Un mondo scomparso a causa del regime comunista: i cristiani cinesi dell’800 e del ’900. Non ci furono solo i gesuiti in Cina, ma un popolo multiforme che è possibile vedere ancora nelle foto d’epoca. Breve nota di Andrea Lonardo alle immagini con un testo tratto da Cathopedia

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 11 /09 /2022 - 23:45 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

Riprendiamo dalla voce Chiesa cattolica in Cina di Cathopedia la sezione riguardante l’allontanamento dei missionari e la persecuzione dei cattolici cinesi negli anni del comunismo, con l’aggiunta delle foto chr abbiamo reperito on-line. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Novecento: il comunismo.

Il Centro culturale Gli scritti (11/9/2022)

Da Cathopedia, l'enciclopedia cattolica.

Dopo la soppressione dell'Ordine gesuita

Dopo la chiusura della Compagnia di Gesù l'attività evangelizzatrice, oltre che la gestione delle strutture religiose e delle chiese, fu assegnata principalmente ai lazzaristi, ai frati domenicani e ad altri ordini.

Nel 1811 vennero condotte altre campagne di persecuzione contro i missionari cattolici, e la Chiesa cattolica visse di nuovo periodi molto difficili.

Dopo la ricostituzione della Compagnia di Gesù nel 1814, i Gesuiti furono riammessi in Cina nel 1842 e tentarono di riconquistare le posizioni perdute diverse decenni prima.

L'azione missionaria ebbe un nuovo impulso nella seconda metà del XIX secolo, in seguito alle due Guerre dell'oppio, che il regime cinese perse contro le potenze occidentali.

I vincitori costrinsero infatti l'impero della Dinastia Qing a firmare i due "Trattati Ineguali" (1860), che tutelavano nuovamente l'opera di evangelizzazione nel paese.

I missionari, sia cattolici sia protestanti, e le suore fondarono scuole femminili (le prime nel Paese), orfanotrofi per bambini abbandonati, ospedali; introdussero nuove colture agricole e boschive (come la vite, il pomodoro, la patata, l'orzo, oltre a insegnare la tecnica del maggese). Nacquero le prime università cattoliche a modello scientifico (Fu Jen a Pechino, Aurora a Shangai).

Dalla Rivolta dei Boxer alla Repubblica Popolare

All'inizio del XX secolo si verificò un episodio di grave crudeltà verso i cristiani: una società segreta di stampo xenofobo, la "Società di giustizia e concordia" (conosciuta in Europa con il nome di Boxers[1]), che aveva preso di mira la presenza degli stranieri in Cina, trucidò ben 30 mila cattolici (tra locali e stranieri), che si erano rifiutati di rinnegare la fede. Alcune centinaia di martiri saranno canonizzati da Giovanni Paolo II nel 2000.

Nel 1911 il plurimillenario impero celeste crollò ed i cristiani dovettero fronteggiare una situazione di crescente instabilità.

L'opera di evangelizzazione non si fermò. Nel 1926 vennero ordinati i primi sei vescovi cinesi. Ai missionari e alle suore si deve anche la prima rivolta contro i "piedi fasciati" delle donne.

La Chiesa viene più volte riorganizzata durante gli anni trenta, che furono molto duri per la popolazione a causa dell'invasione giapponese. In questo periodo, nel 1935 il missionario e sinologo tedesco Franz Xaver Biallas (1878-1936) fondò presso l'Università Cattolica Fu-jen di Pechino una rivista di studi orientali, i Monumenta Serica[2].

Negli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale, la Chiesa cattolica progredisce nel suo radicamento sul territorio: nel 1946 la Santa Sede nomina il primo cardinale cinese di nascita. La Chiesa cinese giunge ad un assetto definitivo con la creazione della gerarchia ecclesiastica ordinaria. Il territorio è suddiviso in 20 arcidiocesi, 85 diocesi e 34 prefetture apostoliche. I vescovi cinesi da 6 sono diventati 20.

I cattolici sotto il regime comunista

Già durante la guerra civile (1946 – 1949), i comunisti avevano compiuto atti di violenza verso la Chiesa cattolica.

L'abbazia trappista di Nostra Signora della Consolazione a Yangjiaping (180 km nord-ovest di Pechino), considerata da Papa Pio XI un modello, tanto di citarla nell'enciclica Rerum Ecclesiae, fu devastata da ripetuti saccheggi di formazioni comuniste ed infine incendiata (1947). I monaci furono legati mani e piedi con fili di ferro e sottoposti a marce forzate nel gelo invernale. La maggior parte morirono durante gli spostamenti. I sopravvissuti vennero sottoposti a "processi popolari" e infine messi a morte[3].

Nel 1949, l'anno della presa del potere dei comunisti guidati da Mao Ze Dong, i cattolici in Cina sono circa 3,5 milioni, i sacerdoti 5.788 (di cui 2.698 cinesi), le suore 7.463 (di cui 5.112 cinesi), i frati 840[4]. Nel Paese ci sono oltre 300 seminari[5].

La Chiesa conta anche numerose opere sociali: 216 ospedali e case di ricovero; 6 lebbrosari; 781 dispensari medici; 254 orfanotrofi; 3 università; 189 scuole superiori e secondarie; 2011 scuole elementari; 2243 scuole di catechesi; 32 tipografie; una cinquantina di giornali e riviste[6].

Preso il potere, il Partito comunista avvia un'intensa campagna in favore dell'ateismo, che comprende notevoli limitazioni ai religiosi provenienti dall'estero, la chiusura di numerose chiese e la statalizzazione delle tre università cattoliche. La politica di repressione prosegue con la chiusura di seminari, conventi e scuole cattoliche. Molti missionari stranieri sono costretti a lasciare il Paese, altri vengono incarcerati e poi espulsi.

Nel novembre del 1950, nel tentativo di avviare una mediazione con il regime, i cattolici del Sichuan settentrionale pubblicano un "Proclama sull'indipendenza e la riforma" (in seguito chiamato "Manifesto delle Tre Autonomie"). Il regime accoglie favorevolmente il documento ed esercita pressioni sulle comunità cattoliche per l'allineamento con il Movimento delle Tre Autonomie[7]. Intervengono i vescovi, che rifiutano ogni forma di distacco dalla Santa Sede.

Il governo intanto procede nella chiusura di seminari, cattolici e protestanti, e nell'espulsione di missionari europei. Sono cacciati 1.136 missionari e 14 vescovi di origine straniera. Tra il 1951 e il 1952 un'ondata di arresti e di esecuzioni sommarie attraversa il paese. Tra le centinaia di migliaia di vittime, vengono colpiti anche molti cristiani[8]. Il 5 settembre 1951 viene espulso anche il nunzio apostolico, Antonio Riberi, che si rifugia a Taiwan. Prima della fine dell'anno il governo confisca tutte le proprietà della Chiesa sul territorio nazionale.

Viene orchestrata anche una campagna nazionale contro gli orfanotrofi e le scuole cattoliche. Poi sono prese di mira le associazioni laicali, trattate come "organizzazioni antigovernative". Per esempio, la Legio Mariae, considerata un'organizzazione paramilitare, è colpita da centinaia di arresti[9]. Contemporaneamente il regime avvia una grande campagna di indottrinamento, prima nelle grandi città e poi in tutti gli altri centri del paese.

Nel 1952 Papa Pio XII pubblica la lettera apostolica Cupimus imprimis in difesa della cristianità cinese. La risposta del regime è dura: in quell'anno più di tremila missionari stranieri e 12 vescovi missionari vengono espulsi; altri 23 vescovi finiscono in carcere (con conseguenti percosse e torture) e 5 agli arresti domiciliari; oltre trecento sacerdoti (stranieri e cinesi) sono incarcerati o inviati ai lavori forzati. Dopo l'ondata di espulsioni e arresti, il regime pone le basi di una Chiesa cattolica "nazionale". Alla fine del 1954 la presenza dei missionari è ridotta a poche decine di unità.

Nel settembre del 1954 viene approvata la nuova costituzione della Repubblica popolare cinese, che getta le basi per il controllo del Partito comunista su ogni attività organizzata. Il mese dopo Pio XII pubblica l'enciclica Ad Sinarum Gentem che condanna la creazione di una Chiesa cattolica cinese separata da Roma. Intanto la persecuzione del regime non si arresta: nel 1955 la Chiesa cattolica a Shangai, guidata dall'arcivescovo Ignazio Kung Pin Mei[10], una delle più fiorenti del Paese, viene azzerata. Alla fine dell'anno i missionari stranieri ancora presenti sul suolo cinese, inclusi 2 vescovi, sono solo 16, di cui 14 in prigione. Gli ultimi seminari e i conventi vengono chiusi.

Il 2 agosto 1957 nasce l'"Associazione patriottica cattolica cinese", organizzazione direttamente controllata dal regime; da allora la chiesa cattolica entra nella clandestinità e comincia ad essere chiamata "sotterranea". Ai cattolici viene imposto di iscriversi all'associazione; per chi rifiuta e rimane fedele alla Santa Sede sono aperte le porte dei campi di lavoro. Cominciano le ordinazioni episcopali da parte dell'A.P.

Il 28 giugno 1958 Papa Pio XII pubblica una nuova enciclica sulla Cina, Ad Apostolorum Principis, in cui denuncia la persecuzione in atto e dichiara illecita la nomina dei vescovi da parte della chiesa autocefala; il Papa precisa comunque che i vescovi consacrati senza l'approvazione della Santa Sede non saranno scomunicati poiché si ritiene che non abbiano accettato liberamente il porporato.

Nel 1962, al Concilio Vaticano II, la Chiesa cinese è rappresentata solo dai vescovi in esilio (60, di cui 49 stranieri) e da quelli di Hong Kong, Macao e Taiwan, sede, quest'ultima, della nunziatura presso la Repubblica popolare.

Tra il 1966 e il 1969, durante il periodo di repressione noto come Rivoluzione culturale, vengono chiuse le pochissime chiese ancora rimaste aperte; successivamente molte subiscono il vandalismo delle Guardie rosse e vengono distrutte. "La Cina si presenta al mondo come un Paese completamente ateo, con l'eliminazione radicale di ogni religione e la proibizione di qualsiasi manifestazione di fede"[11].

Dopo la morte di Mao Ze Dong (1976) i nuovi vertici del regime cominciano a concedere una limitata libertà religiosa; numerosi cristiani detenuti nei campi di lavoro vengono progressivamente liberati.

Nel 1979, per la prima volta dopo oltre 25 anni, i cristiani possono celebrare pubblicamente il Natale in tutta la Cina. Negli anni successivi si riaprono al pubblico molte chiese, sotto l'ombrello dell'Associazione Patriottica, che le gestisce con il suo personale. Nonostante ciò, il regime non dà nessun segno di distensione verso la Santa Sede, anzi nel 1980 ribadisce che le comunità cattoliche non registrate sono considerate sovversive e quindi vanno perseguite. Le comunità più numerose di cattolici rimasti fedeli al papa sono quelle in Hebei (in particolare la diocesi di Baoding); Shaanxi; Fujian e Mongolia interna.

Nel 1982 il partito comunista approva il Documento n° 19 (tuttora in vigore), l'atto che fonda la politica religiosa di Deng Xiaoping, il successore di Mao alla guida del Paese. In esso si afferma che le religioni in Cina sono destinate a scomparire, ma non devono più essere combattute; nell'immediato "sono tollerate in quanto sostengono la guida del partito comunista e la modernizzazione del Paese"[12]. La libertà di credere rimane una concessione dello Stato all'individuo.

In attuazione del Documento, l'Associazione Patriottica, la Chiesa controllata dal regime, approva alla fine degli anni ottanta lo "Statuto del collegio dei vescovi". Diverso è il trattamento che il governo riserva ai cristiani ancora fedeli al papa. Essi devono essere controllati, pertanto tutti i luoghi di culto e tutti i sacerdoti devono essere obbligatoriamente registrati. Questa politica di ferreo controllo indebolisce le comunità "non ufficiali", senza tuttavia riuscire a piegarle. La Chiesa fedele al papa fonda in clandestinità la Conferenza episcopale cinese (1989). Nel giro di poco tempo tutti i partecipanti dell'incontro fondativo verranno scoperti ed arrestati.

Dopo il clamore dei fatti di Tiananmen (1989) cominciano a circolare in Occidente i diari dei sopravvissuti ai laogai. Due testimonianze si impongono su tutte: quelle di Padre Huang e di Padre Tiande, rinchiusi rispettivamente per 25 anni e per 30 anni. Entrambi non rinnegarono mai la loro fede, nonostante fossero sottoposti a continue sedute di rieducazione ed a privazioni di ogni genere. Ha passato 30 anni della sua vita nei campi di lavoro anche il vescovo di Shanghai Ignazio Kung Pin Mei (creato cardinale da Giovanni Paolo II mentre era detenuto), entrandovi a 56 anni ed ottenendo la liberazione all'età di 86 anni. I periodi di detenzione più lunga (almeno tra i casi conosciuti) sono quelli di padre Saverio Cai, mons. Tommaso Zeng Jingmu e mons. Han Dingxian, che hanno passato 35 anni nei laogai.

[…]

Note al testo

[1] Probabilmente per un'errata interpretazione dell'ideogramma che li identifica, che raffigura un pugno chiuso. Il pugilato, a quel tempo, non era ammesso in Oriente, in quanto disciplina occidentale. I cosiddetti "Boxer" erano in realtà cultori delle arti marziali.

[2] Il nome ha un doppio significato: "reliquie cinesi" oppure "documenti di cultura cinese". La rivista, che subito ottenne grande prestigio nell'ambito degli studi orientali, dovette trasferirsi in Germania a causa dello scoppio della guerra civile (1945-1949).

[3] Andrea Riccardi, Il secolo del martirio, Mondadori, 2009, pp. 250-52.

[4] Gerolamo Fazzini (a cura di), Il libro rosso dei martiri cinesi, San Paolo, 2006, p. 243.

[5] Gerolamo Fazzini (a cura di), op. cit., p. 243. Andrea Riccardi (Il secolo del martirio, Mondadori, pag. 237), riporta invece il numero di 17 seminari, tra maggiori e minori, dove studiavano complessivamente circa quattromila persone.

[6] Gerolamo Fazzini (a cura di), op. cit., p. 244.

[7] Le tre autonomie sono: 1) proibizione della presenza di missionari stranieri; 2) conduzione delle chiese solo da parte di prelati locali; 3) divieto di ogni finanziamento dall'estero.

[8] Andrea Riccardi, op. cit., p. 240: "C'è che parla di milioni di vittime”.

[9] Andrea Riccardi, op. cit., p. 241.

[10] A lui è intitolata la "Fondazione Kung", nata per promuovere il cattolicesimo in Cina.

[11] Gerolamo Fazzini (a cura di), op. cit., p. 248.

[12] Gerolamo Fazzini (a cura di), op. cit, p. 250.