Il cavallo nell’iconografia della conversione di san Paolo apostolo: segno superfluo o espressivo? di Andrea Lonardo
Perché un cavallo è stato aggiunto alla narrazione nella raffigurazione della conversione di Paolo apostolo? Come è noto, nel testo degli Atti degli Apostoli che per ben tre volte narra l’incontro di Paolo sulla via di Damasco con il Signore risorto mai si parla di un cavallo. Benché esso non sia a priori da escludere gli Atti parlano più semplicemente di Paolo che «era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco» (At 9, 3 e, in prima persona, At 22, 6 e 26, 13).
Caravaggio, Conversione di San Paolo, 1600-1601, Roma, Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo |
Eppure la rappresentazione del cavallo e della caduta a terra di Paolo ha una fortissima carica simbolica che non allontana minimamente dal senso del testo, anzi ne permette una comprensione profonda. La pittura e la scultura si sono spesso servite del cavallo per dare un volto al potere smisurato, alla grandezza di un personaggio, alla statura morale, alla compostezza dell’autorità. Chi lo cavalcava, guardando dall’alto gli altri mortali, manifestava così la sua dignità superiore.
Caravaggio, Conversione di San Paolo, prima versione su tavola per la Cappella Cerasi, ora nella collezione Odescalchi |
L’arte ha ripreso questo simbolo in mille raffigurazioni dal Marco Aurelio oggi in piazza del Campidoglio, a Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini, ai monumenti, in Santa Maria del Fiore a Firenze, a Niccolò da Tolentino di Andrea del Castagno ed a Sir John Hawkwood di Paolo Uccello, ai dipinti di Velázquez, come il Conte-duca di Olivares ed il ritratto dell’imperatore Filippo III.
Velázquez, Ritratto del Conte Duca di Olivares a cavallo, 1634, Madrid, Museo del Prado |
Paolo è disarcionato. Non cade semplicemente a terra, ma viene sbalzato da ogni suo potere, da tutto il suo orgoglio, da ogni sua autosufficienza. Egli rovina a terra. Dovrà imparare, lui così fieramente attaccato alla Legge e attraverso di essa all’illusione che l’uomo abbia una forza tale da potersi salvare con le proprie forze, che niente può l’uomo senza la grazia di Cristo. L’uomo deve ricevere la salvezza, senza alcun merito. La deve accogliere come una realtà che non ha principio primo in lui. Deve ricevere l’amore per poter poi vivere di esso ed in esso.
La Galleria Nazionale di Palazzo Spinola in Genova mostra esplicitamente questa rilevanza simbolica con un accostamento straordinario: vengono, infatti, presentati l’uno a fianco dell’altro il Ritratto di un gentiluomo genovese a cavallo di Pieter Paul Rubens (Giovanni Carlo Doria a cavallo, 1616) e la Conversione di San Paolo, probabilmente del 1649, di Valerio Castello.
P.P.Rubens Giovanni Carlo Doria a cavallo, Galleria di Palazzo Spinola, Genova |
Nel secolo scorso è stato Marino Marini a plasmare cavalli che mettevano a proprio agio l’uomo ed, in un periodo più tardivo, che lo disarcionavano drammaticamente.