Quale Europa? La questione delle radici cristiane dell’Europa. Un’intervista a Rémi Brague dopo il discorso di Benedetto XVI all’Hofburg di Vienna, di Daniele Zappalà
Presentiamo sul nostro sito, per il progetto Portaparola, l’articolo apparso su Avvenire di domenica 9/9/2007. I neretti sono nostri ed hanno l’unico intento di facilitare la lettura on-line del testo. Sul nostro sito sono raccolte altre due interviste al filosofo francese - Come uscire dal nihilismo e Cristiani e “cristianisti” - sotto il titolo Radici dell’Europa: modello latino e ispirazione cristiana alle origini della laicità e della sensatezza del vivere.
Il Centro culturale Gli scritti (11/9/2007)
Possiamo pure essere d’accordo sul fatto che l’Europa non debba rinnegare le sue radici cristiane. Ma occorre rendersi conto che ciò resta possibile. Vi sono anzi persone che lo desiderano. Ciò potrebbe attuarsi solo attraverso una gigantesca menzogna storica. Queste persone lavorano per realizzarla.
Per il filosofo francese Rémi Brague, il messaggio di Benedetto XVI a Vienna è anche un invito all’Europa a non coprirsi più gli occhi. Prestare acriticamente il fianco alle nuove ideologie antiumane galoppanti è come arrendersi preventivamente all’assedio di un’armata straniera.
Professore, la sorprende che Benedetto XVI abbia scelto l’identità europea come tema centrale del suo primo viaggio pontificale in Austria?
L’Austria è il luogo ideale per questo genere di riflessioni per via della sua storia. Quest’impero multinazionale, multilingue, in maggioranza cattolico ma con delle minoranze calviniste, ebraiche e persino musulmane, costituiva un’Europa in piccola scala. Come essa, l’impero era imperfetto, fragile, disordinato, ma vitale. Per di più, Vienna fu il luogo dell’ultima avanzata verso l’Europa dell’Impero ottomano, arrestato nel 1683 dai polacchi di Jan Sobieski. L’anniversario cade fra poco, il 12 settembre. La vittoria militare non sarebbe stata possibile senza una riaffermazione innanzitutto spirituale. È ciò che aveva compreso Marco d’Aviano, che Giovanni Paolo II ha beatificato. Oggi, nessun esercito assedia l’Europa. Ma sembra che essa cerchi qualcuno o qualcosa a cui potersi arrendere. Essa ha un bisogno urgente di persone come questo cappuccino italiano.
Nel discorso alle autorità politiche e al corpo diplomatico, il Papa cita i «terribili cammini» del passato europeo, a cominciare dai «restringimenti ideologici della filosofia, della scienza ed anche della fede, l’abuso di religione e ragione per scopi imperialistici […]». Cosa pensa di questa diagnosi?
Apprezzo il fatto che rappresenta anche un esame di coscienza rivolto agli stessi cristiani, e non solo una polemica rivolta verso l’esterno. Il Papa osserva che la stessa fede può subire un restringimento ideologico e una strumentalizzazione imperialistica. Apprezzo particolarmente l’uso dell’aggettivo «ideologico». Esso identifica il pericolo, cioè una corruzione che può annientare la scienza come la religione. L’ideologia perverte la religione prendendola per una scienza, ma può anche pervertire la scienza prendendola per una religione. Parlare di un abuso imperialistico della ragione mi sembra pure importante. Il progetto moderno voleva ridurre la ragione a un ruolo strumentale e metterla al servizio del dominio della natura. Ne scorgiamo i pericoli: siamo partiti dal «regno dell’uomo» (Bacone) per sfociare all’«uomo è qualcosa che deve essere superato» (Nietzsche).
Allo stesso tempo, continua il Papa, fra le caratteristiche dell’Europa vi è «una capacità d’autocritica che, nel vasto panorama delle culture del mondo, la distingue e la qualifica».
Puntare uno sguardo critico su di sé è in effetti, sembrerebbe, una caratteristica storica dello spirito europeo. Se ne osserva la presenza fin dalla Grecia antica, con Erodoto. Gli storici romani erano capaci d’immaginare gli argomenti degli avversari del dominio romano e di formularli con eloquenza. Le descrizioni meravigliate di civiltà esterne all’Europa, come quelle di Marco Polo, sono state fin dal Medioevo degli autentici successi. Nelle Lettere persiane, Montesquieu non fa che adattare un procedimento che s’incontra già nel XIV secolo, prima di Cristoforo Colombo e di Copernico.
L’autocritica implica l’uso di argomenti razionali, anch’essi evocati ancora una volta dal Papa come risorsa costituente della fede cristiana.
Il vero interrogativo che occorre porsi non è «come correggere la fede attraverso la ragione», ma invece «quale genere di fede è capace di accettare, e persino di auspicare un dialogo con la ragione». Trasponendo ciò nella storia del pensiero, personalmente non amo che si parli della «ragione greca» che sarebbe giunta per correggere la fede biblica. Infatti, la fede biblica è già aperta alla ragione. Essa lo è poiché non consiste nel sottomettersi a un Dio che esige obbedienza e annienta coloro che gliela rifiutano. Essa consiste nel giungere a dialogo con un Dio che accetta di entrare nella storia come un sostegno per il suo popolo, ad esempio, liberandolo dalla cattività. Guardiamo al modo in cui i profeti d’Israele rappresentano Dio che «fa una scenata» al suo popolo come un innamorato deluso. Egli ragiona con esso, prende come testimoni elementi della natura o di altri popoli chiamati ad arbitrare, fa valere degli argomenti. Se la religione biblica non avesse contenuto elementi di razionalità, presenti nelle narrazioni, come avrebbe potuto aprirsi alla ragione greca, presente nei concetti?
A chi si rivolge oggi il Papa quando ricorda proprio che l’Europa possiede «una tradizione di pensiero, per la quale è essenziale una corrispondenza sostanziale tra fede, verità e ragione»?
Il messaggio si rivolge innanzitutto, mi pare, alle forme di religiosità puramente sentimentali, nelle quali l’importante è che si provino delle sensazioni che verranno chiamate religiose, senza troppo chiedersi da dove esse provengano. Il problema di questa religiosità è che essa pone il soggetto umano, e non Dio, al centro, anzi in cima. L’idolatria non si concentra necessariamente su un oggetto esterno. Essa può divinizzare anche il soggetto. Senza saperlo, beninteso.
Eppure, alcuni intellettuali europei persistono nel divulgare l’idea dell’inconciliabilità fra fede e ragione.
Ciò può forse sorprendere, ma questa corrispondenza fra fede, verità e ragione non si oppone alla religione. Ben al contrario, solo essa può garantirne l’autenticità. Essa lo fa dicendo verso chi o cosa esattamente si indirizza il culto e dicendo per quali ragioni precise questo qualcuno o qualcosa è degno che gli si renda un tale culto. «Adorare in verità» (Giovanni, 4, 24), è adorare Colui che è dignum et justum adorare.
Le radici cristiane dell’Europa, ha sottolineato Benedetto XVI, rappresentano «una componente dinamica della nostra civiltà per il cammino nel terzo millennio». Come interpretare questo dinamismo?
Il dinamismo europeo è da molti secoli, forse persino a partire dall’XI secolo, una realtà abbastanza spettacolare e le cui conseguenze sono ancora fra noi. Lo storico americano Henry Adams opponeva nel 1916 la Vergine e la dinamo, non senza qualche nostalgia per la prima che quest’agnostico considerava però come un mito. Il suo compatriota Lynn White Jr. gli ha risposto, mezzo secolo dopo, con un’osservazione molto pregnante: le cattedrali sono i primi monumenti importanti che non furono costruiti da schiavi, ma da operai liberi, anzi aderenti a sindacati. La rinuncia dell’Europa occidentale al lavoro servile, e lo sforzo per alleviare il lavoro umano attraverso macchine presupponeva una concezione della dignità umana che proveniva dal cristianesimo. La Vergine e la dinamo non si opponevano; al contrario, è la prima che rende possibile la seconda».
Questa dinamo, nonostante il rallentamento demografico europeo e gli altri segnali preoccupanti evocati dal Papa, resta dunque lì a portata per illuminare la via del continente…
La parola «dinamismo» invita a riflettere. Non basta conservare lo statu quo, per esempio vivere in pace gli uni con gli altri. Occorre anche continuare ad avanzare. Per vivere assieme, basta mettersi d’accordo per non disturbare gli altri, a condizione che essi stessi non ci disturbino. Per avanzare, occorre quantomeno essere convinti che non si esiste invano, per caso, che si è benvenuti in questo mondo. Confesso di non riuscire bene a scorgere da dove altro l’Europa potrebbe trarre una tale convinzione se non da una fede religiosa.