Elaine Pagels sui vangeli apocrifi di Tommaso e di Giuda: il ruolo di Ireneo di Lione, di Clemente, di Origene nella lotta contro lo gnosticismo, di Manlio Simonetti
Riprendiamo da L’Osservatore romano del 22/11/2007 l’articolo di Manlio Simonetti che portava il titolo originale “Un uso gnostico dei testi gnostici. Elaine Pagels sui vangeli di Tommaso e di Giuda”. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza on-line sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (24/4/2008)
Molto si è parlato, dall'aprile del 2006 ai nostri giorni, del Vangelo di Giuda, un nuovo testo gnostico in traduzione copta da un perduto originale greco sicuramente rimontante al II secolo, che si è aggiunto ad arricchire ulteriormente la già ricca collezione di testi gnostici in nostro possesso — per lo più in traduzioni in lingua copta dal greco — composta soprattutto, anche se non esclusivamente, dalla cosiddetta biblioteca di Nag Hammadi, la cui conoscenza, nella seconda metà del secolo scorso, rinnovò e dette grande impulso agli studi sullo gnosticismo.
Se ne scriviamo di nuovo è perché è di questi giorni la pubblicazione di un libro, tradotto dall'inglese, di Elaine Pagels e Karen L. King, Il Vangeloritrovato di Giuda. Alle origini delcristianesimo (Mondadori), e se la King ha già una sua collocazione negli studi sullo gnosticismo, la Pagels va considerata come uno degli studiosi più importanti in questo campo, autrice di libri che hanno avuto vasta risonanza non solo nel ristretto ambito degli specialisti direttamente interessati. Essa da vari anni ha concentrato la sua attenzione soprattutto sui vangeli gnostici oggi conosciuti, sì che questo suo ultimo libro continua un discorso già da tempo iniziato e che merita di essere attentamente considerato.
Non è il caso, per altro, di risalire fino al bestseller I vangeli gnostici (pubblicato in Italia nel 1979), e per questo articolo prendo le mosse da un suo libro solo di poco precedente a questo recentissimo, Beyond Belief. The Secret Gospelof Thomas, pubblicato nel 2003 e nel 2005 in traduzione italiana, col titolo Il Vangelo segreto di Tommaso. Indaginesul libro più scandaloso del cristianesimodelle origini (Mondadori). Va subito richiamata l'attenzione sulla seconda parte del titolo della traduzione italiana, evidentemente escogitata per incrementare le vendite a spese di lettori sprovveduti: in effetti questo testo di Nag Hammadi — una raccolta di detti di Gesù solo in parte tramandati anche dai vangeli canonici, già ben conosciuta in quanto fu tra i primi testi di Nag Hammadi a essere pubblicata — è tanto poco scandaloso che la sua appartenenza allo gnosticismo, oggi per lo più ammessa, fu inizialmente molto contestata, soprattutto da uno ottimo conoscitore di questa materia quale fu Gilles Quispel.
L'originalità del libro della Pagels sta soprattutto nell'abile, a volte suggestivo, intersecarsi di osservazioni critiche con notazioni di carattere strettamente personale: ne ricaviamo il percorso esistenziale di questa studiosa, che un gravissimo lutto ha reso simpatetica con l'esperienza degli gnostici, il cui pessimismo cosmico nasceva appunto dal senso di alienazione e di prigionia che essi avvertivano nel loro essere nel mondo e che li portava a disprezzarlo a punto tale da considerarlo creato non dal Dio sommo, padre di Cristo, ma da un dio inferiore, il Demiurgo.
Il tema fondamentale intorno al quale si articola la riflessione critica della Pagels in questi ultimi anni è quello del decisivo allargamento delle nostre conoscenze sul cristianesimo dei primi secoli, dovuto alla scoperta e pubblicazione dei nuovi testi gnostici. Di qui abbiamo appreso che quel cristianesimo era ben più variegato e complicato di quanto prima si sapesse, dato che la corrente di pensiero che gradualmente ha preso il sopravvento sulle altre si è imposta e proposta come unica espressione di verità, fondando l'ortodossia cattolica e definendo tutte le altre dottrine come eretiche, destinate così all'oblio.
Ovviamente di tutti questi contrasti eravamo bene informati già da prima a opera dei polemisti cattolici attivi nel II e III secolo (Ireneo, Tertulliano, PseudoIppolito, Clemente, Origene), i cui scritti in buon numero sono giunti a noi; e da questi e altri di autori posteriori (Epifanio) conosciamo molto delle dottrine gnostiche, e anche non gnostiche, che furono condannate come eretiche (l'importantissima Lettera a Flora dello gnostico Tolomeo è stata trascritta per intero nel Panarion di Epifanio).
È indubbio che la scoperta di Nag Hammadi, portando alla nostra conoscenza, sia pur non nel testo greco originale ma in traduzione copta, varie decine di testi prima del tutto, o quasi, sconosciuti, ha dilatato a dismisura le informazioni disponibili su questi movimenti d'idee, di queste correnti religiose che il prevalere della Chiesa cattolica aveva fatto dimenticare. C'è addirittura qualche studioso che oggi ama parlare non di cristianesimo ma di cristianesimi del II secolo, e ricordo bene che Antonio Orbe, conoscitore quant'altri mai degli gnostici e del loro avversario Ireneo, più di una volta ebbe a dirmi di considerare il cristianesimo del II secolo come vera e propria epoca d'oro del cristianesimo proprio per la ricchezza di idee e di dottrine tra loro conviventi e contrastanti, ricchezza destinata gradualmente a diminuire col prevalere della dottrina cattolica.
Che questo imporsi comportasse l'emarginazione delle dottrine eretiche derivava dalla ben fondata convinzione che il complesso delle Chiese cristiane diffuse, nel II e III secolo, nel bacino del Mediterraneo, stante il loro scarso quoziente di coesione sotto l'aspetto organizzativo e disciplinare, potesse costituire un organismo unitario soltanto sul fondamento di una dottrina unitaria su Dio e il suo rapporto con l'uomo.
Quello che fa la specificità del libro della Pagels sul Vangelo di Tommaso non è tanto la novità dell'impostazione critica quanto il suo personale atteggiamento di aperta simpatia nei confronti di queste correnti d'idee e di convinzioni religiose destinate a venir meno, per cui Ireneo di Lione, in quanto importante polemista antignostico, viene presentato come un vero e proprio prepotente, che impone le sue idee, ridicolizzando e, per ciò stesso, deformando le dottrine degli avversari, che avevano il medesimo diritto a vivere.
In definitiva questo porsi della Pagels dalla parte dei vinti, presentati come vere e proprie vittime innocenti della prepotenza dei vincitori, è atteggiamento dettato dalla condizione esistenziale che s'è detto, e come tale può essere condiviso o no: è comunque fuor di dubbio che l'eccessiva sintonia difficilmente va d'accordo con quel minimo di distacco che si richiede allo studioso al fine di una presentazione serena del suo argomento.
Quello che per altro qui corre soprattutto l'obbligo di precisare è che la simpatia dell'autrice per gli gnostici si riflette su alcune prese di posizione critiche che appaiono contestabili. Non è il caso di soffermarci su affermazioni di dettaglio più che discutibili, limitandoci, come esempio, a quanto si legge a p. 52: «A partire dalla metà del II secolo i “cristiani di Pietro”, che erano attivi a Roma e si definivano cattolici (cioè “universali”), furono considerati i fondatori della Chiesa e tali sono ritenuti ancora oggi dai cattolici romani e da buona parte dei protestanti», che nel complesso mi risulta incomprensibile: chi sono i cristiani di Pietro? Che cosa s'intende per Chiesa: la Chiesa universale o quella di Roma?
Preferisco invece tornare all'argomento dell'attività antignostica di Ireneo, fondamentale nel discorso della Pagels. A p. 93 leggiamo che «il primo artefice del cosiddetto “canone”» dei quattro vangeli «fu probabilmente Ireneo»; ma «probabilmente» è assente a p. 70, dove leggiamo che Ireneo «proclamò che soltanto Matteo, Marco, Luca e Giovanni, collettivamente ed esclusivamente costituivano l'intero canone, che egli chiamò “vangelo quadriforme”».
Di questa affermazione possiamo accettare che l'idea di definire vangelo quadriforme i quattro vangeli sia stata di Ireneo, ma in questo passo è detto molto di più: è dato per certo che la selezione dei quattro vangeli ai fini della definizione del canone del Nuovo Testamento sia stata operata da Ireneo e che egli in questa selezione abbia considerato concluso il canone neotestamentario.
Di contro è chiaro e risaputo che Ireneo considerava Scrittura ispirata non solo i vangeli ma anche le lettere di Paolo. Soprattutto va contestata l'affermazione che il canone neotestamentario sia stato opera di Ireneo. Io stesso sono convinto che Ireneo abbia in qualche modo collaborato alla definizione del canone neotestamentario, ma di fatto non si sa con certezza quando dove e come esso sia stato costituito.
È facile ipotizzare il contributo della Chiesa di Roma e, probabilmente, quello delle Chiese d'Asia, in quel tempo le più vivaci culturalmente nell'ambito dell'intera cristianità; Ireneo in quanto asiatico d'origine e trapiantato in Occidente può ben aver fatto da tramite: ma nulla sappiamo di sicuro e perciò ogni affermazione in proposito va debitamente sfumata. Quello che è sicuro è che non è possibile considerare un sola persona autore del canone neotestamentario. Più in generale, non è possibile accettare il ruolo di assoluto protagonista che Ireneo occupa nelle pagine della Pagels: egli fu uno dei più validi polemisti antignostici, ma altri in questo campo non furono meno valenti e meno influenti di lui: Tertulliano, Clemente, Origene. In definitiva, la sopravvalutazione di Ireneo deforma notevolmente la presentazione che la Pagels fa della polemica antignostica del II e III secolo.
Successivamente essa enfatizza, ancora una volta in modo eccessivo, il ruolo di Atanasio nella lotta antieretica. Sconcerta soprattutto quanto leggiamo a p.146 in merito al canone neotestamentario di cui Atanasio tratta nella lettera festale del 367: «La lettera conteneva una serie di istruzioni molto dettagliate, che ampliavano e attuavano le linee guida abbozzate da Ireneo quasi duecento anni prima in un mondo profondamente diverso. (...) Dopo aver enumerato i ventidue libri che a suo giudizio componevano il Vecchio Testamento, Atanasio propone quello che forse è il primo elenco dei ventisette libri del Nuovo Testamento».
Da queste parole si ricava non soltanto che questo di Atanasio è il più antico canone da noi conosciuto dei ventisette libri del Nuovo Testamento, ma molto di più: cioè che dopo Ireneo Atanasio sarebbe stato il primo a continuare l'opera da lui intrapresa in merito al canone neotestamentario, il che non è assolutamente vero, perché Eusebio nella Storia della Chiesa (III, 25), ben anteriore al 367, tratta ripetutamente di tale canone e lo espone in modo ben più dettagliato, distinguendo tra libri accettati da tutti e altri sotto discussione.
In sintesi, il libro sul Vangelo di Tommaso della Pagels non sembra sempre sorretto da una adeguata conoscenza dei Realien relativi alla storia del cristianesimo dei primi secoli, il che ovviamente non giova all'esattezza della sua ricostruzione storica.
Nel volume sul Vangelo di Giuda, la Pagels — questa volta in collaborazione con Karen King, alla quale si deve anche un buon commento del breve scritto gnostico — ha portato avanti il discorso che abbiamo già rilevato nel volume sul Vangelo di Tommaso, col medesimo afflato di simpatia per i vinti di tanto tempo fa e ancora con la medesima sopravvalutazione d'Ireneo.
Non è il caso di rifare ancora qui la poco edificante storia del non molto che si sa della romanzesca vicenda che ha portato alla pubblicazione soltanto nel 2006 di un testo scoperto molti anni prima e per sordida avidità di guadagno trattato in modo da danneggiarlo fino al punto che, nonostante la competente e paziente opera di ricostruzione dei disiectissimamembra a opera di Rodolphe Kasser, non pochi brani dell'opera sono andati irrimediabilmente perduti.
Basterà ricordare che nel libro, dopo il racconto di due visioni, una degli apostoli e l'altra di Giuda, una breve e tipica cosmogonia gnostica viene presentata in proiezione soteriologica ed escatologica come rivelazione di Gesù rivolta a Giuda, da lui preferito a tutti gli altri apostoli e il cui tradimento sembra da lui stesso voluto.
Questo scritto, di cui Ireneo (Contro le eresie, I, 31, 1) a suo tempo aveva dato una scheletrica notizia, è molto importante per due aspetti tra loro intrecciati. Ovviamente uno consiste nella presentazione positiva di Giuda e negativa degli altri apostoli. Già prima della conoscenza di questo scritto era ben conosciuto l'atteggiamento negativo di certe sette gnostiche nei confronti dell'economia veterotestamentaria, considerata rivelazione del dio inferiore, il Demiurgo, al punto da considerare positivamente i personaggi presentati negativamente nell'Antico Testamento e viceversa. In effetti da Ireneo sappiamo che il Vangelodi Giuda era apprezzato soprattutto dalla setta gnostica detta dei cainiti, riguardo ai quali il solo nome è indicativo di quell'atteggiamento.
In tale contesto la specificità del Vangelo diGiuda, e perciò la sua singolare importanza, sta nel fatto che in esso vengono valutati negativamente non personaggi dell'Antico Testamento ma addirittura gli apostoli di Gesù, dei quali abitualmente i testi gnostici danno valutazione positiva. Spieghiamo tale specificità richiamando l'altro aspetto importante dell'opera, l'aperta polemica nei confronti della Chiesa cattolica, in quanto essa si richiamava all'autorità e alla tradizione degli apostoli.
Osserviamo a questo riguardo che prima della scoperta di Nag Hammadi noi conoscevano la polemica tra cattolici e gnostici soltanto dalla parte dei primi e solo di qui ricavavamo qualcosa circa la posizione anticattolica degli gnostici. La scoperta di Nag Hammadi ha modificato questo stato di fatto perché tra i vari scritti là scoperti due, la Testimonianza veritiera e l'Apocalisse di Pietro, polemizzano lungamente e aspramente contro i cattolici e perciò ci permettono di conoscere di prima mano le argomentazioni anticattoliche degli gnostici.
A questi testi ora si aggiunge il Vangelo di Giuda, la cui ostilità nei confronti degli apostoli va spiegata come riflesso e conseguenza dell'ostilità degli gnostici nei confronti della gerarchia della Chiesa cattolica che a quelli si richiamava. È opportuno comunque ripetere che, pur rifacendosi anche alle tradizioni di altri discepoli di Gesù, in primis a Maria di Magdala, di norma gli gnostici non presentano nei confronti degli apostoli atteggiamento negativo, almeno non così negativo come nel Vangelo diGiuda.
La Pagels al di là di questo significato evidente a una prima lettura del testo ha inteso spingere la ricerca ancora più avanti per spiegarsi il motivo di questo atteggiamento tanto polemicamente anticattolico, di questa «rabbia», come più volte la definisce, e lo ravvisa nella polemica degli gnostici contro il martirio, visto come sacrificio di sangue. Si tratta di argomento già ben conosciuto, al quale Antonio Orbe aveva dedicato un’intera monografia, Losprimeros herejes ante la persecución, pubblicata a Roma nel lontano 1956, prima cioè che si conoscessero i testi di Nag Hammadi.
In argomento era allora fondamentale il frammento 50 dello gnostico Eracleone, il quale deprezza la confessione della fede cristiana col sangue dinanzi al magistrato a confronto della confessione di fede implicita in una virtuosa condotta di vita. E Ireneo (I, 24, 6) fa carico ai discepoli dell'importante leader gnostico Basilide di negare addirittura la loro fede dinanzi ai magistrati.
I testi di Nag Hammadi anche su questo punto hanno apportato molta altra luce. Sia nella Testimonianza veritiera sia nell'Apocalisse di Pietro il martirio di sangue viene svalutato, addirittura deriso, come insufficiente a far raggiungere la salvezza. Il deprezzamento della realtà materiale, a fronte di quella spirituale, che spinge lo gnostico a disprezzare anche il proprio corpo, spiega come anche il sacrificio di tale corpo potesse essere svalutato, a fronte della rivelazione della realtà spirituale e divina di cui lo gnostico partecipava. In questo contesto la Pagels inserisce anche il Vangelo di Giuda, la cui polemica sarebbe rivolta, in dimensione spiritualista, non solo contro il battesimo e l'eucaristia ma anche e soprattutto contro i sacrifici di sangue, tra i quali essa annovera il martirio.
Nel valutare questo ultimo libro della Pagels, ne apprezziamo la presentazione suggestiva dello spiritualismo gnostico, ma non possiamo non dichiarare che essa mostra più di un punto debole. Preferisco, come a proposito del libro sul Vangelo diTommaso, non soffermarmi in osservazioni di dettaglio, limitandomi a dichiarare il mio sconcerto dinanzi all'affermazione (p. 24) che Flavio Giuseppe avrebbe definito Gesù «un noto sobillatore», donde si ricava la completa ignoranza della problematica relativa al celeberrimo TestimoniumFlavianum, e concentro la mia critica su un punto forte della trattazione, quello relativo al martirio.
In effetti, mentre nei due testi di Nag Hammadi sopra menzionati la polemica contro il martirio è in piena evidenza, mi pare che questo non appaia nel Vangelo di Giuda, dove neppure una volta si parla esplicitamente di martirio. La Pagels ricava l'atteggiamento negativo in proposito nel passo in cui, nella descrizione della visione degli apostoli, di costoro, che vengono presentati come i sacerdoti giudaici, si dice che sacrificano figli e mogli (p. 99), ma di essi si dice pure che «alcuni giacciono con gli uomini. Altri sono intenti ad uccidere. E altri ancora commettono un'infinità di peccati e di ingiustizie» (ivi).
Subito dopo, di nuovo in contesto sacrificale, si legge che «con tutto il lavoro per smembrare le vittime, quell'altare resta colmo». Mi pare troppo poco per sorreggere l'interpretazione antimartiriale di questo libro, che dovrebbe essere implicita in quella contro i sacrifici cruenti, un argomento di origine addirittura filosofica (Teofrasto, Porfirio) e che nulla aveva a che spartire col martirio cristiano.
Più in generale vorrei osservare che nella presentazione simpatetica degli gnostici, che appaiono come le vittime della prepotenza dei cattolici, in primis di Ireneo, la Pagels omette di presentare col debito rilievo le due fondamentali critiche che, al di là della presentazione accesamente mitologica della loro dottrina, venivano rivolte agli gnostici: la distinzione tra Dio dell'Antico e Dio del Nuovo Testamento e l'affermazione di un determinismo di natura che vanificava il libero arbitrio. Erano argomenti di tal peso da giustificare, al fine di salvaguardare l'unità della Chiesa, l'asprezza della polemica contro gli gnostici.
Di fatto chi legge questi due libri della studiosa statunitense ricava una visione del tutto unilaterale di quella polemica. La Pagels lo ha fatto dichiaratamente, ma il risultato è che chi legge i suoi libri senza essere informato sull'argomento in questione da altra parte ne acquisisce una visione deformata. Dato che ambedue i libri, scritti in forma quanto mai accattivante e pubblicati da una importante casa editrice, sono programmaticamente indirizzati a lettori non specializzati, questa visione meramente unilaterale dei fatti appare destinata a larga diffusione.
Per questo motivo i due libri, benché scritti da una studiosa di vaglia e tutt'altro che privi di valore dal punto di vista scientifico, per meri motivi di cassetta rischiano di essere confusi con l'ormai vasta pletora di libri di ben più basso livello ma di altrettanta, e a volte ben maggiore, diffusione, e mostrano una presentazione deformata e falsata, fino al grottesco, di aspetti importanti del cristianesimo antico e medievale
(© L'Osservatore Romano - 22 novembre 2007)