Dante, di Roberto Benigni e Davide Rondoni (a cura di Simone Magherini)
Presentiamo sul nostro sito, per il progetto Portaparola, l’articolo apparso su Avvenire di domenica 9/9/2007. I neretti sono nostri ed hanno l’unico intento di facilitare la lettura on-line del testo.
Il Centro culturale Gli scritti (11/9/2007)
Rondoni: E tu, Roberto, non hai mai scritto una poesia?
Benigni: Ne ho scritte milioni per la mia bella! Ma non osare pubblicarlo e nemmeno dirlo.
Rondoni: Mario Luzi, ancora vivo quando ci furono le tue prime più eclatanti apparizioni televisive con Dante, mi diceva: «Si vede che ama quel che legge». Ora lo pensano milioni di persone. E poi tu il pallino della poesia mica l'hai da adesso. C'è una scena in Daunbailò dove citi anche Robert Frost… Leggere poesia, sembrerebbe una cosa strana, invece…
Benigni: Lo diceva Nabokov. Quando siamo piccolini c'è l'identificazione con l'autore, che è una maniera infantile; poi c'è quella adolescenziale, e «si legge per cercare un messaggio», una strada da seguire; poi c'è quella da studente, quando si cresce, accademica; da ultimo c'è quella matura, quando rifai il percorso dell'autore.
Rondoni: E tu il percorso di Dante ce lo hai fatto rifare un po' a tutti…
Benigni: I poeti sono più profondi dei filosofi, ciò che ti entra dentro non ti esce più. Non è un pensiero che corre. La poesia rende il quotidiano…
Rondoni: ...memorabile, lo rende memorabile…
Benigni: Ma guarda come trovi le parole, eh… La poesia rende memorabile il quotidiano e anche i pensieri potenti.
Rondoni: Tu hai visto quest’Italia che riscopre Dante e riconosce che c'è qualcosa di buono a cui attaccarsi… Questa è una fame strana, profonda. Ma spesso si guarda questo tipo di fenomeno con scetticismo. Lo si deride dicendo: è uno spettacolo, una moda. Secondo me viviamo da un punto di vista culturale un momento durissimo. Solo 5 studenti italiani su 100 all'esame di maturità fanno la prova su Dante e Francesco, che sono due pilastri della nostra cultura, e questo significa una crisi della nostra tradizione e del futuro. Spesso le istituzioni e gli intellettuali non si accorgono di questo fatto, ma badano solo a se stessi. Però c'è quella fame… Avendo fatto questo viaggio, in te che idea dell'Italia è maturata?
Benigni: La cosa bella di un grande abbraccio proprio fisicamente sentito. Ho deciso di fare questo viaggio, l'ho fatto seriamente. Tutte le sere ci sono una media di 6/7000 persone che escono amando Dante. Dicono che la Commedia è bella, che la poesia li può interessare. Ho visto l'Italia sua, perché Dante è stato dappertutto. Ogni volta mi sono preparato su quel luogo, il dialetto, la storia della città, e poi quello che ha fatto Dante nella zona. È un mistero ancora per me… A Palermo, c'era uno stadio pieno, sembrava la partita Palermo-Roma.
Rondoni: Tu come leggi questo tipo di fame?
Benigni: Lo spettacolo potevo intitolarlo «Dante, Berlusconi e Prodi: l'Inferno» e sicuramente avrebbe richiamato molti. Con «Tutto Dante», avevo detto, si perde metà degli spettatori. Ma proprio nella seconda parte dello spettacolo, è lì che il pubblico rimane più colpito. La parte che è solo di Dante. Non c'è più nemmeno nostalgia per la parte comica. La sorpresa è stata la reazione della gente, un desiderio di sentirsi prendere per mano, come uno che riscopre e ritorna a vedere come lui è fatto realmente. A volte applaude sul silenzio, su delle sensazioni più che su dei concetti. L'ultima volta in una città del sud ci sono stati almeno 15 applausi a scena aperta sul nulla, un nulla che vuol dire tutto…
Rondoni: È che la poesia è usare proprio le parole per dire, per dare voce a quel che non si sa, un mistero, un silenzio che ci parla nel reale…
Benigni: Giusto! Io dico le cose come un bambino che va a portare in alto quello che ha trovato. È quello che ha fatto Dante: uno che è andato in fondo all'Oceano in apnea ed è tornato fuori quasi senza fiato, e poi è tornato giù, dicendoci continuamente «Voi fate schifo», e poi si è immerso, è tornato su e ci ha detto che siamo Dio. È commovente. Dante salva dall'abitudine perché è infantile lui, fa vedere come si diverte con questi morti che sono più vivi dei vivi. Come diceva Saba. Dante ti tocca dove non ti avevano mai toccato. Lui è alto e basso e va a fondo come un ascensore continuo. Questo è un mistero, quando arrivi ai versi non capisci più, non lo so dire neppure a me stesso e allora cerco di trasmettere questa cosa che non si può sapere e che è la più bella di tutte. A volte è accaduto che alla fine del canto ci sia un silenzio come per la musica classica. Ad esempio quando dice «Caddi come corpo morto cade». Si intuisce che Dante vede piangere Paolo e Francesca abbracciati, e poi sviene. E in più, Dio che aveva fatto cessare il vento, i rumori, perché il poeta potesse sentire, pure Dio rimane sospeso un momento. Dio stesso si chiede se sarà giusta questa regola.
Rondoni: Questa nostra epoca è segnata da due cose che sembravano parole fuori moda rispetto alla cultura del secondo Novecento: Dio e libertà. Il rapporto tra queste due cose è un problema urgente, che riguarda credenti e non credenti. Dante aveva qualcosa da dire, perché era uno che aveva preso sul serio la propria vita. Per lui Dio è un protagonista attivo e la libertà è ciò che costituisce l'uomo, senza la quale l'uomo non esiste. La Commedia è il poema cristiano, cioè della libertà di Dio e nostra. Come in quel punto supremo, nell'Inno alla Vergine, in cui si capisce che Dio per salvare l'uomo nella libertà si innamora di Maria, l'aspetta da sempre…
Benigni: E lui è l'unico che sa davvero cosa vuol dire: ti aspettavo da sempre! È una parte stupenda, a cui tu hai dedicato quelle belle pagine che uso… Una cosa alta che è anche una storia di focolare. Ci sono proprio cose sentite vicino al focolare. La bellezza di Dante anche nel canto alla Vergine, che mi ha proprio affascinato tanto, è che c'è dentro tanta roba semplice, c'è la superstizione, non solo teologia. Come Stravinskij ha usato la musica popolare, Dante va da sant'Agostino a san Tommaso, da san Bernardo fino alle superstizioni. Nella Commedia il senso della libertà non è il mero «voglio fare quel che mi pare», è la libertà insita dentro di noi, inalienabile, che anche ridotti in catene nessuno ci può levare. E che ha turbato anche la Chiesa: il contrasto tra l'onnipotenza divina e la libertà umana, per cui anche Dio si ferma. Accade persino nelle punizioni, tipo ai lusingatori che Dante mette nello sterco. La libertà dell'uomo sembra più forte di Dio! Anche nella punizione sembra che Dio non possa fare niente contro la nostra libertà: l'idea del contrappasso è popolare.
Rondoni: Per questo il festival «Dante09» lo chiamo ritrovo di tipi danteschi, cioè di gente che sente l'avventura del viaggio con questa allegria e serietà, vertigini e comico, visione e saggezza popolare…
Benigni: La grandezza è che in lui c'è sempre il bambino e l'adulto. Ti fa sentire che, anche nelle situazioni più orrende dell'umanità, l'uomo è capace di bontà, c'è questa libertà che nulla può piegare. La libertà di dire no a Dio, alla parte divina nostra stessa. L'irriducibilità dell'uomo, la grandezza, la magnificenza non viene meno, è insita. Per questo cerco di far capire con parole semplici che anche l'etica con fondamento religioso non è più profonda o diversa dell'etica senza fondamento religioso. Questa è una cosa importante, se no non c'è più dialogo. La stessa profondità, la stessa attenzione al dolore, la stessa altezza.
Rondoni: Io penso che l'etica sia una conseguenza della profondità con cui si sente la vita, dell'estetica, di come se ne avverte la bellezza, il mistero… E i poeti a che servono? A far risentire a tutti che la vita è un evento irriducibile…
Benigni: Un'epifania. Come nell'innamoramento. Come si fa a sopportare quello che ci accade i primi tempi? Meno male che il Signore ci ha dato la maniera, se no si va in manicomio, non si sopravviverebbe mica. E accade anche con lo stupore del vivere. Dante fa sentire che ognuno di noi, anche se i suoi giorni e notti non appaiono eccezionali a nessuno, è protagonista di un dramma epico insostituibile, unico. Ti fa sentire che ognuno di noi è qui per complicare e completare l'affresco. E c'è anche l'impressione che c'è Qualcuno che ti guarda continuamente, sempre, perché ti vuole bene. Che tutto lavora per qualcosa. Addirittura ti fa sentire che nessuno è così strano da non poter essere capito. Siamo tutti meno estranei e meno nemici, dopo. Il mondo è meno estraneo.
Rondoni: Te lo saresti mai aspettato di fare uno spettacolo così?
Benigni: Non immaginavo neanche! Adesso comunque son molto contento di quello che riesco a fare. Poi sbaglio, faccio a volte degli errori clamorosi, però loro sentono che a me mi piace da morire, gli arriva e qualcosa gli rimane, una scintilla di questo amore. Il risultato è quello, fai vedere che ami una cosa. Un uomo che ama qualcosa è uno spettacolo. E io lo spettacolo ce l'avevo già, perché io amo proprio Dante. Ogni tanto me ne parlavano a casa. I miei genitori son contadini e una delle frasi di mio babbo quand'ero piccino che mi ricordo di più, quando a 13-14 anni hai uno sguardo impaurito sulla vita, è questa. Stavamo levando le patate insieme e lui si accorse che sbagliavo tutti i colpi. Si fermò e mi disse: «Ragazzo, cerca di trovare una donna che gli vuoi bene, e al mondo non ti farà paura più niente». Lui dava dei colpi alle patate che uscivano delle pepite d'oro, non ne sbagliava uno, e io pensai: uno che sa levare le patate così la deve saper lunga, gli do retta! Lui parlava di Dante, anche se era uno che non parlava tanto, era spiritoso, allegro. Mia mamma era analfabeta, ma come la «Madonna del cardellino» di Raffaello aveva sempre in mano il Vangelo, si metteva accanto a una cosa calda e apriva questo libro senza saper leggere. E io le dicevo: «Ma mamma, non sai leggere…», e lei mi guardava in un modo e sorrideva e non rispondeva, ma sembrava che mi dicesse: «So leggere più di te».
Rondoni: In Dante, si vede che il segreto dell'arte è l'obbedienza. Dante è uno che «quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch'e' ditta dentro vo significando».
Benigni: Che verso, anche quello! Obbedisce. Non ci avevo pensato ma è proprio vero, il segreto dell'arte è l'obbedienza. Io ormai lo faccio tutte le sere, per me è diventata come una musica che riconosco come in uno spartito… Fa impressione come lui sia riuscito a tenere tecnicamente. Quando si legge il Convivio o il De Vulgari si capisce il laboratorio, che era proprio un letterato vero. Ha pure inventato il montaggio. Quando vado a montare un film, io mi ricordo il decimo canto dell'Inferno che parte con un montaggio straordinario. Prima di lui non era proprio possibile...
Rondoni: Ne avrai viste di tutti i colori, con questo giro…
Benigni: Senti un po'. In Veneto c'era pure Baggio alla rappresentazione. Io lo amo tanto Baggio. Mi ha detto: «Sai che mi hai fatto capire meglio il buddismo?». Gli ho detto: «Ma dove vai? C'hai Cristo... non è per dire, ma noi c'abbiamo quello... come ce lo aveva il nonno, il nonno di tuo nonno...».
Rondoni: la stessa risposta che m'han riferito di Totti: «Scusi, ma lei è cattolico?». «Ecche cce devo esse?».
Benigni: È la risposta che dico io quando me lo chiedono: «E che devo essere!?» (io però purtroppo lo dico in italiano). Nei diari di Gandhi, quando andava di moda l'induismo e dopo il '68 andavano tutti in India, lui ha lasciato scritto che aveva scoperto il cristianesimo per mezzo di Tolstoj. E gli diceva a questi: «Ma c'avete Cristo e venite da me?». Non si può fare gli spiritosi in queste cose, perché sono talmente profonde...
Rondoni: Oggi invece si tende a semplificare, a banalizzare questa fame di grandezza, a buttar via nella vita ciò che è grande, magari con la scusa che è difficile…
Benigni: Ma è così bella la difficoltà, beata... È una benedizione del cielo che tu non sappia come fare, perché lì diventi uomo, scopri il mondo, la vita, scopri che sei vivo. Se prendi una pasticca per eliminare questo, è desertificare l'emozione, non sei più vivo. Peggio degli ignavi, è un girone nuovo: quelli non hanno voluto vivere. Non solo non hanno vissuto, ma dicono «Non mi interessa di vivere». Questi ignavi qui Dante non li conosceva.
Rondoni: E senti un po', dopo Dante, torni a fare il cinema?
Benigni: Certo, ma che scherzi?!
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