L’età adulta, le sue transizioni e le domande di senso. Appunti da una relazione del prof. Duccio Demetrio
Gli appunti che presentiamo on-line sono stati presi durante la relazione che il prof. Duccio Demetrio ha tenuto al XL Convegno nazionale dei direttori UCD, Passaggi di vita, passaggi di fede, che si è svolto a Vasto Marina, dal 18 al 21 giugno 2007. Ci scusiamo in anticipo qualora, in alcuni passaggi, avessimo frainteso il pensiero del relatore. La pubblicazione on-line di questi appunti vuole essere solo un tentativo di conservare memoria di quell’incontro e vuole permettere a chi non ha potuto parteciparvi di conoscere almeno l’itinerario generale seguito dalla relazione del prof.Demetrio. Il prof. Duccio Demetrio, fondatore del gruppo di metodologia autobiografica insegna Filosofia dell’educazione all’Università degli Studi di Milano Bicocca ed è direttore della rivista Adultità, edita da Guerini, oltre ad essere fondatore, insieme a Saverio Tutino, della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Fra le sue pubblicazione ricordiamo L’età adulta, Carucci, 2003; Autoanalisi per non pazienti, Cortina; In età adulta, Gerini, 2005; Filosofia del camminare, 2005.
Il Centro culturale Gli scritti (30/12/2007)
Fiori e frutti sono maturi quando cadono; gli animali si sentono e si trovano l’un l’altro e sono soddisfatti. Ma noi, che ci siamo prefissi Dio, non possiamo essere pronti. Spostiamo in avanti la nostra natura come le sfere dell’orologio. Abbiamo ancora bisogno di tempo.
R.M.Rilke
Tutto ciò che l’io sa del mondo non proviene dall’io, ma dal mondo. Perfino tutto ciò che l’io sa di se stesso proviene dal mondo e da quella parte viva del mondo che è il suo corpo, la carne... per questo l’io può sentirsi e comprendersi solo mediante le cose-che-sente e le cose-che-comprende.
I.G. de Liano
(da Sul fondamento. Istruzioni per l’uso della filosofia, B. Mondadori, Milano, 2003, citato da D. Demetrio, in “Transizioni” e trascendenza: come l’adulto parla di sé e quali problemi pone relativamente alla domanda di senso, relazione al XL Convegno nazionale dei direttori UCD, Passaggi di vita, passaggi di fede, in Notiziario dell’Ufficio catechistico nazionale, XXXVI (2007), n. 3, p. 43)
“L’età adulta è la meno studiata, la più misteriosa, al punto che potremmo parlare di una sua enigmaticità”. Così ha esordito il prof. Demetrio indicando il difficile compito di porsi al servizio di essa.
Demetrio ha poi sviluppato la sua riflessione in tre tappe che ha definite come le transizioni, la domanda di senso ed il racconto di sé.
1/ Le transizioni
Già la prima tappa della riflessione, affrontando il concetto di transizione, ha indicato una prima correlazione con la dimensione della trascendenza – il prof. Demetrio ha subito sottolineato di sentirsi un profano, dinanzi a questa dimensione, in un contesto ecclesiale come quello del Convegno.
La vita vive di continue transizioni. Sono transizioni del nostro finito, che possono essere microscopiche o strabordanti. Certo è che il finito stesso è insufficiente. Per questo, anche se tali cambiamenti possono essere piccoli, possiamo vederne il loro spessore di transizioni verso la trascendenza.
Il prof. Demetrio ha indicato tre possibili figure di essi:
- in primo luogo le transizioni sono come un attraversamento, verso tappe più adulte. Si presentano talvolta come messe in scacco, fallimenti. Li attraversiamo e spesso ne restiamo indenni! Questo vuol dire che l’attraversamento di per sé non segna un passaggio di vita, una transizione; non è detto insomma che porti ad aprire una domanda di vita o di senso o di significato.
Ci accorgiamo che una esperienza di malattia, di lutto, come di gioia, avrebbe potuto aprire una domanda che è stata, invece, subito richiusa.
- in secondo luogo possono essere vissute come un semplice oltrepassamento, come un superamento degli ostacoli. È possibile così schivare le transizioni; può essere messo in atto un atteggiamento che si prefigge esattamente di schivare le transizioni. Anche qui vengono, però, in questo modo addormentate le domande di senso.
- la terza figura prende sul serio il fatto che la parola chiave del termine transizione è, invece, mutare, assumere una postura della vita differente.
Se facciamo una vera esperienza mutativa, ecco che siamo in una prospettiva trascendente (non necessariamente in senso religioso), nella dinamica di una profondità che riporta a se stessi, in un travaglio, in una sorta di doppio dolore. Questo cambiamento genera sofferenza, ma anche un vero e proprio entusiasmo del ricominciamento.
Se ne può parlare da laici, da non credenti; questo mutamento può, però, dischiudersi anche ad una trascendenza religiosa.
In questa terza figura è come se la scorza più dura della nostra impermeabilità alla trascendenza diventasse molto più tenue e si aprisse alla sua possibilità.
Ci troviamo come dinanzi a qualcosa che si presenta mirabilis, che ci ammutolisce.
Vibra, in questo caso, in qualsiasi cuore che sia attraversato da una simile esperienza, come una forza rifondativa dentro di noi. Possiamo fare riferimento alla parola miracolo che, nell’etimologia latina, conserva un riferimento al verbo colo con la sua evocazione fondativa, rifondativa.
In questo senso non è l’emozione di un attimo, è la tensione che ci conduce ad aspirare ad altro, ad oltrepassarci.
Dobbiamo subito dire che è un evento raro, non usuale, che dobbiamo avvicinare ed ascoltare.
L’attenzione a questo evento è stata chiamata dal prof. Demetrio non laica, ma filosofica – “preferisco questa parola”.
Questa mutazione può giungere ad una trasformazione che contempla la trascendenza, ma può anche arrestarsi prima.
Qui il prof. Demetrio ha presentato la metafora del pellegrinaggio. Nel pellegrinaggio cristiano il viaggio e l’arrivo sono in simbiosi e viaggiare senza arrivare sarebbe altrettanto incompiuto quanto arrivare senza viaggiare, perché la trasformazione ha luogo anche nel corso del viaggio.
Non è così nel cammino filosofico, dove non si può mai sapere bene –ha affermato- dove porterà una strada, né se porterà da qualche parte. Qui ciò che è più certo è da che cosa la strada distoglierà, spesso da un assopimento che non è forma di saggezza, dalla rassegnazione, dal ripiegamento eccessivo su se stessi.
Sant’Agostino, nel libro X delle Confessioni, in quel libro che è il libro autobiografico della memoria, ha scandito come tre tappe che si possono indicare così:
- I/ rede in teipsum
- II/ nosce teipsum
- III/ trascende teipsum.
Il non credente si ferma ai primi due motivi. L’uomo, comunque, smarrito ogni narcisismo anche esibizionista, è costretto a rientrare in se stesso ed a cercare di conoscersi di più.
Le transizioni sono oggi ormai inevitabili, perché l’antropologia delle transizioni è mutata e non solo per il prolungamento della vita. Prima l’età della vita adulta era la più breve, era l’estate che ci abbandona presto. Ora l’estate è lunghissima, anche per i cambiamenti climatici. Prima chi giungeva all’età adulta non si annoiava mai, perché era un’età breve per una vecchiaia altrettanto breve. Oggi l’età adulta pare interminabile, come l’adolescenza.
Le crisi dell’età adulta sono oggi crisi dell’età adolescenziale, sono crisi dell’adulto in cui riemerge la trasgressione. Un tempo l’adolescenza era vista come l’età della crisi del carapace nella quale la corazza del crostaceo si rende fragile e debole. Oggi è l’età adulta che vive questa crisi: si manifesta la sua sottile permeabilità rispetto agli eventi ed alle transizioni
Ma il dramma è soprattutto quello degli incontri mancati che non generano trasformazioni. Le tre assiomatiche definizioni di sant’Agostino che abbiamo visto possono non accendersi più di tanto, perchè avvengono all’insegna di una condizione adulta della quale di malavoglia ci facciamo carico, perché non vengono a coincidere con la nozione di maturità.
C’è una adultità che non coincide con la maturità. Talvolta questa maturità non si compie nel corso dell’età adulta e nel corso di una vita intera al punto che si può morire annoiati.
Il mercato alleva i Peter Pan ovunque, perché si è scoperto che consumano di più.
Se adulti si diventa di necessità, si attraversano momenti nei quali non c’è un approfondimento, non c’è una maturazione. Ma è nella maturità che si gioca la nostra intenzionalità, la nostra scelta, la nostra volontà, la nostra ricerca interiore, incontrando altri maturi.
Nella maturità c’è sempre quel motivo della instabilità e dell’incertezza (come diceva san Francesco), perché non esiste una maturità definitivamente raggiungibile. Per questo – ha affermato Demetrio - è necessario tentare di distinguere una maturità che ci riporta alle responsabilità dell’età adulta, verso noi stessi (con la domanda di senso) e verso gli altri.
Il paradosso è che, se da un lato, le transizioni sono attese - i giovani, gli adolescenti le attendono - ci può essere poi come un’acquiescenza e la transizione può divenire una sorta di fisiologia esistenziale. La letteratura statunitense individua oggi negli stadi di un adulto circa 26 fasi o sottofasi (dall’ingresso nell’età di mezzo, alla crisi dell’eccessiva stabilità, alla crisi della prima età di mezzo, alle crisi ulteriori che si arrestano attorno ai 90 anni, fino ai 90 anni che sono definiti oggi l’età del cristallo quando le passioni si sono spente e, finalmente, dopo 8 matrimoni, è raggiunta l’anima gemella!). Il prof. Demetrio ha sottolineato come gli studi, in particolare quelli comportamentisti, si accaniscono su queste fasi , che sono tesi alle crisi; si cercano così helpers, facilitatori per ciascuna di queste fasi.
Ma, allora, ciò che prevale, la visione che domina, è l’esasperazione di una versione cronologistica dell’esistenza. È come se la vita di ognuno di noi avesse una sua consistenza non nella temporalità, ma nelle scansioni cronologiche successive, degenerative: è una visione cronica dell’esistenza!
È cioè una versione puramente diacronica, che individua uno dopo l’altro i passaggi di vita. Invece, la versione che sembra più interessante è quella sincronica, per usare una terminologia junghiana. In questa prospettiva i passaggi di vita sono meno rilevanti: ciò che conta, invece, è che il soggetto, colui che vive la crisi di identità, di conferma di sé anche nel mondo sociale, in relazione, si interroghi su tensioni che non nascono intorno ai 30/40 anni, ma sono invece tensioni che covano sotto la cenere e che in un momento critico emergono, come una patologia che taceva sotto il livello delle sembianze, come qualcosa di importante che taceva sotto.
Pare una malattia e pare che se l’aspettino tutti gli arrivati alla mezza età! Vogliamo sapere cosa sta succedendo e cosa dobbiamo aspettarci: ma questo modo di banalizzare indebolisce il valore della crisi profonda, cosicché essa viene rapidamente sepolta e dimenticata. Non si assiste più ad uno sprofondamento nel dubbio, dubbio non come mera scelta decisionale, ma – ancora una volta – come opportunità da raccogliere e semmai da suscitare.
Questo dubbio oggi può non venire raccolto per i lenitivi, i sedativi – talvolta le stesse psicoterapie sono lenitive, soprattutto le psicoterapie brevi; in tre giorni ti promettono un restauro esistenziale! Ma sono forme riparatorie, forme di allontanamento dalle domande esistenziali di senso. Viviamo così questa crisi dell’età adulta e la società le contrappone degli antidoti messi in moto per allontanare da queste domande, piuttosto che per esaltarle.
I tentativi di consulenza filosofica sono da guardare con criticità e sospetto, ma anche con simpatia!
La persona in difficoltà va, infatti, posta nella condizione non solo di espellere il dolore, ma di convivere con esso. Deve giungere a capire che è bene mantenersi estremamente permeabili, mantenere poroso quello stato di coscienza, per una riapertura. Abbiamo, cioè, bisogno che la crisi non venga immediatamente sepolta e nascosta. Dobbiamo raccoglierla e svilupparla in forme di carattere educativo e rigenerativo.
Per questo sono chiamati in causa i motivi dell’orizzonte personale che mettono in gioco gli orizzonti dell’arte, della poesia, della letteratura. La prospettiva è quella di una nuova educazione degli adulti, non più come trasmissione dall’esterno di nozioni e saperi; un adulto che si reincontra con la ricerca di senso, con una maieutica, con uno sviluppo che nasca da se stesso di questi interrogatovi.
La crisi, se è feconda, se è una crisi che si dischiude, non può non essere abitata dall’inquietudine: questa è un valore che appartiene alla tradizione cristiana da sempre
Come diceva G. Marcel ne L’homme problematique, quando affermava che l’inquietudine è esistere come possibilità di affermazione che l’inquietudine che vado vivendo non è soltanto inevitabile, ma salutare, è l’impazienza dell’anima del credente che soffre per essere privato della visione. Un inquietudine che va considerata come tratto caratteristico della stessa maturità.
L’inquietudine è tratto della maturità, la maturità non è la fine dell’inquietudine! È importante sottolineare qui la differenza fra l’angoscia e l’inquietudine.
Un altro autore che è illuminante in questa direzione è R.M. Rilke che, nella sua analisi ha anticipato gli studi sull’età adulta, riflettendo su cosa sia l’angoscia che non si dischiude alla trasformazione.
Una crisi non è uno scacco senza sbocco, purché si scopra una transitività dalla vita esteriore alla vita interiore, per passare dalla presenza dell’inutile che ci abita, che ci circonda, alla presenza del vuoto dentro di noi, al valore delle domande ultime dentro di noi. Queste domande ultime non possono che ricondurci al desiderio della conoscenza di sé.
Il prof. Demetrio ha fatto riferimento anche a K. Jaspers, e precisamente alla sua opera La fede filosofica.
Possiamo, insomma, misurarci con quelle sensazioni spaesanti che può vivere un filosofo non di professione, ma un uomo od una donna che si pone domande di senso, che si interroga su di una trascendenza religiosa o filosofica. Questo è vero anche in una vita propriamente religiosa, nella scoperta che la fede non è qualcosa di appreso e di rituale semplicemente da ripetere sempre, ma è la riscoperta dell’esistenza, è la scoperta che la problematicità dell’esistenza è il possibile oltrepassamento che non può dipendere solo da noi.
2/ La questione della domanda di senso
Nella seconda tappa il prof.Demetrio si è soffermato sulle difficoltà odierne a trovarsi dinanzi a domande di senso. È, infatti, per lui evidente che se ne pongono poche, molto poche di domande di senso. Spesso vengono fatte comparire, se compaiono, solo alla fine della vita, mentre sarebbe estremamente fertile che si ponessero prima.
Quasi scherzando il prof. Demetrio ha affermato di non comprendere le conversioni tardive. È bello pensare, invece, alle conversioni avvenute ai 30 anni, od ai 40 anni: persone che a quell’età si dedicano alla meditazione ed all’ascolto del divino. E’ una conversione che ha tutta la forza e tutto il senso. Esiste almeno una conversione almeno agli interrogativi dell’esistenza.
Sarebbero – propone Demetrio - da approfondire almeno 3 vie di fuga moderne dal pianeta degli interrogativi:
- la fuga dall’invisibile nel visibile
- la ricerca di ciò che è tattile e visibile
- la fuga dalla conoscenza di sé
Sono tutte caratterizzate da una fuga dal silenzio che, invece, rappresenta la vera possibilità, la vera novità, ben diversa dalla fuga nei talk-show televisivi.
È il silenzio teso quello che non fa fuggire, un silenzio ben diverso da quello proposto dalle varie correnti della New Age, teso a svuotare la propria conoscenza.
Nel volume Filosofia del camminare. Esercizi di meditazione mediterranea, il prof. Demetrio ha proposto alcune tesi sulla necessità di un ritorno alla meditazione mediterranea, radicata nella nostra tradizione.
Una meditazione, cioè, che privilegia non quegli aspetti che cercano la pacificazione del proprio io, ma quei motivi che nel risveglio del rapporto con la realtà, la natura e gli altri, ci portano a non dismettere mai la nostra tensione interrogante e sempre scontenta dei nostri approdi.
La meditazione che il prof. Demetrio ha definito ‘mediterranea’non cerca di fare il vuoto dentro di noi, ma diventa piuttosto una forma di resistenza per vincere la fuga dai motivi dell’esistenza che è la vera fuga nascosta dietro la fuga da sé e dall’invisibile. È, cioè, la fuga dal porsi domande essenziali, ultime.
3/ La parola del racconto di sé
La terza ed ultima tappa è stata dedicata dal prof. Demetrio al tema del racconto di sé, che è la sua declinazione e peculiarità, alla scrittura di sé, anche come risorsa per il lavoro con gli altri e per gli altri.
Fra queste domande che non vogliamo porci – ha affermato - ci incontriamo con il ruolo che oggi ha la parola.
La parola è cosa a grande rischio: essa viene offesa, infatti, dall’uso banalizzante che se ne fa. Il prof. Demetrio ha indicato pertanto il gusto per la parsimonia della parola: essa deve farsi parca, essenziale.
Gli adulti, infatti, parlano fin troppo di sé. Il problema del racconto di sé non è quello di sviluppare sempre racconto di sé, parola di sé.
Il compito della Narrazione autobiografica compiuta dal prof. Demetrio – “tengo al lavoro che svolgo come facilitatore di narrazione scritta” – è quello di una riduzione della parola.
Il lavoro che si compie ad Anghiari è quello di aiutare a capire che si può scrivere la propria a vita in una pagina. Ma poi è possibile scrivere della pagina una sola frase o addirittura rendere emblematica la nostra vita in una sola parola.
Demetrio ha affermato che “la scrittura che ogni giorno vado scrivendo non è un gesto narcisista, un gesto di esaltazione di sé, ma invece la tensione verso una sintesi, verso una semplificazione di sé”. Allora ha senso la scoperta che c’è sempre qualcosa d’altro da aggiungere ad una maturità che non si accontenta delle frasi fatte.
La scrittura non può allora accontentarsi di frasi effimere, ma deve essere un mezzo per perseguire il proprio cammino interiore. Il prof. Demetrio ha voluto così esprimere un elogio della scrittura, come veicolo e viatico per non fuggire da sé: colui che si guarda allo specchio, non fugge.
In questo senso, la scrittura di sé talvolta si rivela più feconda di una clinica psicoanalitica.
È, infatti, un movimento che nasce da noi stessi e che ci espone al silenzio, non solo per il piacere del silenzio che può avere un rischio estetico o estetizzante. Ben più profondamente perché il motivo sacro del nostro vivere è il silenzio.
Se aiutiamo gli altri a scrivere, se ci sforziamo di leggere le loro parole, questa scrittura acquista un valore non solo per noi, ma per l’altro ed al posto dell’altro, affinché nessuna storia dell’altro possa andare mai perduta – ha concluso il prof. Demetrio.
Infine ha fatto riferimento all’opera di Bernanos del 1936, Diario di un curato di campagna, un testo nel quale si incontrano la fede e la tradizione filosofica. Bernanos fa dichiarare al suo personaggio che l’opera sarebbe dovuta essere “una conversazione fra il buon Dio e me”, una conversazione che rivela il posto enorme dei 1000 fastidi quotidiani, ma insieme quel senso di una presenza invisibile, che viene percepita nella dolcezza così grande di scrivere.
Il prof. Demetro ha poi risposto ad alcune domande che gli sono state rivolte.
Ha affermato che gli Esercizi di Ignazio di Loyola sono ben distanti da uno svuotarsi di origine orientale. In Ignazio l’interiorità non è introspezione, quanto piuttosto una eccedenza di una presenza, rispetto alla ricerca di sé.
Ha spiegato di essersi avvicinato alla cultura meditativa di carattere orientale, ma di essersene subito allontanato. Si può non riuscire a stare in posizione yoga per più di 4 minuti o a fissare un mantra, non perché si è distratti dal vedere un insetto o dal sentire una bella voce in lontananza, ma proprio perché si preferisce con decisione il passaggio dell’insetto o la bella voce, secondo l’hilaritas di San Francesco!
È, sopratutto, per una formazione di carattere filosofico che sente la povertà della meditazione di tipo orientale. La formazione impedisce al filosofo di interrompere la ricerca; egli ha la fascinazione di ogni idea che richiede una riflessione continua. Il prof. Demetrio ha affermato che, pur essendo non credente, si sente profondamente legato alla cultura cristiana. Sente il debito verso di essa. È molto più emozionante un crocifisso che il volto sorridente assunto dal Buddha a 90 anni al momento della sua scomparsa.
Quel sorriso può anche irritare, perché non è possibile concedersi la pace in un mondo dove non c’è la pace. Il crocifisso rappresenta il richiamo ad una inesauribilità, ad una responsabilità che tutti noi abbiamo.
La finitezza talvolta può diventare intollerabile, se non si apre al suo contrario. “Il Buddha mi è sempre sembrato troppo finito” – ha detto. Il crocifisso e la tortura della via crucis comunicano, invece, il senso di un dolore come fonte inesauribile del contatto con il divino e con il problema del male.
“La parola ‘introspezione’ – ha affermato ancora il prof. Demetrio- mi ha sempre ispirato un desiderio di riscatto”. Si potrebbe dire che la corrente dell’introspezionismo è stata occultata, a partire quasi da un sospetto di origine freudiana. Certo è vero che l’introspezione può diventare un gioco intellettualistico. Questo guardarsi dentro a cosa mira? Se si tratta dell’inconscio non serve nella direzione che stiamo indagando. Il ritrovamento dell’inconscio può avvenire solo attraverso l’altro, nella psicoanalisi. L’introspezione diventa, invece, interessante se si tratta della memoria: questo è l’oggetto dell’introspezione. Allora ognuno ha veramente bisogno di questa operazione mentale per un ripescaggio dei ricordi e per ricondurci alla morale ed alla sospensione del giudizio. Anche se l’introspezione non è ancora l’interiorità cristiana
Dobbiamo vivere allora anche di un’eccedenza. L’interiorità non può essere trasformata solo in carattere cognitivo-cognitivistico, questo sarebbe depauperarla del suo mistero. Possiamo essere abitati da un’altra interiorità, possiamo esercitare la preghiera che si trasforma in attività meditativa, che è una meditazione sui vangeli, sulle Scritture.
San Francesco non ha meditato sugli uccelli e sull’acqua; egli certo ha esercitato l’attività contemplativa, ma la vera meditazione cristiana così come la meditazione francescana, si è sempre caricata di una problematizzazione, per essere sempre meditazione sulla parola dei vangeli
Il prof. Demetrio ha infine concluso facendo riferimento all’esperienza di Anghiari, nella Università della scrittura autobiografica, dove più che una scrittura, si cerca una ri-scrittura della vita: la scrittura permette alle persone di diventare protagoniste del racconto di loro stesse.