Non la massoneria, ma la favola ne Il flauto magico di Ingmar Bergman e nella versione a cartone animato di Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati – ed in quello di Wolfgang Amadeus Mozart!, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Musica e Cinema.
Il Centro culturale Gli scritti (4/9/2022)
Il meraviglioso Flauto magico di Mozart non intese proporre l’ideale massonico, come abbiamo già dimostrato altrove[1].
Lo capì benissimo il grande regista svedese Ingmar Bergman. Nel suo Il flauto magico cinematografico (1975) - ma ripreso interamente in teatro - gli occhi che guidano a penetrare nell’opera sono quelli di una bambina.
Più volte, durante il film, la vediamo stupirsi con i suoi occhi, essere preoccupata quando gli avvenimenti si complicano, sorridere quando il regista mostra una svolta positiva e Tamino e Pamina si avvicinano l’un l’altro.
Quello sguardo di bambina è quello che deve avere chi guarda l’opera, una storia d’amore fiabesca, non una storia massonica, una storia di una semplicità sconcertante, con passaggi che non reggerebbero ad uno script narrativamente pregnante, ma che invece sono legati in maniera incredibile dalla musica che li accompagna.
Anche la figura di Papageno, che riesce finalmente a compiere il desiderio di trovare una Papagena e avere tantissimi bambini, dà un tono ironico e non serioso all’opera ed è proprio la famiglia dei Papageni che chiude il film, in maniera tutt’altro che massonica, bensì nella giocosità teatrale.
Anche Il flauto magico di Giulio Gianini ed Emanuele Luzzati (1978) lo dichiara apertamente.
L’opera è un cartone animato con scene dal vero, invece, di Papageno che gioca il ruolo del narratore – e già questo impedisce una lettura massonica della riduzione dei due autori.
Nel Prologo è proprio il Papageno attore in carne ed ossa a dichiararlo: «Per me è una bellissima favola con la sua brava morale, ma so che molti professori e studiosi ci hanno scoperto dei significati profondi in ogni suo personaggi e in ogni sua azione: filosofia, massoneria, mitologia, astrologia, animaleria. Per conto mio è tutto più semplice: è la storia mia e di un principe di nome Tamino»[2].
Come scrisse nel 1978 Rita Cirio, nel Il flauto magico di Gianini e Luzzati è “proprio la commedia dell’arte a prevalere”[3].
Anche qui è evidente che è la musica a dettare ogni azione. Luzzati si misurò, per la prima volta, con Il flauto magico già nel 1963 quando fu scenografo dell’opera al Festival di Glyndebourne e dichiarò: «Il Flauto magico mi ha fatto entrare nel mondo dell’opera, della musica. Prima vedevo le opere come spettacoli di prosa […] Con Il flauto magico ho capito le esigenze anche musicali dei diversi personaggi, ho capito che una scena può cambiare a tempo di musica, che è la musica a dettare il ritmo dei movimenti, delle immagini, dei colori»[4].
Dire che Il flauto magico è un’opera massonica sarebbe come dire che è un’opera anti-nordafricana, perché vi è rappresentato come cattivo un Moro.
Note al testo
[1] Cfr. su questo Il “divino” Amadeus e la grazia della fede: per Mozart cattolico. Dalla Grosse Messe al Requiem, di Andrea Lonardo.
[2] Un cartello prima che cominci la musica dice anche: «Nonostante il suo contenuto profondo e filosofico, era destinato a un teatro e a un pubblico popolare che voleva divertirsi e amava gli spettacoli in cui la magia scenica sapeva parlare alla fantasia», ricordando che l’opera venne recitata per la prima volta nel 1791 nel teatro Auf der Wieden, che era appunto un teatro per la gente semplice e non per i dotti della Vienna di allora.
[3] Dal libretto che accompagna il DVD dell’editore Gallucci, Roma, del 2021, p. 9.
[4] Dal libretto che accompagna il DVD dell’editore Gallucci, Roma, del 2021, p. 17.