La scelta del 25 dicembre per celebrare il Natale cristiano: dal dies natalis del Sol invictus, espressione del culto solare di Emesa (e del dio Mitra), alla celebrazione del Cristo, “sole che sorge”, di Andrea Lonardo
Nel 336[1] abbiamo la prima attestazione della celebrazione del giorno del Natale di Gesù al 25 dicembre in coincidenza con il giorno festivo del calendario romano dedicato al dies natalis del Sol invictus. Era ed è il solstizio d’inverno, il momento nel quale le giornate riprendono ad allungarsi e la luce - e, con il suo calore, la vita - lentamente riprende vigore.
La scelta della data cristiana non ha ovviamente nulla a che fare con una precisa conoscenza del giorno natale del Signore, che è sempre stata ignota, non essendoci fornita dai testi neotestamentari.
Piuttosto, per comprendere il motivo di questa decisione, dovremo risalire storicamente fino al culto solare celebrato nell’antica Emesa e trasportato a Roma dagli imperatori romani del III secolo d.C., ma, ancor più, indagare quella straordinaria attitudine del cristianesimo primitivo teso a scorgere le domande che emergevano dalla cultura pagana per illuminarle – è il caso di dirlo – a partire dalla novità del vangelo[2].
La celebrazione del Sol invictus nel mondo pagano
Ad Emesa[3], l’attuale Homs in Siria, si adorava da tempi antichissimi una divinità a carattere solare.
L’esistenza di divinità a carattere solare è un fenomeno religioso assai diffuso in diversi contesti culturali, ma nell’impero romano ebbe particolare sviluppo, grazie agli imperatori di origine siriaca, appunto. Caracalla (212-217), infatti, diffuse per primo il culto del dio solare di Emesa[4], poiché da quella città proveniva sua madre Giulia Domna, di stirpe sacerdotale - il padre di Caracalla era Settimio Severo. Con Eliogabalo (218-222) tale culto raggiunse il suo punto più alto, essendo egli sacerdote dell’Helios di Emesa, di cui intese fare il dio principale a protezione dell’impero (il dio solare era venerato proprio con il nome di El Gabal).
Eliogabalo fece erigere in Roma un apposito tempio nel quale fece trasportare da Emesa, una pietra caduta dal cielo, che era venerata nella città siriaca. Insomma, l’ascesa degli dèi siriaci procedette di pari passo con l’ascesa di dinastie di origine orientale sul trono imperiale. Con la caduta di Eliogabalo[5] ci fu, però, una decadenza del culto e la pietra sacra fu inviata nuovamente ad Emesa.
Il riferimento al sole, come immagine divina, fu certamente accentuato anche da una seconda forma di culto solare che fu importato in Roma, probabilmente al seguito dei soldati che rientravano dalle campagne in oriente, e, precisamente, il culto di Mitra. Mitra era, infatti, invocato come “Mitra invitto Sole”, sebbene Mitra e Sole appaiano talvolta distinti nel culto mitraico. I “misteri” di Mitra vengono conosciuti in occidente a partire dalla fine del I secolo/inizi del II e sono di carattere iniziatico, riservati ai soli uomini ed interdetti alle donne. Mantengono alcuni aspetti dell’originario culto di origine indo-iranica con gli aspetti solari e di giustizia, ma vi introducono gli elementi cosmogonici e soteriologici che li differenzieranno dalle primitive forme indo-iraniche. Sono così, nella forma che tanto successo ebbe nell’impero romano, posteriori al cristianesimo.
Anche il dio egizio Serapide fu venerato con caratteri solari, nello stesso periodo, e anche autori di impostazione neo-platonica, come Porfirio (232/33-305?) – e successivamente Giuliano imperatore (360-363) e Macrobio - fecero riferimento all’immagine del sole.
L’espressione più vivace del culto solare, successivamente ai Severi, si ebbe con Aureliano (270-275) che, entrato vittoriosamente ad Emesa, ne trasferì nuovamente il culto a Roma in un tempio eretto a spese dello stato[6] e vi istituì un culto ufficiale: un collegio sacerdotale fu incaricato e fu istituito un agone quadriennale da celebrarsi il 25 dicembre, dies natalis del Sol invictus.
Aureliano fece inserire definitivamente nel calendario civile romano la celebrazione del 25 dicembre, come giorno del Sole non vinto, che trionfa sulle tenebre. nel tempo si era accentuata la sfumatura enoteistica del culto solare[7].
Appare ormai sicuro che Costanzo Cloro, padre di Costantino, e così suo figlio almeno prima dell’incontro con il cristianesimo, venerassero nel sole come una immagine dell’unica divinità.
Cristo, luce del mondo, nel cristianesimo primitivo
In maniera indipendente da ciò che fin qui si è visto, si sviluppava, nel frattempo, il cristianesimo primitivo. Cristo è da subito, fin dai testi fondativi neotestamentari che rimandano al Gesù storico, compreso come la vera luce, più luminosa di ogni luce naturale, perché presenza e manifestazione
della stessa luce divina. Solo Cristo, luce del mondo è, perciò, capace di vincere ogni tenebra, compresa quella della morte e del peccato.
Nei sinottici tutto questo è espresso nella Trasfigurazione (cfr. Mt 17,2: Il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce), ma, ancor prima nei cosiddetti vangeli dell’infanzia (Lc 1,78: Sorgerà come sole, anatolê; qui è possibile tradurre anche con astro, cogliendo il riferimento messianico a Nm 24,17 e Ml 3,20) ed, ancora, nella predicazione pubblica di Gesù (Mt 4,16, che cita Isaia: Il popolo immerso nelle tenebre ha visto una grande luce).
Il tema appare nelle lettere paoline e deuteropaoline (2Cor 4,6: E Dio che disse: Rifulga la luce nelle tenebre, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo; Ef 5,14 Svegliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà). Nel caso di 2Cor 4,6 abbiamo una esplicita citazione del libro della Genesi, con riferimento alla creazione della luce separata dalle tenebre.
In Giovanni, il tema viene ancora più messo in evidenza, dal Prologo al cieco nato, fino alla 1Gv (Gv 1,9: Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo; Gv 8,12; 9,5: Cristo luce del mondo; Gv 12,35 Ancora per poco tempo la luce è con voi; 1Gv 2,8 Poiché le tenebre stanno diradandosi e la vera luce già risplende).
Il simbolismo, però, si allargava ad illuminare di sé ambiti sempre più ampi. Si pensi al dies Domini, il primo giorno dopo il sabato, la domenica, che coincideva con il Giorno del sole (ancora oggi, nell’inglese sunday), dove diveniva evidente, nell’annuncio cristiano delle prime generazioni, che il vero sole che sorgeva dopo il buio della morte era il Cristo risorto. O ancora alla successiva orientazione (dove orientare indica appunto il rivolgersi verso est, verso il luogo da dove sorge la luce del sole) delle chiese paleocristiane.
Abbiamo testimonianza negli scritti patristici che, prima del Natale – e prima ancora dell’Epifania che precede storicamente la scelta del giorno liturgico del Natale – alcuni scrittori cristiani avevano cercato ulteriori collegamenti simbolici con il tema del sole e della luce, per provare a determinare il giorno della nascita del Cristo, lasciato indeterminato dalle Scritture.
Come ha mostrato Hugo Rahner – fratello, anch’egli gesuita, del più famoso Karl, e straordinario studioso dei rapporti fra il cristianesimo primitivo ed il mondo pagano - è attestato che nel 243 l’anonima opera De Pascha computus aveva proposto che, a partire dalla convinzione che la creazione fosse iniziata con l’equinozio di primavera, cioè il 25 marzo, la nascita di Cristo andasse posta il 28 marzo, perché quella data cadeva il quarto giorno dall’inizio della creazione e, cioè, precisamente nel giorno della creazione del sole.
H.Rahner sottolinea che, se ad una prima lettura questo ragionamento non può non farci oggi sorridere, ad un livello più profondo manifesta che “ciò sui cui si fonda tale computo è indubbiamente la teologia del Cristo come sole di giustizia, teologia venuta a delinearsi già da lungo tempo e a cui è collegato il computo della data natalizia”[8].
Secondo la sua analisi già la festa dell’Epifania venne stabilita a partire da riferimenti analoghi. Dai testi di Epifanio di Salamina risulta che la festa fu introdotta in relazione alle celebrazioni solari pagane che avevano luogo il 6 gennaio, ad Alessandria d’Egitto e nell’oriente in genere[9].
Il Rahner premette alla sua opera la stupenda citazione di Clemente Alessandrino che scrisse nel suo Protrettico: “Vieni, ti voglio mostrare il Logos e i misteri del Logos, e te li voglio spiegare mediante immagini che ti sono già familiari”[10].
Essa manifesta, appunto, quell’attitudine della chiesa primitiva a guardare con attenzione al mondo nel quale viveva colui al quale si annunciava il vangelo, per coglierne quegli aspetti che potessero aiutarlo a comprendere la novità portata dal Cristo, secondo l’adagio paolino: “Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono, fuggire ogni specie di male” (1Ts 5,21-22).
Fu così che la chiesa di Roma per prima decise di celebrare la festa del Natale del Signore, vera luce del mondo, proprio nel giorno in cui l’uomo pagano si rivolgeva, ormai incredulo, al Sol invictus, chiedendogli benedizione e salvezza.
Gli scritti dell’età patristica manifestano la consapevolezza dei cristiani nell’operare in questa direzione. E’ conservata la testimonianza del trattato De solstitiis et aequinoctiis – testo attribuito dal Wilmart, che lo scoprì, alla fine del III secolo, ma che più probabilmente è degli inizi del IV secolo[11]:
“Ma (questo giorno), essi lo chiamano anche ‘Natale del Sole invitto’. Ma che cosa è così invitto come nostro Signore, che annientò e vinse la morte? E se quelli chiamano questo giorno il ‘Natale del sole’, Egli è il Sole di giustizia, di cui il profeta Malachia ha detto: ‘Divinamente terribile si leverà davanti a voi il suo nome come sole di giustizia e scampo sotto le sue ali’ ”.
Gli farà eco, con esplicito riferimento al solstizio, Girolamo, una volta che la festa apparterrà già alla tradizione[12]: “Perfino la creazione dà ragione al nostro dire, l’universo testimonia la verità delle nostre parole. Fino a questo giorno aumenta la lunghezza del buio; a partire da questo giorno le tenebre crescono. Aumenta la luce, si riducono le notti! Il giorno cresce, decresce l’errore perché sorga la verità. Ché oggi ci è nato il sole della giustizia”.
La celebrazione del Cristo stesso, in luogo del sole stesso, portava con sé anche l’aspetto demitizzante che ha sempre contraddistinto il cristianesimo. Così scriveva Firmico Materno, esaltando la verità della fede cristiana[13]:
“Se il sole, convocato tutto il genere umano, potesse parlare, desterebbe la vostra (di coloro che seguono i culti pagani) disperazione forse con questo discorso: O uomini deboli ed ogni giorno ribelli a Dio in tutti modi, chi vi spinse a sì gran delitto di dire con profano ed arbitrario errore d’insano capriccio ch’io nasco e muoio?... Piangete Libero, Proserpina, Attis, Osiride, ma senza menomare la mia dignità... Nel principio del giorno Iddio mi creò, questo solo mi basta”.
L’allora cardinal J.Ratzinger ha così espresso con un linguaggio moderno la freschezza e la bellezza di queste riflessioni dei Padri della Chiesa[14]:
“Il mondo in cui sorse la festa di Natale era dominato da un sentimento che è molto simile al nostro. Si trattava di un mondo in cui il ‘crepuscolo degli dèi’ non era uno slogan, ma un fatto reale. Gli antichi dei erano a un tratto divenuti irreali: non esistevano più, la gente non riusciva più a credere ciò che per generazioni aveva dato senso e stabilità alla vita. Ma l'uomo non può vivere senza senso, ne ha bisogno come del pane quotidiano. Così, tramontati gli antichi astri, egli dovette cercare nuove luci. Ma dov'erano? Una corrente abbastanza diffusa gli offriva come alternativa il culto della ‘luce invitta’, del sole, che giorno dopo giorno percorre il suo corso sopra la terra, sicuro della vittoria e forte, quasi come un dio visibile di questo mondo. Il 25 dicembre, al centro com'è dei giorni del solstizio invernale, doveva essere commemorato come il giorno natale, ricorrente ogni anno, della luce che si rigenera in tutti i tramonti, garanzia radiosa che, in tutti i tramonti delle luci caduche, la luce e la speranza del mondo non vengono meno e da tutti i tramonti si diparte una strada che conduce a un nuovo inizio.
Le liturgie della religione del sole avevano molto abilmente assunto un'angoscia e una speranza originarie dell'uomo. L'uomo primitivo che, in passato, nelle notti sempre più lunghe d'autunno e nella forza sempre più debole del sole, aveva avvertito l'arrivo dell'inverno, si era chiesto ogni volta con angoscia: muore davvero il sole dorato? Ritornerà? O finirà, quest'anno o un altr'anno, con l'esser vinto dalle forze maligne delle tenebre, così da non ritornare mai più? Il sapere che ogni anno ritornava il solstizio d'inverno garantiva in fondo la certezza della rinnovata vittoria del sole, del suo sicuro e perpetuo ritorno. È la festa in cui si compendia la speranza, anzi, la certezza dell'indistruttibilità delle luci di questo mondo. Quest'epoca, nella quale alcuni imperatori romani avevano cercato di dare ai loro sudditi, in mezzo all'inarrestabile caduta delle antiche divinità, una fede nuova con il culto del sole invitto, coincide col tempo in cui la fede cristiana tese la sua mano all'uomo greco-romano. Essa trovò nel culto del sole uno dei suoi nemici più pericolosi. Tale segno, infatti, era posto troppo palesemente davanti agli occhi degli uomini, in maniera molto più palese e allettante del segno della croce, col quale procedevano gli araldi cristiani. Ciononostante, la fede e la luce invisibile di questi ultimi ebbero il sopravvento sul messaggio visibile, col quale l'antico paganesimo aveva cercato di affermarsi.
Molto presto i cristiani rivendicarono per loro il 25 dicembre, il giorno natale della luce invitta, e lo celebrarono come natale di Cristo, come giorno in cui essi avevano trovato la vera luce del mondo. Essi dissero ai pagani: il sole è buono e noi ci rallegriamo non meno di voi per la sua continua vittoria, ma il sole non possiede alcuna forza da se stesso. Può esistere e aver forza solo perché Dio lo ha creato. Esso ci parla quindi della vera luce, di Dio. E il vero Dio che si deve celebrare, la sorgente originaria di ogni luce, non la sua opera, che non avrebbe alcuna forza da sola. Ma questo non è ancora tutto, non è ancora la cosa più importante. Non vi siete accorti forse che esistono un'oscurità e un freddo, nei riguardi dei quali il sole è impotente? È quel freddo che sorge dal cuore ottenebrato dell'uomo: odio, ingiustizia, cinico abuso della verità, crudeltà e degradazione dell'uomo...
Il bene otterrà senso e forza nel mondo? Nella stalla di Betlemme ci è offerto il segno che ci fa rispondere lieti: sì. Infatti, questo bambino - il Figlio unigenito di Dio - è posto come segno e garanzia che, nella storia del mondo, l'ultima parola spetta a Dio, a lui che è la verità e l'amore. Questo è il senso vero del Natale: è il «giorno in cui nasce la luce invitta», il solstizio d'inverno della storia mondiale. In mezzo all'altalena di questa storia ci è data la certezza che la luce non morirà, ma tiene già nelle sue mani la vittoria finale. Il Natale allontana da noi la seconda, più grande angoscia, che nessuna fisica può disperdere, la paura per l'uomo e dell'uomo stesso. Noi possediamo la certezza divina che la luce ha già vinto nella profondità occulta della storia e che tutti i progressi del male nel mondo, per grandi che essi siano, non possono assolutamente cambiare le cose. Il solstizio invernale della storia si è irrevocabilmente verificato con la nascita del bambino di Betlemme”.
La festa del Natale, sorta in occidente fu presto accolta anche in oriente. La troviamo testimoniata[15] nel 380 con Gregorio di Nissa in Cappadocia e con Gregorio di Nazianzo in Costantinopoli, nel 386 con Giovanni Crisostomo ad Antiochia, nel 380/400 con Asterio di Emesa nel Ponto, nel 432 con Paolo di Emesa ad Alessandria, nel 439 con Giovenale a Gerusalemme (certamente in quell’anno la celebrò Melania juniore a Gerusalemme, pochi giorni prima della sua morte).
Per un analogo approfondimento sul rapporto fra la festa cristiana di Tutti i Santi (Halloween) e la festa celtica di Samhain, vedi su questo stesso sito l’articolo La notte di Halloween e la festa cristiana dei santi: opposizione o continuità? Appunti in chiave educativa per la scuola e la catechesi in forma di recensione a La notte delle zucche di P.Gulisano e B.O’Neill, di Andrea Lonardo
Note
[1] La testimonianza è nella Depositio martyrum, l’antico calendario liturgico della chiesa di Roma, conservatoci, insieme alla Depositio episcoporum, nel suo Cronografo da Furio Dionigi Filocalo. Si evince dai dati interni al testo stesso che esso è stato composto nel 354 – la datazione deriva dai fasti consolari, dalle liste dei prefetti delle città e dei papi e dal catalogo liberiano – ma, poiché l’ultimo papa della lista primitiva del catalogo è papa Silvestro, scomparso nel 335, si retrodata la sua composizione originaria al 336 ca. L’elenco comprende le date liturgiche per la celebrazione dei martiri che erano festeggiati a Roma e nelle immediate vicinanze, Cfr. V.Saxer, Depositio episcoporum-Depositio martyrum, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti, Casale Monferrato, 1983, vol.I, coll.921-922.
[2] Già nel 1957 H.Rahner poneva con chiarezza i problemi metodologici di una indagine comparata delle religioni pagane e del cristianesimo, con particolare riferimento ai cosiddetti culti misterici (H.Rahner, Il mistero cristiano e i misteri pagani, in H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990, originale del 1957, pp.17-61), differenziando il versante storico da quello teologico. Per quel che riguarda la ricerca storiografica egli individuava due posizioni possibili (in questa sede, preferiamo semplificare il suo pensiero, poiché egli, in realtà, presenta tre atteggiamenti storiografici, ma uno di essi, che omettiamo, fortemente condizionato dalla teologia).
La prima consiste, nella sostanza, nel vedere i misteri cristiani come dipendenti da quelli pagani, cioè nel considerare la fede cristiana come una reinterpretazione della originaria vicenda di Gesù a partire da schemi esterni e cronologicamente precedenti pagani ed, in particolare, misterici.
La seconda vuole, invece, che i misteri pagani ed il cristianesimo siano sorti indipendentemente ed indipendentemente abbiano assunto i loro caratteri originari e solo dopo sia intervenuto il problema del loro rapporto e della loro reciproca influenza.
Appariva al Rahner già evidente ciò che è stato ampiamente confermato dalla storiografia successiva e cioè che gli argomenti della prima tesi sostenuta ad inizio secolo da vari autori (fra i quali il più famoso è R.Reitzenstein) erano estremamente fragili e che la seconda posizione era storicamente certa - si pensi solo al fatto che i misteri pagani si fissano nella forma conosciuta nell’impero romano solo alla fine del I secolo/inizi del II secolo d.C., cioè quando il Nuovo Testamento era già interamente composto, per mostrare quanto sia inconsistente la tesi di una derivazione del cristianesimo da essi. Nel caso dello gnosticismo, che comunque non appartiene ai misteri, vale addirittura l’opposto, poiché esso è chiaramente dipendente dal cristianesimo (vedi su questo gli articoli del prof.Gaetano Lettieri su questo stesso sito www.gliscritti.it Deus patiens: l’essenza cristologica dello gnosticismo. Lo gnosticismo, le sue origini cristiane e la sua importanza nello sviluppo teologico del cristianesimo e Ancora sullo gnosticismo come fenomeno post-cristiano negli studi di Gaetano Lettieri: appunti da una lezione da lui tenuta presso l'Ecclesia Mater l’8 febbraio 2007). Nella questione storica – notava ancora H.Rahner – si mescolava la questione teologica che vedeva le posizioni estreme di chi vedeva, da un lato, in maniera entusiasta i misteri pagani come una preparazione evangelica, un annuncio in maniera imperfetta di ciò che sarebbe apparso perfettamente con il cristianesimo e, dall’altra, la posizione di K.Barth e della teologia dialettica che, in nome dell’assolutezza della rivelazione cristiana, riteneva impossibile ed inutile ogni confronto fra essa ed altre prospettive religiose.
Più recentemente R.Brague - non più in relazione ai misteri, ma piuttosto alla filosofia ed al diritto - utilizzando la categoria della “secondarietà” ha voluto indicare come il cristianesimo, pur essendo indipendente ed autonomo, abbia accolto fin dalle sue origini i contributi importanti che gli erano storicamente precedenti, accettando di essere “secondo” rispetto ad essi. Questo atteggiamento di “secondarietà”, secondo i suoi studi, è quello che ha così permesso al cristianesimo di valorizzare tutti i contributi positivi precedenti (cfr. come esemplificazione, la storia del diritto romano e la sua conservazione e codificazione sistematica nell’impero romano-cristiano).
[3] Cfr. A.Di Berardino-B.Bagatti, Emesa, in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti, Casale Monferrato, 1983, vol.I, coll.1146-1147.
[4] Cfr. G.Sfameni Gasparro, Sole (culto del), in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti, Casale Monferrato, 1983, vol.II., coll.3253-3255
[5] La Storia Augusta vuole che già il cugino Alessandro Severo (222-235), figlio di Giulia Mamea – nati anch’essi, madre e figlio, in Emesa - venerasse anche Cristo nel suo larario. Notiamo, solo a sottolineare come l’importanza della città sia continuata nel tempo, che la città di Emesa dette – ma saranno passati ormai quasi tre secoli - i natali anche al Padre della chiesa Romano il Melode, morto dopo il 555.
[6] L’enorme tempio fu edificato in Roma, nel Campus Agrippae. Cfr. H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990 (originale del 1957), p.166.
[7] “Si legga nei frammenti di Cornelio Labeone conservatici da Macrobio come quel teologo del culto solare equipari lo Helios-Sol allo Jao ebraico e a Dioniso, se si vuol misurare il pericolo del sincretismo solare che si vide di fronte il cristianesimo, per non dir nulla della vittoriosa espansione che ebbero le liturgie mitraiche, per lo meno nell’esercito romano” (H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990, originale del 1957, p.167).
[8] H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990, originale del 1957, p.156.
[9] Egli sottolinea anzi come il Norden, nella sua opera Die Geburt des Kindes abbia provato a dimostrare – a dire del Rahner con ragione – che la diversità della datazione del 6 gennaio e del 25 dicembre si spieghi con lo spostamento della data paleoegizia del solstizio invernale dal 6 gennaio al 25 dicembre, cioè al giorno giusto fissato dalla riforma giuliana”, H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990, originale del 1957, p.161.
[10] Clemente Alessandrino, Protrettico, XII, 119, 1.
[11] Il testo fu poi edito in forma critica da B.Botte. cfr. su questo H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990 (originale del 1957), p.168.
[12] Hom. de nativit. Domini, citata in H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990 (originale del 1957), p.169.
[13] Firmico Materno, De errore profanarum religionum 8, citato in H.Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, EDB, Bologna, 1990 (originale del 1957), p.170.
[14] J.Ratzinger, Chi ci aiuta a vivere? Su Dio e l’uomo, Queriniana, Brescia, 2006, pagg.97-103.
[15] Cfr. sui dati che seguono: V.Saxer, Natale (festa di), in Dizionario patristico e di antichità cristiane, Marietti, Casale Monferrato, 1983, vol.II, coll.2346-2347.