, mi rivolgo a tutti i fedeli con le parole di san Giovanni nella sua prima lettera: «Vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e che si manifestò a noi -, quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo» (1Gv 1,2-3). L’Apostolo ci parla di un udire, vedere, toccare e contemplare (cfr 1Gv 1,1) il Verbo della Vita, poiché la Vita stessa si è manifestata in Cristo. E noi, chiamati alla comunione con Dio e tra noi, dobbiamo essere annunciatori di tale dono. In questa prospettiva kerigmatica, l’Assemblea sinodale è stata una testimonianza alla Chiesa e al mondo di quanto sia bello l’incontro con la Parola di Dio nella comunione ecclesiale. Pertanto, esorto tutti i fedeli a riscoprire l’incontro personale e comunitario con Cristo, Verbo della Vita che si è reso visibile, e a farsi suoi annunciatori perché il dono della vita divina, la comunione, si dilati sempre più in tutto il mondo. Infatti, partecipare alla vita di Dio, Trinità d’Amore, è gioia piena (cfr 1Gv 1,4). Ed è dono e compito imprescindibile della Chiesa comunicare la gioia che viene dall’incontro con la Persona di Cristo, Parola di Dio presente in mezzo a noi. In un mondo che spesso sente Dio come superfluo o estraneo, noi confessiamo come Pietro che solo Lui ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68). Non esiste priorità più grande di questa: riaprire all’uomo di oggi l’accesso a Dio, al Dio che parla e ci comunica il suo amore perché abbiamo vita in abbondanza (cfr Gv 10,10).
Dalla «Dei Verbum» al Sinodo sulla Parola di Dio
3. Con la XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio siamo consapevoli di aver messo a tema, in un certo senso, il cuore stesso della vita cristiana, in continuità con la precedente Assemblea sinodale sull’Eucaristia come fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa. Infatti, la Chiesa si fonda sulla Parola di Dio, nasce e vive di essa[2].2 Lungo tutti i secoli della sua storia, il Popolo di Dio ha sempre trovato in essa la sua forza e la comunità ecclesiale cresce anche oggi nell’ascolto, nella celebrazione e nello studio della Parola di Dio. Si deve riconoscere che negli ultimi decenni la vita ecclesiale ha aumentato la sua sensibilità intorno a questo tema, con particolare riferimento alla Rivelazione cristiana, alla viva Tradizione e alla sacra Scrittura. A partire dal pontificato di Papa Leone XIII, si può dire che vi sia stato un crescendo di interventi atti a prendere maggiore consapevolezza dell’importanza della Parola di Dio e degli studi biblici nella vita della Chiesa,[3] che ha avuto il suo culmine nel Concilio Vaticano II, in modo speciale con la promulgazione della Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione Dei Verbum. Essa rappresenta una pietra miliare nel cammino ecclesiale: «I Padri sinodali … riconoscono con animo grato i grandi benefici apportati da questo documento alla vita della Chiesa, a livello esegetico, teologico, spirituale, pastorale ed ecumenico».[4] In particolare è cresciuta in questi anni la consapevolezza dell’«orizzonte trinitario e storico-salvifico della Rivelazione»[5] in cui riconoscere Gesù Cristo, quale «mediatore e pienezza di tutta intera la Rivelazione».[6] La Chiesa confessa incessantemente ad ogni generazione che Lui, «col fatto stesso della sua presenza e con la manifestazione che fa di sé con le parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la sua morte e la sua risurrezione di tra i morti, e infine con l’invio dello Spirito di verità, compie e completa la Rivelazione».[7] È a tutti noto il grande impulso che la Costituzione dogmatica Dei Verbum ha dato per la riscoperta della Parola di Dio nella vita della Chiesa, per la riflessione teologica sulla divina Rivelazione e per lo studio della sacra Scrittura. Non pochi sono stati anche gli interventi del Magistero ecclesiale su queste materie negli ultimi quarant’anni.[8] La Chiesa, nella consapevolezza della continuità del proprio cammino sotto la guida dello Spirito Santo, con la celebrazione di questo Sinodo si è sentita chiamata ad approfondire ulteriormente il tema della divina Parola, sia come verifica dell’attuazione delle indicazioni conciliari, sia per affrontare le nuove sfide che il tempo presente pone ai credenti in Cristo.
Il Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio
4. Nella XII Assemblea sinodale, Pastori provenienti da tutto il mondo si sono riuniti intorno alla Parola di Dio e hanno simbolicamente messo al centro dell’Assemblea il testo della Bibbia per riscoprire ciò che nel quotidiano rischiamo di dare per scontato: il fatto che Dio parli e risponda alle nostre domande.[9] Insieme abbiamo ascoltato e celebrato la Parola del Signore. Ci siamo raccontati vicendevolmente quanto il Signore sta operando nel Popolo di Dio, condividendo speranze e preoccupazioni. Tutto questo ci ha reso consapevoli che possiamo approfondire il nostro rapporto con la Parola di Dio solo all’interno del «noi» della Chiesa, nell’ascolto e nell’accoglienza reciproca. Da qui scaturisce la gratitudine per le testimonianze sulla vita ecclesiale nelle diverse parti del mondo, emerse dai vari interventi in aula. Allo stesso modo è stato toccante anche ascoltare i Delegati fraterni, che hanno accolto l’invito a partecipare all’incontro sinodale. Penso in particolare alla meditazione che ci ha offerto Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli, per la quale i Padri sinodali hanno espresso profonda riconoscenza.[10] Inoltre, per la prima volta il Sinodo dei Vescovi ha voluto invitare anche un Rabbino perché ci donasse una preziosa testimonianza sulle sacre Scritture ebraiche, che appunto sono anche parte delle nostre sacre Scritture.[11] Così abbiamo potuto constatare con gioia e gratitudine che «nella Chiesa c’è una Pentecoste anche oggi – cioè che essa parla in molte lingue e questo non soltanto nel senso esteriore dell’essere rappresentate in essa tutte le grandi lingue del mondo, ma ancora di più in senso più profondo: in essa sono presenti i molteplici modi dell’esperienza di Dio e del mondo, la ricchezza delle culture, e solo così appare la vastità dell’esistenza umana e, a partire da essa, la vastità della Parola di Dio».[12] Inoltre, abbiamo potuto constatare anche una Pentecoste ancora in cammino; vari popoli attendono ancora che sia annunciata la Parola di Dio nella propria lingua e nella propria cultura. Come non ricordare poi che durante tutto il Sinodo ci ha accompagnato la testimonianza dell’apostolo Paolo! È stato provvidenziale, infatti, che la XII Assemblea Generale Ordinaria si sia tenuta proprio all’interno dell’anno dedicato alla figura del grande Apostolo delle genti, in occasione del bimillenario della sua nascita. La sua esistenza è stata caratterizzata totalmente dallo zelo per la diffusione della Parola di Dio. Come non sentire nel nostro cuore le sue vibranti parole in riferimento alla sua missione di annunciatore della Parola divina: «tutto io faccio per il Vangelo» (1Cor 9,23); «Io infatti – scrive nella Lettera ai Romani – non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (1,16). Quando riflettiamo sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa non possiamo non pensare a san Paolo e alla sua vita donata per diffondere l’annuncio della salvezza di Cristo a tutte le genti.
Il Prologo del Vangelo di Giovanni come guida
5. Mediante questa Esortazione apostolica desidero che le acquisizioni del Sinodo influiscano efficacemente sulla vita della Chiesa: sul personale rapporto con le sacre Scritture, sulla loro interpretazione nella liturgia e nella catechesi come anche nella ricerca scientifica, affinché la Bibbia non rimanga una Parola del passato, ma una Parola viva e attuale. A questo scopo intendo presentare ed approfondire i risultati del Sinodo facendo riferimento costante al Prologo del Vangelo di Giovanni (Gv 1,1-18), nel quale ci è comunicato il fondamento della nostra vita: il Verbo, che dal principio è presso Dio, si è fatto carne ed ha posto la sua dimora in mezzo a noi (cfr Gv 1,14). Si tratta di un testo mirabile, che offre una sintesi di tutta la fede cristiana. Dall’esperienza personale di incontro e di sequela di Cristo, Giovanni, che la tradizione identifica nel «discepolo che Gesù amava» (Gv 13,23; 20,2; 21,7.20), «trasse un’intima certezza: Gesù è la Sapienza di Dio incarnata, è la sua Parola eterna fattasi uomo mortale».[13] Colui che «vide e credette» (Gv 20,8) aiuti anche noi a poggiare il capo sul petto di Cristo (cfr Gv 13,25), dal quale sono scaturiti sangue ed acqua (cfr Gv 19,34), simboli dei Sacramenti della Chiesa. Seguendo l’esempio dell’apostolo Giovanni e degli altri autori ispirati, lasciamoci guidare dallo Spirito Santo per poter amare sempre di più la Parola di Dio.
PRIMA PARTE
VERBUM DEI
«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio… e il Verbo si fece carne» (Gv 1,1.14)
IL DIO CHE PARLA
Dio in dialogo
6. La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi.[14] La Costituzione dogmatica Dei Verbum aveva esposto questa realtà riconoscendo che «Dio invisibile nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici e si intrattiene con essi, per invitarli e ammetterli alla comunione con Sé».[15] Ma non avremmo ancora compreso a sufficienza il messaggio del Prologo di san Giovanni se ci fermassimo alla constatazione che Dio si comunica amorevolmente a noi. In realtà il Verbo di Dio, mediante il quale «tutto è stato fatto» (Gv 1,3) e che si «fece carne» (Gv 1,14), è il medesimo che sta «in principio» (Gv 1,1). Se qui avvertiamo un’allusione all’inizio del libro della Genesi (cfr Gen 1,1), in realtà siamo posti di fronte ad un principio di carattere assoluto e che ci narra la vita intima di Dio. Il Prologo giovanneo ci pone di fronte al fatto che il Logos è realmente da sempre, e da sempre egli stesso è Dio. Dunque, non c’è mai stato in Dio un tempo in cui non ci fosse il Logos. Il Verbo preesiste alla creazione. Pertanto, nel cuore della vita divina c’è la comunione, c’è il dono assoluto. «Dio è amore» (1Gv 4,16), dirà altrove lo stesso Apostolo, indicando con ciò «l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino».[16] Dio si fa conoscere a noi come mistero di amore infinito in cui il Padre dall’eternità esprime la sua Parola nello Spirito Santo. Perciò il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso. Pertanto, fatti ad immagine e somiglianza di Dio amore, possiamo comprendere noi stessi solo nell’accoglienza del Verbo e nella docilità all’opera dello Spirito Santo. È alla luce della Rivelazione operata dal Verbo divino che si chiarisce definitivamente l’enigma della condizione umana.
Analogia della Parola di Dio
7. Da queste considerazioni che scaturiscono dalla meditazione sul mistero cristiano espresso nel Prologo di Giovanni è necessario ora rilevare quanto è stato affermato dai Padri sinodali in relazione alle diverse modalità con cui noi utilizziamo l’espressione «Parola di Dio». Si è giustamente parlato di una sinfonia della Parola, di una Parola unica che si esprime in diversi modi: «un canto a più voci».[17] I Padri sinodali hanno parlato a questo proposito di un uso analogico del linguaggio umano in riferimento alla Parola di Dio. In effetti, questa espressione, se da una parte riguarda la comunicazione che Dio fa di se stesso, dall’altra assume significati diversi che vanno attentamente considerati e relazionati fra loro, sia dal punto di vista della riflessione teologica che dell’uso pastorale. Come ci mostra in modo chiaro il Prologo di Giovanni, il Logos indica originariamente il Verbo eterno, ossia il Figlio unigenito, generato dal Padre prima di tutti i secoli e a Lui consustanziale: il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio. Ma questo stesso Verbo, afferma san Giovanni, si «fece carne» (Gv 1,14); pertanto Gesù Cristo, nato da Maria Vergine, è realmente il Verbo di Dio fattosi consustanziale a noi. Dunque l’espressione «Parola di Dio» viene qui ad indicare la persona di Gesù Cristo, eterno Figlio del Padre, fatto uomo. Inoltre, se al centro della Rivelazione divina c’è l’evento di Cristo, occorre anche riconoscere che la stessa creazione, il liber naturae, è anche essenzialmente parte di questa sinfonia a più voci in cui l’unico Verbo si esprime. Allo stesso modo confessiamo che Dio ha comunicato la sua Parola nella storia della salvezza, ha fatto udire la sua voce; con la potenza del suo Spirito «ha parlato per mezzo dei profeti».[18] La divina Parola, pertanto, si esprime lungo tutta la storia della salvezza ed ha la sua pienezza nel mistero dell’incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio. E ancora, Parola di Dio è quella predicata dagli Apostoli, in obbedienza al comando di Gesù Risorto: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15). Pertanto, la Parola di Dio è trasmessa nella Tradizione viva della Chiesa. Infine, la Parola di Dio attestata e divinamente ispirata è la sacra Scrittura, Antico e Nuovo Testamento. Tutto questo ci fa comprendere perché nella Chiesa veneriamo grandemente le sacre Scritture, pur non essendo la fede cristiana una «religione del Libro»: il cristianesimo è la «religione della Parola di Dio», non di «una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente».[19] Pertanto la Scrittura va proclamata, ascoltata, letta, accolta e vissuta come Parola di Dio, nel solco della Tradizione apostolica dalla quale è inseparabile.[20] Come hanno affermato i Padri sinodali, realmente ci troviamo di fronte ad un uso analogico dell’espressione «Parola di Dio», di cui dobbiamo essere consapevoli. Occorre pertanto che i fedeli vengano maggiormente educati a cogliere i suoi diversi significati e a comprenderne il senso unitario. Anche dal punto di vista teologico è necessario che si approfondisca l’articolazione dei differenti significati di questa espressione perché risplenda meglio l’unità del piano divino e la centralità in esso della persona di Cristo.[21]
Dimensione cosmica della Parola
8. Consapevoli del significato fondamentale della Parola di Dio in riferimento all’eterno Verbo di Dio fatto carne, unico salvatore e mediatore tra Dio e l’uomo,[22] ed in ascolto di questa Parola, siamo condotti dalla rivelazione biblica a riconoscere che essa è il fondamento di tutta la realtà. Il Prologo di san Giovanni afferma, in riferimento al Logos divino, che «tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Gv 1,3); anche nella Lettera ai Colossesi si afferma in riferimento a Cristo, «primogenito di tutta la creazione» (1,15), che «tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (1,16). E l’autore della Lettera agli Ebrei ricorda che «per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile» (11,3). Questo annuncio è per noi una parola liberante. Infatti, le affermazioni scritturistiche indicano che tutto ciò che esiste non è frutto di un caso irrazionale, ma è voluto da Dio, è dentro il suo disegno, al cui centro sta l’offerta di partecipare alla vita divina in Cristo. Il creato nasce dal Logos e porta in modo indelebile la traccia della Ragione creatrice che ordina e guida. Di questa certezza gioiosa cantano i salmi: «Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffi o della sua bocca ogni loro schiera» (Sal 33,6); ed ancora: «egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto» (Sal 33,9). L’intera realtà esprime questo mistero: «I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento» (Sal 19,2). Per questo è la stessa sacra Scrittura che ci invita a conoscere il Creatore osservando il creato (cfr Sap 13,5; Rm 1,19-20). La tradizione del pensiero cristiano ha saputo approfondire questo elemento-chiave della sinfonia della Parola, quando, ad esempio, san Bonaventura, che insieme alla grande tradizione dei Padri greci vede tutte le possibilità della creazione nel Logos,[23] afferma che «ogni creatura è parola di Dio, poiché proclama Dio».[24] La Costituzione dogmatica Dei Verbum aveva sintetizzato questo dato dichiarando che «Dio, il quale crea e conserva tutte le cose per mezzo del Verbo (cfr Gv 1,3), offre agli uomini nelle cose create una perenne testimonianza di sé».[25]
La creazione dell’uomo
9. La realtà, dunque, nasce dalla Parola come creatura Verbi e tutto è chiamato a servire la Parola. La creazione è luogo in cui si sviluppa tutta la storia dell’amore tra Dio e la sua creatura; pertanto la salvezza dell’uomo è il movente di tutto. Contemplando il cosmo nella prospettiva della storia della salvezza siamo portati a scoprire la posizione unica e singolare occupata dall’uomo nella creazione: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Questo ci consente di riconoscere pienamente i doni preziosi ricevuti dal Creatore: il valore del proprio corpo, il dono della ragione, della libertà e della coscienza. In ciò troviamo anche quanto la tradizione filosofica chiama «legge naturale».[26] In effetti, «ogni essere umano che accede alla coscienza e alla responsabilità fa l’esperienza di una chiamata interiore a compiere il bene»[27] e, dunque, ad evitare il male. Come ricorda san Tommaso d’Aquino, su questo principio si fondano anche tutti gli altri precetti della legge naturale.[28] L’ascolto della Parola di Dio ci porta innanzitutto a stimare l’esigenza di vivere secondo questa legge «scritta nel cuore» (cfr Rm 2,15; 7,23).[29] Gesù Cristo, poi, dà agli uomini la Legge nuova, la Legge del Vangelo, la quale assume e realizza in modo eminente la legge naturale, liberandoci dalla legge del peccato, a causa del quale, come dice san Paolo, «in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo» (Rm 7,18), e dona agli uomini, mediante la grazia, la partecipazione alla vita divina e la capacità di superare l’egoismo.[30]
Il realismo della Parola
10. Chi conosce la divina Parola conosce pienamente anche il significato di ogni creatura. Se tutte le cose, infatti, «sussistono» in Colui che è «prima di tutte le cose» (cfr Col 1,17), allora chi costruisce la propria vita sulla sua Parola edifica veramente in modo solido e duraturo. La Parola di Dio ci spinge a cambiare il nostro concetto di realismo: realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto.[31] Di ciò abbiamo particolarmente bisogno nel nostro tempo, in cui molte cose su cui si fa affidamento per costruire la vita, su cui si è tentati di riporre la propria speranza, rivelano il loro carattere effimero. L’avere, il piacere e il potere si manifestano prima o poi incapaci di compiere le aspirazioni più profonde del cuore dell’uomo. Egli, infatti, per edificare la propria vita ha bisogno di fondamenta solide, che rimangano anche quando le certezze umane vengono meno. In realtà, poiché «per sempre, o Signore, la tua parola è stabile nei cieli» e la fedeltà del Signore dura «di generazione in generazione» (Sal 119,89-90), chi costruisce su questa Parola edifica la casa della propria vita sulla roccia (cfr Mt 7,24). Che il nostro cuore possa dire ogni giorno a Dio: «Tu sei mio rifugio e mio scudo: spero nella Tua parola» (Sal 119,114) e come san Pietro possiamo agire ogni giorno affidandoci al Signore Gesù: «sulla Tua parola getterò le reti» (L c 5,5).
Cristologia della Parola
11. Da questo sguardo alla realtà come opera della santissima Trinità, mediante il Verbo divino, possiamo comprendere le parole dell’autore della Lettera agli Ebrei: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo» (1,1-2). È molto bello osservare come già tutto l’Antico Testamento si presenti a noi come storia nella quale Dio comunica la sua Parola: infatti, «mediante l’alleanza stretta con Abramo (cfr Gen 15,18), e per mezzo di Mosè col popolo d’Israele (cfr Es 24,8), egli si rivelò, in parole e in atti, al popolo che così s’era acquistato, come l’unico Dio vivo e vero, in modo tale che Israele sperimentasse quale fosse il piano di Dio con gli uomini e, parlando Dio stesso per bocca dei profeti, lo comprendesse con sempre maggiore profondità e chiarezza e lo facesse conoscere con maggiore ampiezza alle genti (cfr Sal 21,28-29; 95,1-3; Is 2,1-4; Ger 3,17)».[32] Questa condiscendenza di Dio si compie in modo insuperabile nell’incarnazione del Verbo. La Parola eterna che si esprime nella creazione e che si comunica nella storia della salvezza è diventata in Cristo un uomo, «nato da donna» (Gal 4,4). La Parola qui non si esprime innanzitutto in un discorso, in concetti o regole. Qui siamo posti di fronte alla persona stessa di Gesù. La sua storia unica e singolare è la Parola definitiva che Dio dice all’umanità. Da qui si capisce perché «all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva».[33] Il rinnovarsi di questo incontro e di questa consapevolezza genera nel cuore dei credenti lo stupore per l’iniziativa divina che l’uomo con le proprie capacità razionali e la propria immaginazione non avrebbe mai potuto escogitare. Si tratta di una novità inaudita e umanamente inconcepibile: «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi»(Gv 1,14a). Queste espressioni non indicano una figura retorica, ma un’esperienza vissuta! A riferirla è san Giovanni, testimone oculare: «noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14b). La fede apostolica testimonia che la Parola eterna si è fatta Uno di noi. La Parola divina si esprime davvero in parole umane.
12. La tradizione patristica e medievale, nel contemplare questa «Cristologia della Parola», ha utilizzato un’espressione suggestiva: il Verbo si è abbreviato.[34] «I Padri della Chiesa, nella loro traduzione greca dell’Antico Testamento, trovavano una parola del profeta Isaia, che anche san Paolo cita per mostrare come le vie nuove di Dio fossero già preannunciate nell’Antico Testamento. Lì si leggeva: “Dio ha reso breve la sua Parola, l’ha abbreviata” (Is 10,23; Rm 9,28) … Il Figlio stesso è la Parola, è il Logos: la Parola eterna si è fatta piccola – così piccola da entrare in una mangiatoia. Si è fatta bambino, affinché la Parola diventi per noi afferrabile».[35] Adesso, la Parola non solo è udibile, non solo possiede una voce, ora la Parola ha un volto, che dunque possiamo vedere: Gesù di Nazareth.[36] Seguendo il racconto dei Vangeli, notiamo come la stessa umanità di Gesù si mostri in tutta la sua singolarità proprio in riferimento alla Parola di Dio. Egli, infatti, realizza nella sua perfetta umanità la volontà del Padre istante per istante; Gesù ascolta la sua voce e vi obbedisce con tutto se stesso; egli conosce il Padre e osserva la sua parola (cfr Gv 8,55); racconta a noi le cose del Padre (cfr Gv 12,50); «le parole che hai dato a me io le ho date a loro» (Gv 17,8). Pertanto Gesù mostra di essere il Logos divino che si dona a noi, ma anche il nuovo Adamo, l’uomo vero, colui che compie in ogni istante non la propria volontà ma quella del Padre. Egli «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (L c 2,52). In modo perfetto, ascolta, realizza in sé e comunica a noi la Parola divina (cfr L c 5,1). La missione di Gesù trova infine il suo compimento nel Mistero Pasquale: qui siamo posti di fronte alla «Parola della croce» (1Cor 1,18). Il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è «detto» fino a tacere, non trattenendo nulla di ciò che ci doveva comunicare. Suggestivamente i Padri della Chiesa, contemplando questo mistero, mettono sulle labbra della Madre di Dio questa espressione: «È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita».[37] Qui ci è davvero comunicato l’amore «più grande», quello che dà la vita per i propri amici (cfr Gv 15,13). In questo grande mistero Gesù si manifesta come la Parola della Nuova ed Eterna Alleanza: la libertà di Dio e la libertà dell’uomo si sono definitivamente incontrate nella sua carne crocifissa, in un patto indissolubile, valido per sempre. Gesù stesso nell’Ultima Cena, nell’istituzione dell’Eucaristia, aveva parlato di «Nuova ed Eterna Alleanza», stipulata nel suo sangue versato (cfr Mt 26,28; Mc 14,24; L c 22,20), mostrandosi come il vero Agnello immolato, nel quale si compie la definitiva liberazione dalla schiavitù.[38] Nel mistero luminosissimo della risurrezione questo silenzio della Parola si manifesta nel suo significato autentico e definitivo. Cristo, Parola di Dio incarnata, crocifissa e risorta, è Signore di tutte le cose; egli è il Vincitore, il Pantocrator, e tutte le cose sono così ricapitolate per sempre in Lui (cfr Ef 1,10). Cristo, dunque, è «la luce del mondo» (Gv 8,12), quella luce che «splende nelle tenebre» (Gv 1,5) e che le tenebre non hanno vinto (cfr Gv 1,5). Qui comprendiamo pienamente il significato del Salmo 119: «lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (v.105); la Parola che risorge è questa luce definitiva sulla nostra strada. I cristiani fin dall’inizio hanno avuto coscienza che in Cristo la Parola di Dio è presente come Persona. La Parola di Dio è la vera luce di cui l’uomo ha bisogno. Sì, nella risurrezione il Figlio di Dio è sorto come Luce del mondo. Adesso, vivendo con Lui e per Lui, possiamo vivere nella luce.
13. Giunti, per così dire, al cuore della «Cristologia della Parola», è importante sottolineare l’unità del disegno divino nel Verbo incarnato: per questo il Nuovo Testamento ci presenta il Mistero Pasquale in accordo con le sacre Scritture, come loro intimo compimento. San Paolo, nella Prima Lettera ai Corinzi, afferma che Gesù Cristo morì per i nostri peccati «secondo le Scritture» (15,3) e che è risorto il terzo giorno «secondo le Scritture» (15,4). Con ciò l’Apostolo pone l’evento della morte e risurrezione del Signore in relazione alla storia dell’Antica Alleanza di Dio con il suo popolo. Anzi, ci fa capire che tale storia riceve da esso la sua logica ed il suo vero significato. Nel Mistero Pasquale si compiono «le parole della Scrittura, cioè, questa morte realizzata “secondo le Scritture” è un avvenimento che porta in sé un logos, una logica: la morte di Cristo testimonia che la Parola di Dio si è fatta sino in fondo “carne”, “storia” umana».[39] Anche la risurrezione di Gesù avviene «il terzo giorno secondo le Scritture»: poiché secondo l’interpretazione giudaica la corruzione cominciava dopo il terzo giorno, la parola della Scrittura si adempie in Gesù che risorge prima che cominci la corruzione. In tal modo san Paolo, tramandando fedelmente l’insegnamento degli Apostoli (cfr 1 Cor 15,3), sottolinea che la vittoria di Cristo sulla morte avviene attraverso la potenza creatrice della Parola di Dio. Questa potenza divina reca speranza e gioia: è questo in definitiva il contenuto liberatore della rivelazione pasquale. Nella Pasqua, Dio rivela se stesso e la potenza dell’Amore trinitario che annienta le forze distruttrici del male e della morte. Richiamando questi elementi essenziali della nostra fede, possiamo così contemplare la profonda unità tra creazione e nuova creazione e di tutta la storia della salvezza in Cristo. Esprimendoci con un’immagine, possiamo paragonare il cosmo ad un «libro» – così diceva anche Galileo Galilei –, considerandolo come «l’opera di un Autore che si esprime mediante la “sinfonia” del creato. All’interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un “assolo”, un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; ed è così importante che da esso dipende il significato dell’intera opera. Questo “assolo” è Gesù… Il Figlio dell’uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. È il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l’Autore e la sua opera».[40]
Dimensione escatologica della Parola di Dio
14. Con tutto ciò la Chiesa esprime la consapevolezza di trovarsi con Gesù Cristo di fronte alla Parola definitiva di Dio; egli è «il Primo e l’Ultimo» (Ap 1,17). Egli ha dato alla creazione e alla storia il suo senso definitivo; per questo siamo chiamati a vivere il tempo, ad abitare la creazione di Dio dentro questo ritmo escatologico della Parola; «l’economia cristiana dunque, in quanto è l’Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcun’altra rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo (cfr 1 Tm 6,14 e Tt 2,13)».[41] Infatti, come hanno ricordato i Padri durante il Sinodo, la «specificità del cristianesimo si manifesta nell’evento Gesù Cristo, culmine della Rivelazione, compimento delle promesse di Dio e mediatore dell’incontro tra l’uomo e Dio. Egli “che ci ha rivelato Dio” (Gv 1,18) è la Parola unica e definitiva consegnata all’umanità».[42] San Giovanni della Croce ha espresso questa verità in modo mirabile: «Dal momento in cui ci ha donato il Figlio suo, che è la sua unica e definitiva Parola, ci ha detto tutto in una sola volta in questa sola Parola e non ha più nulla da dire ... Infatti quello che un giorno diceva parzialmente ai profeti, l’ha detto tutto nel suo Figlio, donandoci questo tutto che è il suo Figlio. Perciò chi volesse ancora interrogare il Signore e chiedergli visioni o rivelazioni, non solo commetterebbe una stoltezza, ma offenderebbe Dio, perché non fissa il suo sguardo unicamente in Cristo e va cercando cose diverse e novità».[43] Di conseguenza, il Sinodo ha raccomandato di «aiutare i fedeli a distinguere bene la Parola di Dio dalle rivelazioni private»,[44] il cui ruolo «non è quello... di “completare” la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica».[45] Il valore delle rivelazioni private è essenzialmente diverso dall’unica rivelazione pubblica: questa esige la nostra fede; in essa infatti per mezzo di parole umane e della mediazione della comunità vivente della Chiesa, Dio stesso parla a noi. Il criterio per la verità di una rivelazione privata è il suo orientamento a Cristo stesso. Quando essa ci allontana da Lui, allora essa non viene certamente dallo Spirito Santo, che ci guida all’interno del Vangelo e non fuori di esso. La rivelazione privata è un aiuto per questa fede, e si manifesta come credibile proprio perché rimanda all’unica rivelazione pubblica. Per questo l’approvazione ecclesiastica di una rivelazione privata indica essenzialmente che il relativo messaggio non contiene nulla che contrasti la fede ed i buoni costumi; è lecito renderlo pubblico, ed i fedeli sono autorizzati a dare ad esso in forma prudente la loro adesione. Una rivelazione privata può introdurre nuovi accenti, fare emergere nuove forme di pietà o approfondirne di antiche. Essa può avere un certo carattere profetico (cfr 1 Tess 5,19-21) e può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora attuale; perciò non lo si deve trascurare. È un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso. In ogni caso, deve trattarsi di un nutrimento della fede, della speranza e della carità, che sono per tutti la via permanente della salvezza.[46]
La Parola di Dio e lo Spirito Santo
15. Dopo esserci soffermati sulla Parola ultima e definitiva di Dio al mondo, è necessario richiamare ora la missione dello Spirito Santo in relazione alla divina Parola. Infatti, non v’è alcuna comprensione autentica della Rivelazione cristiana al di fuori dell’azione del Paraclito. Ciò dipende dal fatto che la comunicazione che Dio fa di se stesso implica sempre la relazione tra il Figlio e lo Spirito Santo, che Ireneo di Lione, infatti, chiama «le due mani del Padre».[47] Del resto, è la sacra Scrittura a indicarci la presenza dello Spirito Santo nella storia della salvezza ed in particolare nella vita di Gesù, il quale è concepito dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo (cfr Mt 1,18; L c 1,35); all’inizio della sua missione pubblica, sulle rive del Giordano, lo vede scendere su di sé in forma di colomba (cfr Mt 3,16); in questo stesso Spirito Gesù agisce, parla ed esulta (cfr Lc 10,21); ed è nello Spirito che egli offre se stesso (cfr Eb 9,14). Sul finire della sua missione, secondo il racconto dell’Evangelista Giovanni, è Gesù stesso a mettere in chiara relazione il dono della sua vita con l’invio dello Spirito ai suoi (cfr Gv 16,7). Gesù risorto, poi, portando nella sua carne i segni della passione, effonde lo Spirito (cfr Gv 20,22), rendendo i suoi partecipi della sua stessa missione (cfr Gv 20,21). Lo Spirito Santo insegnerà ai discepoli ogni cosa e ricorderà loro tutto ciò che Cristo ha detto (cfr Gv 14,26), poiché sarà Lui, lo Spirito di Verità (cfr Gv 15,26), a condurre i discepoli alla Verità tutta intera (cfr Gv 16,13). Infine, come si legge negli Atti degli Apostoli, lo Spirito discende sui Dodici radunati in preghiera con Maria nel giorno di Pentecoste (cfr 2,1-4), e li anima alla missione di annunciare a tutti i popoli la Buona Novella.[48] La Parola di Dio, dunque, si esprime in parole umane grazie all’opera dello Spirito Santo. La missione del Figlio e quella dello Spirito Santo sono inseparabili e costituiscono un’unica economia della salvezza. Lo stesso Spirito che agisce nell’incarnazione del Verbo nel seno della Vergine Maria, è il medesimo che guida Gesù lungo tutta la sua missione e che viene promesso ai discepoli. Lo stesso Spirito, che ha parlato per mezzo dei profeti, sostiene e ispira la Chiesa nel compito di annunciare la Parola di Dio e nella predicazione degli Apostoli; è questo Spirito, infine, che ispira gli autori delle sacre Scritture.
16. Consapevoli di quest’orizzonte pneumatologico, i Padri sinodali hanno voluto richiamare l’importanza dell’azione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa e nel cuore dei credenti in relazione alla sacra Scrittura:[49] senza l’azione efficace dello «Spirito della Verità» (Gv 14,16) non è dato di comprendere le parole del Signore. Come ricorda ancora sant’Ireneo: «Quelli che non partecipano dello Spirito non attingono nel petto della loro madre (la Chiesa) il nutrimento della vita, essi non ricevono nulla dalla sorgente più pura che sgorga dal corpo di Cristo».[50] Come la Parola di Dio viene a noi nel corpo di Cristo, nel corpo eucaristico e nel corpo delle Scritture mediante l’azione dello Spirito Santo, così essa può essere accolta e compresa veramente solo grazie al medesimo Spirito. I grandi scrittori della tradizione cristiana sono unanimi nel considerare il ruolo dello Spirito Santo nel rapporto che i credenti devono avere con le Scritture. San Giovanni Crisostomo afferma che la Scrittura «ha bisogno della rivelazione dello Spirito, affinché scoprendo il vero senso delle cose che vi si trovano racchiuse, ne ricaviamo un abbondante profitto».[51] Anche san Girolamo è fermamente convinto che «non possiamo arrivare a comprendere la Scrittura senza l’aiuto dello Spirito Santo che l’ha ispirata».[52] San Gregorio Magno, poi, sottolinea suggestivamente l’opera del medesimo Spirito nella formazione e nell’interpretazione della Bibbia: «Egli stesso ha creato le parole dei santi testamenti, egli stesso le dischiuse».[53] Riccardo di san Vittore ricorda che occorrono «occhi di colomba», illuminati ed istruiti dallo Spirito, per comprendere il testo sacro.[54] Vorrei sottolineare ancora quanto sia significativa la testimonianza che troviamo riguardo alla relazione tra lo Spirito Santo e la Scrittura nei testi liturgici, dove la Parola di Dio viene proclamata, ascoltata e spiegata ai fedeli. È il caso di antiche preghiere che in forma di epiclesi invocano lo Spirito prima della proclamazione delle letture: «Manda il tuo Santo Spirito Paraclito nelle nostre anime e facci comprendere le Scritture da lui ispirate; e concedi a me di interpretarle in maniera degna, perché i fedeli qui radunati ne traggano profitto». Allo stesso modo, troviamo preghiere che, al termine dell’omelia, di nuovo invocano Dio per il dono dello Spirito sui fedeli: «Dio salvatore… t’imploriamo per questo popolo: manda su di esso lo Spirito Santo; il Signore Gesù venga a visitarlo, parli alle menti di tutti e disponga i cuori alla fede e conduca a te le nostre anime, Dio delle Misericordie».[55] Da tutto ciò possiamo ben capire perché non si possa arrivare a comprendere il senso della Parola se non si accoglie l’azione del Paraclito nella Chiesa e nei cuori dei credenti.
Tradizione e Scrittura
17. Riaffermando il profondo legame tra lo Spirito Santo e la Parola di Dio, abbiamo anche posto le basi per comprendere il senso ed il valore decisivo della viva Tradizione e delle sacre Scritture nella Chiesa. Infatti, poiché Dio «ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16), la Parola divina, pronunciata nel tempo, si è donata e «consegnata» alla Chiesa in modo definitivo, cosicché l’annuncio della salvezza possa essere comunicato efficacemente in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Come ci ricorda la Costituzione dogmatica Dei Verbum, Gesù Cristo stesso «ordinò agli Apostoli che l’Evangelo, prima promesso per mezzo dei profeti e da Lui adempiuto e promulgato di persona venisse da loro predicato a tutti come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola morale, comunicando ad essi i doni divini. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli Apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca del Cristo vivendo con Lui e guardandoLo agire, sia ciò che avevano imparato dai suggerimenti dello Spirito Santo, quanto da quegli Apostoli e da uomini della loro cerchia, i quali, per ispirazione dello Spirito Santo, misero per scritto il messaggio della salvezza».[56] Il Concilio Vaticano II ricorda, inoltre, come questa Tradizione di origine apostolica sia realtà viva e dinamica: essa «progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo»; non nel senso che essa muti nella sua verità, che è perenne. Piuttosto «cresce … la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse», con la contemplazione e lo studio, con l’intelligenza data da una più profonda esperienza spirituale, e per mezzo della «predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità».[57] La viva Tradizione è essenziale affinché la Chiesa possa crescere nel tempo nella comprensione della verità rivelata nelle Scritture; infatti, «è questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa l’intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture».[58] In definitiva, è la viva Tradizione della Chiesa a farci comprendere in modo adeguato la sacra Scrittura come Parola di Dio. Sebbene il Verbo di Dio preceda ed ecceda la sacra Scrittura, tuttavia, in quanto ispirata da Dio, essa contiene la Parola divina (cfr 2Tm 3,16) «in modo del tutto singolare».[59]
18. Da questo si evince come sia importante che il Popolo di Dio sia educato e formato in modo chiaro ad accostarsi alle sacre Scritture in relazione alla viva Tradizione della Chiesa, riconoscendo in esse la Parola stessa di Dio. Far crescere questo atteggiamento nei fedeli è molto importante dal punto di vista della vita spirituale. Può aiutare a questo proposito ricordare un’analogia sviluppata dai Padri della Chiesa tra il Verbo di Dio che si fa «carne» e la Parola che si fa «libro».[60] La Costituzione dogmatica Dei Verbum, raccogliendo quest’antica tradizione secondo la quale «il corpo del Figlio è la Scrittura a noi trasmessa» – come afferma sant’Ambrogio[61] –, dichiara: «Le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze della natura umana, si fece simile agli uomini».[62] Così compresa, la sacra Scrittura si presenta a noi, pur nella molteplicità delle sue forme e dei suoi contenuti, come realtà unitaria. Infatti, «Dio, attraverso tutte le parole della sacra Scrittura, non dice che una sola Parola, il suo unico Verbo, nel quale dice se stesso interamente (cfr Eb 1,1-3)»,[63] come già sant’Agostino affermava con chiarezza: «Ricordatevi che uno solo è il discorso di Dio che si sviluppa in tutta la sacra Scrittura ed uno solo è il Verbo che risuona sulla bocca di tutti gli scrittori santi».[64] In definitiva, mediante l’opera dello Spirito Santo e sotto la guida del Magistero, la Chiesa trasmette a tutte le generazioni quanto è stato rivelato in Cristo. La Chiesa vive nella certezza che il suo Signore, il Quale ha parlato nel passato, non cessa di comunicare oggi la sua Parola nella Tradizione viva della Chiesa e nella sacra Scrittura. Infatti, la Parola di Dio si dona a noi nella sacra Scrittura, quale testimonianza ispirata della Rivelazione, che con la viva Tradizione della Chiesa costituisce la regola suprema della fede.[65]
Sacra Scrittura, ispirazione e verità
19. Un concetto chiave per cogliere il testo sacro come Parola di Dio in parole umane è certamente quello dell’ispirazione. Anche qui ci è possibile suggerire un’analogia: come il Verbo di Dio si è fatto carne per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, così la sacra Scrittura nasce dal grembo della Chiesa per opera del medesimo Spirito. La sacra Scrittura è «Parola di Dio in quanto scritta per ispirazione dello Spirito di Dio».[66] In tal modo si riconosce tutta l’importanza dell’autore umano che ha scritto i testi ispirati e, al medesimo tempo, Dio stesso come vero autore. Come hanno affermato i Padri sinodali, appare in tutta evidenza quanto il tema dell’ispirazione sia decisivo per l’adeguato accostamento alle Scritture e per la loro corretta ermeneutica,[67] la quale a sua volta deve essere fatta nello stesso Spirito in cui è stata scritta.[68] Quando si affievolisce in noi la consapevolezza dell’ispirazione, si rischia di leggere la Scrittura come oggetto di curiosità storica e non come opera dello Spirito Santo, nella quale possiamo sentire la stessa voce del Signore e conoscere la sua presenza nella storia. Inoltre, i Padri sinodali hanno messo in evidenza come al tema dell’ispirazione sia connesso anche il tema della verità delle Scritture.[69] Per questo, un approfondimento della dinamica dell’ispirazione porterà indubbiamente anche ad una maggior comprensione della verità contenuta nei libri sacri. Come afferma la dottrina conciliare sul tema, i libri ispirati insegnano la verità: «Poiché dunque tutto ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, si deve dichiarare, per conseguenza, che i libri della Scrittura insegnano fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio per la nostra salvezza volle fosse consegnata nelle sacre Lettere. Infatti, “tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tm 3,16-17gr.)».[70] Certamente la riflessione teologica ha sempre considerato ispirazione e verità come due concetti chiave per un’ermeneutica ecclesiale delle sacre Scritture. Tuttavia, si deve riconoscere l’odierna necessità di un approfondimento adeguato di queste realtà, così da poter rispondere meglio alle esigenze riguardanti l’interpretazione dei testi sacri secondo la loro natura. In tale prospettiva formulo il vivo auspicio che la ricerca in questo campo possa progredire e porti frutto per la scienza biblica e per la vita spirituale dei fedeli.
Dio Padre, fonte e origine della Parola
20. L’economia della Rivelazione ha il suo inizio e la sua origine in Dio Padre. Dalla sua parola «furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera» (Sal 33,6). È Lui che fa «risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo» (2Cor 4,6; cfr Mt 16,17; L c 9,29). Nel Figlio, «Logos fatto carne» (cfr Gv 1,14), venuto a compiere la volontà di Colui che l’ha mandato (cfr Gv 4,34), Dio fonte della Rivelazione si manifesta come Padre e porta a compimento l’educazione divina dell’uomo, già in precedenza animata dalle parole dei profeti e dalle meraviglie operate nella creazione e nella storia del suo popolo e di tutti gli uomini. Il culmine della Rivelazione di Dio Padre è offerto dal Figlio con il dono del Paraclito (cfr Gv 14,16), Spirito del Padre e del Figlio, che ci «guida a tutta la verità» (Gv 16,13). È così che tutte le promesse di Dio diventano «sì» in Gesù Cristo (cfr 2Cor 1,20). In tale modo si apre per l’uomo la possibilità di percorrere la via che lo conduce al Padre (cfr Gv 14,6), perché alla fine «Dio sia tutto in tutti» (1Cor 15,28).
21. Come mostra la croce di Cristo, Dio parla anche per mezzo del suo silenzio. Il silenzio di Dio, l’esperienza della lontananza dell’Onnipotente e Padre è tappa decisiva nel cammino terreno del Figlio di Dio, Parola incarnata. Appeso al legno della croce, ha lamentato il dolore causatoGli da tale silenzio: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34; Mt 27,46). Procedendo nell’obbedienza fino all’estremo alito di vita, nell’oscurità della morte, Gesù ha invocato il Padre. A Lui si è affidato nel momento del passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (L c 23,46). Questa esperienza di Gesù è indicativa della situazione dell’uomo che, dopo aver ascoltato e riconosciuto la Parola di Dio, deve misurarsi anche con il suo silenzio. È un’esperienza vissuta da tanti santi e mistici, e che pure oggi entra nel cammino di molti credenti. Il silenzio di Dio prolunga le sue precedenti parole. In questi momenti oscuri Egli parla nel mistero del suo silenzio. Pertanto, nella dinamica della Rivelazione cristiana, il silenzio appare come un’espressione importante della Parola di Dio.
LA RISPOSTA DELL’UOMO AL DIO CHE PARLA
Chiamati ad entrare nell’Alleanza con Dio
22. Sottolineando la pluriformità della Parola, abbiamo potuto contemplare attraverso quante modalità Dio parli e venga incontro all’uomo, facendosi conoscere nel dialogo. Certo, come hanno affermato i Padri sinodali, «il dialogo quando è riferito alla Rivelazione comporta il primato della Parola di Dio rivolta all’uomo».[71] Il mistero dell’Alleanza esprime questa relazione tra Dio che chiama con la sua Parola e l’uomo che risponde, nella chiara consapevolezza che non si tratta di un incontro tra due contraenti alla pari; ciò che noi chiamiamo Antica e Nuova Alleanza non è un atto di intesa tra due parti uguali, ma puro dono di Dio. Mediante questo dono del suo amore Egli, superando ogni distanza, ci rende veramente suoi «partner», così da realizzare il mistero nuziale dell’amore tra Cristo e la Chiesa. In questa visione ogni uomo appare come il destinatario della Parola, interpellato e chiamato ad entrare in tale dialogo d’amore con una risposta libera. Ciascuno di noi è reso così da Dio capace di ascoltare e rispondere alla divina Parola. L’uomo è creato nella Parola e vive in essa; egli non può capire se stesso se non si apre a questo dialogo. La Parola di Dio rivela la natura filiale e relazionale della nostra vita. Siamo davvero chiamati per grazia a conformarci a Cristo, il Figlio del Padre, ed essere trasformati in Lui.
Dio ascolta l’uomo e risponde alle sue domande
23. In questo dialogo con Dio comprendiamo noi stessi e troviamo risposta alle domande più profonde che albergano nel nostro cuore. La Parola di Dio, infatti, non si contrappone all’uomo, non mortifica i suoi desideri autentici, anzi li illumina, purificandoli e portandoli a compimento. Come è importante per il nostro tempo scoprire che solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo! Nella nostra epoca purtroppo si è diffusa, soprattutto in Occidente, l’idea che Dio sia estraneo alla vita ed ai problemi dell’uomo e che, anzi, la sua presenza possa essere una minaccia alla sua autonomia. In realtà, tutta l’economia della salvezza ci mostra che Dio parla ed interviene nella storia a favore dell’uomo e della sua salvezza integrale. Quindi è decisivo, dal punto di vista pastorale, presentare la Parola di Dio nella sua capacità di dialogare con i problemi che l’uomo deve affrontare nella vita quotidiana. Proprio Gesù si presenta a noi come colui che è venuto perché possiamo avere la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10). Per questo, dobbiamo impiegare ogni sforzo per mostrare la Parola di Dio come apertura ai propri problemi, come risposta alle proprie domande, un allargamento dei propri valori ed insieme come una soddisfazione alle proprie aspirazioni. La pastorale della Chiesa deve illustrare bene come Dio ascolti il bisogno dell’uomo ed il suo grido. San Bonaventura afferma nel Breviloquium: «Il frutto della sacra Scrittura non è uno qualsiasi, ma addirittura la pienezza della felicità eterna. Infatti la sacra Scrittura è appunto il libro nel quale sono scritte parole di vita eterna perché, non solo crediamo, ma anche possediamo la vita eterna, in cui vedremo, ameremo e saranno realizzati tutti i nostri desideri».[72]
Dialogare con Dio mediante le sue parole
24. La divina Parola introduce ciascuno di noi al colloquio con il Signore: il Dio che parla ci insegna come noi possiamo parlare con Lui. Il pensiero va spontaneamente al Libro dei Salmi, nel quale Egli ci dà le parole con cui possiamo rivolgerci a Lui, portare la nostra vita nel colloquio davanti a Lui, trasformando così la vita stessa in un movimento verso Dio.[73] Nei Salmi infatti troviamo tutta la gamma articolata di sentimenti che l’uomo può provare nella propria esistenza e che vengono posti con sapienza davanti a Dio; gioia e dolore, angoscia e speranza, timore e trepidazione trovano qui espressione. Insieme ai Salmi pensiamo anche ai numerosi altri testi della sacra Scrittura che esprimono il rivolgersi dell’uomo a Dio nella forma della preghiera di intercessione (cfr Es 33,12-16), del canto di giubilo per la vittoria (cfr Es 15), o di lamento nello svolgimento della propria missione (cfr Ger 20,7-18). In tal modo la parola che l’uomo rivolge a Dio diventa anch’essa Parola di Dio, a conferma del carattere dialogico di tutta la Rivelazione cristiana,[74] e l’intera esistenza dell’uomo diviene un dialogo con Dio che parla ed ascolta, che chiama e mobilita la nostra vita. La Parola di Dio rivela qui che tutta l’esistenza dell’uomo è sotto la chiamata divina.[75]
La Parola di Dio e la fede
25. «A Dio che si rivela è dovuta “l’obbedienza della fede” (Rm 16,26; cfr Rm 1,5; 2 Cor 10,5-6), con la quale l’uomo gli si abbandona tutt’intero e liberamente prestando “il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà a Dio che rivela” e assentendo volontariamente alla Rivelazione che egli fa».[76] Con queste parole la Costituzione dogmatica Dei Verbum ha espresso in modo preciso l’atteggiamento dell’uomo nei confronti di Dio. La risposta propria dell’uomo al Dio che parla è la fede. In ciò si evidenzia che «per accogliere la Rivelazione, l’uomo deve aprire la mente e il cuore all’azione dello Spirito Santo che gli fa capire la Parola di Dio presente nelle sacre Scritture».[77] In effetti è proprio la predicazione della divina Parola a far sorgere la fede, con la quale aderiamo di cuore alla verità rivelataci e affidiamo tutto noi stessi a Cristo: «la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo» (Rm 10,17). È tutta la storia della salvezza che in modo progressivo ci mostra questo intimo legame tra la Parola di Dio e la fede che si compie nell’incontro con Cristo. Con Lui, infatti, la fede prende la forma dell’incontro con una Persona alla quale si affida la propria vita. Cristo Gesù rimane presente oggi nella storia, nel suo corpo che è la Chiesa, per questo l’atto della nostra fede è un atto nello stesso tempo personale ed ecclesiale.
Il peccato come non ascolto della Parola di Dio
26. La Parola di Dio rivela inevitabilmente anche la possibilità drammatica da parte della libertà dell’uomo di sottrarsi a questo dialogo di alleanza con Dio per il quale siamo stati creati. La divina Parola, infatti, svela anche il peccato che alberga nel cuore dell’uomo. Molto spesso troviamo sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento la descrizione del peccato come non ascolto della Parola, come rottura dell’Alleanza e dunque come chiusura nei confronti di Dio che chiama alla comunione con Lui.[78] In effetti, la sacra Scrittura ci mostra come il peccato dell’uomo sia essenzialmente disobbedienza e «non ascolto». Proprio l’obbedienza radicale di Gesù fino alla morte di Croce (cfr Fil 2,8) smaschera fino in fondo questo peccato. Nella sua obbedienza si compie la Nuova Alleanza tra Dio e l’uomo e viene donata a noi la possibilità della riconciliazione. Gesù, infatti, è stato mandato dal Padre come vittima di espiazione per i nostri peccati e per quelli di tutto il mondo (cfr 1Gv 2,2; 4,10; Eb 7,27). Così, ci viene offerta la possibilità misericordiosa della redenzione e l’inizio di una vita nuova in Cristo. Per questo è importante che i fedeli siano educati a riconoscere la radice del peccato nel non ascolto della Parola del Signore e ad accogliere in Gesù, Verbo di Dio, il perdono che ci apre alla salvezza.
Maria «Mater Verbi Dei» e «Mater fidei»
27. I Padri sinodali hanno dichiarato che scopo fondamentale della XII Assemblea è stato di «rinnovare la fede della Chiesa nella Parola di Dio»; per questo è necessario guardare là dove la reciprocità tra Parola di Dio e fede si è compiuta perfettamente, ossia a Maria Vergine, «che con il suo sì alla Parola d’Alleanza e alla sua missione, compie perfettamente la vocazione divina dell’umanità».[79] La realtà umana, creata per mezzo del Verbo, trova la sua figura compiuta proprio nella fede obbediente di Maria. Ella dall’Annunciazione alla Pentecoste si presenta a noi come donna totalmente disponibile alla volontà di Dio. È l’Immacolata Concezione, colei che è «colmata di grazia» da Dio (cfr Lc 1,28), docile in modo incondizionato alla Parola divina (cfr L c 1,38). La sua fede obbediente plasma la sua esistenza in ogni istante di fronte all’iniziativa di Dio. Vergine in ascolto, ella vive in piena sintonia con la divina Parola; serba nel suo cuore gli eventi del suo Figlio, componendoli come in un unico mosaico (cfr L c 2,19.51).[80] È necessario nel nostro tempo che i fedeli vengano introdotti a scoprire meglio il legame tra Maria di Nazareth e l’ascolto credente della divina Parola. Esorto anche gli studiosi ad approfondire maggiormente il rapporto tra mariologia e teologia della Parola. Da ciò potrà venire grande beneficio sia per la vita spirituale che per gli studi teologici e biblici. Infatti, quanto l’intelligenza della fede ha tematizzato in relazione a Maria si colloca nel centro più intimo della verità cristiana. In realtà, l’incarnazione del Verbo non può essere pensata a prescindere dalla libertà di questa giovane donna che con il suo assenso coopera in modo decisivo all’ingresso dell’Eterno nel tempo. Ella è la figura della Chiesa in ascolto della Parola di Dio che in lei si fa carne. Maria è anche simbolo dell’apertura per Dio e per gli altri; ascolto attivo, che interiorizza, assimila, in cui la Parola diviene forma della vita.
28. In questa circostanza desidero richiamare l’attenzione sulla familiarità di Maria con la Parola di Dio. Ciò risplende con particolare efficacia nel Magnificat. Qui, in un certo senso, si vede come Ella si identifichi con la Parola, entri in essa; in questo meraviglioso cantico di fede la Vergine esalta il Signore con la sua stessa Parola: «Il Magnificat — un ritratto, per così dire, della sua anima — è interamente tessuto di fili della sacra Scrittura, di fili tratti dalla Parola di Dio. Così si rivela che lei nella Parola di Dio è veramente a casa sua, ne esce e vi rientra con naturalezza. Ella parla e pensa con la Parola di Dio; la Parola di Dio diventa parola sua, e la sua parola nasce dalla Parola di Dio. Così si rivela, inoltre, che i suoi pensieri sono in sintonia con i pensieri di Dio, che il suo volere è un volere insieme con Dio. Essendo intimamente penetrata dalla Parola di Dio, ella può diventare madre della Parola incarnata».[81] Inoltre, il riferimento alla Madre di Dio ci mostra come l’agire di Dio nel mondo coinvolga sempre la nostra libertà perché nella fede la Parola divina ci trasforma. Anche la nostra azione apostolica e pastorale non potrà mai essere efficace se non impariamo da Maria a lasciarci plasmare dall’opera di Dio in noi: «L’attenzione devota e amorosa alla figura di Maria come modello e archetipo della fede della Chiesa, è di importanza capitale per operare anche oggi un concreto cambiamento di paradigma nel rapporto della Chiesa con la Parola, tanto nell’atteggiamento di ascolto orante quanto nella generosità dell’impegno per la missione e l’annuncio».[82] Contemplando nella Madre di Dio un’esistenza totalmente modellata dalla Parola, ci scopriamo anche noi chiamati ad entrare nel mistero della fede, mediante la quale Cristo viene a dimorare nella nostra vita. Ogni cristiano che crede, ci ricorda sant’Ambrogio, in un certo senso, concepisce e genera il Verbo di Dio in se stesso: se c’è una sola Madre di Cristo secondo la carne, secondo la fede, invece, Cristo è il frutto di tutti.[83] Dunque, quanto è accaduto a Maria può riaccadere in ciascuno di noi ogni giorno nell’ascolto della Parola e nella celebrazione dei Sacramenti.
L’ERMENEUTICA DELLA SACRA SCRITTURA NELLA CHIESA
La Chiesa luogo originario dell’ermeneutica della Bibbia
29. Un altro grande tema emerso durante il Sinodo, sul quale intendo ora richiamare l’attenzione, è l’interpretazione della sacra Scrittura nella Chiesa. Proprio il legame intrinseco tra Parola e fede mette in evidenza che l’autentica ermeneutica della Bibbia non può che essere nella fede ecclesiale, che ha nel sì di Maria il suo paradigma. San Bonaventura afferma a questo proposito che senza la fede non c’è chiave di accesso al testo sacro: «Questa è la conoscenza di Gesù Cristo, da cui hanno origine, come da una fonte, la sicurezza e l’intelligenza di tutta la sacra Scrittura. Perciò è impossibile che uno possa addentrarsi a conoscerla, se prima non abbia la fede infusa di Cristo, che è lucerna, porta e anche fondamento di tutta la Scrittura».[84] E san Tommaso d’Aquino, menzionando sant’Agostino, insiste con forza: «Anche la lettera del vangelo uccide se manca l’interiore grazia della fede che sana».[85] Questo ci permette di richiamare un criterio fondamentale dell’ermeneutica biblica: il luogo originario dell’interpretazione scritturistica è la vita della Chiesa. Questa affermazione non indica il riferimento ecclesiale come un criterio estrinseco cui gli esegeti devono piegarsi, ma è richiesta dalla realtà stessa delle Scritture e da come esse si sono formate nel tempo. Infatti, «le tradizioni di fede formavano l’ambiente vitale in cui si è inserita l’attività letteraria degli autori della sacra Scrittura. Questo inserimento comprendeva anche la partecipazione alla vita liturgica e all’attività esterna delle comunità, al loro mondo spirituale, alla loro cultura e alle peripezie del loro destino storico. L’interpretazione della sacra Scrittura esige perciò, in modo simile, la partecipazione degli esegeti a tutta la vita e a tutta la fede della comunità credente del loro tempo».[86] Di conseguenza, «dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta»,[87] occorre che gli esegeti, i teologi e tutto il Popolo di Dio si accostino ad essa per ciò che realmente è, quale Parola di Dio che si comunica a noi attraverso parole umane (cfr 1Tes 2,13). Questo è un dato costante ed implicito nella Bibbia stessa: «nessuna Scrittura profetica va soggetta a privata spiegazione, poiché non da volontà umana fu recata mai una profezia, ma mossi da Spirito Santo parlarono quegli uomini da parte di Dio» (2Pt 1,20-21). Del resto, è proprio la fede della Chiesa che riconosce nella Bibbia la Parola di Dio; come dice mirabilmente sant’Agostino, «non crederei al Vangelo se non mi ci inducesse l’autorità della Chiesa cattolica».[88] È lo Spirito Santo, che anima la vita della Chiesa, a rendere capaci di interpretare autenticamente le Scritture. La Bibbia è il libro della Chiesa e dalla sua immanenza nella vita ecclesiale scaturisce anche la sua vera ermeneutica.
30. San Girolamo ricorda che non possiamo mai da soli leggere la Scrittura. Troviamo troppe porte chiuse e scivoliamo facilmente nell’errore. La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il «noi» nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire.[89] Il grande studioso, per il quale «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo»,[90] afferma che l’ecclesialità dell’interpretazione biblica non è un’esigenza imposta dall’esterno; il Libro è proprio la voce del Popolo di Dio pellegrinante, e solo nella fede di questo Popolo siamo, per così dire, nella tonalità giusta per capire la sacra Scrittura. Un’autentica interpretazione della Bibbia deve essere sempre in armonica concordanza con la fede della Chiesa cattolica. Così san Girolamo si rivolgeva ad un sacerdote: «Rimani fermamente attaccato alla dottrina tradizionale che ti è stata insegnata, affinché tu possa esortare secondo la sana dottrina e confutare coloro che la contraddicono».[91] Approcci al testo sacro che prescindano dalla fede possono suggerire elementi interessanti, soffermandosi sulla struttura del testo e le sue forme; tuttavia, un tale tentativo sarebbe inevitabilmente solo preliminare e strutturalmente incompiuto. Infatti, come è stato affermato dalla Pontificia Commissione Biblica, facendo eco ad un principio condiviso nell’ermeneutica moderna, «la giusta conoscenza del testo biblico è accessibile solo a colui che ha un’affinità vissuta con ciò di cui parla il testo».[92] Tutto questo mette in rilievo la relazione tra la vita spirituale e l’ermeneutica della Scrittura. Infatti, «con la crescita della vita nello Spirito cresce anche, nel lettore, la comprensione delle realtà di cui parla il testo biblico».[93] L’intensità di un’autentica esperienza ecclesiale non può che incrementare un’intelligenza della fede autentica riguardo alla Parola di Dio; reciprocamente si deve dire che leggere nella fede le Scritture fa crescere la stessa vita ecclesiale. Da qui possiamo cogliere in modo nuovo la nota affermazione di san Gregorio Magno: «le parole divine crescono insieme con chi le legge».[94] In questo modo l’ascolto della Parola di Dio introduce ed incrementa la comunione ecclesiale con quanti camminano nella fede.
«L’anima della sacra Teologia»
31. «Sia dunque lo studio delle Sacre Pagine come l’anima della Sacra Teologia»:[95] questa espressione della Costituzione dogmatica Dei Verbum ci è diventata in questi anni sempre più familiare. Possiamo dire che l’epoca successiva al Concilio Vaticano II, per quanto riguarda gli studi teologici ed esegetici, ha fatto frequente riferimento a quest’espressione come simbolo del rinnovato interesse per la sacra Scrittura. Anche la XII Assemblea del Sinodo dei Vescovi si è spesso riferita a questa nota affermazione per indicare la relazione tra ricerca storica ed ermeneutica della fede in riferimento al testo sacro. In questa prospettiva, i Padri hanno riconosciuto con gioia l’accresciuto studio della Parola di Dio nella Chiesa lungo gli ultimi decenni ed hanno espresso un vivo ringraziamento ai numerosi esegeti e teologi che con la loro dedizione, impegno e competenza hanno dato e danno un contributo essenziale all’approfondimento del senso delle Scritture, affrontando i problemi complessi che il nostro tempo pone alla ricerca biblica.[96] Sentimenti di sincera gratitudine anche per i membri della Pontificia Commissione Biblica che si sono succeduti in questi anni e che, in stretto rapporto con la Congregazione per la Dottrina della Fede, continuano a dare il loro qualificato apporto nell’affrontare questioni peculiari inerenti allo studio della sacra Scrittura. Il Sinodo ha sentito, inoltre, il bisogno di interrogarsi sullo stato degli attuali studi biblici e sul loro rilievo nell’ambito teologico. Infatti, dal fecondo rapporto tra esegesi e teologia dipende gran parte dell’efficacia pastorale dell’azione della Chiesa e della vita spirituale dei fedeli. Per questo ritengo importante riprendere talune riflessioni emerse nel confronto avuto su questo tema nei lavori del Sinodo.
Sviluppo della ricerca biblica e Magistero ecclesiale
32. Innanzitutto è necessario riconoscere il beneficio derivato nella vita della Chiesa all’esegesi storico-critica e dagli altri metodi di analisi del testo sviluppati nei tempi recenti.[97] Per la visione cattolica della sacra Scrittura l’attenzione a questi metodi è imprescindibile ed è legata al realismo dell’incarnazione: «Questa necessità è la conseguenza del principio cristiano formulato nel Vangelo secondo Giovanni 1, 14: Verbum caro factum est. Il fatto storico è una dimensione costitutiva della fede cristiana. La storia della salvezza non è una mitologia, ma una vera storia ed è perciò da studiare con i metodi della seria ricerca storica».[98] Pertanto, lo studio della Bibbia esige la conoscenza e l’uso appropriato di questi metodi di indagine. Se è vero che questa sensibilità nell’ambito degli studi si è sviluppata più intensamente nell’epoca moderna, benché non dappertutto in modo uguale, tuttavia, nella sana tradizione ecclesiale, vi è sempre stato amore per lo studio della «lettera». Basti qui ricordare la cultura monastica, cui dobbiamo ultimamente il fondamento della cultura europea, alla cui radice sta l’interesse per la parola. Il desiderio di Dio include l’amore per la parola in tutte le sue dimensioni: «poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi. Così, proprio a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua».[99]
33. Il Magistero vivo della Chiesa, al quale spetta «d’interpretare autenticamente la Parola di Dio, scritta o trasmessa»,[100] è intervenuto con sapiente equilibro in relazione alla giusta posizione da avere di fronte all’introduzione dei nuovi metodi di analisi storica. Mi riferisco in particolare alle encicliche Providentissimus Deus di Papa Leone XIII e Divino afflante Spiritu di Papa Pio XII. Fu il mio venerabile predecessore Giovanni Paolo II a ricordare l’importanza di questi documenti per l’esegesi e la teologia in occasione della celebrazione rispettivamente del centenario e cinquantenario della loro promulgazione.[101] L’intervento di Papa Leone XIII ebbe il merito di proteggere l’interpretazione cattolica della Bibbia dagli attacchi del razionalismo, senza però rifugiarsi in un senso spirituale staccato dalla storia. Non rifuggendo la critica scientifica, si diffidava solamente «dalle opinioni preconcette che pretendono di fondarsi sulla scienza ma che in realtà fanno uscire subdolamente la scienza dal suo campo».[102] Il Papa Pio XII, invece, si trovava di fronte agli attacchi dei sostenitori di un’esegesi cosiddetta mistica che rifiutava qualsiasi approccio scientifico. L’Enciclica Divino afflante Spiritu, con grande sensibilità, ha evitato di ingenerare l’idea di una dicotomia tra l’«esegesi scientifica» per l’uso apologetico e l’«interpretazione spirituale riservata all’uso interno», affermando invece sia la «portata teologica del senso letterale metodicamente definito», sia l’appartenenza della «determinazione del senso spirituale… al campo della scienza esegetica».[103] In tal modo entrambi i documenti rifiutano «la rottura tra l’umano e il divino, tra la ricerca scientifica e lo sguardo della fede, fra il senso letterale e il senso spirituale».[104] Questo equilibrio è stato poi espresso successivamente nel documento della Pontificia Commissione Biblica del 1993: «Nel loro lavoro di interpretazione, gli esegeti cattolici non devono mai dimenticare che ciò che interpretano è la parola di Dio. Il loro compito non finisce una volta che hanno distinto le fonti, definito le forme o spiegato i procedimenti letterari. Lo scopo del loro lavoro è raggiunto solo quando hanno chiarito il significato del testo biblico come Parola attuale di Dio».[105]
L’ermeneutica biblica conciliare: un’indicazione da recepire
34. Dato questo orizzonte, si possono apprezzare maggiormente i grandi principi dell’interpretazione propri dell’esegesi cattolica espressi dal Concilio Vaticano II, particolarmente nella Costituzione dogmatica Dei Verbum: «Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l’interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che Egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole».[106] Da una parte il Concilio sottolinea come elementi fondamentali per cogliere il significato inteso dall’agiografo lo studio dei generi letterari e la contestualizzazione. Dall’altra, dovendo la Scrittura essere interpretata nello stesso Spirito nel quale è stata scritta, la Costituzione dogmatica indica tre criteri di base per tenere conto della dimensione divina della Bibbia: 1) interpretare il testo considerando l’unità di tutta la Scrittura; questo oggi si chiama esegesi canonica; 2) tenere presente la Tradizione viva di tutta la Chiesa; e, infine, 3) osservare l’analogia della fede. «Solo dove i due livelli metodologici, quello storico-critico e quello teologico, sono osservati, si può parlare di una esegesi teologica – di una esegesi adeguata a questo Libro».[107] I Padri sinodali hanno affermato giustamente che il frutto positivo apportato dall’uso della ricerca storico-critica moderna è innegabile. Tuttavia, mentre l’attuale esegesi accademica, anche cattolica, lavora ad alto livello per quanto riguarda la metodologia storico-critica, anche con le sue più recenti integrazioni, è doveroso esigere un analogo studio della dimensione teologica dei testi biblici, affinché progredisca l’approfondimento secondo i tre elementi indicati dalla Costituzione dogmatica Dei Verbum.[108]
Il pericolo del dualismo e l’ermeneutica secolarizzata
35. A questo proposito, occorre segnalare il grave rischio oggi di un dualismo che si ingenera nell’accostare le sacre Scritture. Infatti, distinguendo i due livelli dell’approccio biblico non si intende affatto separarli, né contrapporli, né meramente giustapporli. Essi si danno solo in reciprocità. Purtroppo, non di rado un’improduttiva separazione tra essi ingenera un’estraneità tra esegesi e teologia, che «avviene anche ai livelli accademici più alti».[109] Vorrei qui richiamare le conseguenze più preoccupanti che vanno evitate. a) Innanzitutto, se l’attività esegetica si riduce solo al primo livello, allora la stessa Scrittura diviene un testo solo del passato: «Si possono trarre da esso conseguenze morali, si può imparare la storia, ma il Libro come tale parla solo del passato e l’esegesi non è più realmente teologica, ma diventa pura storiografia, storia della letteratura».[110] È chiaro che in una tale riduzione non si può in alcun modo comprendere l’evento della Rivelazione di Dio mediante la sua Parola che si trasmette a noi nella viva Tradizione e nella Scrittura. b) La mancanza di un’ermeneutica della fede nei confronti della Scrittura non si configura poi unicamente nei termini di un’assenza; al suo posto inevitabilmente subentra un’altra ermeneutica, un’ermeneutica secolarizzata, positivista, la cui chiave fondamentale è la convinzione che il Divino non appare nella storia umana. Secondo questa ermeneutica, quando sembra che vi sia un elemento divino, lo si deve spiegare in altro modo e ridurre tutto all’elemento umano. Di conseguenza, si propongono interpretazioni che negano la storicità degli elementi divini.[111] c) Una tale posizione non può che produrre danno alla vita della Chiesa, stendendo un dubbio su misteri fondamentali del cristianesimo e sul loro valore storico, come ad esempio l’istituzione dell’Eucaristia e la risurrezione di Cristo. Così, infatti, si impone un’ermeneutica filosofica che nega la possibilità dell’ingresso e della presenza del Divino nella storia. L’assunzione di tale ermeneutica all’interno degli studi teologici introduce inevitabilmente un pesante dualismo tra l’esegesi, che si attesta unicamente sul primo livello, e la teologia, che si apre alla deriva di una spiritualizzazione del senso delle Scritture non rispettosa del carattere storico della Rivelazione. Tutto ciò non può che risultare negativo anche per la vita spirituale e l’attività pastorale; «la conseguenza dell’assenza del secondo livello metodologico è che si è creato un profondo fossato tra esegesi scientifica e lectio divina. Proprio di qui scaturisce a volte una forma di perplessità anche nella preparazione delle omelie».[112] Si deve inoltre segnalare che tale dualismo produce a volte incertezza e poca solidità nel cammino formativo intellettuale anche di alcuni candidati ai ministeri ecclesiali.[113] In definitiva, «dove l’esegesi non è teologia, la Scrittura non può essere l’anima della teologia e, viceversa, dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia non ha più fondamento».[114] Pertanto è necessario tornare risolutamente a considerare con più attenzione le indicazioni date dalla Costituzione dogmatica Dei Verbum a questo proposito.
Fede e ragione nell’approccio alla Scrittura
36. Credo possa costituire un contributo ad una più completa comprensione dell’esegesi e, dunque, del suo rapporto con l’intera teologia quanto scritto dal Papa Giovanni Paolo II nell’Enciclica Fides et ratio a questo riguardo. Infatti egli affermava che non è da sottovalutare «il pericolo insito nel voler derivare la verità della sacra Scrittura dall’applicazione di una sola metodologia, dimenticando la necessità di una esegesi più ampia che consenta di accedere, insieme con tutta la Chiesa, al senso pieno dei testi. Quanti si dedicano allo studio delle sacre Scritture devono sempre tener presente che le diverse metodologie ermeneutiche hanno anch’esse alla base una concezione filosofica: occorre vagliarla con discernimento prima di applicarla ai testi sacri».[115] Questa riflessione lungimirante ci permette di osservare come nell’approccio ermeneutico alla sacra Scrittura si giochi inevitabilmente il corretto rapporto tra fede e ragione. Infatti, l’ermeneutica secolarizzata della sacra Scrittura è posta in atto da una ragione che strutturalmente vuole precludersi la possibilità che Dio entri nella vita degli uomini e che parli agli uomini in parole umane. Anche in questo caso, pertanto, è necessario invitare ad allargare gli spazi della propria razionalità.[116] Per questo nell’utilizzazione dei metodi di analisi storica si dovrà evitare di assumere, là dove si presentano, criteri che pregiudizialmente si chiudono alla rivelazione di Dio nella vita degli uomini. L’unità dei due livelli del lavoro interpretativo della sacra Scrittura presuppone, in definitiva, un’armonia tra la fede e la ragione. Da una parte, occorre una fede che mantenendo un adeguato rapporto con la retta ragione non degeneri mai in fideismo, il quale nei confronti della Scrittura diverrebbe fautore di letture fondamentaliste. Dall’altra parte, è necessaria una ragione che indagando gli elementi storici presenti nella Bibbia si mostri aperta e non rifiuti aprioristicamente tutto ciò che eccede la propria misura. D’altronde, la religione del Logos incarnato non potrà che mostrarsi profondamente ragionevole all’uomo che sinceramente cerca la verità e il senso ultimo della propria vita e della storia.
Senso letterale e senso spirituale
37. Un significativo contributo al recupero di un’adeguata ermeneutica della Scrittura, come è stato affermato nell’Assemblea sinodale, proviene anche da un rinnovato ascolto dei Padri della Chiesa e del loro approccio esegetico.[117] In effetti, i Padri della Chiesa ci mostrano ancora oggi una teologia di grande valore perché nel suo centro sta lo studio della sacra Scrittura nella sua integralità. Infatti, i Padri sono in primo luogo ed essenzialmente dei «commentatori della sacra Scrittura».[118] Il loro esempio può «insegnare agli esegeti moderni un approccio veramente religioso della sacra Scrittura, come anche un’interpretazione che s’attiene costantemente al criterio di comunione con l’esperienza della Chiesa, la quale cammina attraverso la storia sotto la guida dello Spirito Santo».[119] Pur non conoscendo, ovviamente, le risorse di ordine filologico e storico che sono a disposizione dell’esegesi moderna, la tradizione patristica e medioevale sapeva riconoscere i diversi sensi della Scrittura ad iniziare da quello letterale, quello, cioè, «significato dalle parole della Scrittura e trovato attraverso l’esegesi che segue le regole della retta interpretazione».[120] Ad esempio, san Tommaso d’Aquino afferma: «tutti i sensi della sacra Scrittura si basano su quello letterale».[121] Bisogna, però, ricordare che al tempo patristico e medioevale ogni forma di esegesi, anche quella letterale, veniva fatta sulla base della fede e non vi era necessariamente distinzione tra senso letterale e senso spirituale. Si ricordi a questo proposito il classico distico che rappresenta la relazione tra i diversi sensi della Scrittura: «Littera gesta docet, quid credas allegoria, Moralis quid agas, quo tendas anagogia. La lettera insegna i fatti, l’allegoria che cosa credere, il senso morale che cosa fare, e l’anagogia dove tendere».[122] Qui notiamo l’unità e l’articolazione tra senso letterale e senso spirituale, il quale a sua volta si suddivide in tre sensi, con cui vengono descritti i contenuti della fede, della morale e della tensione escatologica. In definitiva, riconoscendo il valore e la necessità, pur con i suoi limiti, del metodo storico critico, dall’esegesi patristica impariamo che «si è fedeli all’intenzionalità dei testi biblici solo nella misura in cui si cerca di ritrovare, nel cuore della loro formulazione, la realtà di fede che essi esprimono e se si collega questa realtà con l’esperienza credente del nostro mondo».[123] Solo in questa prospettiva si può riconoscere che la Parola di Dio è viva e si rivolge a ciascuno nel presente della nostra vita. In tal senso rimane pienamente valida l’affermazione della Pontificia Commissione Biblica che definisce il senso spirituale secondo la fede cristiana, come «il senso espresso dai testi biblici quando vengono letti sotto l’influsso dello Spirito Santo nel contesto del mistero pasquale di Cristo e della vita nuova che ne risulta. Questo contesto esiste effettivamente. Il Nuovo Testamento riconosce in esso il compimento delle Scritture. È perciò normale rileggere le Scritture alla luce di questo nuovo contesto, quello della vita nello Spirito».[124]
Il necessario trascendimento della «lettera»
38. Nel recupero dell’articolazione tra i diversi sensi scritturistici diventa allora decisivo cogliere il passaggio tra lettera e spirito. Non si tratta di un passaggio automatico e spontaneo; occorre piuttosto un trascendimento della lettera: «la Parola di Dio stesso, infatti, non è mai presente già nella semplice letteralità del testo. Per raggiungerla occorre un trascendimento e un processo di comprensione, che si lascia guidare dal movimento interiore dell’insieme e perciò deve diventare anche un processo di vita».[125] Scopriamo così perché un processo interpretativo autentico non è mai solo intellettuale, ma anche vitale, in cui è richiesto il pieno coinvolgimento nella vita ecclesiale, quale vita «secondo lo Spirito» (Gal 5,16). In tal modo diventano più chiari i criteri messi in evidenza dal numero 12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum: un tale trascendimento non può avvenire nel singolo frammento letterario se non in rapporto con la totalità della Scrittura. Infatti è un’unica Parola quella verso la quale siamo chiamati a trascendere. Tale processo possiede un’intima drammaticità, poiché, nel processo di trascendimento, il passaggio che avviene in forza dello Spirito ha inevitabilmente a che fare anche con la libertà di ciascuno. San Paolo ha vissuto pienamente nella propria esistenza questo passaggio. Che cosa significhi il trascendimento della lettera e la sua comprensione unicamente a partire dall’insieme, egli l’ha espresso in modo radicale nella frase: «la lettera uccide, lo Spirito invece dà vita» (2Cor 3,6). San Paolo scopre che lo «Spirito liberatore ha un nome e che la libertà ha quindi una misura interiore: “Il Signore è lo Spirito, e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2Cor 3,17). Lo Spirito liberatore non è semplicemente la propria idea, la visione personale di chi interpreta. Lo Spirito è Cristo, e Cristo è il Signore che ci indica la strada».[126] Sappiamo come anche per sant’Agostino questo passaggio fu nello stesso tempo drammatico e liberante; egli credette alle Scritture, che gli apparivano in un primo tempo così differenziate in se stesse ed a volte piene di grossolanità, proprio per questo trascendimento che egli imparò da sant’Ambrogio mediante l’interpretazione tipologica, per cui tutto l’Antico Testamento è un cammino verso Gesù Cristo. Per sant’Agostino il trascendimento dalla lettera ha reso credibile la lettera stessa e gli ha permesso di trovare finalmente la risposta alle profonde inquietudini del proprio animo, assetato della verità.[127]
L’unità intrinseca della Bibbia
39. Alla scuola della grande tradizione della Chiesa impariamo a cogliere nel passaggio dalla lettera allo spirito anche l’unità di tutta la Scrittura, poiché unica è la Parola di Dio che interpella la nostra vita chiamandola costantemente alla conversione.[128] Rimangono per noi una guida sicura le espressioni di Ugo di San Vittore: «Tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e quest’unico libro è Cristo, parla di Cristo e trova in Cristo il suo compimento».[129] Certamente, la Bibbia, vista sotto l’aspetto puramente storico o letterario, non è semplicemente un libro, ma una raccolta di testi letterari, la cui composizione si estende lungo più di un millennio e i cui singoli libri non sono facilmente riconoscibili come appartenenti ad un’unità interiore; esistono invece tensioni visibili tra di essi. Ciò vale già all’interno della Bibbia di Israele, che noi cristiani chiamiamo l’Antico Testamento. Vale tanto più quando noi, come cristiani, colleghiamo il Nuovo Testamento e i suoi scritti, quasi come chiave ermeneutica, con la Bibbia di Israele, interpretandola così come via verso Cristo. Nel Nuovo Testamento, generalmente non si usa il termine «la Scrittura» (cfr Rm 4,3; 1Pt 2,6), ma «le Scritture» (cfr Mt 21,43; Gv 5,39; Rm 1,2; 2Pt 3,16), che, tuttavia, nel loro insieme vengono poi considerate come l’unica Parola di Dio rivolta a noi.[130] Con ciò appare chiaramente come sia la persona di Cristo a dare unità a tutte le «Scritture» in relazione all’unica «Parola». In tal modo si comprende quanto affermato nel numero 12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum, indicando l’unità interna di tutta la Bibbia come criterio decisivo per una corretta ermeneutica della fede.
Il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento
40. Nella prospettiva dell’unità delle Scritture in Cristo, è necessario sia per i teologi che per i Pastori essere consapevoli delle relazioni tra l’Antico e il Nuovo Testamento. Innanzitutto è evidente che il Nuovo Testamento stesso riconosce l’Antico Testamento come Parola di Dio e pertanto accoglie l’autorità delle sacre Scritture del popolo ebraico.[131] Le riconosce implicitamente adoperando lo stesso linguaggio e accennando spesso a brani di queste Scritture. Le riconosce esplicitamente, perché ne cita molte parti e se ne serve per argomentare. Un’argomentazione basata sui testi dell’Antico Testamento costituisce così, nel Nuovo Testamento, un valore decisivo, superiore a quello di ragionamenti semplicemente umani. Nel quarto Vangelo Gesù dichiara in proposito che «la Scrittura non può essere annullata» (Gv 10,35) e san Paolo precisa in particolare che la rivelazione dell’Antico Testamento continua a valere per noi cristiani (cfr Rm 15,4; 1Cor 10,11).[132] Inoltre affermiamo che «Gesù di Nazareth è stato un ebreo e la Terra Santa è terra madre della Chiesa»;[133] la radice del Cristianesimo si trova nell’Antico Testamento e il Cristianesimo si nutre sempre a questa radice. Pertanto, la sana dottrina cristiana ha sempre rifiutato ogni forma di marcionismo ricorrente, che tende, in modi diversi, a contrapporre l’Antico e il Nuovo Testamento.[134] Inoltre, il Nuovo Testamento stesso si afferma conforme all’Antico e proclama che nel mistero della vita, morte e risurrezione di Cristo le sacre Scritture del popolo ebraico hanno trovato il loro perfetto adempimento. Bisogna però osservare che il concetto di adempimento delle Scritture è complesso, perché comporta una triplice dimensione: un aspetto fondamentale di continuità con la rivelazione dell’Antico Testamento, un aspetto di rottura e un aspetto di compimento e superamento. Il mistero di Cristo sta in continuità d’intenzione con il culto sacrificale dell’Antico Testamento; si è attuato però in modo molto differente, che corrisponde a parecchi oracoli dei profeti, e ha raggiunto così una perfezione mai ottenuta prima. L’Antico Testamento, infatti, è pieno di tensioni tra i suoi aspetti istituzionali e i suoi aspetti profetici. Il mistero pasquale di Cristo è pienamente conforme – in un modo però che era imprevedibile – alle profezie e all’aspetto prefigurativo delle Scritture; tuttavia, presenta evidenti aspetti di discontinuità rispetto alle istituzioni dell’Antico Testamento.
41. Queste considerazioni mostrano così l’importanza insostituibile dell’Antico Testamento per i cristiani, ma nello stesso tempo evidenziano l’originalità della lettura cristologica. Fin dai tempi apostolici e poi nella Tradizione viva, la Chiesa ha messo in luce l’unità del piano divino nei due Testamenti grazie alla tipologia, che non ha carattere arbitrario ma è intrinseca agli eventi narrati dal testo sacro e pertanto riguarda tutta la Scrittura. La tipologia «nelle opere di Dio dell’Antico Testamento ravvisa delle prefigurazioni di ciò che Dio, nella pienezza dei tempi, ha compiuto nella Persona del suo Figlio incarnato».[135] I cristiani, quindi, leggono l’Antico Testamento alla luce di Cristo morto e risorto. Se la lettura tipologica rivela l’inesauribile contenuto dell’Antico Testamento in relazione al Nuovo, non deve tuttavia indurre a dimenticare che esso stesso conserva il valore suo proprio di Rivelazione che lo stesso nostro Signore ha riaffermato (cfr Mc 12,29-31). Pertanto, «anche il Nuovo Testamento esige d’essere letto alla luce dell’Antico. La primitiva catechesi cristiana vi farà costantemente ricorso (cfr 1Cor 5,6-8; 10,1-11)».[136] Per questo motivo i Padri sinodali hanno affermato che «la comprensione ebraica della Bibbia può aiutare l’intelligenza e lo studio delle Scritture da parte dei cristiani».[137] «Il Nuovo Testamento è nascosto nell’Antico e l’Antico è manifesto nel Nuovo»,[138] così si esprimeva con acuta saggezza sant’Agostino su questo tema. È importante, dunque, che sia nella pastorale che nell’ambito accademico venga messa bene in evidenza la relazione intima tra i due Testamenti, ricordando con san Gregorio Magno che quanto «l’Antico Testamento ha promesso, il Nuovo Testamento l’ha fatto vedere; ciò che quello annunzia in maniera occulta, questo proclama apertamente come presente. Perciò l’Antico Testamento è profezia del Nuovo Testamento; e il miglior commento dell’Antico Testamento è il Nuovo Testamento».[139]
Le pagine «oscure» della Bibbia
42. Nel contesto della relazione tra Antico e Nuovo Testamento, il Sinodo ha affrontato anche il tema delle pagine della Bibbia, che risultano oscure e difficili per la violenza e le immoralità in esse talvolta contenute. In relazione a ciò si deve tenere presente innanzitutto che la rivelazione biblica è profondamente radicata nella storia. Il disegno di Dio vi si manifesta progressivamente e si attua lentamente attraverso tappe successive, malgrado la resistenza degli uomini. Dio sceglie un popolo e ne opera pazientemente l’educazione. La rivelazione si adatta al livello culturale e morale di epoche lontane e riferisce quindi fatti e usanze, ad esempio manovre fraudolente, interventi violenti, sterminio di popolazioni, senza denunciarne esplicitamente l’immoralità; il che si spiega dal contesto storico, ma può sorprendere il lettore moderno, soprattutto quando si dimenticano i tanti comportamenti «oscuri» che gli uomini hanno avuto sempre lungo i secoli, anche ai nostri giorni. Nell’Antico Testamento, la predicazione dei profeti si erge vigorosamente contro ogni tipo d’ingiustizia e di violenza, collettiva o individuale, ed è così lo strumento dell’educazione data da Dio al suo popolo in preparazione al Vangelo. Pertanto, sarebbe sbagliato non considerare quei brani della Scrittura che ci appaiono problematici. Piuttosto, si deve essere consapevoli che la lettura di queste pagine richiede l’acquisizione di un’adeguata competenza, mediante una formazione che legga i testi nel loro contesto storico-letterario e nella prospettiva cristiana, che ha come chiave ermeneutica ultima «il Vangelo e il comandamento nuovo di Gesù Cristo compiuto nel mistero pasquale».[140] Perciò esorto gli studiosi e i Pastori ad aiutare tutti i fedeli ad accostarsi anche a queste pagine mediante una lettura che faccia scoprire il loro significato alla luce del mistero di Cristo.
Cristiani ed ebrei in riferimento alle sacre Scritture
43. Considerando le strette relazioni che legano il Nuovo Testamento all’Antico, viene spontaneo volgere ora l’attenzione al legame peculiare che ne deriva tra cristiani ed ebrei, un legame che non dovrebbe mai essere dimenticato. Agli ebrei, il Papa Giovanni Paolo II ha dichiarato: siete i «nostri “fratelli prediletti” nella fede di Abramo, nostro patriarca».[141] Certo, queste affermazioni non significano misconoscimento delle rotture affermate nel Nuovo Testamento nei confronti delle istituzioni dell’Antico Testamento e meno ancora dell’adempimento delle Scritture nel mistero di Gesù Cristo, riconosciuto Messia e Figlio di Dio. Tuttavia, questa differenza profonda e radicale non implica affatto ostilità reciproca. L’esempio di san Paolo (cfr. Rm 9-11) dimostra, al contrario, che «un atteggiamento di rispetto, di stima e di amore per il popolo ebraico è il solo atteggiamento veramente cristiano in questa situazione che fa misteriosamente parte del disegno, totalmente positivo, di Dio».[142] San Paolo, infatti, afferma che gli Ebrei «quanto alla scelta di Dio, essi sono amati, a causa dei padri, infatti i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!» (Rm 11,28-29). Inoltre, san Paolo usa la bella immagine dell’albero di olivo per descrivere le relazioni molto strette tra cristiani ed ebrei: la Chiesa dei Gentili è come un germoglio di olivo selvatico, innestato nell’albero di olivo buono che è il popolo dell’Alleanza (cfr Rm 11,17-24). Traiamo, quindi, il nostro nutrimento dalle medesime radici spirituali. Ci incontriamo come fratelli, fratelli che in certi momenti della loro storia hanno avuto un rapporto teso, ma che adesso sono fermamente impegnati nella costruzione di ponti di amicizia duratura.[143] Ebbe a dire ancora il Papa Giovanni Paolo II: «Abbiamo molto in comune. Insieme possiamo fare molto per la pace, per la giustizia e per un mondo più fraterno e più umano».[144] Desidero riaffermare ancora una volta quanto prezioso sia per la Chiesa il dialogo con gli ebrei. È bene che dove se ne veda l’opportunità si creino possibilità anche pubbliche di incontro e confronto che favoriscano l’incremento della conoscenza reciproca, della stima vicendevole e della collaborazione anche nello studio stesso delle sacre Scritture.
L’interpretazione fondamentalista della sacra Scrittura
44. L’attenzione che abbiamo voluto dare finora al tema dell’ermeneutica biblica nei suoi diversi aspetti ci permette di affrontare l’argomento, più volte emerso nel dibattito sinodale, dell’interpretazione fondamentalista della sacra Scrittura.[145] Su questo tema la Pontificia Commissione Biblica nel documento L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa ha formulato indicazioni importanti. In questo contesto vorrei richiamare l’attenzione soprattutto su quelle letture che non rispettano il testo sacro nella sua autentica natura, promovendo interpretazioni soggettivistiche ed arbitrarie. Infatti, il «letteralismo» propugnato dalla lettura fondamentalista in realtà rappresenta un tradimento sia del senso letterale che spirituale, aprendo la strada a strumentalizzazioni di varia natura, diffondendo, ad esempio, interpretazioni antiecclesiali delle Scritture stesse. L’aspetto problematico della «lettura fondamentalista è che, rifiutando di tener conto del carattere storico della rivelazione biblica, si rende incapace di accettare pienamente la verità della stessa Incarnazione. Il fondamentalismo evita la stretta relazione del divino e dell’umano nei rapporti con Dio. … Per questa ragione, tende a trattare il testo biblico come se fosse stato dettato parola per parola dallo Spirito e non arriva a riconoscere che la Parola di Dio è stata formulata in un linguaggio e una fraseologia condizionati da una data epoca».[146] Al contrario, il cristianesimo percepisce nelle parole la Parola, il Logos stesso, che estende il suo mistero attraverso tale molteplicità e la realtà di una storia umana.[147] La vera risposta ad una lettura fondamentalista è: «la lettura credente della Sacra Scrittura». Questa lettura, «praticata fin dall’antichità nella Tradizione della Chiesa cerca la verità che salva per la vita del singolo fedele e per la Chiesa. Questa lettura riconosce il valore storico della tradizione biblica. È proprio per questo valore di testimonianza storica che essa vuole riscoprire il significato vivo delle Sacre Scritture destinate anche alla vita del credente di oggi»,[148] senza ignorare, quindi, la mediazione umana del testo ispirato e i suoi generi letterari.
Dialogo tra Pastori, teologi ed esegeti
45. L’autentica ermeneutica della fede porta con sé alcune conseguenze importanti nell’ambito dell’attività pastorale della Chiesa. Proprio i Padri sinodali a questo proposito hanno raccomandato, ad esempio, un rapporto più assiduo tra Pastori, esegeti e teologi. È bene che le Conferenze Episcopali favoriscano questi incontri allo «scopo di promuovere una maggiore comunione nel servizio alla Parola di Dio».[149] Una tale cooperazione aiuterà tutti a svolgere meglio il proprio lavoro a beneficio di tutta la Chiesa. Infatti, porsi nell’orizzonte del lavoro pastorale vuol dire, anche per gli studiosi, stare di fronte al testo sacro nella sua natura di comunicazione che il Signore fa agli uomini per la salvezza. Pertanto, come ha affermato la Costituzione dogmatica Dei Verbum, si raccomanda che «gli esegeti cattolici poi, e gli altri cultori di Sacra Teologia, collaborando insieme con zelo, si adoperino affinché, sotto la vigilanza del Sacro Magistero, studino e spieghino con gli opportuni sussidi le divine Lettere, in modo che il più gran numero possibile di ministri della divina parola siano in grado di offrire con frutto al popolo di Dio l’alimento delle Scritture, che illumina la mente, corrobora le volontà e accende i cuori degli uomini all’amore di Dio».[150]
Bibbia ed ecumenismo
46. Nella consapevolezza che la Chiesa ha il suo fondamento in Cristo, Verbo di Dio fatto carne, il Sinodo ha voluto sottolineare la centralità degli studi biblici nel dialogo ecumenico in vista della piena espressione dell’unità di tutti i credenti in Cristo.[151] Nella Scrittura stessa, infatti, troviamo la preghiera vibrante di Gesù al Padre che i suoi discepoli siano una sola cosa affinché il mondo creda (cfr Gv 17,21). Tutto questo ci rafforza nel convincimento che ascoltare e meditare insieme le Scritture ci fa vivere una comunione reale, anche se non ancora piena;[152] «l’ascolto comune delle Scritture spinge perciò al dialogo della carità e fa crescere quello della verità».[153] Infatti, ascoltare insieme la Parola di Dio, praticare la lectio divina della Bibbia, lasciarsi sorprendere dalla novità, che mai invecchia e mai si esaurisce, della Parola di Dio, superare la nostra sordità per quelle parole che non si accordano con le nostre opinioni o pregiudizi, ascoltare e studiare nella comunione dei credenti di tutti i tempi: tutto ciò costituisce un cammino da percorrere per raggiungere l’unità della fede, come risposta all’ascolto della Parola.[154] Erano davvero illuminanti le parole del Concilio Vaticano II: «La sacra Scrittura nello stesso dialogo [ecumenico] costituisce l’eccellente strumento nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini».[155] Pertanto è bene incrementare lo studio, il confronto e le celebrazioni ecumeniche della Parola di Dio, nel rispetto delle regole vigenti e delle diverse tradizioni.[156] Queste celebrazioni giovano alla causa ecumenica e, quando vengono vissute nel loro vero significato, costituiscono momenti intensi di autentica preghiera in cui chiedere a Dio di affrettare il giorno sospirato in cui potremo tutti accostarci alla stessa mensa e bere all’unico calice. Nella giusta e lodevole promozione di questi momenti, tuttavia, si faccia in modo che essi non vengano proposti ai fedeli in sostituzione della partecipazione alla Santa Messa per il precetto festivo. In questo lavoro di studio e di preghiera riconosciamo con serenità anche quegli aspetti che chiedono di essere approfonditi e che ci vedono ancora distanti, come ad esempio la comprensione del soggetto autorevole dell’interpretazione nella Chiesa ed il ruolo decisivo del Magistero.[157] Vorrei sottolineare, inoltre, quanto detto dai Padri sinodali circa l’importanza, in questo lavoro ecumenico, delle traduzioni della Bibbia nelle diverse lingue. Sappiamo infatti che tradurre un testo non è mero lavoro meccanico, ma è in un certo senso parte del lavoro interpretativo. A questo proposito, il Venerabile Giovanni Paolo II ha affermato: «Chi ricorda quanto abbiano influito sulle divisioni, specie in Occidente, i dibattiti attorno alla Scrittura, può comprendere quale notevole passo avanti rappresentino tali traduzioni comuni».[158] Perciò la promozione delle traduzioni comuni della Bibbia è parte del lavoro ecumenico. Desidero qui ringraziare tutti coloro che sono impegnati in questo importante compito e incoraggiarli a proseguire nella loro opera.
Conseguenze sull’impostazione degli studi teologici
47. Un’altra conseguenza derivante da un’adeguata ermeneutica della fede riguarda la necessità di mostrarne le implicazioni circa la formazione esegetica e teologica, in particolare per coloro che sono candidati al sacerdozio. Si deve fare in modo che lo studio della sacra Scrittura sia davvero l’anima della teologia in quanto in essa si riconosce la Parola di Dio, che si rivolge oggi al mondo, alla Chiesa e a ciascuno personalmente. È importante che i criteri indicati dal numero 12 della Costituzione dogmatica Dei Verbum siano effettivamente presi in considerazione e fatti oggetto di approfondimento. Si eviti di coltivare un concetto di ricerca scientifica che si ritenga neutrale nei confronti della Scrittura. Perciò insieme allo studio delle lingue proprie in cui è stata scritta la Bibbia e dei metodi interpretativi adeguati, è necessario che gli studenti abbiano una profonda vita spirituale, così da capire che si può comprendere la Scrittura solo se la si vive. In questa prospettiva raccomando che lo studio della Parola di Dio, trasmessa e scritta, avvenga sempre in profondo spirito ecclesiale, tenendo in debito conto, nella formazione accademica, gli interventi su queste tematiche da parte del Magistero, il quale «non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l’assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola».[159] Pertanto, si abbia cura che gli studi si svolgano nel riconoscimento che «la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre».[160] Auspico, pertanto, che, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II, lo studio della Sacra Scrittura, letta nella comunione della Chiesa universale, sia realmente come l’anima dello studio teologico.[161]
I Santi e l’interpretazione della Scrittura
48. L’interpretazione della sacra Scrittura rimarrebbe incompiuta se non si mettesse in ascolto anche di chi ha vissuto veramente la Parola di Dio, ossia i Santi.[162] Infatti, «viva lectio est vita bonorum».[163] L’interpretazione più profonda della Scrittura in effetti viene proprio da coloro che si sono lasciati plasmare dalla Parola di Dio, attraverso l’ascolto, la lettura e la meditazione assidua. Non è certamente un caso che le grandi spiritualità che hanno segnato la storia della Chiesa siano sorte da un esplicito riferimento alla Scrittura. Penso ad esempio a sant’Antonio Abate, mosso dall’ascolto delle parole di Cristo: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi! » (Mt 19,21).[164] Non meno suggestivo è san Basilio Magno che nell’opera Moralia si domanda: «Che cosa è proprio della fede? Piena e indubbia certezza della verità delle parole ispirate da Dio ... che cosa è proprio del fedele? Il conformarsi con tale piena certezza al significato delle parole della Scrittura, e non osare togliere o aggiungere alcunché».[165] San Benedetto, nella sua Regola, rimanda alla Scrittura quale «norma rettissima per la vita dell’uomo».[166] San Francesco d’Assisi – scrive Tommaso da Celano – «udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tuniche … subito, esultante di Spirito Santo, esclamò: Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!».[167] Santa Chiara d’Assisi ricalca appieno l’esperienza di san Francesco: «La forma di vita dell’Ordine delle Sorelle povere… è questo: osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo».[168] San Domenico di Guzman, poi, «dovunque si manifestava come un uomo evangelico, nelle parole come nelle opere»[169] e tali voleva che fossero anche i suoi frati predicatori, «uomini evangelici».[170] Santa Teresa di Gesù, carmelitana, che nei suoi scritti continuamente ricorre ad immagini bibliche per spiegare la sua esperienza mistica, ricorda che Gesù stesso le rivela che «tutto il male del mondo deriva dal non conoscere chiaramente le verità della sacra Scrittura».[171] Santa Teresa di Gesù Bambino trova l’Amore come sua vocazione personale nello scrutare le Scritture, in particolare i capitoli 12 e 13 della Prima Lettera ai Corinti;[172] è la stessa Santa a descrivere il fascino delle Scritture: «Appena getto lo sguardo sul Vangelo, subito respiro i profumi della vita di Gesù e so da che parte correre».[173] Ogni santo costituisce come un raggio di luce che scaturisce dalla Parola di Dio: così pensiamo inoltre a san Ignazio di Loyola nella sua ricerca della verità e nel discernimento spirituale; san Giovanni Bosco nella sua passione per l’educazione dei giovani; san Giovanni Maria Vianney nella sua coscienza della grandezza del sacerdozio come dono e compito; san Pio da Pietrelcina nel suo essere strumento della misericordia divina; san Josemaría Escrivá nella sua predicazione sulla chiamata universale alla santità; la beata Teresa di Calcutta, missionaria della Carità di Dio per gli ultimi; fino ai martiri del nazismo e del comunismo, rappresentati, da una parte, da santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), monaca carmelitana, e, dall’altra, dal beato Luigi Stepinac, cardinale arcivescovo di Zagabria.
49. La santità in rapporto alla Parola di Dio si iscrive così, in un certo modo, nella tradizione profetica, in cui la Parola di Dio prende a servizio la vita stessa del profeta. In questo senso la santità nella Chiesa rappresenta un’ermeneutica della Scrittura dalla quale nessuno può prescindere. Lo Spirito Santo che ha ispirato gli autori sacri è lo stesso che anima i Santi a dare la vita per il Vangelo. Mettersi alla loro scuola costituisce una via sicura per intraprendere un’ermeneutica viva ed efficace della Parola di Dio. Di questo legame tra Parola di Dio e santità abbiamo avuto testimonianza diretta durante la XII Assemblea del Sinodo, quando il 12 ottobre in piazza san Pietro si è svolta la canonizzazione di quattro nuovi Santi: il sacerdote Gaetano Errico, fondatore della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria; Madre Maria Bernarda Bütler, nata in Svizzera e missionaria in Ecuador e in Colombia; suor Alfonsa dell’Immacolata Concezione, prima santa canonizzata nata in India; la giovane laica ecuadoriana Narcisa di Gesù Martillo Morán. Con la loro vita essi hanno dato testimonianza al mondo e alla Chiesa della perenne fecondità del Vangelo di Cristo. Chiediamo al Signore che per l’intercessione di questi Santi, canonizzati proprio nei giorni dell’Assemblea sinodale sulla Parola di Dio, la nostra vita sia quel «terreno buono» in cui il divino Seminatore possa seminare la Parola perché porti in noi frutti di santità, «il trenta, il sessanta, il cento per uno» (Mc 4,20).
SECONDA PARTE
VERBUM IN ECCLESIA
«A quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12)
LA PAROLA DI DIO E LA CHIESA
La Chiesa accoglie la Parola
50. Il Signore pronuncia la sua Parola perché venga accolta da coloro che sono stati creati proprio «per mezzo» dello stesso Verbo. «Venne tra i suoi» (Gv 1,11): la Parola non ci è originariamente estranea e la creazione è stata voluta in un rapporto di familiarità con la vita divina. Il Prologo del quarto Vangelo ci pone di fronte anche al rifiuto nei confronti della divina Parola da parte dei «suoi» che «non l’hanno accolto» (Gv 1,11). Non accoglierlo vuol dire non ascoltare la sua voce, non conformarsi al Logos. Invece, là dove l’uomo, pur fragile e peccatore, si apre sinceramente all’incontro con Cristo, inizia una trasformazione radicale: «a quanti però lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12). Accogliere il Verbo vuol dire lasciarsi plasmare da Lui, così da essere, per la potenza dello Spirito Santo, resi conformi a Cristo, al «Figlio unigenito che viene dal Padre» (Gv 1,14). È l’inizio di una nuova creazione, nasce la creatura nuova, un popolo nuovo. Quelli che credono, ossia coloro che vivono l’obbedienza della fede, «da Dio sono stati generati» (Gv 1,13), vengono resi partecipi della vita divina: fi gli nel Figlio (cfr Gal 4,5-6; Rm 8,14-17). Dice suggestivamente sant’Agostino commentando questo passo nel Vangelo di Giovanni: «per mezzo del Verbo sei stato fatto, ma è necessario che per mezzo del Verbo tu venga rifatto».[174] Qui vediamo delinearsi il volto della Chiesa, come realtà definita dall’accoglienza del Verbo di Dio che facendosi carne è venuto a porre la sua tenda tra noi (cfr Gv 1,14). Questa dimora di Dio tra gli uomini, questa shekinah (cfr Es 26,1), prefigurata nell’Antico Testamento, si compie ora nella presenza definitiva di Dio con gli uomini in Cristo.
Contemporaneità di Cristo nella vita della Chiesa
51. Il rapporto tra Cristo, Parola del Padre, e la Chiesa non può essere compreso nei termini di un evento semplicemente passato, ma si tratta di una relazione vitale in cui ciascun fedele è chiamato ad entrare personalmente. Parliamo infatti della presenza della Parola di Dio a noi oggi: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Come ha affermato il Papa Giovanni Paolo II: «La contemporaneità di Cristo all’uomo di ogni tempo si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa. Per questo il Signore promise ai suoi discepoli lo Spirito Santo, che avrebbe loro “ricordato” e fatto comprendere i suoi comandamenti (cfr Gv 14,26) e sarebbe stato il principio sorgivo di una vita nuova nel mondo (cfr Gv 3,5-8; Rm 8,1-13)».[175] La Costituzione dogmatica Dei Verbum esprime questo mistero nei termini biblici di un dialogo nuziale: «Dio, il quale ha parlato in passato, non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito Santo, per mezzo del quale la viva voce dell’Evangelo risuona nella Chiesa e per mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr Col 3,16)».[176] La Sposa di Cristo, maestra di ascolto, anche oggi ripete con fede: «Parla, o Signore, che la tua Chiesa ti ascolta».[177] Per questo la Costituzione dogmatica Dei Verbum inizia dicendo: «In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio…».[178] Si tratta in effetti di una definizione dinamica della vita della Chiesa: «Sono parole con le quali il Concilio indica un aspetto qualificante della Chiesa: essa è una comunità che ascolta ed annuncia la Parola di Dio. La Chiesa non vive di se stessa ma del Vangelo e dal Vangelo sempre e nuovamente trae orientamento per il suo cammino. È una annotazione che ogni cristiano deve raccogliere ed applicare a se stesso: solo chi si pone innanzitutto in ascolto della Parola può poi diventarne annunciatore».[179] Nella Parola di Dio proclamata ed ascoltata e nei Sacramenti, Gesù dice oggi, qui e adesso, a ciascuno: «Io sono tuo, mi dono a te»; perché l’uomo possa accogliere e rispondere, e dire a sua volta: «Io sono tuo».[180] La Chiesa appare così l’ambito nel quale per grazia possiamo fare esperienza di ciò che narra il Prologo di Giovanni: «a quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).
LITURGIA, LUOGO PRIVILEGIATO DELLA PAROLA DI DIO
La Parola di Dio nella sacra liturgia
52. Considerando la Chiesa come «casa della Parola»,[181] si deve innanzitutto porre attenzione alla sacra liturgia. È questo infatti l’ambito privilegiato in cui Dio parla a noi nel presente della nostra vita, parla oggi al suo popolo, che ascolta e risponde. Ogni azione liturgica è per natura sua intrisa di sacra Scrittura. Come afferma la Costituzione Sacrosanctum Concilium, «nella celebrazione liturgica la sacra Scrittura ha una importanza estrema. Da essa infatti si attingono le letture che vengono poi spiegate nell’omelia e i salmi che si cantano; del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preghiere, le orazioni e i carmi liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i simboli liturgici».[182] Più ancora, si deve dire che Cristo stesso «è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura».[183] In effetti, «la celebrazione liturgica diventa una continua, piena ed efficace proclamazione della parola di Dio. Pertanto la parola di Dio, costantemente annunziata nella liturgia, è sempre viva ed efficace per la potenza dello Spirito Santo, e manifesta quell’amore operante del Padre che giammai cessa di operare verso tutti gli uomini».[184] La Chiesa, infatti, ha sempre mostrato la consapevolezza che nell’azione liturgica la Parola di Dio si accompagna all’intima azione dello Spirito Santo che la rende operante nel cuore dei fedeli. In realtà è grazie al Paraclito che «la parola di Dio diventa fondamento dell’azione liturgica, norma e sostegno di tutta la vita. L’azione dello stesso Spirito Santo … a ciascuno suggerisce nel cuore tutto ciò che nella proclamazione della parola di Dio viene detto per l’intera assemblea dei fedeli, e mentre rinsalda l’unità di tutti, favorisce anche la diversità dei carismi e ne valorizza la molteplice azione».[185] Pertanto, occorre comprendere e vivere il valore essenziale dell’azione liturgica per la comprensione della Parola di Dio. In un certo senso, l’ermeneutica della fede riguardo alla sacra Scrittura deve sempre avere come punto di riferimento la liturgia, dove la Parola di Dio è celebrata come parola attuale e vivente: «La Chiesa segue fedelmente nella liturgia quel modo di leggere e di interpretare le sacre Scritture, a cui ricorse Cristo stesso, che a partire dall’‘oggi’ del suo evento esorta a scrutare tutte le Scritture».[186] Qui appare anche la sapiente pedagogia della Chiesa che proclama e ascolta la sacra Scrittura seguendo il ritmo dell’anno liturgico. Questo distendersi della Parola di Dio nel tempo avviene in particolare nella celebrazione eucaristica e nella Liturgia delle Ore. Al centro di tutto risplende il Mistero Pasquale, al quale si collegano tutti i misteri di Cristo e della storia della salvezza che si attualizzano sacramentalmente: «Ricordando in tal modo i misteri della redenzione, essa [la Chiesa] apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, le rende come presenti a tutti i tempi e permette ai fedeli di venirne a contatto e di essere ripieni della grazia della salvezza».[187] Esorto quindi i Pastori della Chiesa e gli operatori pastorali a fare in modo che tutti i fedeli siano educati a gustare il senso profondo della Parola di Dio che si dispiega nella liturgia durante l’anno, mostrando i misteri fondamentali della nostra fede. Da ciò dipende anche il giusto approccio alla sacra Scrittura.
Sacra Scrittura e Sacramenti
53. Affrontando il tema del valore della liturgia per la comprensione della Parola di Dio, il Sinodo dei Vescovi ha voluto sottolineare anche la relazione tra la sacra Scrittura e l’azione sacramentale. È quanto mai opportuno approfondire il legame tra Parola e Sacramento, sia nell’azione pastorale della Chiesa che nella ricerca teologica.[188] Certamente «la liturgia della Parola è un elemento decisivo nella celebrazione di ciascun sacramento della Chiesa»;[189] tuttavia nella prassi pastorale non sempre i fedeli sono consapevoli di questo legame e colgono l’unità tra il gesto e la parola. È «compito dei sacerdoti e dei diaconi, soprattutto quando amministrano i sacramenti, mettere in luce l’unità che Parola e Sacramento formano nel ministero della Chiesa».[190] Infatti, nella relazione tra Parola e gesto sacramentale si mostra in forma liturgica l’agire proprio di Dio nella storia mediante il carattere performativo della Parola stessa. Nella storia della salvezza infatti non c’è separazione tra ciò che Dio dice e opera; la sua stessa Parola si presenta come viva ed efficace (cfr Eb 4,12), come del resto lo stesso significato dell’espressione ebraica dabar indica. Al medesimo modo, nell’azione liturgica siamo posti di fronte alla sua Parola che realizza ciò che dice. Educando il Popolo di Dio a scoprire il carattere performativo della Parola di Dio nella liturgia, lo si aiuta anche a cogliere l’agire di Dio nella storia della salvezza e nella vicenda personale di ogni suo membro.
Parola di Dio ed Eucaristia
54. Quanto viene affermato in genere riguardo alla relazione tra Parola e Sacramenti si approfondisce quando ci riferiamo alla celebrazione eucaristica. Del resto, l’intima unità fra Parola ed Eucaristia è radicata nella testimonianza scritturistica (cfr Gv 6; L c 24), attestata dai Padri della Chiesa e riaffermata dal Concilio Vaticano II.[191] A questo proposito pensiamo al grande discorso di Gesù sul pane di vita nella sinagoga di Cafarnao (cfr Gv 6,22-69), che ha in sottofondo il confronto tra Mosé e Gesù, tra colui che parlò faccia a faccia con Dio (cfr Es 33,11) e colui che ha rivelato Dio (cfr Gv 1,18). Il discorso sul pane, infatti, richiama il dono di Dio, che Mosè ottenne per il suo popolo con la manna nel deserto e che in realtà è la Torah, la Parola di Dio che fa vivere (cfr Sal 119; Pr 9,5). Gesù porta a compimento in se stesso la figura antica: «Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo … Io sono il pane della vita» (Gv 6,33-35). Qui «la Legge è diventata persona. Nell’incontro con Gesù ci nutriamo, per così dire, dello stesso Dio vivente, mangiamo davvero “il pane dal cielo”».[192] Nel discorso di Cafarnao si approfondisce il Prologo di Giovanni: se là il Logos di Dio diventa carne, qui questa carne diventa «pane» donato per la vita del mondo (cfr Gv 6,51), alludendo così al dono che Gesù farà di se stesso nel mistero della croce, confermato dall’affermazione sul suo sangue dato da «bere» (cfr Gv 6,53). In tal modo nel mistero dell’Eucaristia si mostra quale sia la vera manna, il vero pane del cielo: è il Logos di Dio fattosi carne, che ha donato se stesso per noi nel Mistero Pasquale. Il racconto di Luca sui discepoli di Emmaus ci permette un’ulteriore riflessione sul legame tra l’ascolto della Parola e lo spezzare il pane (cfr Lc 24,13-35). Gesù si fece loro incontro nel giorno dopo il sabato, ascoltò le espressioni della loro speranza delusa e, diventando compagno di cammino, «spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (24,27). I due discepoli iniziano a guardare in un modo nuovo le Scritture insieme a questo viandante che si manifesta così inaspettatamente familiare alla loro vita. Ciò che è accaduto in quei giorni non appare più come fallimento, ma come compimento e nuovo inizio. Tuttavia, anche queste parole non sembrano ancora sufficienti ai due discepoli. Il Vangelo di Luca ci dice che «si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero» (24,31) solo quando Gesù prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, mentre prima «i loro occhi erano impediti a riconoscerlo» (24,16). La presenza di Gesù, dapprima con le parole, poi con il gesto di spezzare il pane, ha reso possibile ai discepoli il riconoscerLo, ed essi possono risentire in modo nuovo quanto avevano già vissuto precedentemente con Lui: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?» (24,32).
55. Da questi racconti emerge come la Scrittura stessa orienti a cogliere il suo nesso indissolubile con l’Eucaristia. «Si deve quindi sempre tener presente che la parola di Dio, dalla Chiesa letta e annunziata nella liturgia, porta in qualche modo, come al suo stesso fine, al sacrificio dell’alleanza e al convito della grazia, cioè all’Eucaristia».[193] Parola ed Eucaristia si appartengono così intimamente da non poter essere comprese l’una senza l’altra: la Parola di Dio si fa carne sacramentale nell’evento eucaristico. L’Eucaristia ci apre all’intelligenza della sacra Scrittura, così come la sacra Scrittura a sua volta illumina e spiega il Mistero eucaristico. In effetti, senza il riconoscimento della presenza reale del Signore nell’Eucaristia, l’intelligenza della Scrittura rimane incompiuta. Per questo «alla parola di Dio e al mistero eucaristico la Chiesa ha tributato e sempre e dappertutto ha voluto e stabilito che si tributasse la stessa venerazione, anche se non lo stesso culto. Mossa dall’esempio del suo fondatore, essa non ha mai cessato di celebrare il mistero pasquale, riunendosi insieme per leggere ‘in tutte le Scritture ciò che a lui si riferiva’ (Lc 24,27), e attualizzare, con il memoriale del Signore e i sacramenti, l’opera della salvezza».[194]
La sacramentalità della Parola
56. Con il richiamo al carattere performativo della Parola di Dio nell’azione sacramentale e l’approfondimento della relazione tra Parola ed Eucaristia, siamo portati ad inoltrarci in un tema significativo, emerso durante l’Assemblea del Sinodo, riguardante la sacramentalità della Parola.[195] È utile a questo proposito ricordare che il Papa Giovanni Paolo II aveva fatto riferimento «all’orizzonte sacramentale della Rivelazione e, in particolare, al segno eucaristico dove l’unità inscindibile tra la realtà e il suo significato permette di cogliere la profondità del mistero».[196] Da qui comprendiamo che all’origine della sacramentalità della Parola di Dio sta propriamente il mistero dell’incarnazione: «il Verbo si fece carne» (Gv 1,14), la realtà del mistero rivelato si offre a noi nella «carne» del Figlio. La Parola di Dio si rende percepibile alla fede attraverso il «segno» di parole e di gesti umani. La fede, dunque, riconosce il Verbo di Dio accogliendo i gesti e le parole con i quali Egli stesso si presenta a noi. L’orizzonte sacramentale della Rivelazione indica, pertanto, la modalità storico-salvifica con la quale il Verbo di Dio entra nel tempo e nello spazio, diventando interlocutore dell’uomo, chiamato ad accogliere nella fede il suo dono. La sacramentalità della Parola si lascia così comprendere in analogia alla presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino consacrati.[197] Accostandoci all’altare e prendendo parte al banchetto eucaristico noi comunichiamo realmente al corpo e al sangue di Cristo. La proclamazione della Parola di Dio nella celebrazione comporta il riconoscere che sia Cristo stesso ad essere presente e a rivolgersi a noi[198] per essere accolto. Sull’atteggiamento da avere sia nei confronti dell’Eucaristia, che della Parola di Dio, san Girolamo afferma: «Noi leggiamo le sante Scritture. Io penso che il Vangelo è il Corpo di Cristo; io penso che le sante Scritture sono il suo insegnamento. E quando egli dice: Chi non mangerà la mia carne e berrà il mio sangue (Gv 6,53), benché queste parole si possano intendere anche del Mistero [eucaristico], tuttavia il corpo di Cristo e il suo sangue è veramente la parola della Scrittura, è l’insegnamento di Dio. Quando ci rechiamo al Mistero [eucaristico], se ne cade una briciola, ci sentiamo perduti. E quando stiamo ascoltando la Parola di Dio, e ci viene versata nelle orecchie la Parola di Dio e la carne di Cristo e il suo sangue, e noi pensiamo ad altro, in quale grande pericolo non incappiamo?».[199] Cristo, realmente presente nelle specie del pane e del vino, è presente, in modo analogo, anche nella Parola proclamata nella liturgia. Approfondire il senso della sacramentalità della Parola di Dio, dunque, può favorire una comprensione maggiormente unitaria del mistero della Rivelazione in «eventi e parole intimamente connessi»,[200] giovando alla vita spirituale dei fedeli e all’azione pastorale della Chiesa.
La sacra Scrittura e il Lezionario
57. Sottolineando il nesso tra Parola ed Eucaristia, il Sinodo ha voluto giustamente richiamare anche alcuni aspetti della celebrazione inerenti al servizio della Parola. Vorrei fare riferimento innanzitutto all’importanza del Lezionario. La riforma voluta dal Concilio Vaticano II[201] ha mostrato i suoi frutti arricchendo l’accesso alla sacra Scrittura che viene offerta in abbondanza, soprattutto nelle liturgie domenicali. L’attuale struttura, oltre a presentare frequentemente i testi più importanti della Scrittura, favorisce la comprensione dell’unità del piano divino, mediante la correlazione tra le letture dell’Antico e del Nuovo Testamento, «incentrata in Cristo e nel suo mistero pasquale».[202] Talune difficoltà che permangono nel cogliere le relazioni tra le letture dei due Testamenti devono essere considerate alla luce della lettura canonica, ossia dell’unità intrinseca di tutta la Bibbia. Là dove se ne riscontra la necessità, gli organi competenti possono provvedere alla pubblicazione di sussidi che facilitino a comprendere il nesso tra le letture proposte dal Lezionario, le quali devono essere tutte proclamate all’assemblea liturgica, come previste dalla liturgia del giorno. Eventuali altri problemi e difficoltà vengano segnalati alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che l’attuale Lezionario del rito latino ha anche un significato ecumenico, in quanto viene utilizzato ed apprezzato anche da confessioni non ancora in piena comunione con la Chiesa Cattolica. In modo differente si pone il problema del Lezionario nelle liturgie delle Chiese Cattoliche Orientali, che il Sinodo chiede sia «preso autorevolmente in esame»[203] secondo la tradizione propria e le competenze delle Chiese sui iuris e tenendo conto, anche qui, del contesto ecumenico.
Proclamazione della Parola e ministero del lettorato
58. Già nell’Assemblea sinodale sull’Eucaristia era stata chiesta una maggior cura della proclamazione della Parola di Dio.[204] Come è noto, mentre il Vangelo è proclamato dal sacerdote o dal diacono, la prima e la seconda lettura nella tradizione latina vengono proclamate dal lettore incaricato, uomo o donna. Vorrei qui farmi voce dei Padri sinodali che anche in questa circostanza hanno sottolineato la necessità di curare con una formazione adeguata[205] l’esercizio del munus di lettore nella celebrazione liturgica[206] ed in modo particolare il ministero del lettorato, che, come tale, nel rito latino, è ministero laicale. È necessario che i lettori incaricati di tale ufficio, anche se non ne avessero ricevuta l’istituzione, siano veramente idonei e preparati con impegno. Tale preparazione deve essere sia biblica e liturgica, che tecnica: «La formazione biblica deve portare i lettori a saper inquadrare le letture nel loro contesto e a cogliere il centro dell’annunzio rivelato alla luce della fede. La formazione liturgica deve comunicare ai lettori una certa facilità nel percepire il senso e la struttura della liturgia della Parola e le motivazioni del rapporto fra la liturgia della Parola e la liturgia eucaristica. La preparazione tecnica deve rendere i lettori sempre più idonei all’arte di leggere in pubblico, sia a voce libera, sia con l’aiuto dei moderni strumenti di amplificazione».[207]
L’importanza dell’omelia
59. «Diversi sono i compiti e gli uffici che spettano a ciascuno riguardo alla Parola di Dio: ai fedeli spetta l’ascoltarla e il meditarla; l’esporla invece spetta soltanto a coloro che, in forza della sacra ordinazione, hanno il compito magisteriale, o a coloro ai quali viene affidato l’esercizio di questo ministero»,[208] vale a dire Vescovi, presbiteri e diaconi. Da qui si comprende l’attenzione che nel Sinodo è stata data al tema dell’omelia. Già nell’Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis, avevo ricordato che «in relazione all’importanza della Parola di Dio si pone la necessità di migliorare la qualità dell’omelia. Essa infatti “è parte dell’azione liturgica”; ha il compito di favorire una più piena comprensione ed efficacia della Parola di Dio nella vita dei fedeli».[209] L’omelia costituisce un’attualizzazione del messaggio scritturistico, in modo tale che i fedeli siano indotti a scoprire la presenza e l’efficacia del la Parola di Dio nell’oggi della propria vita. Essa deve condurre alla comprensione del mistero che si celebra, invitare alla missione, disponendo l’assemblea alla professione di fede, alla preghiera universale e alla liturgia eucaristica. Di conseguenza, coloro che per ministero specifico sono deputati alla predicazione abbiano veramente a cuore questo compito. Si devono evitare omelie generiche ed astratte, che occultino la semplicità della Parola di Dio, come pure inutili divagazioni che rischiano di attirare l’attenzione sul predicatore piuttosto che al cuore del messaggio evangelico. Deve risultare chiaro ai fedeli che ciò che sta a cuore al predicatore è mostrare Cristo, che deve essere al centro di ogni omelia. Per questo occorre che i predicatori abbiano confidenza e contatto assiduo con il testo sacro;[210] si preparino per l’omelia nella meditazione e nella preghiera, affinché predichino con convinzione e passione. L’Assemblea sinodale ha esortato che si tengano presenti le seguenti domande: «Che cosa dicono le letture proclamate? Che cosa dicono a me personalmente? Che cosa devo dire alla comunità, tenendo conto della sua situazione concreta?».[211] Il predicatore deve lasciarsi «interpellare per primo dalla Parola di Dio che annuncia»,[212] perché, come dice sant’Agostino: «È indubbiamente senza frutto chi predica all’esterno la parola di Dio e non ascolta nel suo intimo».[213] Si curi con particolare attenzione l’omelia domenicale e nelle solennità; ma non si trascuri anche durante la settimana nelle Messe cum populo, quando possibile, di offrire brevi riflessioni, appropriate alla situazione, per aiutare i fedeli ad accogliere e rendere feconda la Parola ascoltata.
Opportunità di un Direttorio omiletico
60. Predicare in modo adeguato in riferimento al Lezionario è veramente un’arte che deve essere coltivata. Pertanto, in continuità con quanto richiesto nel precedente Sinodo,[214] chiedo alle autorità competenti che, in relazione al Compendio eucaristico,[215] si pensi anche a strumenti e sussidi adeguati per aiutare i ministri a svolgere nel modo migliore il loro compito, come ad esempio un Direttorio sull’omelia, cosicché i predicatori possano trovare in esso un aiuto utile per prepararsi nell’esercizio del ministero. Come ci ricorda san Girolamo, poi, la predicazione deve essere accompagnata dalla testimonianza della propria vita: «Le tue azioni non smentiscano le tue parole, perché non succeda che, quando tu predichi in chiesa, qualcuno nel suo intimo commenti: “Perché dunque proprio tu non agisci così?”. … Nel sacerdote di Cristo la mente e la parola si devono accordare».[216] Parola di Dio, Riconciliazione e Unzione degli infermi 61. Se al centro della relazione tra Parola di Dio e Sacramenti sta indubbiamente l’Eucaristia, tuttavia è bene sottolineare l’importanza della sacra Scrittura anche negli altri Sacramenti, in particolare quelli di guarigione: ossia il sacramento della Riconciliazione o della Penitenza, e il sacramento dell’Unzione degli infermi. Spesso il riferimento alla sacra Scrittura in questi Sacramenti viene trascurato. È necessario, invece, che ad essa venga dato lo spazio che le spetta. Infatti, non si deve mai dimenticare che «la Parola di Dio è parola di riconciliazione perché in essa Dio riconcilia a sé tutte le cose (cfr 2 Cor 5,18-20; Ef 1,10). Il perdono misericordioso di Dio, incarnato in Gesù, rialza il peccatore».[217] La Parola di Dio «illumina il fedele a conoscere i suoi peccati, lo chiama alla conversione e gl’infonde fiducia nella misericordia di Dio».[218] Affinché si approfondisca la forza riconciliatrice della Parola di Dio si raccomanda che il singolo penitente si prepari alla confessione meditando un brano adatto della sacra Scrittura e possa iniziare la confessione mediante la lettura o l’ascolto di una ammonizione biblica, secondo quanto previsto dal proprio rito. Nel manifestare la sua contrizione, poi, è bene che il penitente usi «una formula composta di espressioni della sacra Scrittura»,[219] prevista dal rito. Quando possibile, è bene che, in particolari momenti dell’anno o quando se ne presenti l’opportunità, la confessione individuale da parte di più penitenti avvenga all’interno di celebrazioni penitenziali, come previsto dal rituale, nel rispetto delle diverse tradizioni liturgiche, in cui poter dare ampio spazio alla celebrazione della Parola con l’uso di letture appropriate. Anche per quanto riguarda il Sacramento dell’Unzione degli infermi, non si dimentichi che «la forza sanante della Parola di Dio è un appello vivo ad una costante conversione personale nell’ascoltatore stesso».[220] La sacra Scrittura contiene numerose pagine di conforto, sostegno e guarigione dovuti all’intervento di Dio. In particolare si ricordi la vicinanza di Gesù ai sofferenti e che Egli stesso, Verbo di Dio incarnato, si è caricato dei nostri dolori ed ha patito per amore dell’uomo, donando così senso alla malattia e al morire. È bene che nelle parrocchie e soprattutto negli ospedali si celebri, secondo le circostanze, il Sacramento degli infermi in forma comunitaria. Sia dato in queste occasioni ampio spazio alla celebrazione della Parola e si aiutino i fedeli infermi a vivere con fede la propria condizione di sofferenza, in unione al Sacrificio redentivo di Cristo che ci libera dal male.
Parola di Dio e Liturgia delle Ore
62. Tra le forme di preghiera che esaltano la sacra Scrittura si colloca indubbiamente la Liturgia delle Ore. I Padri sinodali hanno affermato che essa costituisce «una forma privilegiata di ascolto della Parola di Dio perché mette in contatto i fedeli con la Sacra Scrittura e con la Tradizione viva della Chiesa».[221] Si deve innanzitutto ricordare la profonda dignità teologica ed ecclesiale di questa preghiera. Infatti, «nella Liturgia delle Ore la Chiesa, esercitando l’ufficio sacerdotale del suo Capo, offre a Dio “incessantemente” (1 Ts 5,17) il sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome (cfr Eb 13,15). Questa preghiera è “la voce della stessa Sposa che parla allo Sposo, anzi è la preghiera che Cristo, unito al suo Corpo, eleva al Padre”».[222] Il Concilio Vaticano II aveva affermato a questo proposito: «Tutti coloro, pertanto, che compiono questa preghiera, adempiono da una parte l’obbligo proprio della Chiesa e dall’altra partecipano al sommo onore della Sposa di Cristo perché, celebrando le lodi di Dio, stanno dinanzi al suo trono a nome della Madre Chiesa».[223] Nella Liturgia delle Ore, come preghiera pubblica della Chiesa, si mostra l’ideale cristiano di santificazione della giornata intera, ritmata dall’ascolto della Parola di Dio e dalla preghiera dei salmi, così che ogni attività trovi il suo punto di riferimento nella lode offerta a Dio. Coloro che per il proprio stato di vita sono tenuti alla recita della Liturgia delle Ore vivano con fedeltà tale impegno a beneficio di tutta la Chiesa. I Vescovi, i sacerdoti e i diaconi aspiranti al sacerdozio, che hanno ricevuto dalla Chiesa il mandato di celebrarla, hanno l’obbligo di assolvere ogni giorno tutte le Ore.[224] Per quanto riguarda l’obbligatorietà di questa liturgia nelle Chiese Orientali Cattoliche sui iuris si segua quanto indicato nel diritto proprio.[225] Inoltre, incoraggio le comunità di vita consacrata ad essere esemplari nella celebrazione della Liturgia delle Ore, così da poter costituire un punto di riferimento e di ispirazione per la vita spirituale e pastorale di tutta la Chiesa. Il Sinodo ha espresso il desiderio che si diffonda maggiormente nel Popolo di Dio questo tipo di preghiera, specialmente la recita delle Lodi e dei Vespri. Tale incremento non potrà che aumentare tra i fedeli la familiarità con la Parola di Dio. Si sottolinei anche il valore della Liturgia delle Ore prevista per i primi Vespri della Domenica e delle Solennità, in particolare per le Chiese Orientali cattoliche. A tale scopo raccomando che, là dove sia possibile, le parrocchie e le comunità di vita religiosa favoriscano questa preghiera con la partecipazione dei fedeli.
Parola di Dio e Benedizionale
63. Anche nell’uso del Benedizionale si presti attenzione allo spazio previsto per la proclamazione, l’ascolto e la spiegazione della Parola di Dio, mediante brevi ammonimenti. Infatti, il gesto della benedizione, nei casi previsti dalla Chiesa e quando richiesto dai fedeli, non è da isolare in se stesso, ma da rapportare nel grado proprio alla vita liturgica del Popolo di Dio. In questo senso la benedizione, come vero segno sacro, «attinge senso ed efficacia dalla proclamazione della parola di Dio».[226] Pertanto, è importante utilizzare anche queste circostanze per riaccendere nei fedeli la fame e la sete di ogni parola che esce dalla bocca di Dio (cfr Mt 4,4).
Suggerimenti e proposte concrete per l’animazione liturgica
64. Dopo aver richiamato alcuni elementi fondamentali della relazione tra liturgia e Parola di Dio, desidero ora riassumere e valorizzare alcune proposte e suggerimenti raccomandati dai Padri sinodali per favorire nel Popolo di Dio una sempre maggiore familiarità con la Parola di Dio nell’ambito delle azioni liturgiche o comunque ad esse riferite.
a) Celebrazioni della Parola di Dio
65. I Padri sinodali hanno esortato tutti i Pastori a diffondere nelle comunità loro affidate i momenti di celebrazione della Parola:[227] sono occasioni privilegiate di incontro con il Signore. Per questo, una tale prassi non può che portare grande giovamento nei fedeli ed è da ritenersi elemento importante della pastorale liturgica. Queste celebrazioni assumono particolare rilevanza in preparazione all’Eucaristia domenicale, così che i credenti abbiano la possibilità di inoltrarsi maggiormente nella ricchezza del Lezionario per meditare e pregare la sacra Scrittura, soprattutto nei tempi liturgici forti, Avvento e Natale, Quaresima e Pasqua. La celebrazione della Parola di Dio è poi fortemente raccomandata in quelle comunità in cui, a causa della scarsità di sacerdoti, non è possibile celebrare il Sacrificio eucaristico nei giorni di precetto festivo. Tenendo conto delle indicazioni già espresse nell’Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum caritatis circa le assemblee domenicali in attesa di sacerdote,[228] raccomando che siano formulati dalle competenti autorità dei direttori rituali, valorizzando l’esperienza delle Chiese particolari. In tal modo verranno favorite, in queste situazioni, celebrazioni della Parola che nutrano la fede dei credenti, evitando, però, che esse vengano confuse con le celebrazioni eucaristiche; «piuttosto dovrebbero essere occasioni privilegiate di preghiera a Dio perché mandi santi sacerdoti secondo il suo cuore».[229] Inoltre, i Padri sinodali hanno invitato a celebrare la Parola di Dio anche in occasione di pellegrinaggi, feste particolari, missioni al popolo, ritiri spirituali e giorni speciali di penitenza, riparazione e perdono. Per quanto riguarda le diverse forme di pietà popolare, pur non essendo atti liturgici e non dovendo essere confuse con le celebrazioni liturgiche, tuttavia è bene che si ispirino ad esse e soprattutto diano spazio adeguato alla proclamazione e all’ascolto della Parola di Dio; infatti, «nella parola biblica la pietà popolare troverà una fonte inesauribile di ispirazione, insuperabili modelli di preghiera e feconde proposte tematiche».[230]
b) La Parola e il silenzio
66. Non pochi interventi dei Padri sinodali hanno insistito sul valore del silenzio in relazione alla Parola di Dio e alla sua ricezione nella vita dei fedeli. [231] Infatti, la parola può essere pronunciata e udita solamente nel silenzio, esteriore ed interiore. Il nostro tempo non favorisce il raccoglimento e a volte si ha l’impressione che ci sia quasi timore a staccarsi, anche per un momento, dagli strumenti di comunicazione di massa. Per questo è necessario oggi educare il Popolo di Dio al valore del silenzio. Riscoprire la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa vuol dire anche riscoprire il senso del raccoglimento e della quiete interiore. La grande tradizione patristica ci insegna che i misteri di Cristo sono legati al silenzio[232] e solo in esso la Parola può trovare dimora in noi, come è accaduto in Maria, inseparabilmente donna della Parola e del silenzio. Le nostre liturgie devono facilitare questo ascolto autentico: Verbo crescente, verba deficiunt.[233] Questo valore risplenda in particolare nella liturgia della Parola, che «deve essere celebrata in modo da favorire la meditazione».[234] Il silenzio, quando previsto, è da considerarsi «come parte della celebrazione».[235] Pertanto, esorto i Pastori a incoraggiare i momenti di raccoglimento, per mezzo dei quali, con l’aiuto dello Spirito Santo, la Parola di Dio viene accolta nel cuore.
c) Proclamazione solenne della Parola di Dio
67. Un altro suggerimento emerso dal Sinodo è stato di solennizzare, soprattutto in ricorrenze liturgiche rilevanti, la proclamazione della Parola, specialmente il Vangelo, utilizzando l’Evangeliario, recato processionalmente durante i riti iniziali e poi portato all’ambone dal diacono o da un sacerdote per la proclamazione. In tal modo si aiuta il Popolo di Dio a riconoscere che «la lettura del Vangelo costituisce il culmine della stessa liturgia della Parola».[236] Seguendo le indicazioni contenute nell’Ordinamento delle letture della Messa, è bene valorizzare la proclamazione della Parola di Dio con il canto, in particolare il Vangelo, specie in determinate solennità. Il saluto, l’annunzio iniziale: «Dal Vangelo...» e quello finale «Parola del Signore» sarebbe bene proferirli in canto per sottolineare l’importanza di ciò che viene letto.[237]
d) La Parola di Dio nel tempio cristiano
68. Per favorire l’ascolto della Parola di Dio non si devono trascurare quei mezzi che possono aiutare i fedeli ad una maggiore attenzione. In questo senso è necessario che negli edifici sacri non si trascuri mai l’acustica, nel rispetto delle norme liturgiche e architettoniche. «I vescovi, debitamente aiutati, abbiano cura nella costruzione delle chiese che queste siano luoghi adeguati alla proclamazione della Parola, alla meditazione e alla celebrazione eucaristica. Gli spazi sacri anche al di fuori dell’azione liturgica siano eloquenti, presentando il mistero cristiano in relazione alla Parola di Dio».[238] Un’attenzione speciale va data all’ambone, come luogo liturgico da cui viene proclamata la Parola di Dio. Esso deve essere collocato in un posto ben visibile, cui spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli durante la liturgia della Parola. È bene che esso sia fisso, costituito come elemento scultoreo in armonia estetica con l’altare, così da rappresentare anche visivamente il senso teologico della duplice mensa della Parola e dell’Eucaristia. Dall’ambone si proclamano le letture, il salmo responsoriale e il Preconio pasquale; ivi inoltre si possono tenere l’omelia e proferire la preghiera dei fedeli.[239] I Padri sinodali, inoltre, suggeriscono che nelle chiese vi sia un posto di riguardo in cui collocare la sacra Scrittura anche al di fuori della celebrazione. [240] È bene, infatti, che il libro che contiene la Parola di Dio abbia un posto visibile e di onore all’interno del tempio cristiano, tuttavia senza togliere la centralità che spetta al tabernacolo contenente il Santissimo Sacramento.[241]
e) Esclusività dei testi biblici nella liturgia
69. Il Sinodo ha inoltre vivamente ribadito quanto, peraltro, già stabilito dalla norma liturgica della Chiesa,[242] che le letture tratte dalla sacra Scrittura non siano mai sostituite con altri testi, per quanto significativi dal punto di vista pastorale o spirituale: «nessun testo di spiritualità o di letteratura può raggiungere il valore e la ricchezza contenuta nella sacra Scrittura che è Parola di Dio».[243] Si tratta di una disposizione antica della Chiesa che va mantenuta.[244] Di fronte ad alcuni abusi, già il Papa Giovanni Paolo II aveva richiamato l’importanza di non sostituire mai la sacra Scrittura con altre letture.[245] Ricordiamo che anche il Salmo responsoriale è Parola di Dio, con la quale rispondiamo alla voce del Signore e per questo non deve essere sostituito da altri testi; mentre è assai opportuno poterlo eseguire in forma cantata.
f) Canto liturgico biblicamente ispirato
70. Nell’ambito della valorizzazione della Parola di Dio durante la celebrazione liturgica si tenga presente anche il canto nei momenti previsti dal proprio rito, favorendo quello di chiara ispirazione biblica che sappia esprimere, mediante l’accordo armonico delle parole e della musica, la bellezza della Parola divina. In tal senso è bene valorizzare quei canti che la tradizione della Chiesa ci ha consegnato e che rispettano questo criterio. Penso in particolare all’importanza del canto gregoriano.[246]
g) Particolare attenzione ai non vedenti e ai non udenti
71. In questo contesto vorrei anche ricordare che il Sinodo ha raccomandato un’attenzione particolare nei confronti di coloro che a causa delle proprie condizioni hanno problemi nella partecipazione attiva alla liturgia, come ad esempio i non vedenti e non udenti. Per quanto possibile, incoraggio le comunità cristiane a provvedere con strumenti adeguati a venire incontro ai fratelli e sorelle che patiscono questa difficoltà, perché anche a loro sia data la possibilità di avere un contatto vivo con la Parola del Signore.[247]
LA PAROLA DI DIO NELLA VITA ECCLESIALE
Incontrare la Parola di Dio nella sacra Scrittura
72. Se è vero che la liturgia è il luogo privilegiato per la proclamazione, l’ascolto e la celebrazione della Parola di Dio, è altrettanto vero che quest’incontro deve essere preparato nei cuori dei fedeli e soprattutto da questi approfondito ed assimilato. Infatti, la vita cristiana è caratterizzata essenzialmente dall’incontro con Gesù Cristo che ci chiama a seguirLo. Per questo il Sinodo dei Vescovi ha più volte ribadito l’importanza della pastorale nelle comunità cristiane come ambito proprio in cui percorrere un itinerario personale e comunitario nei confronti della Parola di Dio, così che questa sia veramente a fondamento della vita spirituale. Insieme ai Padri sinodali esprimo il vivo desiderio affinché fiorisca «una nuova stagione di più grande amore per la sacra Scrittura da parte di tutti i membri del Popolo di Dio, cosicché dalla loro lettura orante e fedele nel tempo si approfondisca il rapporto con la persona stessa di Gesù».[248] Non mancano nella storia della Chiesa raccomandazioni da parte dei Santi sulla necessità di conoscere la Scrittura per crescere nell’amore di Cristo. Questo è un dato particolarmente evidente nei Padri della Chiesa. San Girolamo, grande «innamorato» della Parola di Dio, si domandava: «Come si potrebbe vivere senza la scienza delle Scritture, attraverso le quali si impara a conoscere Cristo stesso, che è la vita dei credenti?».[249] Era ben cosciente che la Bibbia è lo strumento «con cui ogni giorno Dio parla ai credenti».[250] Così egli consiglia la matrona romana Leta per l’educazione della figlia: «Assicurati che essa studi ogni giorno qualche passo della Scrittura ... Alla preghiera faccia seguire la lettura, e alla lettura la preghiera ... Che invece dei gioielli e dei vestiti di seta, essa ami i Libri divini».[251] Vale per noi quello che ancora san Girolamo scriveva al sacerdote Nepoziano: «Leggi con molta frequenza le divine Scritture; anzi, che il Libro Santo non sia mai deposto dalle tue mani. Impara qui quello che tu devi insegnare».[252] Sull’esempio del grande Santo, che dedicò la vita allo studio della Bibbia e che donò alla Chiesa la sua traduzione latina, la cosiddetta Vulgata, e di tutti i Santi, che hanno posto al centro della loro vita spirituale l’incontro con Cristo, rinnoviamo il nostro impegno ad approfondire la Parola che Dio ha donato alla Chiesa; potremo tendere così a quella «misura alta della vita cristiana ordinaria»,[253] auspicata dal Papa Giovanni Paolo II all’inizio del terzo millennio cristiano, che si alimenta costantemente nell’ascolto della Parola di Dio.
L’animazione biblica della pastorale
73. In tale linea, il Sinodo ha invitato ad un particolare impegno pastorale per far emergere il posto centrale della Parola di Dio nella vita ecclesiale, raccomandando di «incrementare la “pastorale biblica” non in giustapposizione con altre forme della pastorale, ma come animazione biblica dell’intera pastorale».[254] Non si tratta, quindi, di aggiungere qualche incontro in parrocchia o nella diocesi, ma di verificare che nelle abituali attività delle comunità cristiane, nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti, si abbia realmente a cuore l’incontro personale con Cristo che si comunica a noi nella sua Parola. In tal senso, poiché l’«ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo»,[255] l’animazione biblica di tutta la pastorale ordinaria e straordinaria porterà ad una maggiore conoscenza della persona di Cristo, Rivelatore del Padre e pienezza della Rivelazione divina. Esorto pertanto i Pastori e i fedeli a tenere conto dell’importanza di questa animazione: sarà anche il modo migliore per far fronte ad alcuni problemi pastorali emersi durante l’Assemblea sinodale legati, ad esempio, alla proliferazione di sette, che diffondono una lettura distorta e strumentale della sacra Scrittura. Là dove non si formano i fedeli ad una conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa nell’alveo della sua Tradizione viva, di fatto si lascia un vuoto pastorale in cui realtà come le sette possono trovare terreno per mettere radici. Per questo è necessario anche provvedere ad una preparazione adeguata dei sacerdoti e dei laici che possano istruire il Popolo di Dio nel genuino approccio alle Scritture. Inoltre, come è stato sottolineato durante i lavori sinodali, è bene che nell’attività pastorale si favorisca anche la diffusione di piccole comunità, «formate da famiglie o radicate nelle parrocchie o legate ai diversi movimenti ecclesiali e nuove comunità»,[256] in cui promuovere la formazione, la preghiera e la conoscenza della Bibbia secondo la fede della Chiesa.
Dimensione biblica della catechesi
74. Un momento importante dell’animazione pastorale della Chiesa in cui poter sapientemente riscoprire la centralità della Parola di Dio è la catechesi, che nelle sue diverse forme e fasi deve sempre accompagnare il Popolo di Dio. L’incontro dei discepoli di Emmaus con Gesù, descritto dall’evangelista Luca (cfr L c 24,13-35), rappresenta, in un certo senso, il modello di una catechesi al cui centro sta la «spiegazione delle Scritture», che solo Cristo è in grado di dare (cfr Lc 24,27-28), mostrando in se stesso il loro compimento.[257] In tal modo rinasce la speranza più forte di ogni sconfitta, che fa di quei discepoli testimoni convinti e credibili del Risorto. Nel Direttorio generale per la catechesi troviamo valide indicazioni per animare biblicamente la catechesi e ad esse volentieri rimando.[258] In questa circostanza desidero soprattutto sottolineare che la catechesi «deve imbeversi e permearsi del pensiero, dello spirito e degli atteggiamenti biblici ed evangelici mediante un contatto assiduo con i testi medesimi; ma vuol dire, altresì, ricordare che la catechesi sarà tanto più ricca ed efficace, quanto più leggerà i testi con l’intelligenza ed il cuore della Chiesa»,[259] e quanto più s’ispirerà alla riflessione ed alla vita bimillenaria della Chiesa stessa. Si deve incoraggiare quindi la conoscenza delle figure, delle vicende e delle espressioni fondamentali del testo sacro; per questo può giovare anche un’intelligente memorizzazione di alcuni brani biblici particolarmente eloquenti dei misteri cristiani. L’attività catechetica implica sempre l’accostare le Scritture nella fede e nella Tradizione della Chiesa, così che quelle parole siano percepite come vive, come vivo è Cristo oggi dove due o tre si riuniscono nel suo nome (cfr Mt 18,20). Essa deve comunicare in modo vitale la storia della salvezza ed i contenuti della fede della Chiesa, affinché ogni fedele riconosca che a quella storia appartiene anche la propria vicenda personale. In questa prospettiva è importante sottolineare la relazione tra la sacra Scrittura e il Catechismo della Chiesa Cattolica, come ha affermato il Direttorio generale per la catechesi: «La sacra Scrittura, infatti, come “parola di Dio messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito Santo”, e il Catechismo della Chiesa Cattolica, in quanto rilevante espressione attuale della Tradizione viva della Chiesa, e norma sicura per l’insegnamento della fede, sono chiamati, ciascuno a modo proprio e secondo la sua specifica autorità, a fecondare la catechesi nella Chiesa contemporanea».[260]
Formazione biblica dei cristiani
75. Per raggiungere lo scopo auspicato dal Sinodo di un maggiore carattere biblico di tutta la pastorale della Chiesa è necessario che vi sia un’adeguata formazione dei cristiani e, in particolare, dei catechisti. Al riguardo, occorre riservare attenzione all’apostolato biblico, metodo assai valido per raggiungere tale finalità, come dimostra l’esperienza ecclesiale. I Padri sinodali, inoltre, hanno raccomandato che, possibilmente attraverso la valorizzazione di strutture accademiche già esistenti, si stabiliscano centri di formazione per laici e per missionari, in cui si impari a comprendere, vivere ed annunciare la Parola di Dio, e, dove se ne veda la necessità, si costituiscano istituti specializzati in studi biblici affinché gli esegeti abbiano una solida comprensione teologica e un’adeguata sensibilità per i contesti della loro missione.[261]
La sacra Scrittura nei grandi raduni ecclesiali
76. Tra le molteplici iniziative che possono essere prese, il Sinodo suggerisce che nei raduni, sia a livello diocesano che nazionale o internazionale, venga maggiormente sottolineata l’importanza della Parola di Dio, del suo ascolto e della lettura credente ed orante della Bibbia. Pertanto, all’interno dei congressi eucaristici, nazionali ed internazionali, delle giornate mondiali della gioventù e di altri incontri, si potrà lodevolmente trovare maggiore spazio per celebrazioni della Parola e per momenti di formazione di carattere biblico.[262]
Parola di Dio e vocazioni
77. Il Sinodo, nel sottolineare l’esigenza intrinseca della fede di approfondire il rapporto con Cristo, Parola di Dio tra noi, ha voluto anche evidenziare il fatto che questa Parola chiama ciascuno in termini personali, rivelando così che la vita stessa è vocazione in rapporto a Dio. Questo vuol dire che quanto più approfondiamo il nostro personale rapporto con il Signore Gesù, tanto più ci accorgiamo che Egli ci chiama alla santità, mediante scelte definitive, con le quali la nostra vita risponde al suo amore, assumendo compiti e ministeri per edificare la Chiesa. In questo orizzonte si comprendono gli inviti fatti dal Sinodo a tutti i cristiani di approfondire il rapporto con la Parola di Dio in quanto battezzati, ma anche in quanto chiamati a vivere secondo i diversi stati di vita. Qui tocchiamo uno dei punti-cardine della dottrina del Concilio Vaticano II che ha sottolineato la vocazione alla santità di ogni fedele, ciascuno nel proprio stato di vita.[263] È nella sacra Scrittura che troviamo rivelata la nostra vocazione alla santità: «Voi sarete santi, perché io sono Santo» (Lv 11,44; 19,2; 20,7). San Paolo, poi, ne evidenzia la radice cristologica: il Padre in Cristo «ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (Ef 1,4). Così possiamo sentire rivolto a ciascuno di noi il suo saluto ai fratelli e alle sorelle della comunità di Roma: «Amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!» (Rm 1,7).
a) Parola di Dio e Ministri ordinati
78. Innanzitutto, rivolgendomi ora ai Ministri ordinati della Chiesa ricordo loro quanto affermato dal Sinodo: «La Parola di Dio è indispensabile per formare il cuore di un buon pastore, ministro della Parola».[264] Vescovi, presbiteri, diaconi non possono in alcun modo pensare di vivere la loro vocazione e missione senza un impegno deciso e rinnovato di santificazione che ha nel contatto con la Bibbia uno dei suoi pilastri.
79. Per coloro che sono chiamati all’episcopato, e sono i primi e più autorevoli annunciatori della Parola, desidero ribadire quanto è stato affermato dal Papa Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica postsinodale Pastores gregis. Per nutrire e fare progredire la vita spirituale, il Vescovo deve sempre porre «al primo posto, la lettura e la meditazione della Parola di Dio. Ogni Vescovo dovrà sempre affidarsi e sentirsi affidato “al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati” (At 20,32). Prima, perciò, d’essere trasmettitore della Parola, il Vescovo, insieme con i suoi sacerdoti e come ogni fedele, anzi come la stessa Chiesa, deve essere ascoltatore della Parola. Egli dev’essere come “dentro” la Parola, per lasciarsene custodire e nutrire come da un grembo materno».[265] Ad imitazione di Maria, Virgo audiens e Regina degli Apostoli, a tutti i fratelli nell’episcopato raccomando la frequente lettura personale e lo studio assiduo della sacra Scrittura.
80. Anche riguardo ai sacerdoti vorrei richiamare le parole del Papa Giovanni Paolo II, il quale nell’Esortazione apostolica postinodale Pastores dabo vobis ha ricordato che «il sacerdote è, anzitutto, ministro della Parola di Dio, è consacrato e mandato ad annunciare a tutti il Vangelo del Regno, chiamando ogni uomo all’obbedienza della fede e conducendo i credenti ad una conoscenza e comunione sempre più profonde del mistero di Dio, rivelato e comunicato a noi in Cristo. Per questo, il sacerdote stesso per primo deve sviluppare una grande familiarità personale con la Parola di Dio: non gli basta conoscerne l’aspetto linguistico o esegetico, che pure è necessario; gli occorre accostare la Parola con cuore docile e orante, perché essa penetri a fondo nei suoi pensieri e sentimenti e generi in lui una mentalità nuova – “il pensiero di Cristo” (1Cor 2,16)».[266] Conseguentemente, le sue parole, le sue scelte e i suoi atteggiamenti devono essere sempre più una trasparenza, un annuncio ed una testimonianza del Vangelo; «solo “rimanendo” nella Parola, il sacerdote diventerà perfetto discepolo del Signore, conoscerà la verità e sarà veramente libero».[267] In definitiva, la chiamata al sacerdozio chiede di essere consacrati «nella verità». Gesù stesso formula questa esigenza nei confronti dei suoi discepoli: «Consacrali nella verità. La tua Parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo» (Gv 17,17-18). I discepoli vengono in un certo senso «tirati nell’intimo di Dio mediante l’essere immersi nella Parola di Dio. La Parola di Dio è, per così dire, il lavacro che li purifica, il potere creatore che li trasforma nell’essere di Dio». [268] E poiché Cristo stesso è la Parola di Dio fatta carne (Gv 1,14), è «la Verità» (Gv 14,6), allora la preghiera di Gesù al Padre «Consacrali nella verità» vuol dire nel più profondo: «rendili una cosa sola con me, Cristo. Lègali a me. Tirali dentro di me. E di fatto esiste un unico sacerdote della Nuova Alleanza, lo stesso Gesù Cristo».[269] È necessario dunque che i sacerdoti rinnovino sempre più profondamente la consapevolezza di questa realtà.
81. Vorrei riferirmi al posto della Parola di Dio anche nella vita di coloro che sono chiamati al diaconato, non solo come grado previo dell’ordine del presbiterato, ma come servizio permanente. Il Direttorio per il diaconato permanente afferma che «dall’identità teologica del diacono, scaturiscono con chiarezza i lineamenti della sua specifica spiritualità, che si presenta essenzialmente come spiritualità del servizio. Il modello per eccellenza è il Cristo servo, vissuto totalmente al servizio di Dio, per il bene degli uomini».[270] In questa prospettiva, si comprende come, nelle varie dimensioni del ministero diaconale, un «elemento caratterizzante la spiritualità diaconale è la Parola di Dio, di cui il diacono è chiamato ad essere autorevole annunciatore, credendo ciò che proclama, insegnando ciò che crede, vivendo ciò che insegna».[271] Raccomando pertanto che i diaconi alimentino nella propria vita una lettura credente della sacra Scrittura con lo studio e la preghiera. Siano introdotti alla sacra Scrittura e alla sua retta interpretazione; all’interrelazione tra Scrittura e Tradizione; in particolare all’uso della Scrittura nella predicazione, nella catechesi e nell’attività pastorale in genere.[272]
b) Parola di Dio e candidati all’Ordine sacro
82. Il Sinodo ha dato particolare importanza al ruolo decisivo della Parola di Dio nella vita spirituale dei candidati al sacerdozio ministeriale: «I candidati al sacerdozio devono imparare ad amare la Parola di Dio. Sia quindi la Scrittura l’anima della loro formazione teologica, sottolineando l’indispensabile circolarità tra esegesi, teologia, spiritualità e missione».[273] Gli aspiranti al sacerdozio ministeriale sono chiamati ad un profondo rapporto personale con la Parola di Dio, in particolare nella lectio divina, perché da tale rapporto si alimenta la vocazione stessa: è nella luce e nella forza della Parola di Dio che può essere scoperta, compresa, amata e seguita la propria vocazione e compiuta la propria missione, alimentando nel cuore i pensieri di Dio, così che la fede, come risposta alla Parola, divenga il nuovo criterio di giudizio e di valutazione degli uomini e delle cose, degli avvenimenti e dei problemi.[274] Questa attenzione alla lettura orante della Scrittura non deve in alcun modo alimentare una dicotomia rispetto allo studio esegetico richiesto nel tempo della formazione. Il Sinodo ha raccomandato che i seminaristi siano aiutati concretamente a vedere la relazione tra lo studio biblico e il pregare con la Scrittura. Studiare le Scritture deve rendere più consapevoli del mistero della rivelazione divina ed alimentare un atteggiamento di risposta orante al Signore che parla. Dall’altra parte, anche un’autentica vita di preghiera non potrà che far crescere nell’anima del candidato il desiderio di conoscere sempre di più il Dio che si è rivelato nella sua Parola come amore infinito. Pertanto si dovrà porre la massima cura affinché nella vita dei seminaristi si coltivi questa reciprocità tra studio e preghiera. A questo scopo serve che i candidati siano introdotti ad uno studio della sacra Scrittura mediante metodi che favoriscano tale approccio integrale.
c) Parola di Dio e vita consacrata
83. In relazione alla vita consacrata il Sinodo ha ricordato innanzitutto che essa «nasce dall’ascolto della Parola di Dio ed accoglie il Vangelo come sua norma di vita».[275] Vivere nella sequela di Cristo casto, povero ed obbediente è in tal modo una «“esegesi” vivente della Parola di Dio».[276] Lo Spirito Santo, in forza del quale è stata scritta la Bibbia, è il medesimo che illumina «di luce nuova la Parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici. Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni regola vuole essere espressione»,[277] dando origine ad itinerari di vita cristiana segnati dalla radicalità evangelica. Vorrei ricordare che la grande tradizione monastica ha sempre avuto come fattore costitutivo della propria spiritualità la meditazione della sacra Scrittura, in particolare nella forma della lectio divina. Anche oggi, le realtà antiche e nuove di speciale consacrazione sono chiamate ad essere vere scuole di vita spirituale in cui leggere le Scritture secondo lo Spirito Santo nella Chiesa, così che tutto il Popolo di Dio ne possa beneficiare. Il Sinodo, pertanto, raccomanda che non manchi mai nelle comunità di vita consacrata una formazione solida alla lettura credente della Bibbia.[278] Desidero farmi ancora eco dell’attenzione e della gratitudine che il Sinodo ha espresso per le forme di vita contemplativa che per carisma specifico dedicano molto tempo delle loro giornate ad imitare la Madre di Dio che meditava assiduamente le parole e i fatti del Figlio suo (cfr Lc 2,19.51), e Maria di Betania che, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola (cfr Lc 10,38). Il mio pensiero si rivolge in particolare ai monaci e alle monache di clausura, che, nella forma della separazione dal mondo, si trovano più intimamente uniti a Cristo, cuore del mondo. La Chiesa ha più che mai bisogno della testimonianza di chi si impegna a «non anteporre nulla all’amore di Cristo».[279] Il mondo di oggi è spesso troppo assorbito dalle attività esteriori nelle quali rischia di perdersi. I contemplativi e le contemplative, con la loro vita di preghiera, di ascolto e di meditazione della Parola di Dio, ci ricordano che non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio (cfr Mt 4,4). Pertanto, tutti i fedeli abbiano ben presente che una tale forma di vita «indica al mondo di oggi, quello che è più importante, in definitiva, l’unica cosa decisiva: esiste una ragione ultima per cui vale la pena di vivere, cioè, Dio e il suo amore imperscrutabile».[280]
d) Parola di Dio e fedeli laici
84. Ai fedeli laici il Sinodo ha rivolto molte volte l’attenzione, ringraziandoli per il loro generoso impegno nella diffusione del Vangelo nei vari ambiti della vita quotidiana, nel lavoro, nella scuola, nella famiglia e nell’educazione.[281] Tale compito, che deriva dal battesimo, deve potersi sviluppare attraverso una vita cristiana sempre più consapevole e in grado di dare «ragione della speranza» che è in noi (cfr 1Pt 3,15). Gesù nel Vangelo di Matteo indica che «il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del Regno» (13,38). Queste parole valgono particolarmente per i laici cristiani, i quali vivono la propria vocazione alla santità con un’esistenza secondo lo Spirito che si esprime «in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella loro partecipazione alle attività terrene».[282] Essi hanno bisogno di essere formati a discernere la volontà di Dio mediante una familiarità con la Parola di Dio, letta e studiata nella Chiesa, sotto la guida dei legittimi Pastori. Possano attingere questa formazione alle scuole delle grandi spiritualità ecclesiali alla cui radice sta sempre la sacra Scrittura. Secondo le possibilità, le diocesi stesse offrano opportunità formative in tal senso per laici con particolari responsabilità ecclesiali.[283]
e) Parola di Dio, matrimonio e famiglia
85. Il Sinodo ha avvertito la necessità di sottolineare anche il rapporto tra Parola di Dio, matrimonio e famiglia cristiana. Infatti, «con l’annuncio della Parola di Dio, la Chiesa rivela alla famiglia cristiana la sua vera identità, ciò che essa è e deve essere secondo il disegno del Signore».[284] Pertanto, non si perda mai di vista che la Parola di Dio sta all’origine del matrimonio (cfr Gen 2,24) e che Gesù stesso ha voluto includere il matrimonio tra le istituzioni del suo Regno (cfr Mt 19,4-8), elevando a sacramento quanto iscritto originariamente nella natura umana. «Nella celebrazione sacramentale l’uomo e la donna pronunciano una parola profetica di reciproca donazione, l’essere “una carne”, segno del mistero dell’unione di Cristo e della Chiesa (cfr Ef 5,31-32)».[285] La fedeltà alla Parola di Dio porta anche a rilevare che questa istituzione oggi è posta per molti aspetti sotto attacco dalla mentalità corrente. Di fronte al diffuso disordine degli affetti e al sorgere di modi di pensare che banalizzano il corpo umano e la differenza sessuale, la Parola di Dio riafferma la bontà originaria dell’uomo, creato come maschio e femmina e chiamato all’amore fedele, reciproco e fecondo. Dal grande mistero nuziale, deriva una imprescindibile responsabilità dei genitori nei confronti dei loro figli. Appartiene infatti all’autentica paternità e maternità la comunicazione e la testimonianza del senso della vita in Cristo: attraverso la fedeltà e l’unità della vita di famiglia gli sposi sono davanti ai propri figli i primi annunciatori della Parola di Dio. La comunità ecclesiale deve sostenerli ed aiutarli a sviluppare la preghiera in famiglia, l’ascolto della Parola, la conoscenza della Bibbia. Per questo il Sinodo auspica che ogni casa abbia la sua Bibbia e la custodisca in modo dignitoso, così da poterla leggere e utilizzare per la preghiera. L’aiuto necessario può essere fornito da sacerdoti, diaconi o da laici ben preparati. Il Sinodo ha raccomandato anche la formazione di piccole comunità tra famiglie in cui coltivare la preghiera e la meditazione in comune di brani adatti delle Scritture.[286] Gli sposi, poi, ricordino che «la Parola di Dio è un prezioso sostegno anche nelle difficoltà della vita coniugale e familiare».[287] In questo contesto desidero anche evidenziare quanto il Sinodo ha raccomandato riguardo al compito delle donne in relazione alla Parola di Dio. Il contributo del «genio femminile», come lo chiamava Papa Giovanni Paolo II,[288] alla conoscenza della Scrittura e all’intera vita della Chiesa, è oggi più ampio che in passato e riguarda ormai anche il campo degli stessi studi biblici. Il Sinodo si è soffermato in modo speciale sul ruolo indispensabile delle donne nella famiglia, nell’educazione, nella catechesi e nella trasmissione dei valori. Esse, infatti, «sanno suscitare l’ascolto della Parola, la relazione personale con Dio e comunicare il senso del perdono e della condivisione evangelica»,[289] come pure essere portatrici di amore, maestre di misericordia e costruttrici di pace, comunicatrici di calore ed umanità in un mondo che troppo spesso valuta le persone con freddi criteri di sfruttamento e profitto.
Lettura orante della sacra Scrittura e «lectio divina»
86. Il Sinodo è tornato più volte ad insistere sull’esigenza di un approccio orante al testo sacro come elemento fondamentale della vita spirituale di ogni credente, nei diversi ministeri e stati di vita, con particolare riferimento alla lectio divina.[290] La Parola di Dio, infatti, sta alla base di ogni autentica spiritualità cristiana. Con ciò i Padri sinodali si sono messi in sintonia con quanto afferma la Costituzione dogmatica Dei Verbum: «Tutti i fedeli … si accostino volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei Pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera».[291] La riflessione conciliare intendeva riprendere la grande tradizione patristica che ha sempre raccomandato di accostare la Scrittura nel dialogo con Dio. Come dice sant’Agostino: «La tua preghiera è la tua parola rivolta a Dio. Quando leggi è Dio che ti parla; quando preghi sei tu che parli a Dio».[292] Origene, uno dei maestri in questa lettura della Bibbia, sostiene che l’intelligenza delle Scritture richieda, più ancora che lo studio, l’intimità con Cristo e la preghiera. Egli è convinto, infatti, che la via privilegiata per conoscere Dio sia l’amore, e che non si dia un’autentica scientia Christi senza innamorarsi di Lui. Nella Lettera a Gregorio il grande teologo alessandrino raccomanda: «Dedicati alla lectio delle divine Scritture; applicati a questo con perseveranza. Impegnati nella lectio con l’intenzione di credere e di piacere a Dio. Se durante la lectio ti trovi davanti a una porta chiusa, bussa e te l’aprirà quel custode, del quale Gesù ha detto: “Il guardiano gliela aprirà”. Applicandoti così alla lectio divina, cerca con lealtà e fiducia incrollabile in Dio il senso delle Scritture divine, che in esse si cela con grande ampiezza. Non ti devi però accontentare di bussare e di cercare: per comprendere le cose di Dio ti è assolutamente necessaria l’oratio. Proprio per esortarci ad essa il Salvatore ci ha detto non soltanto: “Cercate e troverete”, e “Bussate e vi sarà aperto”, ma ha aggiunto: “Chiedete e riceverete”».[293] Tuttavia, a tale proposito, si deve evitare il rischio di un approccio individualistico, tenendo presente che la Parola di Dio ci è data proprio per costruire comunione, per unirci nella Verità nel nostro cammino verso Dio. È una Parola che si rivolge a ciascuno personalmente, ma è anche una Parola che costruisce comunità, che costruisce la Chiesa. Perciò il testo sacro deve essere sempre accostato nella comunione ecclesiale. In effetti, «è molto importante la lettura comunitaria, perché il soggetto vivente della Sacra Scrittura è il Popolo di Dio, è la Chiesa… la Scrittura non appartiene al passato, perché il suo soggetto, il Popolo di Dio ispirato da Dio stesso, è sempre lo stesso, e quindi la Parola è sempre viva nel soggetto vivente. Perciò è importante leggere la sacra Scrittura e sentire la sacra Scrittura nella comunione della Chiesa, cioè con tutti i grandi testimoni di questa Parola, cominciando dai primi Padri fino ai Santi di oggi, fino al Magistero di oggi».[294] Per questo nella lettura orante della sacra Scrittura il luogo privilegiato è la liturgia, in particolare l’Eucaristia, nella quale, celebrando il Corpo e il Sangue di Cristo nel Sacramento, si attualizza tra noi la Parola stessa. In un certo senso la lettura orante, personale e comunitaria, deve essere sempre vissuta in relazione alla celebrazione eucaristica. Come l’adorazione eucaristica prepara, accompagna e prosegue la liturgia eucaristica,[295] così la lettura orante personale e comunitaria prepara, accompagna ed approfondisce quanto la Chiesa celebra con la proclamazione della Parola nell’ambito liturgico. Mettendo in così stretta relazione lectio e liturgia si possono cogliere meglio i criteri che devono guidare questa lettura nel contesto della pastorale e della vita spirituale del Popolo di Dio.
87. Nei documenti che hanno preparato ed accompagnato il Sinodo si è parlato di diversi metodi per accostare con frutto e nella fede le sacre Scritture. Tuttavia l’attenzione maggiore è stata data alla lectio divina, che è davvero «capace di schiudere al fedele il tesoro della Parola di Dio, ma anche di creare l’incontro col Cristo, parola divina vivente».[296] Vorrei qui richiamare brevemente i suoi passi fondamentali: essa si apre con la lettura (lectio) del testo, che provoca la domanda circa una conoscenza autentica del suo contenuto: che cosa dice il testo biblico in sé? Senza questo momento si rischia che il testo diventi solo un pretesto per non uscire mai dai nostri pensieri. Segue, poi, la meditazione (meditatio) nella quale l’interrogativo è: che cosa dice il testo biblico a noi? Qui ciascuno personalmente, ma anche come realtà comunitaria, deve lasciarsi toccare e mettere in discussione, poiché non si tratta di considerare parole pronunciate nel passato, ma nel presente. Si giunge successivamente al momento della preghiera (oratio) che suppone la domanda: che cosa diciamo noi al Signore in risposta alla sua Parola? La preghiera come richiesta, intercessione, ringraziamento e lode, è il primo modo con cui la Parola ci cambia. Infine, la lectio divina si conclude con la contemplazione (contemplatio) durante la quale noi assumiamo come dono di Dio lo stesso suo sguardo nel giudicare la realtà e ci domandiamo: quale conversione della mente, del cuore e della vita chiede a noi il Signore? San Paolo nella Lettera ai Romani, afferma: «Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (12,2). La contemplazione, infatti, tende a creare in noi una visione sapienziale della realtà, secondo Dio, e a formare in noi «il pensiero di Cristo» (1Cor 2,16). La Parola di Dio si presenta qui come criterio di discernimento: essa è «viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12). È bene poi ricordare che la lectio divina non si conclude nella sua dinamica fino a quando non arriva all’azione (actio), che muove l’esistenza credente a farsi dono per gli altri nella carità. Questi passaggi li troviamo sintetizzati e riassunti in modo sommo nella figura della Madre di Dio. Modello per ogni fedele di accoglienza docile della divina Parola, Ella «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (L c 2,19; cfr 2,51), sapeva trovare il nodo profondo che unisce eventi, atti e cose, apparentemente disgiunti, nel grande disegno divino.[297] Vorrei richiamare, inoltre, quanto è stato raccomandato durante il Sinodo circa l’importanza della lettura personale della Scrittura anche come pratica che prevede la possibilità, secondo le abituali disposizioni della Chiesa, di acquistare l’indulgenza per sé o per i defunti.[298] La pratica dell’indulgenza[299] implica la dottrina degli infiniti meriti di Cristo, che la Chiesa, come ministra della redenzione, dispensa e applica, ma implica anche quella della comunione dei santi e ci dice «quanto intimamente siamo uniti in Cristo gli uni con gli altri e quanto la vita soprannaturale di ciascuno possa giovare agli altri».[300] In questa prospettiva, la lettura della Parola di Dio ci sostiene nel cammino di penitenza e di conversione, ci permette di approfondire il senso dell’appartenenza ecclesiale e ci sostiene in una familiarità più grande con Dio. Come affermava sant’Ambrogio: quando prendiamo in mano con fede le sacre Scritture e le leggiamo con la Chiesa, l’uomo torna a passeggiare con Dio nel paradiso.[301]
Parola di Dio e preghiera mariana
88. Memore della relazione inscindibile tra la Parola di Dio e Maria di Nazareth, insieme ai Padri sinodali invito a promuovere tra i fedeli, soprattutto nella vita familiare, le preghiere mariane quale aiuto a meditare i santi misteri narrati dalla Scrittura. Uno strumento di grande utilità è, ad esempio, la recita personale o comunitaria del Santo Rosario,[302] che ripercorre insieme a Maria i misteri della vita di Cristo[303] e che il Papa Giovanni Paolo II ha voluto arricchire con i misteri della luce.[304] È opportuno che l’annuncio dei singoli misteri sia accompagnato con brevi brani della Bibbia attinenti al mistero enunciato, così da favorire la memorizzazione di alcune espressioni significative della Scrittura in relazione ai misteri della vita di Cristo. Il Sinodo ha inoltre raccomandato di promuovere tra i fedeli la recita della preghiera dell’Angelus Domini. Si tratta di una preghiera semplice e profonda che ci permette di fare «memoria quotidiana del Verbo Incarnato».[305] È opportuno che il Popolo di Dio, le famiglie e le comunità di persone consacrate siano fedeli a questa preghiera mariana, che la tradizione ci invita a recitare all’aurora, a mezzogiorno e al tramonto. Nella preghiera dell’Angelus Domini chiediamo a Dio che per intercessione di Maria sia dato anche a noi di compiere, come Lei, la volontà di Dio e di accogliere in noi la sua Parola. Questa pratica può aiutarci a rafforzare un autentico amore al mistero dell’Incarnazione. Meritano di essere conosciute, apprezzate e diffuse anche alcune antiche preghiere dell’Oriente cristiano, che attraverso un riferimento alla Theotokos, alla Madre di Dio, ripercorrono l’intera storia della salvezza. Ci riferiamo in particolare all’Akathistos e alla Paraklesis. Si tratta di inni di lode cantati in forma litanica, intrisi di fede ecclesiale e di riferimenti biblici, che aiutano i fedeli a meditare insieme a Maria i misteri di Cristo. In particolare, il venerabile inno alla Madre di Dio, detto Akathistos – ossia cantato rimanendo in piedi -, rappresenta una tra le più alte espressioni di pietà mariana della tradizione bizantina.[306] Pregare con queste parole dilata l’anima e la dispone alla pace che viene dall’alto, da Dio, a quella pace che è Cristo stesso, nato da Maria per la nostra salvezza.
Parola di Dio e Terra Santa
89. Facendo memoria del Verbo di Dio che si fa carne nel seno di Maria di Nazareth, il nostro cuore si volge ora a quella Terra in cui si è compiuto il mistero della nostra redenzione e da cui la Parola di Dio si è diffusa fino ai confini del mondo. Infatti, per opera dello Spirito Santo, il Verbo si è incarnato in un preciso momento e in un determinato luogo, in un lembo di terra ai confini dell’impero romano. Pertanto, quanto più vediamo l’universalità e l’unicità della persona di Cristo, tanto più guardiamo con gratitudine a quella Terra in cui Gesù è nato, ha vissuto ed ha donato se stesso per tutti noi. Le pietre sulle quali ha camminato il nostro Redentore rimangono per noi cariche di memoria e continuano a «gridare» la Buona Novella. Per questo i Padri sinodali hanno ricordato la felice espressione che chiama la Terra Santa «il quinto Vangelo».[307] Quanto è importante che in quei luoghi ci siano comunità cristiane, nonostante le tante difficoltà! Il Sinodo dei Vescovi esprime vicinanza profonda a tutti i cristiani che vivono nella Terra di Gesù testimoniando la fede nel Risorto. Qui i cristiani sono chiamati a servire non solo come «un faro di fede per la Chiesa universale, ma anche come lievito di armonia, saggezza ed equilibrio nella vita di una società che tradizionalmente è stata e continua ad essere pluralistica, multietnica e multireligiosa».[308] La Terra Santa rimane ancor oggi meta di pellegrinaggio del popolo cristiano, quale gesto di preghiera e di penitenza, come testimoniano già nell’antichità autori come san Girolamo.[309] Più volgiamo lo sguardo e il cuore alla Gerusalemme terrena, più si infiammano in noi il desiderio della Gerusalemme celeste, vera meta di ogni pellegrinaggio, e la passione perché il nome di Gesù, nel quale solo c’è salvezza, sia riconosciuto da tutti (cfr At 4,12).
TERZA PARTE
VERBUM MUNDO
«Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18)
LA MISSIONE DELLA CHIESA:
ANNUNCIARE LA PAROLA DI DIO AL MONDO
La Parola dal Padre e verso il Padre
90. San Giovanni sottolinea con forza il paradosso fondamentale della fede cristiana: da una parte, egli afferma che «Dio, nessuno lo ha mai visto» (Gv 1,18; cfr 1Gv 4,12). In nessun modo le nostre immagini, concetti o parole possono definire o misurare la realtà infinita dell’Altissimo. Egli rimane il Deus semper maior. Dall’altra parte, egli afferma che il Verbo realmente «si fece carne» (Gv 1,14). Il Figlio unigenito, che è rivolto verso il seno del Padre, ha rivelato il Dio che «nessuno ha mai visto» (Gv 1,18). Gesù Cristo viene a noi, «pieno di grazia e verità» (Gv 1,14), che per mezzo di Lui sono donate a noi (cfr Gv 1,17); infatti, «dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia» (Gv 1,16). In tal modo l’evangelista Giovanni nel Prologo contempla il Verbo dal suo stare presso Dio al suo farsi carne, fino al suo ritornare nel seno del Padre portando con sé la nostra stessa umanità, che egli ha assunto per sempre. In questo suo uscire dal Padre e tornare a Lui (cfr Gv 13,3; 16,28; 17,8.10) Egli si presenta a noi come il «Narratore» di Dio (cfr Gv 1,18). Il Figlio, infatti, afferma sant’Ireneo di Lione, «è il Rivelatore del Padre».[310] Gesù di Nazareth è, per così dire, l’«esegeta» di Dio che «nessuno ha mai visto». «Egli è immagine del Dio invisibile» (Col 1,15). Si compie qui la profezia di Isaia riguardo all’efficacia della Parola del Signore: come la pioggia e la neve scendono dal cielo per irrigare e far germogliare la terra, così la Parola di Dio «non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10s). Gesù Cristo è questa Parola definitiva ed efficace che è uscita dal Padre ed è ritornata a Lui, realizzando perfettamente nel mondo la sua volontà.
Annunciare al mondo il «Logos» della Speranza
91. Il Verbo di Dio ci ha comunicato la vita divina che trasfigura la faccia della terra, facendo nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5). La sua Parola ci coinvolge non soltanto come destinatari della Rivelazione divina, ma anche come suoi annunciatori. Egli, l’inviato dal Padre a compiere la sua volontà (cfr Gv 5,36-38; 6,38-40; 7,16-18), ci attira a sé e ci coinvolge nella sua vita e missione. Lo Spirito del Risorto abilita così la nostra vita all’annuncio efficace della Parola in tutto il mondo. È l’esperienza della prima comunità cristiana, che vedeva il diffondersi della Parola mediante la predicazione e la testimonianza (cfr At 6,7). Vorrei qui riferirmi in particolare alla vita dell’apostolo Paolo, un uomo afferrato completamente dal Signore (cfr Fil 3,12) – «non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20) – e dalla sua missione: «guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1Cor 9,16), consapevole che quanto è rivelato in Cristo è realmente la salvezza di tutte le genti, la liberazione dalla schiavitù del peccato per entrare nella libertà dei figli di Dio. In effetti, ciò che la Chiesa annuncia al mondo è il Logos della Speranza (cfr 1Pt 3,15); l’uomo ha bisogno della «grande Speranza» per poter vivere il proprio presente, la grande speranza che è «quel Dio che possiede un volto umano e che ci “ha amati sino alla fine” (Gv 13,1)».[311] Per questo la Chiesa è missionaria nella sua essenza. Non possiamo tenere per noi le parole di vita eterna che ci sono date nell’incontro con Gesù Cristo: esse sono per tutti, per ogni uomo. Ogni persona del nostro tempo, lo sappia oppure no, ha bisogno di questo annuncio. Il Signore stesso, come ai tempi del profeta Amos, susciti tra gli uomini nuova fame e nuova sete delle parole del Signore (cfr Am 8,11). A noi la responsabilità di trasmettere quello che a nostra volta, per grazia, abbiamo ricevuto.
Dalla Parola di Dio la missione della Chiesa
92. Il Sinodo dei Vescovi ha ribadito con forza la necessità di rinvigorire nella Chiesa la coscienza missionaria, presente nel Popolo di Dio fin dalla sua origine. I primi cristiani hanno considerato il loro annuncio missionario come una necessità derivante dalla natura stessa della fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con ciò la risposta che tutti gli uomini, nel loro intimo, attendono. Le prime comunità cristiane hanno sentito che la loro fede non apparteneva ad una consuetudine culturale particolare, che è diversa a seconda dei popoli, ma all’ambito della verità, che riguarda ugualmente tutti gli uomini. È ancora san Paolo che con la sua vita ci illustra il senso della missione cristiana e la sua originaria universalità. Pensiamo all’episodio narrato dagli Atti degli Apostoli circa l’Areòpago di Atene (cfr 17,16-34). L’Apostolo delle genti entra in dialogo con uomini di culture diverse, nella consapevolezza che il mistero di Dio, Noto-Ignoto, di cui ogni uomo ha una percezione per quanto confusa, si è realmente rivelato nella storia: «Colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio» (At 17,23). Infatti, la novità dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire a tutti i popoli: «Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui. La novità dell’annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è rivelato».[312]
La Parola e il Regno di Dio
93. Pertanto, la missione della Chiesa non può essere considerata come realtà facoltativa o aggiuntiva della vita ecclesiale. Si tratta di lasciare che lo Spirito Santo ci assimili a Cristo stesso, partecipando così alla sua stessa missione: «Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi» (Gv 20,21), in modo da comunicare la Parola con tutta la vita. È la Parola stessa che ci spinge verso i fratelli: è la Parola che illumina, purifica, converte; noi non siamo che servitori. È necessario, dunque, riscoprire sempre più l’urgenza e la bellezza di annunciare la Parola, per l’avvento del Regno di Dio, predicato da Cristo stesso. In questo senso, rinnoviamo la consapevolezza, così familiare ai Padri della Chiesa, che l’annuncio della Parola ha come contenuto il Regno di Dio (cfr Mc 1,14-15), il quale è la stessa persona di Gesù (l’Autobasileia), come ricorda suggestivamente Origene.[313] Il Signore offre la salvezza agli uomini di ogni epoca. Avvertiamo tutti quanto sia necessario che la luce di Cristo illumini ogni ambito dell’umanità: la famiglia, la scuola, la cultura, il lavoro, il tempo libero e gli altri settori della vita sociale.[314] Non si tratta di annunciare una parola consolatoria, ma dirompente, che chiama a con versione, che rende accessibile l’incontro con Lui, attraverso il quale fiorisce un’umanità nuova.
Tutti i battezzati responsabili dell’annuncio
94. Poiché tutto il Popolo di Dio è un popolo «inviato», il Sinodo ha ribadito che «la missione di annunciare la Parola di Dio è compito di tutti i discepoli di Gesù Cristo come conseguenza del loro battesimo».[315] Nessun credente in Cristo può sentirsi estraneo a questa responsabilità che proviene dall’appartenere sacramentalmente al Corpo di Cristo. Questa consapevolezza deve essere ridestata in ogni famiglia, parrocchia, comunità, associazione e movimento ecclesiale. La Chiesa, come mistero di comunione, è dunque tutta missionaria e ciascuno, nel suo proprio stato di vita, è chiamato a dare un contributo incisivo all’annuncio cristiano. Vescovi e sacerdoti secondo la missione loro propria sono chiamati per primi ad una esistenza afferrata dal servizio della Parola, ad annunciare il Vangelo, a celebrare i Sacramenti e a formare i fedeli alla conoscenza autentica delle Scritture. Anche i diaconi si sentano chiamati a collaborare, secondo la missione loro propria, a questo impegno di evangelizzazione. La vita consacrata risplende in tutta la storia della Chiesa per la capacità di assumersi esplicitamente il compito dell’annuncio e della predicazione della Parola di Dio, nella missio ad gentes e nelle situazioni più difficili, con disponibilità anche alle nuove condizioni di evangelizzazione, intraprendendo con coraggio e audacia nuovi percorsi e nuove sfide per l’annuncio efficace della Parola di Dio.[316] I laici sono chiamati a esercitare il loro compito profetico, che deriva direttamente dal battesimo, e testimoniare il Vangelo nella vita quotidiana dovunque si trovino. A questo proposito i Padri sinodali hanno espresso «la più viva stima e gratitudine nonché l’incoraggiamento per il servizio all’evangelizzazione che tanti laici, e in particolare le donne, offrono con generosità e impegno nelle comunità sparse per il mondo, sull’esempio di Maria di Magdala, prima testimone della gioia pasquale».[317] Il Sinodo riconosce, inoltre, con gratitudine che i movimenti ecclesiali e le nuove comunità sono, nella Chiesa, una grande forza per l’evangelizzazione in questo tempo, spingendo a sviluppare nuove forme d’annuncio del Vangelo.[318]
La necessità della «missio ad gentes»
95. Nell’esortare tutti i fedeli all’annuncio della divina Parola, i Padri sinodali hanno ribadito la necessità anche per il nostro tempo di un impegno deciso nella missio ad gentes. In nessun modo la Chiesa può limitarsi ad una pastorale di «mantenimento », per coloro che già conoscono il Vangelo di Cristo. Lo slancio missionario è un segno chiaro della maturità di una comunità ecclesiale. Inoltre, i Padri hanno espresso con forza la consapevolezza che la Parola di Dio è la verità salvifica di cui ogni uomo in ogni tempo ha bisogno. Per questo, l’annuncio deve essere esplicito. La Chiesa deve andare verso tutti con la forza dello Spirito (cfr 1 Cor 2,5) e continuare profeticamente a difendere il diritto e la libertà delle persone di ascoltare la Parola di Dio, cercando i mezzi più efficaci per proclamarla, anche a rischio della persecuzione.[319] A tutti la Chiesa si sente debitrice di annunciare la Parola che salva (cfr Rm 1,14).
Annuncio e nuova evangelizzazione
96. Papa Giovanni Paolo II, sulla scia di quanto già espresso dal Papa Paolo VI nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, aveva richiamato in tanti modi i fedeli alla necessità di una nuova stagione missionaria per tutto il Popolo di Dio.[320] All’alba del terzo millennio non solo vi sono ancora tanti popoli che non hanno conosciuto la Buona Novella, ma tanti cristiani hanno bisogno che sia loro riannunciata in modo persuasivo la Parola di Dio, così da poter sperimentare concretamente la forza del Vangelo. Molti fratelli sono «battezzati, ma non sufficientemente evangelizzati».[321] Spesso, Nazioni un tempo ricche di fede e di vocazioni vanno smarrendo la propria identità, sotto l’influenza di una cultura secolarizzata. [322] L’esigenza di una nuova evangelizzazione, così fortemente sentita dal mio venerabile Predecessore, deve essere riaffermata senza timore, nella certezza dell’efficacia della divina Parola. La Chiesa, sicura della fedeltà del suo Signore, non si stanca di annunciare la buona novella del Vangelo ed invita tutti i cristiani a riscoprire il fascino della sequela di Cristo.
Parola di Dio e testimonianza cristiana
97. Gli orizzonti immensi della missione ecclesiale, la complessità della situazione presente chiedono oggi modalità rinnovate per poter comunicare efficacemente la Parola di Dio. Lo Spirito Santo, agente primario di ogni evangelizzazione, non mancherà mai di guidare la Chiesa di Cristo in questa azione. Tuttavia, è importante che ogni modalità di annuncio tenga presente, innanzitutto, la relazione intrinseca tra comunicazione della Parola di Dio e testimonianza cristiana. Da ciò dipende la stessa credibilità dell’annuncio. Da una parte, è necessaria la Parola che comunichi quanto il Signore stesso ci ha detto. Dall’altra, è indispensabile dare, con la testimonianza, credibilità a questa Parola, affinché non appaia come una bella filosofia o utopia, ma piuttosto come una realtà che si può vivere e che fa vivere. Questa reciprocità tra Parola e testimonianza richiama il modo in cui Dio stesso si è comunicato mediante l’incarnazione del suo Verbo. La Parola di Dio raggiunge gli uomini «attraverso l’incontro con testimoni che la rendono presente e viva».[323] In modo particolare le nuove generazioni hanno bisogno di essere introdotte alla Parola di Dio «attraverso l’incontro e la testimonianza autentica dell’adulto, l’influsso positivo degli amici e la grande compagnia della comunità ecclesiale».[324] C’è uno stretto rapporto tra la testimonianza della Scrittura, come attestazione che la Parola di Dio dà di sé, e la testimonianza di vita dei credenti. L’una implica e conduce all’altra. La testimonianza cristiana comunica la Parola attestata nelle Scritture. Le Scritture, a loro volta, spiegano la testimonianza che i cristiani sono chiamati a dare con la propria vita. Coloro che incontrano testimoni credibili del Vangelo sono portati così a constatare l’efficacia della Parola di Dio in quelli che l’accolgono.
98. In questa circolarità fra testimonianza e Parola comprendiamo le affermazioni del Papa Paolo VI nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi. La nostra responsabilità non si limita a suggerire al mondo valori condivisi; occorre che si arrivi all’annuncio esplicito della Parola di Dio. Solo così saremo fedeli al mandato di Cristo: «La Buona Novella, proclamata dalla testimonianza di vita, dovrà dunque essere presto o tardi annunziata dalla parola di vita. Non c’è vera evangelizzazione se il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il Regno, il mistero di Gesù di Nazareth, Figlio di Dio, non siano proclamati».[325] Il fatto che l’annuncio della Parola di Dio richieda la testimonianza della propria vita è un dato ben presente nella coscienza cristiana fin dalle sue origini. Cristo stesso è il testimone fedele e verace (cfr Ap 1,5; 3,14), testimone della Verità (cfr Gv 18,37). A questo proposito vorrei farmi eco delle innumerevoli testimonianze che abbiamo avuto la grazia di ascoltare durante l’Assemblea sinodale. Siamo stati profondamente commossi davanti al racconto di coloro che hanno saputo vivere la fede e dare testimonianza fulgida del Vangelo anche sotto regimi avversi al Cristianesimo o in situazioni di persecuzione. Tutto questo non ci deve fare paura. Gesù stesso ha detto ai suoi discepoli: «Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15,20). Desidero, pertanto, innalzare a Dio con tutta la Chiesa un inno di lode per la testimonianza di tanti fratelli e sorelle che anche in questo nostro tempo hanno dato la vita per comunicare la verità dell’amore di Dio rivelatoci in Cristo crocifisso e risorto. Inoltre, esprimo la gratitudine di tutta la Chiesa per i cristiani che non si arrendono davanti agli ostacoli e alle persecuzioni a causa del Vangelo. Allo stesso tempo ci stringiamo con profondo e solidale affetto ai fedeli di tutte quelle comunità cristiane, in Asia e in Africa in particolare, che in questo tempo rischiano la vita o l’emarginazione sociale a causa della fede. Vediamo qui realizzarsi lo spirito delle beatitudini del Vangelo per coloro che sono perseguitati a causa del Signore Gesù (cfr Mt 5,11). Nel contempo non cessiamo di alzare la nostra voce perché i governi delle Nazioni garantiscano a tutti libertà di coscienza e di religione, anche di poter testimoniare la propria fede pubblicamente.[326]
PAROLA DI DIO E IMPEGNO NEL MONDO
Servire Gesù nei suoi «fratelli più piccoli» (Mt 25,40)
99. La divina Parola illumina l’esistenza umana e mobilita le coscienze a rivedere in profondità la propria vita, poiché tutta la storia dell’umanità sta sotto il giudizio di Dio: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli» (Mt 25,31-32). Nel nostro tempo ci fermiamo spesso superficialmente sul valore dell’istante che passa, come se fosse irrilevante per il futuro. Al contrario, il Vangelo ci ricorda che ogni momento della nostra esistenza è importante e deve essere vissuto intensamente, sapendo che ognuno dovrà rendere conto della propria vita. Nel capitolo venticinque del Vangelo di Matteo il Figlio dell’uomo ritiene fatto o non fatto a sé quanto avremo fatto o non fatto a uno solo dei suoi «fratelli più piccoli» (25,40.45): «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (25,35-36). Pertanto, è la stessa Parola di Dio a richiamare la necessità del nostro impegno nel mondo e la nostra responsabilità davanti a Cristo, Signore della storia. Nell’annunciare il Vangelo esortiamoci vicendevolmente a compiere il bene e all’impegno per la giustizia, la riconciliazione e la pace.
Parola di Dio e impegno nella società per la giustizia
100. La Parola di Dio spinge l’uomo a rapporti animati dalla rettitudine e dalla giustizia, attesta il valore prezioso di fronte a Dio di tutte le fatiche dell’uomo per rendere il mondo più giusto e più abitabile.[327] È la stessa Parola di Dio a denunciare senza ambiguità le ingiustizie e promuovere la solidarietà e l’uguaglianza.[328] Alla luce delle parole del Signore riconosciamo dunque i «segni dei tempi» presenti nella storia, non rifuggiamo l’impegno in favore di quanti soffrono e sono vittime dell’egoismo. Il Sinodo ha ricordato che l’impegno per la giustizia e la trasformazione del mondo è costitutivo dell’evangelizzazione. Come diceva il Papa Paolo VI, si tratta di «raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza».[329] A questo scopo i Padri sinodali hanno rivolto un pensiero particolare a quanti sono impegnati nella vita politica e sociale. L’evangelizzazione e la diffusione della Parola di Dio devono ispirare la loro azione nel mondo alla ricerca del vero bene di tutti, nel rispetto e nella promozione della dignità di ogni persona. Certo, non è compito diretto della Chiesa creare una società più giusta, anche se a lei spetta il diritto ed il dovere di intervenire sulle questioni etiche e morali che riguardano il bene delle persone e dei popoli. È soprattutto compito dei fedeli laici, educati alla scuola del Vangelo, intervenire direttamente nell’azione sociale e politica. Per questo il Sinodo raccomanda di promuovere un’adeguata formazione secondo i principi della Dottrina sociale della Chiesa.[330]
101. Inoltre, desidero richiamare l’attenzione di tutti sull’importanza di difendere e promuovere i diritti umani di ogni persona, basati sulla legge naturale iscritta nel cuore dell’uomo, e che come tali sono «universali, inviolabili, inalienabili».[331] La Chiesa auspica che, mediante l’affermazione di tali diritti, la dignità umana sia più efficacemente riconosciuta e promossa universalmente,[332] quale caratteristica impressa da Dio Creatore sulla sua creatura, assunta e redenta da Gesù Cristo mediante la sua incarnazione, morte e risurrezione. Per questo la diffusione della Parola di Dio non può che rafforzare l’affermazione ed il rispetto di tali diritti.[333]
Annuncio della Parola di Dio, riconciliazione e pace tra i popoli
102. Tra i molteplici ambiti di impegno, il Sinodo ha raccomandato vivamente la promozione della riconciliazione e della pace. Nell’odierno contesto è necessario più che mai riscoprire la Parola di Dio come fonte di riconciliazione e di pace perché in essa Dio riconcilia a sé tutte le cose (cfr 2Cor 5,18-20; Ef 1,10): Cristo «è la nostra pace» (Ef 2,14), colui che abbatte i muri di divisione. Tante testimonianze nel Sinodo hanno documentato i gravi e sanguinosi conflitti e le tensioni presenti sul nostro pianeta. A volte tali ostilità sembrano assumere l’aspetto del conflitto interreligioso. Ancora una volta desidero ribadire che la religione non può mai giustificare intolleranza o guerre. Non si può usare la violenza in nome di Dio![334] Ogni religione dovrebbe spingere verso un uso corretto della ragione e promuovere valori etici che edificano la convivenza civile. Fedeli all’opera di riconciliazione compiuta da Dio in Gesù Cristo, crocifisso e risorto, i cattolici e tutti gli uomini di buona volontà si impegnino a dare esempi di riconciliazione per costruire una società giusta e pacifica.[335] Non dimentichiamo mai che «là dove le parole umane diventano impotenti, perché prevale il tragico rumore della violenza e delle armi, la forza profetica della Parola di Dio non viene meno e ci ripete che la pace è possibile, e che dobbiamo essere noi strumenti di riconciliazione e di pace».[336]
La Parola di Dio e la carità operosa
103. L’impegno per la giustizia, la riconciliazione e la pace trova la sua radice ultima e il suo compimento nell’amore rivelatoci in Cristo. Ascoltando le testimonianze emerse nel Sinodo, siamo resi più attenti al legame che esiste tra l’ascolto amorevole della Parola di Dio e il servizio disinteressato verso i fratelli; tutti i credenti comprendano la necessità «di tradurre in gesti di amore la parola ascoltata, perché solo così diviene credibile l’annuncio del Vangelo, nonostante le umane fragilità che segnano le persone».[337] Gesù è passato in questo mondo facendo il bene (cfr At 10,38). Ascoltando con disponibilità la Parola di Dio nella Chiesa si desta «la carità e la giustizia verso tutti, soprattutto verso i poveri».[338] Non bisogna mai dimenticare che «l’amore — caritas — sarà sempre necessario, anche nella società più giusta … chi vuole sbarazzarsi dell’amore si dispone a sbarazzarsi dell’uomo in quanto uomo».[339] Esorto, pertanto, tutti i fedeli a meditare spesso l’inno alla carità scritto dall’apostolo Paolo e a lasciarsi ispirare da esso: «La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfi a d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non avrà mai fine» (1Cor 13,4-8). L’amore del prossimo, radicato nell’amore di Dio, ci deve dunque vedere costantemente impegnati come singoli e come comunità ecclesiale, locale ed universale. Sant’Agostino afferma: «È fondamentale comprendere che la pienezza delle Legge, come di tutte le Scritture divine, è l’amore… Chi dunque crede di aver compreso le Scritture, o almeno una qualsiasi parte di esse, senza impegnarsi a costruire, mediante la loro intelligenza, questo duplice amore di Dio e del prossimo, dimostra di non averle ancora comprese».[340]
Annuncio della Parola di Dio e i giovani
104. Il Sinodo ha riservato un’attenzione particolare all’annuncio della Parola divina alle nuove generazioni. I giovani sono già fin d’ora membri attivi della Chiesa e ne rappresentano il futuro. In essi spesso troviamo una spontanea apertura all’ascolto della Parola di Dio ed un sincero desiderio di conoscere Gesù. Nell’età della giovinezza, infatti, emergono in modo incontenibile e sincero le domande sul senso della propria vita e su quale indirizzo dare alla propria esistenza. A queste domande solo Dio sa dare vera risposta. Questa attenzione al mondo giovanile implica il coraggio di un annuncio chiaro; dobbiamo aiutare i giovani ad acquistare confidenza e familiarità con la sacra Scrittura, perché sia come una bussola che indica la strada da seguire.[341] Per questo, essi hanno bisogno di testimoni e di maestri, che camminino con loro e li guidino ad amare e a comunicare a loro volta il Vangelo soprattutto ai loro coetanei, diventando essi stessi autentici e credibili annunciatori.[342] Occorre che la divina Parola venga presentata anche nelle sue implicazioni vocazionali così da aiutare e orientare i giovani nelle loro scelte di vita, anche verso la consacrazione totale.[343] Autentiche vocazioni alla vita consacrata e al sacerdozio hanno il loro terreno propizio nel contatto fedele con la Parola di Dio. Ripeto ancora oggi l’invito fatto all’inizio del mio pontificato di spalancare le porte a Cristo: «Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla – assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande. No! Solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. …Cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo – e troverete la vera vita».[344]
Annuncio della Parola di Dio e i migranti
105. La Parola di Dio ci rende attenti alla storia e a quanto di nuovo in essa germoglia. Per questo il Sinodo, in relazione alla missione evangelizzatrice della Chiesa, ha voluto volgere l’attenzione anche al fenomeno complesso dei movimenti migratori, che ha assunto in questi anni inedite proporzioni. Qui sorgono questioni assai delicate riguardanti la sicurezza delle nazioni e l’accoglienza da offrire a quanti cercano rifugio, condizioni migliori di vita, salute e lavoro. Un grande numero di persone, che non conoscono Cristo o che ne hanno un’immagine inadeguata, si insediano in Paesi di tradizione cristiana. Contemporaneamente persone appartenenti a popoli segnati in modo profondo dalla fede cristiana emigrano verso Paesi in cui c’è bisogno di portare l’annuncio di Cristo e di una nuova evangelizzazione. Queste situazioni offrono rinnovate possibilità per la diffusione della Parola di Dio. A tale proposito i Padri sinodali hanno affermato che i migranti hanno il diritto di ascoltare il kerygma, che viene loro proposto, non imposto. Se sono cristiani, necessitano di assistenza pastorale adeguata per rafforzare la fede ed essere essi stessi portatori dell’annuncio evangelico. Consapevoli della complessità del fenomeno, è necessario che le diocesi interessate si mobilitino affinché i movimenti migratori siano colti anche come occasione per scoprire nuove modalità di presenza e di annuncio e si provveda, a seconda delle proprie possibilità, ad un’adeguata accoglienza ed animazione di questi nostri fratelli perché, toccati dalla Buona Novella, si facciano essi stessi annunciatori della Parola di Dio e testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo.[345]
Annuncio della Parola di Dio e i sofferenti
106. Durante i lavori sinodali l’attenzione dei Padri è stata posta anche sulla necessità di annunciare la Parola di Dio a tutti coloro che si trovano nella condizione di sofferenza, fisica, psichica o spirituale. Infatti è nel momento del dolore che sorgono più acute nel cuore dell’uomo, le domande ultime sul senso della propria vita. Se la parola dell’uomo sembra ammutolire davanti al mistero del male e del dolore e la nostra società sembra dare valore all’esistenza solo se corrisponde a certi livelli di efficienza e di benessere, la Parola di Dio ci svela che anche queste circostanze sono misteriosamente «abbracciate» dalla tenerezza di Dio. La fede che nasce dall’incontro con la divina Parola ci aiuta a ritenere la vita umana degna di essere vissuta in pienezza anche quando è fiaccata dal male. Dio ha creato l’uomo per la felicità e per la vita, mentre la malattia e la morte sono entrate nel mondo come conseguenza del peccato (cfr Sap 2,23-24). Ma il Padre della vita è il medico per eccellenza dell’uomo e non cessa di chinarsi amorevolmente sull’umanità sofferente. Il culmine della vicinanza di Dio alla sofferenza dell’uomo lo contempliamo in Gesù stesso che è «Parola incarnata. Ha sofferto con noi, è morto. Con la sua passione e morte Egli ha assunto e trasformato fino in fondo la nostra debolezza».[346] La vicinanza di Gesù ai sofferenti non si è interrotta: essa si prolunga nel tempo grazie all’azione dello Spirito Santo nella missione della Chiesa, nella Parola e nei Sacramenti, negli uomini di buona volontà, nelle attività di assistenza che le comunità promuovono con carità fraterna, mostrando così il vero volto di Dio ed il suo amore. Il Sinodo rende grazie a Dio per la testimonianza luminosa, spesso nascosta, di tanti cristiani – sacerdoti, religiosi e laici – che hanno prestato e continuano a prestare le loro mani, i loro occhi e i loro cuori a Cristo, vero medico dei corpi e delle anime! Esorta, poi, a continuare ad avere cura delle persone inferme portando loro la presenza vivificante del Signore Gesù, nella Parola e nell’Eucaristia. Siano aiutate a leggere la Scrittura e a scoprire che proprio nella loro condizione possono partecipare in modo particolare alla sofferenza redentrice di Cristo per la salvezza del mondo (cfr 2Cor 4,8-11.14).[347]
Annuncio della Parola di Dio e i poveri
107. La sacra Scrittura manifesta la predilezione di Dio per i poveri e i bisognosi (cfr Mt 25,31-46). Frequentemente i Padri sinodali hanno richiamato la necessità che l’annuncio evangelico, l’impegno dei Pastori e delle comunità siano rivolti a questi nostri fratelli. In effetti, «i primi ad avere diritto all’annuncio del Vangelo sono proprio i poveri, bisognosi non solo di pane, ma anche di parole di vita».[348] La diaconia della carità, che non deve mai mancare nelle nostre Chiese, deve essere sempre legata all’annuncio della Parola e alla celebrazione dei santi misteri.[349] Nello stesso tempo, occorre riconoscere e valorizzare il fatto che gli stessi poveri sono anche agenti di evangelizzazione. Nella Bibbia il vero povero è colui che si affida totalmente a Dio e Gesù stesso nel Vangelo li chiama beati, «poiché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3; cfr L c 6,20). Il Signore esalta la semplicità di cuore di chi riconosce in Dio la vera ricchezza, ripone in Lui la propria speranza, e non nei beni di questo mondo. La Chiesa non può deludere i poveri: «I pastori sono chiamati ad ascoltarli, ad imparare da essi, a guidarli nella loro fede e a motivarli ad essere artefici della propria storia».[350] La Chiesa è anche consapevole che esiste una povertà come virtù, da coltivare e da scegliere liberamente, come hanno fatto tanti Santi, ed esiste una miseria, esito spesso di ingiustizia e provocata dall’egoismo, che segna indigenza e fame e che alimenta i conflitti. Quando la Chiesa annuncia la Parola di Dio sa che occorre favorire un «circolo virtuoso» tra la povertà «da scegliere» e la povertà «da combattere», riscoprendo «la sobrietà e la solidarietà, quali valori evangelici e al tempo stesso universali… Ciò comporta scelte di giustizia e di sobrietà».[351]
Parola di Dio e custodia del creato
108. L’impegno nel mondo richiesto dalla divina Parola ci spinge a guardare con occhi nuovi l’intero cosmo creato da Dio e che porta già in sé le tracce del Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto (cfr Gv 1,2). In effetti c’è una responsabilità che abbiamo come credenti e annunciatori del Vangelo anche nei confronti della creazione. La Rivelazione, mentre ci rende noto il disegno di Dio sul cosmo, ci porta anche a denunciare gli atteggiamenti sbagliati dell’uomo, quando non riconosce tutte le cose come riflesso del Creatore, ma mera materia da manipolare senza scrupoli. Così l’uomo manca di quella essenziale umiltà che gli permette di riconoscere la creazione come dono di Dio da accogliere e usare secondo il suo disegno. Al contrario, l’arroganza dell’uomo che vive come se Dio non ci fosse, porta a sfruttare e deturpare la natura, non riconoscendo in essa un’opera della Parola creatrice. In questo quadro teologico, desidero richiamare le affermazioni dei Padri sinodali, i quali hanno ricordato che «accogliere la Parola di Dio attestata nella sacra Scrittura e nella Tradizione viva della Chiesa genera un nuovo modo di vedere le cose, promuovendo una ecologia autentica, che ha la sua radice più profonda nella obbedienza della fede …(e) sviluppando una rinnovata sensibilità teologica sulla bontà di tutte le cose, create in Cristo».[352] L’uomo ha bisogno di essere nuovamente educato allo stupore e a riconoscere la bellezza autentica che si manifesta nelle cose create.[353]
PAROLA DI DIO E CULTURE
Il valore della cultura per la vita dell’uomo
109. L’annuncio giovanneo riguardante l’incarnazione del Verbo rivela il legame indissolubile che esiste tra la Parola divina e le parole umane, mediante le quali si comunica a noi. È nell’ambito di questa considerazione che il Sinodo dei Vescovi si è soffermato sul rapporto tra Parola di Dio e cultura. Infatti, Dio non si rivela all’uomo in astratto, ma assumendo linguaggi, immagini ed espressioni legati alle diverse culture. Si tratta di un rapporto fecondo, testimoniato ampiamente nella storia della Chiesa. Oggi tale rapporto entra anche in una nuova fase dovuta all’estendersi e al radicarsi dell’evangelizzazione all’interno delle diverse culture e ai più recenti sviluppi della cultura occidentale. Esso innanzitutto implica riconoscere l’importanza della cultura come tale per la vita di ogni uomo. Il fenomeno della cultura, infatti, nei suoi molteplici aspetti si presenta come un dato costitutivo dell’esperienza umana: «L’uomo vive sempre secondo una cultura che gli è propria, e che, a sua volta, crea fra gli uomini un legame che pure è loro proprio, determinando il carattere interumano e sociale dell’esistenza umana».[354] La Parola di Dio ha ispirato lungo i secoli le diverse culture, generando valori morali fondamentali, espressioni artistiche eccellenti e stili di vita esemplari.[355] Pertanto, nella prospettiva di un rinnovato incontro tra Bibbia e culture, vorrei ribadire a tutti gli operatori culturali che non hanno nulla da temere dall’aprirsi alla Parola di Dio; essa non distrugge mai la vera cultura, ma costituisce un costante stimolo per la ricerca di espressioni umane sempre più appropriate e significative. Ogni autentica cultura per essere veramente per l’uomo deve essere aperta alla trascendenza, ultimamente a Dio.
La Bibbia come grande codice per le culture
110. I Padri sinodali hanno sottolineato l’importanza di favorire tra gli operatori culturali una conoscenza adeguata della Bibbia, anche negli ambienti secolarizzati e tra i non credenti;[356] nella sacra Scrittura sono contenuti valori antropologici e filosofici che hanno influito positivamente su tutta l’umanità.[357] Va pienamente ricuperato il senso della Bibbia come grande codice per le culture.
La conoscenza della Bibbia nelle scuole e università
111. Un ambito particolare dell’incontro tra Parola di Dio e culture è quello della scuola e dell’università. I Pastori abbiano speciale cura per questi ambienti, promuovendo una conoscenza profonda della Bibbia così da poterne cogliere le feconde implicazioni culturali anche per l’oggi. I centri di studio promossi dalle realtà cattoliche offrono un contributo originale – che deve essere riconosciuto – alla promozione della cultura e dell’istruzione. Non si deve trascurare, poi, l’insegnamento della religione, formando accuratamente i docenti. In molti casi esso rappresenta per gli studenti un’occasione unica di contatto con il messaggio della fede. È bene che in questo insegnamento sia promossa la conoscenza della sacra Scrittura, vincendo antichi e nuovi pregiudizi, e cercando di far conoscere la sua verità.[358]
La sacra Scrittura nelle diverse espressioni artistiche
112. La relazione tra Parola di Dio e cultura ha trovato espressione in opere di diversi ambiti, in particolare nel mondo dell’arte. Per questo la grande tradizione dell’Oriente e dell’Occidente ha sempre stimato le manifestazioni artistiche ispirate alla sacra Scrittura, quali ad esempio le arti figurative e l’architettura, la letteratura e la musica. Penso anche all’antico linguaggio espresso dalle icone che dalla tradizione orientale si sta diffondendo in tutto il mondo. Con i Padri sinodali, la Chiesa tutta esprime apprezzamento, stima e ammirazione per gli artisti «innamorati della bellezza», che si sono lasciati ispirare dai testi sacri; essi hanno contribuito alla decorazione delle nostre chiese, alla celebrazione della nostra fede, all’arricchimento della nostra liturgia e, allo stesso tempo, molti di loro hanno aiutato a rendere in qualche modo percepibile nel tempo e nello spazio le realtà invisibili ed eterne.[359] Esorto gli organismi competenti affinché si promuova nella Chiesa una solida formazione degli artisti riguardo alla sacra Scrittura alla luce della Tradizione viva della Chiesa e del Magistero.
Parola di Dio e mezzi di comunicazione sociale
113. Al rapporto tra Parola di Dio e culture si connette anche l’importanza dell’utilizzo attento ed intelligente dei mezzi, vecchi e nuovi, di comunicazione sociale. I Padri sinodali hanno raccomandato una conoscenza appropriata di questi strumenti, ponendo attenzione al loro veloce sviluppo e ai diversi livelli di interazione e investendo maggiori energie per acquisire competenza nei vari settori, in particolare nei cosiddetti new media, come ad esempio internet. Esiste già una significativa presenza da parte della Chiesa nel mondo della comunicazione di massa e anche il Magistero ecclesiale si è espresso più volte su questo tema a partire dal Concilio Vaticano II.[360] L’acquisizione di nuovi metodi per trasmettere il Messaggio evangelico fa parte della costante tensione evangelizzatrice dei credenti e oggi la comunicazione stende una rete che avvolge tutto il globo e acquista un nuovo significato l’appello di Cristo: «Quello che io vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze» (Mt 10,27). La Parola divina, oltre che nella forma stampata, deve risuonare anche attraverso le altre forme di comunicazione.[361] Per questo, insieme ai Padri sinodali, desidero ringraziare i cattolici che si stanno impegnando con competenza per una presenza significativa nel mondo dei media, sollecitando un impegno ancora più ampio e qualificato.[362] Tra le nuove forme di comunicazione di massa, un ruolo crescente va riconosciuto oggi a internet, che costituisce un nuovo forum in cui far risuonare il Vangelo, nella consapevolezza, però, che il mondo virtuale non potrà mai sostituire il mondo reale e che l’evangelizzazione potrà usufruire della virtualità offerta dai new media per instaurare rapporti significativi solo se si arriverà al contatto personale, che resta insostituibile. Nel mondo di internet, che permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo, dovrà emergere il volto di Cristo e udirsi la Sua voce, perché «se non c’è spazio per Cristo, non c’è spazio per l’uomo».[363]
Bibbia e inculturazione
114. Il mistero dell’incarnazione ci rende noto che Dio, da una parte, si comunica sempre in una storia concreta, assumendo i codici culturali iscritti in essa, ma, dall’altra parte, la stessa Parola può e deve trasmettersi in culture differenti, trasfigurandole dall’interno, mediante ciò che il Papa Paolo VI chiamava l’evangelizzazione delle culture.[364] La Parola di Dio, come del resto la fede cristiana, manifesta così un carattere profondamente interculturale, capace di incontrare e di far incontrare culture diverse.[365] In questo contesto si comprende anche il valore dell’inculturazione del Vangelo.[366] La Chiesa è fermamente persuasa dell’intrinseca capacità della Parola di Dio di raggiungere tutte le persone umane nel contesto culturale in cui vivono: «Questa convinzione deriva dalla Bibbia stessa, che, fin dal libro della Genesi, assume un orientamento universale (cfr Gen 1,27-28), lo mantiene poi nella benedizione promessa a tutti i popoli grazie ad Abramo e alla sua discendenza (cfr Gen 12,3; 18,18) e lo conferma definitivamente estendendo a “tutte le nazioni” l’evangelizzazione».[367] Per questo l’inculturazione non va scambiata con processi di adattamento superficiale e nemmeno con la confusione sincretista che diluisce l’originalità del Vangelo per renderlo più facilmente accettabile.[368] L’autentico paradigma dell’inculturazione è l’incarnazione stessa del Verbo: «L’“acculturazione” o “inculturazione” sarà realmente un riflesso dell’incarnazione del Verbo, quando una cultura, trasformata e rigenerata dal Vangelo, produce nella sua propria tradizione espressioni originali di vita, di celebrazione, di pensiero cristiano»,[369] fermentando dall’interno la cultura locale, valorizzando i semina Verbi e quanto di positivo in essa è presente, aprendola ai valori evangelici.[370]
Traduzioni e diffusione della Bibbia
115. Se l’inculturazione della Parola di Dio è parte imprescindibile della missione della Chiesa nel mondo, un momento decisivo di questo processo è la diffusione della Bibbia mediante il prezioso lavoro di traduzione nelle differenti lingue. A questo proposito si deve sempre tenere presente che l’opera di traduzione delle Scritture «ha avuto inizio fin dai tempi dell’Antico Testamento quando il testo ebraico della Bibbia fu tradotto oralmente in aramaico (Ne 8,8.12) e, più tardi, per iscritto in greco. Una traduzione infatti è sempre qualcosa di più di una semplice trascrizione del testo originale. Il passaggio da una lingua a un’altra comporta necessariamente un cambiamento di contesto culturale: i concetti non sono identici e la portata dei simboli è differente, perché mettono in rapporto con altre tradizioni di pensiero e altri modi di vivere».[371] Durante i lavori sinodali si è dovuto constatare che varie Chiese locali non dispongono ancora di una traduzione integrale della Bibbia nelle proprie lingue. Quanti popoli hanno oggi fame e sete della Parola di Dio, ma purtroppo non possono ancora avere un «largo accesso alla sacra Scrittura»,[372] come era stato auspicato nel Concilio Vaticano II! Per questo il Sinodo ritiene importante, anzitutto, la formazione di specialisti che si dedichino a tradurre la Bibbia nelle varie lingue.[373] Incoraggio ad investire risorse in questo ambito. In particolare, vorrei raccomandare di sostenere l’impegno della Federazione Biblica Cattolica perché sia ulteriormente incrementato il numero delle traduzioni della sacra Scrittura e la loro capillare diffusione.[374] È bene che, per la natura stessa di un tale lavoro, esso sia fatto, per quanto possibile, in collaborazione con le diverse Società Bibliche.
La Parola di Dio supera i limiti delle culture
116. L’Assemblea sinodale, nel dibattito circa la relazione tra Parola di Dio e culture ha sentito l’esigenza di riaffermare quanto i primi cristiani hanno potuto sperimentare fin dal giorno di Pentecoste (cfr At 2,1-13). La Parola divina è capace di penetrare e di esprimersi in culture e lingue differenti, ma la stessa Parola trasfigura i limiti delle singole culture creando comunione tra popoli diversi. La Parola del Signore ci invita ad andare verso una comunione più vasta. «Usciamo dalla limitatezza delle nostre esperienze ed entriamo nella realtà, che è veramente universale. Entrando nella comunione con la Parola di Dio, entriamo nella comunione della Chiesa che vive la Parola di Dio. … È uscire dai limiti delle singole culture nella universalità che collega tutti, unisce tutti, ci fa tutti fratelli».[375] Pertanto, annunciare la Parola di Dio chiede sempre a noi stessi per primi un rinnovato esodo, nel lasciare le nostre misure e le nostre immaginazioni limitate per fare spazio in noi alla presenza di Cristo.
PAROLA DI DIO E DIALOGO INTERRELIGIOSO
Il valore del dialogo interreligioso
117. La Chiesa riconosce come parte essenziale dell’annuncio della Parola l’incontro, il dialogo e la collaborazione con tutti gli uomini di buona volontà, in particolare con le persone appartenenti alle diverse tradizioni religiose dell’umanità, evitando forme di sincretismo e di relativismo e seguendo le linee indicate dalla Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate sviluppate dal Magistero successivo dei Sommi Pontefici.[376] Il veloce processo di globalizzazione, caratteristico della nostra epoca, mette in condizioni di vivere a più stretto contatto con persone di culture e religioni diverse. Si tratta di un’opportunità provvidenziale per manifestare come l’autentico senso religioso possa promuovere tra gli uomini relazioni di universale fraternità. È di grande importanza che le religioni possano favorire nelle nostre società, spesso secolarizzate, una mentalità che veda in Dio Onnipotente il fondamento di ogni bene, la sorgente inesauribile della vita morale, il sostegno di un senso profondo di fratellanza universale. Ad esempio, nella tradizione ebraico-cristiana si trova la suggestiva attestazione dell’amore di Dio per tutti i popoli, che Egli, già nell’Alleanza stretta con Noè, riunisce in un unico grande abbraccio simboleggiato dall’«arco sulle nubi» (Gen 9,13.14.16) e che, secondo le parole dei profeti, intende raccogliere in un’unica universale famiglia (cfr Is 2,2ss; 42,6; 66,18-21; Ger 4,2; Sal 47). Di fatto, testimonianze dell’intimo legame esistente tra il rapporto con Dio e l’etica dell’amore per ogni uomo si registrano in molte grandi tradizioni religiose.
Dialogo tra cristiani e musulmani
118. Tra le diverse religioni, la Chiesa vede con stima i musulmani, i quali riconoscono l’esistenza di un Dio unico;[377] fanno riferimento ad Abramo e rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, l’elemosina e il digiuno. Riconosciamo che nella tradizione dell’Islam vi sono molte figure, simboli e temi biblici. In continuità con l’importante opera del Venerabile Giovanni Paolo II, auspico che i rapporti di fiducia, instaurati da diversi anni, fra cristiani e musulmani, proseguano e si sviluppino in uno spirito di dialogo sincero e rispettoso.[378] In questo dialogo, il Sinodo ha espresso l’auspicio che possano essere approfonditi il rispetto della vita come valore fondamentale, i diritti inalienabili dell’uomo e della donna e la loro pari dignità. Tenuto conto della distinzione tra l’ordine socio-politico e l’ordine religioso, le religioni devono dare il loro contributo per il bene comune. Il Sinodo chiede alle Conferenze Episcopali, dove risulti opportuno e proficuo, di favorire incontri di reciproca conoscenza tra cristiani e musulmani per promuovere i valori di cui la società ha bisogno per una pacifica e positiva convivenza.[379]
Dialogo con le altre religioni
119. In questa circostanza, inoltre, desidero manifestare il rispetto della Chiesa per le antiche religioni e tradizioni spirituali dei vari Continenti; esse racchiudono valori che possono favorire grandemente la comprensione tra le persone e i popoli.[380] Frequentemente costatiamo sintonie con valori espressi anche nei loro libri religiosi, come, ad esempio, il rispetto per la vita, la contemplazione, il silenzio, la semplicità, nel Buddismo; il senso della sacralità, del sacrificio e del digiuno nell’Induismo; ed ancora i valori familiari e sociali nel Confucianesimo. Vediamo pure in altre esperienze religiose un’attenzione sincera per la trascendenza di Dio, riconosciuto quale Creatore, come anche per il rispetto della vita, del matrimonio e della famiglia ed un forte senso della solidarietà.
Dialogo e libertà religiosa
120. Tuttavia, il dialogo non sarebbe fecondo se questo non includesse anche un autentico rispetto per ogni persona, perché possa aderire liberamente alla propria religione. Per questo il Sinodo, mentre promuove la collaborazione tra gli esponenti delle diverse religioni, ricorda ugualmente «la necessità che sia effettivamente assicurata a tutti i credenti la libertà di professare la propria religione in privato e in pubblico, nonché la libertà di coscienza»;[381] infatti, «il rispetto e il dialogo richiedono la reciprocità in tutti i campi, soprattutto per quanto concerne le libertà fondamentali e più particolarmente la libertà religiosa. Essi favoriscono la pace e l’intesa tra i popoli».[382]
CONCLUSIONE
La parola definitiva di Dio
121. Al termine di queste riflessioni con le quali ho voluto raccogliere ed approfondire la ricchezza della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, desidero ancora una volta esortare tutto il Popolo di Dio, i Pastori, le persone consacrate e i laici ad impegnarsi per diventare sempre più familiari con le sacre Scritture. Non dobbiamo mai dimenticare che a fondamento di ogni autentica e viva spiritualità cristiana sta la Parola di Dio annunciata, accolta, celebrata e meditata nella Chiesa. Questo intensificarsi del rapporto con la divina Parola avverrà con maggiore slancio quanto più saremo consapevoli di trovarci di fronte, sia nella sacra Scrittura che nella Tradizione viva della Chiesa, alla Parola definitiva di Dio sul cosmo e sulla storia. Come ci fa contemplare il Prologo del Vangelo di Giovanni, tutto l’essere sta sotto il segno della Parola. Il Verbo esce dal Padre e viene a dimorare tra i suoi e torna nel seno del Padre per portare con sé tutta la creazione che in Lui e per Lui è stata creata. Ora la Chiesa vive la sua missione nella trepidante attesa della manifestazione escatologica dello Sposo: «lo Spirito e la Sposa dicono: “Vieni!”» (Ap 22,17). Questa attesa non è mai passiva, ma tensione missionaria di annuncio della Parola di Dio che risana e redime ogni uomo: ancora oggi Gesù risorto ci dice «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15).
Nuova evangelizzazione e nuovo ascolto
122. Per questo, il nostro dev’essere sempre più il tempo di un nuovo ascolto della Parola di Dio e di una nuova evangelizzazione. Riscoprire la centralità della divina Parola nella vita cristiana ci fa ritrovare così il senso più profondo di quanto il Papa Giovanni Paolo II ha richiamato con forza: continuare la missio ad gentes e intraprendere con tutte le forze la nuova evangelizzazione, soprattutto in quelle nazioni dove il Vangelo è stato dimenticato o soffre l’indifferenza dei più a causa di un diffuso secolarismo. Lo Spirito Santo desti negli uomini fame e susciti sete della Parola di Dio e zelanti annunciatori e testimoni del Vangelo. Ad imitazione del grande Apostolo delle genti, che fu trasformato dopo aver udito la voce del Signore (cfr At 9,1-30), anche noi ascoltiamo la divina Parola che ci interpella sempre personalmente qui ed ora. Lo Spirito Santo, ci raccontano gli Atti degli Apostoli, si riservò Paolo insieme a Barnaba per la predicazione e la diffusione della Buona Novella (cfr 13,2). Così anche oggi lo Spirito Santo non cessa di chiamare ascoltatori e annunciatori convinti e persuasivi della Parola del Signore.
La Parola e la gioia
123. Quanto più sapremo metterci a disposizione della divina Parola, tanto più potremo constatare che il mistero della Pentecoste è in atto anche oggi nella Chiesa di Dio. Lo Spirito del Signore continua ad effondere i suoi doni sulla Chiesa perché siamo condotti alla verità tutta intera, dischiudendo a noi il senso delle Scritture e rendendoci nel mondo annunciatori credibili della Parola di salvezza. Ritorniamo così alla Prima Lettera di san Giovanni. Nella Parola di Dio, anche noi abbiamo udito, veduto e toccato il Verbo della vita. Abbiamo accolto per grazia l’annuncio che la vita eterna si è manifestata, cosicché noi riconosciamo ora di essere in comunione gli uni con gli altri, con chi ci ha preceduto nel segno della fede e con tutti coloro che, sparsi nel mondo, ascoltano la Parola, celebrano l’Eucaristia, vivono la testimonianza della carità. La comunicazione di questo annuncio – ci ricorda l’apostolo Giovanni – è dato perché «la nostra gioia sia piena» (1 Gv 1,4). L’Assemblea sinodale ci ha permesso di sperimentare quanto è contenuto nel messaggio giovanneo: l’annuncio della Parola crea comunione e realizza la gioia. Si tratta di una gioia profonda che scaturisce dal cuore stesso della vita trinitaria e che si comunica a noi nel Figlio. Si tratta della gioia come dono ineffabile che il mondo non può dare. Si possono organizzare feste, ma non la gioia. Secondo la Scrittura, la gioia è frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22), che ci permette di entrare nella Parola e di far sì che la divina Parola entri in noi portando frutti per la vita eterna. Annunciando la Parola di Dio nella forza dello Spirito Santo, desideriamo comunicare anche la fonte della vera gioia, non di una gioia superficiale ed effimera, ma di quella che scaturisce dalla consapevolezza che solo il Signore Gesù ha parole di vita eterna (cfr Gv 6,68).
«Mater Verbi et Mater laetitiae»
124. Questa intima relazione tra la Parola di Dio e la gioia è posta in evidenza proprio nella Madre di Dio. Ricordiamo le parole di santa Elisabetta: «Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45). Maria è beata perché ha fede, perché ha creduto, ed in questa fede ha accolto nel proprio grembo il Verbo di Dio per donarlo al mondo. La gioia ricevuta dalla Parola, si può ora dilatare a tutti coloro che nella fede si lasciano cambiare dalla Parola di Dio. Il Vangelo di Luca ci presenta in due testi questo mistero di ascolto e di gaudio. Gesù afferma: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (8,21). E davanti all’esclamazione di una donna dalla folla che intende esaltare il grembo che lo ha portato e il seno che lo ha allattato, Gesù rivela il segreto della vera gioia: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (11,28). Gesù mostra la vera grandezza di Maria, aprendo così anche a ciascuno di noi la possibilità di quella beatitudine che nasce dalla Parola accolta e messa in pratica. Per questo, a tutti i cristiani ricordo che il nostro personale e comunitario rapporto con Dio dipende dall’incremento della nostra familiarità con la divina Parola. Infine, mi rivolgo a tutti gli uomini, anche a coloro che si sono allontanati dalla Chiesa, che hanno lasciato la fede o non hanno mai ascoltato l’annuncio di salvezza. A ciascuno il Signore dice: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Ogni nostra giornata sia dunque plasmata dall’incontro rinnovato con Cristo, Verbo del Padre fatto carne: Egli sta all’inizio e alla fine e «tutte le cose sussistono in lui» (Col 1,17). Facciamo silenzio per ascoltare la Parola del Signore e per meditarla, affinché essa, mediante l’azione efficace dello Spirito Santo, continui a dimorare, a vivere e a parlare a noi lungo tutti i giorni della nostra vita. In tal modo la Chiesa sempre si rinnova e ringiovanisce grazie alla Parola del Signore che rimane in eterno (cfr 1 Pt 1,25; Is 40,8). Così anche noi potremo entrare nel grande dialogo nuziale con cui si chiude la sacra Scrittura: «Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”. E chi ascolta ripeta: “Vieni!” … Colui che attesta queste cose dice: “Sì, vengo presto!”. Amen. Vieni, Signore Gesù». (Ap 22,17.20).
Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 settembre, memoria di San Girolamo, dell’anno 2010, sesto del mio Pontificato.
NOTE AL TESTO
[1] Cfr Propositio 1.
[2] Cfr XII ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI, Instrumentum laboris, 27.
[3] Cfr LEONE XIII, Lett. enc. Providentissimus Deus (18 novembre 1893): ASS 26 (1893-94), 269-292; BENEDETTO XV, Lett. enc. Spiritus Paraclitus (15 settembre 1920): AAS 12 (1920), 385-422; PIO XII, Lett. enc. Divino affl ante Spiritu (30 settembre 1943): AAS 35 (1943), 297-325.
[4] Propositio 2.
[5] Ibidem.
[6] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 2.
[7] Ibidem, 4.
[8] Tra gli interventi di diversa natura si ricordi: PAOLO VI, Lett. ap. Summi Dei Verbum (4 novembre 1963): AAS 55 (1963), 979-995; ID., Motu Proprio Sedula cura (27 giugno 1971): AAS 63 (1971), 665-669; GIOVANNI PAOLO II, Udienza Generale (1° maggio 1985): L’Osservatore Romano, 2-3 maggio 1985, p. 6; ID., Discorso sull’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (23 aprile 1993): AAS 86 (1994), 232-243; BENEDETTO XVI, Discorso al Congresso Internazionale per il 40° anniversario della Dei Verbum (16 settembre 2005); AAS 97 (2005), 957; ID., Angelus (6 novembre 2005): Insegnamenti I (2005), 759-760. Sono da ricordare anche gli interventi della PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, De sacra Scriptura et Christologia (1984): Ench. Vat. 9, n. 1208-1339; Unità e diversità nel la Chiesa (11 aprile 1988): Ench. Vat. 11, n. 544-643; L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993): Ench. Vat. 13, n. 2846-3150; Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio 2001): Ench. Vat. 20, n. 733-1150; Bibbia e morale. Radici bibliche dell’agire cristiano (11 maggio 2008), Città del Vaticano 2008.
[9] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2008): AAS 101 (2009), 49.
[10] Cfr Propositio 37.
[11] Cfr PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio 2001), Ench. Vat. 20, n. 733-1150.
[12] BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia Romana (22 dicembre 2008): AAS 101 (2009), 50.
[13] Cfr BENEDETTO XVI, Angelus (4 gennaio 2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 13.
[14] Cfr BENEDETTO XVI, Angelus (4 gennaio 2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 13.
[15] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 2.
[16] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 1: AAS 98 (2006), 217-218.
[17] Instrumentum laboris, 9.
[18] Credo Nicenocostantinopolitano: DS 150.
[19] SAN BERNARDO DI CHIAR AVALLE, Homilia super Missus est , IV, 11: PL 183, 86 B. Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 10.
[20] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 10.
[21] Cfr Propositio 3.
[22] Cfr CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa Dominus Iesus (6 agosto 2000), 13-15: AAS 92 (2000), 754-756.
[23] Cfr In Hexaemeron, XX,5: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 425-426; Breviloquium, I, 8: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 216-217.
[24] Itinerarium mentis in Deum, II, 12: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 302-303; cfr Commentarius in librum Ecclesiastes, Cap. 1, vers. 11, Quaestiones II, 3: Opera Omnia, VI, Quaracchi 1891, p. 16.
[25] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 3; cfr CONC. ECUM. VAT. I, Cost. dogm. Sulla fede cattolica Dei Filius, cap. 2, De revelatione: DS 3004.
[26] Cfr Propositio 13.
[27] COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Alla ricerca di un’etica universale: uovo sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano 2009, n. 39.
[28] 28 Cfr Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 94, a. 2.
[29] Cfr PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Bibbia e morale.
[30] Cfr COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale, Città del Vaticano 2009, n. 102.
[31] Cfr BENEDETTO XVI, Omelia durante l’Ora Terza all’inizio della I Congregazione generale del Sinodo dei Vescovi (6 ottobre 2008): AAS 100 (2008), 758-761.
[32] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 14.
[33] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 1: AAS 98 (2006), 217-218.
[34] «Ho Logos pachynetai (o brachyne tai)». Cfr ORIGENE, Peri Archon, I, 2, 8: SC 252, pp. 127-129.
[35] BENEDETTO XVI, Omelia nella solennità della Natività del Signore (24 dicembre 2006): AAS 99 (2007), 12.
[36] Cfr Messaggio fi nale, II, 4-6.
[37] MASSIMO IL CONFESSORE, La vita di Maria, n. 89: Testi mariani del primo millennio, 2, Roma 1989, p. 253.
[38] Cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 9-10: AAS 99 (2007), 111-112.
[39] BENEDETTO XVI, Udienza Generale (15 aprile 2009): L’Osservatore Romano, 16 aprile 2009, p. 1.
[40] ID., Omelia nella solennità dell’Epifania (6 gennaio 2009): L’Osservatore Romano, 7-8 gennaio 2009, p. 8.
[41] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 4.
[42] Propositio 4.
[43] S. GIOVANNI DELLA CROCE, Salita al Monte Carmelo, II, 22.
[44] Propositio 47.
[45] Catechismo della Chiesa Cattolica, 67.
[46] Cfr CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Il messaggio di Fatima (26 giugno 2000): Ench. Vat. 19, n. 974-1021.
[47] Adversus haereses, IV, 7, 4: PG 7, 992-993; V, 1, 3: PG 7, 1123; V, 6, 1: PG 7, 1137; V, 28, 4: PG 7, 1200.
[48] Cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 12: AAS 99 (2007), 113-114.
[49] Cfr Propositio 5.
[50] Adversus haereses, III, 24, 1: PG 7, 966.
[51] Homiliae in Genesim, XXII, 1: PG 53, 175.
[52] Epistula 120, 10: CSEL 55, pp. 500-506.
[53] Homiliae in Ezechielem, I, VII, 17: CC 142, p. 94.
[54] «Oculi ergo devotae animae sunt columbarum quia sensus eius per Spiritum sanctum sunt illuminati et edocti, spiritualia sapientes… Nunc quidem aperitur animae talis sensus, ut intellegat Scripturas»: RICCARDO DI SAN VITTORE, Explicatio in Cantica canticorum, 15: PL 196, 450 B. D.
[55] Sacramentarium Serapionis II (XX): Didascalia et Constitutiones apostolorum, ed. F.X. FUNK, II, Paderborn 1906, p. 161.
[56] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 7.
[57] Ibidem, 8.
[58] Ibidem.
[59] Cfr Propositio 3.
[60] Cfr Messaggio fi nale, II, 5.
[61] Expositio Evangelii secundum Lucam 6, 33: PL 15, 1677.
[62] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 13.
[63] Catechismo della Chiesa Cattolica, 102. Cfr anche RUPERTO DI DEUTZ, De operibus Spiritus Sancti, I, 6: SC 131, pp. 72-74.
[64] Enarrationes in Psalmos, 103, IV, 1: PL 37, 1378. Analoghe affermazioni in ORIGENE, In Iohannem V, 5-6: SC 120, pp. 380-384.
[65] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 21.
[66] Ibidem, 9.
[67] Cfr Propositiones 5.12.
[68] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 12.
[69] Cfr Propositio 12.
[70] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 11
[71] Propositio 4.
[72] Prol.: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 201-202.
[73] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso agli uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi (12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 721-730.
[74] Cfr Propositio 4.
[75] Cfr Relatio post disceptationem, 12.
[76] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 5.
[77] Propositio 4.
[78] Ad esempio Dt 28,1-2.15.45; 32,1; tra i profeti cfr Ger 7,22-28; Ez 2,8; 3,10; 6,3; 13,2; fino agli ultimi: cfr Zac 3,8. Per san Paolo cfr Rm 10,
14-18; 1 Tes 2,13.
[79] Propositio 55.
[80] Cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 33: AAS 99 (2007), 132-133.
[81] ID., Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 41: AAS 98 (2006), 251.
[82] Propositio 55.
[83] Cfr Expositio Evangelii secundum Lucam 2, 19: PL 15, 1559-1560.
[84] Breviloquium, Prol.: Opera Omnia, V, Quaracchi 1891, pp. 201-202.
[85] Summa Theologiae, Ia-IIae, q. 106, art.2.
[86] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), III, A, 3: Ench. Vat. 13, n. 3035.
[87] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 12.
[88] Contra epistolam Manichaei quam vocant fundamenti, V, 6: PL 42, 176.
[89] Cfr BENEDETTO XVI, Udienza Generale (14 novembre 2007): Insegnamenti III, 2 (2007), 586-591.
[90] Commentariorum in Isaiam libri, Prol.: PL 24, 17.
[91] Epistula 52, 7: CSEL 54, p. 426.
[92] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2988.
[93] Ibidem, II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2991.
[94] Homiliae in Ezechielem, I, VII, 8: PL 76, 843 D.
[95] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 24; cfr LEONE XIII, Lett. enc. Providentissimus Deus (18 novembre 1893), Pars II, sub fi ne: ASS 26 (1893-94), 269-292; BENEDETTO XV, Lett. enc. Spiritus Paraclitus (15 settembre 1920), Pars III: AAS 12 (1920), 385-422.
[96] Cfr Propositio 26.
[97] Cfr PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), A-B: Ench. Vat. 13, n. 2846-3150.
[98] BENEDETTO XVI, Intervento nella XIV Congregazione Generale del Sinodo (14 ottobre 2008): Insegnamenti IV, 2 (2008), 492; cfr Propositio 25.
[99] ID., Discorso agli uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi (12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 722-723.
[100] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 10.
[101] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Discorso in occasione del 100º anniversario della Providentissimus Deus e del 50º anniversario della Divino afflante Spiritu (23 aprile 1993): AAS 86 (1994), 232-243.
[102] Ibidem, n. 4: AAS 86 (1994), 235.
[103] Ibidem, n. 5: AAS 86 (1994), 235.
[104] Ibidem, n. 5: AAS 86 (1994), 236.
[105] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), III, C, 1: Ench. Vat. 13, n. 3065.
[106] N. 12.
[107] BENEDETTO XVI, Intervento nella XIV Congregazione Generale del Sinodo (14 ottobre 2008): Insegnamenti IV, 2 (2008), 493; cfr Propositio 25.
[108] Cfr Propositio 26.
[109] Propositio 27.
[110] BENEDETTO XVI, Intervento nella XIV Congregazione Generale del Sinodo (14 ottobre 2008): Insegnamenti IV, 2 (2008), 493; cfr Propositio 26.
[111] Cfr ibidem.
[112] Ibidem.
[113] Cfr Propositio 27.
[114] BENEDETTO XVI, Intervento nella XIV Congregazione Generale del Sinodo (14 ottobre 2008): Insegnamenti IV, 2 (2008), 493-494.
[115] GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), 55: AAS 91 (1999), 49-50.
[116] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso al IV Convegno nazionale ecclesiale in Italia (19 ottobre 2006): AAS 98 (2006), 804-815.
[117] Cfr Propositio 6.
[118] Cfr S. AGOSTINO, De libero arbitrio, III, XXI, 59: PL 32, 1300; De Trinitate, II, I, 2: PL 42, 845.
[119] CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Istr. Inspectis dierum (10 novembre 1989), 26: AAS 82 (1990), 618.
[120] Catechismo della Chiesa Cattolica, 116.
[121] Summa Theologiae, I, q. 1, art. 10, ad 1.
[122] Catechismo della Chiesa Cattolica, 118.
[123] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), II, A, 2: Ench. Vat. 13, n. 2987.
[124] Ibidem, II, B 2: Ench. Vat. 13, n. 3003.
[125] BENEDETTO XVI, Discorso agli uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi (12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 726.
[126] Ibidem.
[127] Cfr ID., Udienza Generale (9 gennaio 2008): Insegnamenti IV, 1 (2008), 41-45.
[128] Cfr Propositio 29.
[129] De arca Noe, 2, 8: PL 176, 642 C-D.
[130] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso agli uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi (12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 725.
[131] Cfr Propositio 10; PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio 2001), 3-5: Ench. Vat. 20, n. 748-755.
[132] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 121-122.
[133] Propositio 52.
[134] Cfr PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio 2001), 19: Ench. Vat. 20, n. 799-801; ORIGENE, Omelia sui Numeri 9, 4: SC 415, pp. 238-242.
[135] Catechismo della Chiesa Cattolica, 128.
[136] Ibidem, 129.
[137] Propositio 52.
[138] Quaestiones in Heptateuchum, 2, 73: PL 34, 623.
[139] Homiliae in Ezechielem, I, VI, 15: PL 76, 836 B.
[140] Propositio 29.
[141] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio al Rabbino Capo di Roma (22 maggio 2004): Insegnamenti, XXVII, 1 (2004), 655.
[142] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana (24 maggio 2001), 87: Ench. Vat. 20, n. 1150.
[143] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso di congedo all’Aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv (15 maggio 2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 847-849.
[144] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Rabbini Capi di Israele (23 marzo 2000): Insegnamenti XXIII, 1 (2000), 434.
[145] Cfr Propositiones 46.47.
[146] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), I, F: Ench. Vat. 13, n. 2974.
[147] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso agli uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi (12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 726.
[148] Propositio 46.
[149] Propositio 28.
[150] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 23.
[151] Si ricorda, comunque, che, per quanto riguarda i cosiddetti Libri Deuterocanonici dell’Antico Testamento e la loro ispirazione, Cattolici e Ortodossi non hanno esattamente lo stesso canone biblico di Anglicani e Protestanti.
[152] Cfr Relatio post disceptationem, 36.
[153] Propositio 36.
[154] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso all’XI Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (25 gennaio 2007): AAS 99 (2007), 85-86.
[155] CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, 21.
[156] Cfr Propositio 36.
[157] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 10.
[158] Lett. enc. Ut unum sint (25 maggio 1995), 44: AAS 87 (1995), 947.
[159] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 10.
[160] Ibidem.
[161] Cfr ibidem, 24.
[162] Cfr Propositio 22.
[163] S. GREGORIO MAGNO, Moralia in Job XXIV, VIII, 16: PL 76, 295.
[164] Cfr S. ATANASIO, Vita Antonii, II: PL 73, 127.
[165] Moralia, Regula LXXX, XXII: PG 31, 867.
[166] Regola, 73, 3: SC 182, p. 672.
[167] TOMMASO DA CELANO, La vita prima di S. Francesco, IX, 22: FF 356.
[168] Regola, I, 1-2: FF 2750.
[169] B. GIORDANO DA SASSONIA, Libellus de principiis Ordinis Praedicatorum, 104: Monumenta Fratrum Praedicatorum Historica, Roma 1935, 16, p. 75.
[170] ORDINE DEI FRATI PREDICATORI, Prime Costituzioni o Consuetudines, II, XXXI.
[171] Vita 40, 1.
[172] Cfr Storia di una anima, Ms B 3r°.
[173] Ibidem, Ms C 35v°.
[174] In Iohannis Evangelium Tractatus, I,12: PL 35, 1385.
[175] Lett. enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), 25: AAS 85 (1993), 1153.
[176] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 8.
[177] Relatio post disceptationem, 11.
[178] N. 1.
[179] BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno internazionale «La Sacra Scrittura nella vita della Chiesa» (16 settembre 2005): AAS 97 (2005), 956.
[180] Cfr Relatio post disceptationem, 10.
[181] Messaggio fi nale, III, 6.
[182] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 24.
[183] Ibidem, 7.
[184] Ordinamento delle letture della Messa, 4.
[185] Ibidem, 9.
[186] Ibidem, 3; cfr L c 4, 16-21; 24, 25-35.44-49.
[187] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 102.
[188] Cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007) 44-45: AAS 99 (2007), 139-141.
[189] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), IV, C, 1: Ench. Vat. 13, n. 3123.
[190] Ibidem, III, B, 3: Ench. Vat. 13, n. 3056.
[191] Cfr Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 48.51.56; Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 21.26; Decr. sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes 6.15; Decr. sul ministero e la vita dei presbiteri Presbyterorum ordinis, 18; Decr. sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis, 6. Nella grande Tradizione della Chiesa troviamo espressioni significative come: «Corpus Christi intelligitur etiam [...] Scriptura Dei» (anche la Scrittura di Dio si considera Corpo di Cristo): WALTRAMUS, De unitate Ecclesiae conservanda, 1,14, ed. W. Schwenkenbecher, Hannoverae 1883, p. 33; «La carne del Signore è vero cibo e il suo sangue vera bevanda; questo è il vero bene che ci è riservato nella vita presente, nutrirsi della sua carne e bere il suo sangue, non solo nell’Eucaristia, ma anche nella lettura della Sacra Scrittura. Infatti è vero cibo e vera bevanda la parola di Dio che si attinge dalla conoscenza delle Scritture»: S. GIROLAMO, Commentarius in Ecclesiasten, III: PL 23, 1092 A.
[192] J. RATZINGER (BENEDETTO XVI), Gesù di Nazaret, Milano 2007, 311.
[193] Ordinamento delle letture della Messa, 10.
[194] Ibidem.
[195] Cfr Propositio 7.
[196] Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), 13: AAS 91 (1999), 16.
[197] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1373-1374.
[198] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 7.
[199] In Psalmum 147: CCL 78, 337-338.
[200] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 2.
[201] Cfr Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 107-108.
[202] Ordinamento delle letture della Messa, 66.
[203] Propositio 16.
[204] Cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007) 45: AAS 99 (2007), 140-141.
[205] Cfr Propositio 14.
[206] Cfr Codice di Diritto Canonico, cann. 230 § 2; 204 § 1.
[207] Ordinamento delle letture della Messa, 55.
[208] Ibidem, 8.
[209] N. 46: AAS 99 (2007), 141.
[210] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 25.
[211] Propositio 15.
[212] Ibidem.
[213] Sermo 179,1: PL 38, 966.
[214] Cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 93: AAS 99 (2007), 177.
[215] CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Compendium eucharisticum (25 marzo 2009), Città del Vaticano 2009.
[216] Epistula 52,7: CSEL 54, 426-427.
[217] Propositio 8.
[218] Rito della Penitenza, 17.
[219] Ibidem, 19.
[220] Propositio 8.
[221] Propositio 19.
[222] Principi e norme per la Liturgia delle Ore, III, 15.
[223] Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 85.
[224] Cfr Codice di Diritto Canonico, cann. 276 § 3; 1174 § 1.
[225] Cfr Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, cann. 377; 473, § 1 e 2, 1°; 538 § 1; 881 § 1.
[226] Benedizionale, Premesse Generali, 21.
[227] Cfr Propositio 18; CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 35.
[228] Cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 75; AAS 99 (2007), 162-163.
[229] Ibidem.
[230] CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia, Principi e orientamenti (17 dicembre 2001), 87: Ench. Vat. 20, n. 2461.
[231] Cfr Propositio 14.
[232] Cfr S. IGNAZIO DI ANTIOCHIA, Ad Ephesios XV, 2: Patres Apostolici, ed. F.X. FUNK, Tubingae 1901, I, 224.
[233] Cfr S. AGOSTINO, Sermo 288,5: PL 38,1307; Sermo 120,2: PL 38,677.
[234] Ordinamento Generale del Messale Romano, 56.
[235] Ibidem, 45; cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 30.
[236] Ordinamento delle letture della Messa, 13.
[237] Cfr ibidem, 17.
[238] Propositio 40.
[239] Cfr Ordinamento Generale del Messale Romano, 309.
[240] Cfr Propositio 14.
[241] Cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 69: AAS 99 (2007), 157.
[242] Cfr Ordinamento Generale del Messale Romano, 57.
[243] Propositio 14.
[244] Cfr il canone 36 del Sinodo di Ippona dell’anno 393: DS, 186.
[245] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus (4 dicembre 1988), 13: AAS 81 (1989), 910; CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Redemptionis sacramentum Istruzione su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia (25 marzo 2004), 62: Ench. Vat. 22, n. 2248.
[246] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. sulla sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, 116; Ordinamento Generale del Messale Romano, 41.
[247] Cfr Propositio 14.
[248] Propositio 9.
[249] Epistula 30, 7: CSEL 54, p. 246.
[250] ID., Epistula 133, 13: CSEL 56, p. 260.
[251] ID., Epistula 107, 9.12: CSEL 55, pp. 300.302.
[252] ID., Epistula 52, 7: CSEL 54, p. 426.
[253] GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 31: AAS 93 (2001), 287-288.
[254] Propositio 30; Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 24.
[255] S. GIROLAMO, Commentariorum in Isaiam libri, Prol.: PL 24, 17 B.
[256] Propositio 21.
[257] Cfr Propositio 23.
[258] Cfr CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Direttorio generale per la catechesi (15 agosto 1997), 94-96: Ench. Vat., 16, n. 875-878; GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Catechesi tradendae (16 ottobre 1979), 27: AAS 71 (1979), 1298-1299.
[259] Ibidem, 127: Ench. Vat. 16, n. 935; cfr GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Catechesi tradendae (16 ottobre 1979), 27: AAS 71 (1979), 1299.
[260] Ibidem, 128: Ench. Vat. 16, n. 936.
[261] Cfr Propositio 33.
[262] Cfr Propositio 45.
[263] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 39-42.
[264] Propositio 31.
[265] N. 15: AAS 96 (2004), 846-847.
[266] N. 26: AAS 84 (1992), 698.
[267] Ibidem.
[268] BENEDETTO XVI, Omelia nella Messa del Crisma (9 aprile 2009): AAS 101 (2009), 355.
[269] Ibidem, 356.
[270] CONGREGAZIONE PER L’EDUCAZIONE CATTOLICA, Norme fondamentali per la formazione dei diaconi permanenti (22 febbraio 1998), 11: Ench. Vat. 17, n. 174-175.
[271] Ibidem, 74: Ench. Vat. 17, n. 263.
[272] Cfr ibidem, 81: Ench. Vat. 17, n. 271.
[273] Propositio 32.
[274] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis (25 marzo 1992), 47: AAS 84 (1992), 740-742.
[275] Propositio 24.
[276] BENEDETTO XVI, Omelia nella Giornata Mondiale della Vita Consacrata (2 febbraio 2008): AAS 100 (2008), 133; cfr
GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Vita consecrata (25 marzo 1996), 82: AAS 88 1996), 458-460.
[277] CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Istruzione Ripartire da Cristo: un rinnovato impegno della Vita consacrata nel terzo millennio (19 maggio 2002), 24: Ench. Vat. 21, n. 447.
[278] Cfr Propositio 24.
[279] S. BENEDETTO, Regola, IV, 21: SC 181, pp. 456-458.
[280] BENEDETTO XVI, Discorso nella visita all’Abbazia di «Heiligenkreuz » (9 settembre 2007): AAS 99 (2007), 856.
[281] Cfr Propositio 30.
[282] GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. postsinodale Christifi deles laici (30 dicembre 1988), 17: AAS 81 (1989), 418.
[283] Cfr Propositio 33.
[284] GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), 49: AAS 74 (1982), 140-141.
[285] Propositio 20.
[286] Cfr Propositio 21.
[287] Propositio 20.
[288] Cfr Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 31: AAS 80 (1988), 1727-1729.
[289] Propositio 17.
[290] Cfr Propositiones 9.22.
[291] N. 25.
[292] Enarrationes in Psalmos, 85, 7: PL 37, 1086.
[293] ORIGENE, Epistola ad Gregorium, 3: PG 11,92.
[294] BENEDETTO XVI, Discorso agli alunni del Seminario Romano Maggiore (19 febbraio 2007): AAS 99 (2007), 253-254.
[295] Cfr ID., Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 66: AAS 99 (2007), 155-156.
[296] Messaggio finale, III, 9.
[297] Cfr ibidem.
[298] «Plenaria indulgentia conceditur christifi deli qui Sacram Scripturam, iuxta textum a competenti auctoritate adprobatum, cum veneratione divino eloquio debita et ad modum lectionis spiritalis, per dimidiam saltem horam legerit; si per minus tempus id egerit indulgentia erit partialis»: PAENITENTIARIA APOSTOLICA, Enchiridion Indulgentiarum. Normae et concessiones (16 luglio 1999), 30, § 1.
[299] Cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 1471-1479.
[300] PAOLO VI, Cost. ap. Indulgentiarum doctrina (1 gennaio 1967): AAS 59 (1967), 18-19.
[301] Cfr Epistula 49, 3: PL 16, 1204A.
[302] Cfr CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (17 dicembre 2001), 197-202: Ench. Vat. 20, n. 2638-2643.
[303] Cfr Propositio 55.
[304] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae (16 ottobre 2002): AAS 95 (2003), 5-36.
[305] Propositio 55.
[306] Cfr CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti (17 dicembre 2001), 207: Ench. Vat. 20, n. 2656-2657.
[307] Cfr Propositio 51.
[308] BENEDETTO XVI, Omelia nella S. Messa presso la Valle di Josafat, Gerusalemme (12 maggio 2009): AAS 101 (2009), 473.
[309] Cfr Epistula 108, 14: CSEL 55, p. 324-325.
[310] Adversus haereses, IV, 20, 7: PG 7, 1037.
[311] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Spe salvi (30 novembre 2007), 31: AAS 99 (2007), 1010.
[312] BENEDETTO XVI, Discorso agli uomini di cultura al «Collège des Bernardins» di Parigi (12 settembre 2008): AAS 100 (2008), 730.
[313] Cfr In Evangelium secundum Matthaeum 17, 7: PG 13, 1197 B; S. GIROLAMO, Translatio homiliarum Origenis in Lucam, 36: PL 26, 324-325.
[314] Cfr BENEDETTO XVI, Omelia per l’apertura della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (5 ottobre 2008): AAS 100 (2008), 757.
[315] Propositio 38.
[316] Cfr CONGREGAZIONE PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA, Istruzione Ripartire da Cristo: un rinnovato impegno della Vita consacrata nel terzo millennio (19 maggio 2002), 36: Ench. Vat. 21, n. 488-491.
[317] Propositio 30.
[318] Cfr Propositio 38.
[319] Cfr Propositio 49.
[320] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990): AAS 83 (1991), 294-340; ID., Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 40: AAS 93 (2001), 294-295.
[321] Propositio 38.
[322] Cfr BENEDETTO XVI, Omelia per l’apertura della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (5 ottobre 2008): AAS 100 (2008), 753-757.
[323] Propositio 38.
[324] Messaggio finale, IV, 12.
[325] PAOLO VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 22: AAS 68 (1976), 20.
[326] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 2.7.
[327] Cfr Propositio 39.
[328] Cfr BENEDETTO XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2009 (8 dicembre 2008): Insegnamenti IV, 2 (2008), 792-802.
[329] Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 19: AAS 68 (1976), 18.
[330] Cfr Propositio 39.
[331] GIOVANNI XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), I: AAS 55 (1963), 259.
[332] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus (1° maggio 1991), 47: AAS 83 (1991), 851-852; ID., Discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (2 ottobre 1979), 13:
AAS 71 (1979), 1152-1153.
[333] Cfr Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 152-159.
[334] Cfr BENEDETTO XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2007 (8 dicembre 2006), 10: Insegnamenti II,2 (2006), 780.
[335] Cfr Propositio 8.
[336] BENEDETTO XVI, Omelia (25 gennaio 2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 141.
[337] ID., Omelia in occasione della conclusione della XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (26 ottobre 2008): AAS 100 (2008), 779.
[338] Propositio 11.
[339] BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 28: AAS 98 (2006), 240.
[340] De doctrina christiana, I, 35, 39 – 36, 40: PL 34, 34.
[341] Cfr BENEDETTO XVI, Messaggio per la XXI Giornata Mondiale della Gioventù (22 febbraio 2006): AAS 98 (2006), 282-286.
[342] Cfr Propositio 34.
[343] Cfr ibidem.
[344] Omelia (24 aprile 2005): AAS 97 (2005), 712.
[345] Cfr Propositio 38.
[346] BENEDETTO XVI, Omelia in occasione della XVII Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 232.
[347] Cfr Propositio 35.
[348] Propositio 11.
[349] Cfr BENEDETTO XVI, Lett. enc. Deus caritas est (25 dicembre 2005), 25: AAS 98 (2006), 236-237.
[350] Propositio 11.
[351] BENEDETTO XVI, Omelia (1° gennaio 2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 5.
[352] Propositio 54.
[353] Cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 92: AAS 99 (2007), 176-177.
[354] GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’UNESCO (2 giugno 1980), 6: AAS 72 (1980), 738.
[355] Cfr Propositio 41.
[356] Cfr Ibidem.
[357] Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Fides et ratio (14 settembre 1998), 80: AAS 91 (1999), 67-68.
[358] Cfr Lineamenta 23.
[359] Cfr Propositio 40.
[360] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sugli strumenti di comunicazione sociale Inter mirifica; PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, Istr. past. Communio et progressio sugli strumenti della comunicazione sociale pubblicata per disposizione del Concilio Ecumenico Vaticano II (23 maggio 1971): AAS 63 (1971), 593-656; GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Il rapido sviluppo (24 gennaio 2005): AAS 97 (2005), 265-274; PONTIFICIO CONSIGLIO DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI, Istr. past. Sulle comunicazioni sociali nel 20° Anniversario della «Communio et progressio» Aetatis novae (22 febbraio 1992): AAS 84 (1992), 447-468; ID., La Chiesa e internet (22 febbraio 2002): Ench. Vat. 21, n. 66-95; ID., Etica in internet (22 febbraio 2002): Ench. Vat. 21, n. 96-127.
[361] Cfr Messaggio finale, IV,11; BENEDETTO XVI, Messaggio per la XLIII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (24 gennaio 2009): Insegnamenti V, 1 (2009), 123-127.
[362] Cfr Propositio 44.
[363] GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la XXXVI Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (24 gennaio 2002), 6: Insegnamenti, XXV, 1 (2002), 94-95.
[364] Cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 20: AAS 68 (1976), 18-19.
[365] Cfr BENEDETTO XVI, Esort. ap. postsinodale Sacramentum caritatis (22 febbraio 2007), 78: AAS 99 (2007), 165.
[366] Cfr Propositio 48.
[367] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (15 aprile 1993), IV, B: Ench. Vat. 13, n. 3112.
[368] Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Decr. sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 22; PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, (15 aprile 1993), IV, B: Ench. Vat. 13, n. 3111-3117.
[369] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Vescovi del Kenia (7 maggio 1980), 6: AAS 72 (1980), 497.
[370] Cfr Instrumentum laboris 56.
[371] PONTIFICIA COMMISSIONE BIBLICA, L’Interpretazione della Bibbia nella Chiesa, (15 aprile 1993), IV, B: Ench. Vat. 13, n. 3113.
[372] CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 22.
[373] Cfr Propositio 42.
[374] Cfr Propositio 43.
[375] BENEDETTO XVI, Omelia durante l’Ora Terza all’inizio della I Congregazione Generale dei Sinodo dei Vescovi (6 ottobre 2008): AAS 100 (2008), 760.
[376] Fra i numerosi interventi di diverso genere si ricordi: GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Dominum et vivifi cantem (18 maggio 1986): AAS 78 (1986), 809-900; ID., Lett. enc. Redemptoris missio (7 dicembre 1990): AAS 83 (1991), 249-340; ID., Discorsi ed Omelie ad Assisi in occasione della Giornata di preghiera per la pace il 27 ottobre 1986: Insegnamenti IX, 2, (1986), 1249-1273; Giornata di Preghiera per la Pace nel Mondo (24 gennaio 2002): Insegnamenti XXV, 1 (2002), 97-108; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione Dominus Iesus sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa (6 agosto 2000): AAS 92 (2000), 742-765.
[377] Cfr. CONC. ECUM. VAT. II, Dich. sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 3.
[378] Cfr BENEDETTO XVI, Discorso ad Ambasciatori dei Paesi a maggioranza musulmana accreditati presso la Santa Sede (25 settembre 2006): AAS 98 (2006), 704-706.
[379] Cfr Propositio 53.
[380] Cfr Propositio 50.
[381] Ibidem.
[382] GIOVANNI PAOLO II, Discorso nell’incontro con i giovani musulmani a Casablanca in Marocco (19 agosto 1985), 5: AAS 78 (1986), 99.