IRAN, la protesta delle donne 1/ Perché per protesta in Iran le donne si stanno tagliando i capelli? Rispnde la poetessa iraniana Bita Malakuti (da Sky TG 24) 2/ Teheran, uccisione Mahsa Amini: la 'polizia della morale' strumento di repressione e morte 3/ P. Samir: continui bombardamenti iraniani sul Kurdistan dopo la morte di Mahsa Amini
1/ Perché per protesta in Iran le donne si stanno tagliando i capelli? Rispnde la poetessa iraniana Bita Malakuti (da Sky TG 24)
Riprendiamo sul nostro sito da Sky TG 24 (https://tg24.sky.it/mondo/2022/09/29/proteste-iran-perche-donne-si-tagliano-capelli-video) un testo di Bita Malakuti, pubblicato il 29/9/2022. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Islam: la questione dei diritti.
Il Centro culturale Gli scritti (5/10/2022)
Ma perché proprio i capelli? A spiegarlo è Bita Malakuti, poetessa iraniana, oggi ospite a SkyTg24:
“Il taglio dei capelli è una vecchia cerimonia usata in Iran e in altri paesi limitrofi. Significa “lutto”: quando ci si trova di fronte a una grande tristezza o rabbia, allora ci si tagliano i capelli. È come ignorare il proprio senso estetico o la propria bellezza per far vedere che si è tristi. Adesso questo è diventato simbolico.”
Un simbolo di rabbia; un urlo che invoca un cambiamento laddove le grida verbali sono soffocate dalla propaganda del regime. Un taglio che diventa metafora di quanto in Iran è da sempre reciso: parole, libertà, diritti.
In Occidente di solito le donne amano prendersi cura dei propri capelli. Un taglio è una coccola, un gesto di cura, benessere e affetto per il proprio corpo. Eppure, dal 16 settembre, qualcosa è cambiato.
“Per la prima volta anche i Paesi occidentali stanno ascoltando le nostre voci” – prosegue Marakuti – “Quello che vorrei dire è non confondere quella del regime, che distorce le cose, con quella delle persone che scendono in piazza. Spesso non possono esprimerla, perciò ascoltatela e diffondetela: siate la nostra voce. Non posso prevedere il futuro, ma sono molto fiduciosa: questa rivolta è diversa dal passato, è qualcosa di grande e rappresenta un passo in avanti.”
2/ Teheran, uccisione Mahsa Amini: la 'polizia della morale' strumento di repressione e morte
Riprendiamo sul nostro sito da Asia News (https://www.asianews.it/notizie-it/Teheran,-uccisione-Mahsa-Amini:-la-'polizia-della-morale'-strumento-di-repressione-e-morte-56721.html) un articolo redazionale pubblicato il 23/09/2022. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Islam: la questione dei diritti.
Il Centro culturale Gli scritti (5/10/2022)
Teheran (AsiaNews) - La morte della 22enne Mahsa Amini ha (ri-)acceso i riflettori sulle famigerate squadre della "polizia della morale" iraniana che, dall’ascesa al potere del presidente ultraconservatore Ebrahim Raisi, hanno inasprito i controlli sulla conformità a usi e costumi della tradizione musulmana. Soprattutto per le donne, partendo proprio dall’obbligo di indossare l’hijab, il velo islamico, che da tempo rappresenta per la parte più laica e riformista una battaglia di libertà e diritti. E che nel caso della giovane originaria del Kurdistan iraniano individuata mentre usciva dalla fermata di una metro a Teheran, dove si trovava per una breve vacanza, si è trasformata nella causa del fermo e delle violenze - negate dalla polizia - che hanno determinato il decesso.
La tragica vicenda ha innescato una ondata di proteste come da tempo non si registrava nella Repubblica islamica, con un elemento di sostanziale novità: la presenza delle donne in prima fila nella lotta per le libertà e i diritti, contro la quale le autorità civili e religiose hanno opposto il pugno di ferro con arresti, censura, interruzione delle comunicazioni e blocco della rete internet. Tutto ciò non ha impedito il propagarsi sui social di video e immagini delle manifestazioni in oltre 40 città, e dei relativi scontri, che hanno causato in pochi giorni la morte di almeno 31 persone.
Dimostrazioni che hanno toccato anche la vicina Turchia, dove a Istanbul un centinaio di persone si sono radunate presso il consolato iraniano per manifestare solidarietà e cordoglio alla vittima. Alcune donne presenti hanno anche compiuto gesti simbolo della protesta: taglio di capelli e rogo dell’hijab. Da New York giunge la notizia della cancellazione all’ultimo minuto dell’intervista al presidente Ebrahim Raisi da parte della nota giornalista Christiane Amanpour. Quest’ultima si sarebbe rifiutata di velare il capo, come imposto dalla delegazione iraniana.
Il velo obbligatorio e la polizia della morale: i due nodi attorno ai quali si è sviluppata la vicenda di Mahsa. Le Gasht-e Ershad (questo il nome in farsi) sono una unità speciale con il compito di assicurare il rispetto delle tradizioni e dei costumi islamici, arrivando persino ad arrestare e frustare quanti non rispettano le norme o sono abbigliati in modo “improprio”. Tara Sepehri Far, esperta di Medio oriente e Nord Africa di Human Rights Watch (Hrw), conferma che “è difficile scovare una donna o una famiglia media iraniana che non ha mai avuto a che fare” con una pattuglia della morale, per “quanto sono presenti” per le strade di centri piccoli e grandi.
Di solito una squadra è composta da sei persone, quattro uomini e due donne, e godono di ampia libertà nell’applicare la legge, arrestate e condurre nei centri di detenzione, o “rieducazione” aperti di recente. A loro spetta il compito di verificare l’applicazione della sharia, in particolare l’obbligo di coprire il capo per le donne, indossare abiti lunghi e dai colori poco appariscenti. Mahsa Amini sarebbe incappata nelle maglie di una pattuglia perché “una ciocca di capelli” usciva dall’hijab e questa è stata anche la firma della sua condanna a morte.
In una rara intervista, e rigorosamente anonima, rilasciata alla Bbc un membro della polizia della morale afferma che il compito di queste squadre è di “proteggere le donne”, perché se non si vestono in modo consono “provocano gli uomini e rischiano conseguenze” anche gravi. In molte occasioni, spiega la fonte, sembra “di uscire per andare a caccia” e arrestare “quante più persone possibili”, una direttiva imposta dalle autorità e che, non di rado, è fonte di disagio. “[Agli arrestati] volevo dire - conclude - che non sono uno di loro. La maggior parte di noi è composta da semplici soldati, che svolgono la leva militare obbligatoria”.
La lotta per l’imposizione del velo è iniziata all’indomani della rivoluzione islamica del 1979 ed è stata alimentata, non senza generare incomprensioni sulle modalità di applicazione, dalla stessa guida suprema Ruhollah Khomeini. Un processo che “non è successo all’improvviso in una notte” spiega la 78enne attivista Mehrangiz Kar, ma “che è andato aumentando passo dopo passo” dapprima con le donne che offrivano il velo per le strade poi, dal 1981, con le prime leggi che ne istituivano l’obbligo assieme a un abbigliamento in linea coi precetti islamici. Una legge parlamentare del 1983 ha sancito la fustigazione e, ancora più di recente, il carcere.
L’istituzionalizzazione delle famigerate squadre della morale si deve infine all’ex presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad, che dopo la vittoria elettorale del 2004 ha impresso una ulteriore stretta dando valore “formale” al corpo chiamato a vegliare sui costumi (e le donne). Con il tempo i suoi sgherri sono diventati sempre più oggetto del malcontento e simbolo di repressione, arrivando ad arrestare una donna perché aveva un rossetto sgargiante, un’altra per un paio di stivali appariscenti e giudicati “troppo erotici”. Il tutto condito da punizioni, anche crudeli.
Fino all’ascesa al potere dell’attuale presidente Raisi che, il 15 agosto dello scorso anno durante le prime settimane di mandato ha introdotto una nuova lista di restrizioni, come il sistema di video-sorveglianza di origine cinese. E dato ampio mandato alle Gasht-e Ershad perché siano applicate le norme ispirate alla sharia, fino alle estreme conseguenze come insegna la tragica vicenda della giovane curda. Hadi Ghaemi, direttore del Center for Human Rights in Iran, ne è sicuro: “Questa volta i manifestanti - afferma - non chiedono solo giustizia per Mahsa Amini, ma rivendicano anche i diritti delle donne, civili e umani. Una vita senza una dittatura religiosa”.
3/ P. Samir: continui bombardamenti iraniani sul Kurdistan dopo la morte di Mahsa Amini
Riprendiamo sul nostro sito da Asia News (https://www.asianews.it/notizie-it/Teheran,-uccisione-Mahsa-Amini:-la-'polizia-della-morale'-strumento-di-repressione-e-morte-56721.html) un articolo di P. Samir pubblicato il 3/10/2022. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Islam: la questione dei diritti.
Il Centro culturale Gli scritti (5/10/2022)
Erbil (AsiaNews) - L’eco, e le violenze, legate alle proteste per la morte della 22enne curda iraniana Mahsa Amini per mano della polizia della morale “sono arrivate nel Kurdistan iracheno: da giorni Teheran ha iniziato a bombardare diverse aree, da Erbil ad Ankawa a Sulaymaniyya, la notte siamo svegliati dalle esplosioni. Nel mirino campi profughi o centri dove vivono curdi o iraniani della dissidenza, fuggiti da tempo”. A raccontarlo ad AsiaNews è p. Samir Youssef, parroco della diocesi di Amadiya, nel Kurdistan iracheno, dove nei giorni scorsi si sono registrate anche delle vittime: “Bombe e attacchi droni - prosegue - hanno ucciso almeno 12 persone, decine i feriti. Fra le vittime ha destato particolare commozione la morte di una giovane donna incinta, ospite di un campo profughi; i medici sono riusciti a salvare almeno il bambino”.
La presenza dei curdi iraniani, o dei membri della dissidenza, risale ad anni fa ed è legata ad accordi politici di alto livello, vincolata al fatto che dal Kurdistan non partissero attacchi in territorio iraniano. “La presenza di basi della resistenza è nota - conferma p. Samir - ma non si erano verificati grossi problemi e, a differenza della Turchia con il Pkk, Teheran non colpiva. Ma dopo la morte della ragazza, e l’inizio delle manifestazioni, anche qui la situazione è cambiata e pure il nostro territorio è diventato un obiettivo da colpire, alimentando un clima di tensione e di paura”. La vicenda della giovane curda, sottolinea, ha avuto “ampia eco nei media regionali e nazionali, con un sostegno diffuso al popolo iraniano e la sua legittima richiesta di libertà e diritti”.
Intanto dall’Iran continuano ad arrivare notizie di repressioni avallate dalle autorità. Secondo fonti di Amnesty International, il governo di Teheran ha ordinato alle Forze di sicurezza di reprimere “con severità e senza alcuna pietà” le manifestazioni. Per il movimento attivista vi sono documenti risalenti al 21 settembre, provenienti dal quartier generale delle Forze armate e diretti ai comandi dei vari reparti in cui si chiede di “affrontare con la massima severità gli anti-rivoluzionari e i facinorosi”. Un altro documento del 23 per la provincia di Mazandran esorta ad “affrontare senza pietà, fino a causare morti, qualsiasi disordine da parte di rivoltosi e anti-rivoluzionari”.
Tuttavia, le minacce e le violenze degli ayatollah non fermano l’onda di protesta che continua nelle strade, nelle piazze e persino nei campus, sotto assedio. È il caso della Sharif University a Teheran, dove si sono registrati violenti scontri fra agenti - anche reparti in borghese - e studenti. Ieri sera elementi delle milizie basij hanno “circondato il campus e aperto il fuoco” usando proiettili di gomma e “arrestando almeno un centinaio di persone, fra studenti e docenti”. In un video pubblicato sui social, nonostante il blocco della rete imposto dalle autorità, si vedono studenti rincorsi da poliziotti e il fermo ai cancelli dell’università, oggi simile più a una prigione.
Fra le persone arrestate vi è anche la giornalista che ha diffuso per prima la notizia della morte di Mahsa. Si tratta di Niloofar Hamedi, che da diversi anni si occupava dei fatti di cronaca riguardanti le squadre della polizia della morale e la sua influenza - crescente dall’ascesa alla presidenza dell’ultraconservatore Ebrahim Raisi - sulla società iraniana.
Nel frattempo il bilancio è salito ad almeno 133 morti, oltre un migliaio (ma è difficile avere stime attendibili) le persone arrestate dai reparti di sicurezza. Fra queste vi è anche una ragazza italiana, Alessia Piperno, turista di 30 anni (sembrerebbe estranea alle proteste, pur avendone scritto sui propri canali social) e fermata nel giorno del suo compleanno. Nella notte l’appello disperato della famiglia sui social, che chiede aiuto al governo di Roma per ottenerne la liberazione.
P. Samir sottolinea che “anche fra i cristiani iraniani vi è profonda preoccupazione per quanto sta succedendo”. E le proteste di piazza per la morte di Mahsa Amini sono state oggetto di confronto e di discussione anche nell’incontro dei giovani della diocesi, promosso dallo stesso sacerdote: “Le ragazze si sentono toccate dalla vicenda, sono tristi e avvertono dolore per le morti e per i video in cui si tagliano i capelli. Sostengono però con altrettanta forza loro battaglia per le libertà e i diritti e nelle messe che abbiamo celebrato in questi giorni abbiamo voluto pregare anche per loro”.