1/ Le Carte di regola del Trentino e la loro fine sotto i governi napoleonico e austriaco che ne sradicarono le libertà. Un esempio eloquente di come debba essere una vita democratica a partire dalla sussidiarietà. Breve nota di Andrea Lonardo 2/ Le Carte di regola delle antiche comunità trentine. Cosa rappresentano le "carte di regola"? A quali scopi corrispondevano? Quali sono le più preziose? Perché il Trentino ha questa lunga tradizione in materia?, di Mauro Nequirito
1/ Le Carte di regola del Trentino e la loro fine sotto i governi napoleonico e austriaco che ne sradicarono le libertà. Un esempio eloquente di come debba essere una vita democratica a partire dalla sussidiarietà. Breve nota di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Politica e giustizia, Medioevo e Settecento e rivoluzione francese.
Il Centro culturale Gli scritti (4/9/2022)
Come nelle valli alpine del Cadore (cfr. su questo stesso sito Le regole del Cadore (come di altre zone alpestri), una forma di auto-determinazione democratica che ha origini nel medioevo. Nota di Andrea Lonardo come introduzione al valore e al significato storico delle Regole), anche nelle valli intorno a Trento si sviluppò nei secoli un sistema di autogoverno delle diverse comunità rurali.
Certo le valli erano pertinenti all’impero e, d’altro canto, appartenenti al principato arcivescovile di Trento, ma tali autorità “maggiori” non solo non ostacolarono, ma anzi incentivarono tali forme di autogoverno.
Esse mostrano come sia stato vivo nella realtà storica il principio che oggi viene chiamato “di sussidiarietà”: secondo tale principio, lo Stato non deve sostituirsi alle relazioni vitali – che si autoregolano – della società civile, ma anzi sostenerle (ecco il senso del termine “sussidio”, che non indica dei fondi destinati, bensì molto più profondamente il fatto che lo Stato non si ritenga esclusivo, bensì si concepisca come “servitore”, “sussidiario”, dei legami vitali che le persone e le famiglie hanno messo in campo spontaneamente e naturalmente con il tempo).
Le Carte di regola erano l’elaborazione, diversa per ogni valle ed ogni comunità, di regole che definivano l’utilizzo delle proprietà comuni (ad esempio pascoli e boschi), gli aiuti che venivano dati alle famiglie in difficoltà (dove fosse morto, ad esempio il capofamiglia), i diritti ed i doveri di ciascuno e di tutti.
Erano firmate in presenza di un notaio e controfirmate poi dall’autorità del principe vescovo, che riconosceva la bontà di tali auto-regolamenti.
Le Regole venivano via via aggiornate e se ne verificava l’applicazione da parte dell’assemblea dei capifamiglia, di modo che sempre l’intera comunità, senza che nessuno venisse escluso, avesse voce in capitolo.
Dinanzi a tale ricchezza vitale, nata nel maturare storico della società civile, si comprende come una visione del diritto standardizzante e uniformante – tipico ad esempio del diritto nato dalla rivoluzione francese e portato a compimento da Napoleone – sia un abuso.
La moderna storiografia esalta tale prospettiva statalista e standardizzante come dell’unica che avrebbe finalmente portato la libertà, quasi che essa non fosse mai esistita precedentemente, perché – si afferma – solo il diritto nuovo e ugualitario “livellò” ogni differenza, rese tutti uguali dinanzi alla legge.
Nella storia delle Carte di regola – e nella prospettiva della sussidiarietà - si vede, invece, come tale visione del diritto indebolì quell’associarsi libero e auto-determinato che era proprio della storia precedente.
Il principio di “sussidiarietà” afferma che dove un ente maggiore si sostituisce ad altri “minori” e più vicini alla popolazione, ecco che ne conseguono una serie di storture.
Solo per fornire un esempio (per la pubblicazione di tutte le regole conosciute e la loro evoluzione, cfr. F. Giacomoni (a cura di), Carte di regola e statuti delle comunità rurali trentine, Milano, Jaca, 1991, 3 voll., I vol. Dal ‘200 alla metà del ‘500; II vol. Dalla seconda metà del ‘500 alla fine dell’età dei Madruzzo; III vol. Dall’età dei Madruzzo alla secolarizzazione del principato vescovile di Trento), nel caso di Spinale e Manez è noto che, nell’anno stesso della rivoluzione francese, le diverse comunità giunsero ad un accordo, dopo un tempo di lite, con una “transazione” che venne sottoscritta il 28/7/1789, il cui primo articolo recita: «Rinonzieranno le parti alla vertente lite e si riuniranno con fraterno amore, qual si convien tra persone cristiane e fra buoni vicini»[1], precisando la soluzione dei conflitti sull’utilizzo e le rendite di pascoli, legnami, ecc. Il tutto in una maniera autonoma e auto-determinata.
Ma la guerra fra francesi e austriaci fece sì che quello fosse l’ultimo atto libero delle comunità locali: dal 1796 al 1814 le regole vennero abolite alternativamente dall’impero asburgico e dai francesi repubblicani e poi imperiali, poiché entrambi applicarono alle libertà locali l’idea che, invece, tutto doveva sottostare ad un unico controllo statale. Paradossalmente i nemici in campo, l’Impero austriaco e quello francese, concordavano invece su di una visione di governo che sostituiva alla “sussidiarietà” un controllo uniformante e centralizzato[2].
Una certa visione di politica deriva da tale idea di diritto: è cioè convinta che, per avere giustizia, sia necessario emanare leggi sempre più precise dall’alto, senza alcun coinvolgimento delle realtà locali, perché sarebbe la legge uniformante a farsi garante delle libertà e dei diritti di ciascuno. Ad ogni problema una nuova legge, con un moltiplicarsi infinito di norme ipergarantiste, senza alcun cura per lo spirito di comunità e le sue radici e la sua tradizione: la legge, senza il rispetto del dinamismo degli affetti – dinamismo che lo Stato non può generare, perché non è suo compito, ma che dovrebbe “sussidiare”, nulla può, anzi tutto complica.
La visione secondo lo spirito della “sussidiarietà” è invece convinta dalla prassi storica che non sostenere l’azione locale delle comunità voglia dire imbrigliare qualsivoglia azione con leggi sempre più cavillose, arrestando quel dinamismo che le comunità locali hanno, legate alle tradizioni culturali e anche religiose che esse stesse hanno plasmato nei secoli e che sanno via via aggiornare.
2/ Le Carte di regola delle antiche comunità trentine. Cosa rappresentano le "carte di regola"? A quali scopi corrispondevano? Quali sono le più preziose? Perché il Trentino ha questa lunga tradizione in materia?, di Mauro Nequirito
Riprendiamo sul nostro sito un testo di Mauro Nequirito, Funzionario Soprintendenza per i beni culturali pubblicato il 23/02/2016 sul sito cultura.trentino.it (https://www.cultura.trentino.it/Approfondimenti/Le-Carte-di-regola-delle-antiche-comunita-trentine). Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Politica e giustizia, Medioevo e Settecento e rivoluzione francese.
Il Centro culturale Gli scritti (4/9/2022)
Precedentemente all’avvento del moderno diritto codicistico, i cui primi esempi datarono a cavallo tra Sette e Ottocento, durante la lunga età del “diritto comune” (secc. XI-XVIII) furono compilati anche nel territorio trentino alcuni statuti locali come fonti cosiddette di “diritto proprio”, la cui interpretazione, soprattutto nei caso dubbi, avveniva nell’ambito della cornice dottrinale costituita dal diritto romano, il cui corpus in età medievale fu riportato alla luce e ampiamente rielaborato attraverso una continua opera di analisi e commento.
Nell’area tirolese, entro la quale oltre alle terre appartenenti al conte del Tirolo giacevano anche quelle facenti capo ad alcuni principi ecclesiastici (di Trento, Bressanone, Salisburgo e Frisinga) e che a sua volta era inserita nella multiforme compagine dell’Impero romano-germanico, la fonte statutaria preminente per il principato vescovile di Trento fu lo Statuto di Trento (la versione compilata sotto Bernardo Cles nel 1528 durò in pratica fino all’estinzione del principato, nel 1803, e anche un po’ oltre), mentre per le terre appartenenti al conte del Tirolo il medesimo ruolo aveva la Landesordnung.
Al di sotto dello Statuto di Trento e della Landesordnung tirolese, compilazioni situate al vertice della gerarchia statutaria delle fonti locali, stavano svariati statuti di città e borgate, di valli e di giurisdizioni, i quali erano le normative effettivamente utilizzate in loco. Spesso usciti anche a stampa, talvolta rimasti manoscritti, ne furono ad esempio prodotti per Rovereto, Riva, Pergine, il contado d’Arco, la val di Ledro, la Magnifica Comunità di Fiemme, la contea di Castello di Fiemme, le tre giurisdizioni di Telvana-Ivano-Castellalto, il Primiero, la giurisdizione di Fassa, la giurisdizione di Segonzano, i quattro Vicariati.
Solo in qualche caso questo genere di statuti, accanto ai due “libri” per la materia civile e per quella penale, conteneva una parte riservata alla gestione economica delle comunità e all’organizzazione amministrativa interna. Più spesso queste ultime materie erano tuttavia oggetto delle cosiddette “carte di regola”, che potevano avere anche altre denominazioni, ad esempio semplicemente quella di “statuto” accompagnato dal nome della comunità che lo aveva prodotto. Benché non fossero redatte in base a una tipologia unica, ma al contrario presentassero anche notevoli differenze tra loro, ad esempio a seconda dell’epoca in cui videro la luce (tra le più antiche, del sec. XII, a quelle della seconda metà del Settecento intercorre come si può comprendere una grande differenza), possiamo in maniera molto essenziale definire le carte di regola come antichi strumenti normativi attraverso i quali le comunità trentine dal medioevo agli inizi dell’Ottocento regolarono da sé lo sfruttamento delle risorse naturali e organizzarono la loro vita civile.
Uno statuto regoliero, solitamente, soprattutto se si tratta di un originale o di una copia autentica, si apre con un preambolo dove i vicini (coloro che appartenevano a pieno titolo alla comunità, rappresentati da un capofamiglia per ogni “fuoco”, la cellula base della regola) deliberano o la trasposizione scritta delle loro antiche consuetudini trasmesse fino ad allora su base orale o il rinnovo di uno statuto precedente ormai non più idoneo alle necessità della comunità. La parte centrale del documento consiste sostanzialmente in una serie di obblighi e divieti e, per le carte di regola più complete, in alcune prescrizioni aventi come oggetto le cariche comunitarie, le loro competenze, le modalità della nomina ai diversi uffici.
Nelle carte di regola dove la parte concernente l’organizzazione civile è scarna o alle volte inesistente è comunque ben presente una quantità di norme concernenti la materia urbanistica (acquedotti, strade, edifici ecc.), i campi coltivati e i prati (di proprietà privata ma aperti al pascolo collettivo tardivo o precoce), il pascolo e l’alpeggio, lo sfruttamento dei boschi da parte dei vicini. I due secondi settori economici, sempre più importanti con l’elevarsi dei livelli altimetrici, costituivano se così si può dire l’anima collettivista della regola, poiché erano organizzati su base comunitaria.
Lo statuto regoliero ed eventualmente le integrazioni apportate allo stesso si chiudono con l’autenticazione di un notaio o della cancelleria del principe territoriale di riferimento e con l’approvazione di quest’ultimo: il principe vescovo di Trento o il conte del Tirolo, essendo il territorio trentino a partire dal Cinquecento dipendente stabilmente per circa due terzi dalla prima figura, per il rimanente dai Tirolo e poi dai loro eredi, gli Asburgo. Il tutto può essere preceduto da una formula finale, costituita ad esempio da un monito al rispetto delle norme e dall’affermazione della supremazia del principe concedente, il quale si garantiva la futura possibilità di cassare degli articoli che avesse considerato inopportuni o di aggiungerne altri.
Senza inoltrarsi con ciò in un dibattito che di tanto in tanto riemerge rispetto a questi temi, si è consapevoli del fatto che gli statuti delle comunità rurali di per sé non costituiscano una peculiarità del territorio trentino, poiché normative analoghe furono prodotte anche nelle zone limitrofe (anche se comunque un rigoroso lavoro di comparazione tra gli statuti rurali del Trentino e quelli vicini non è stato mai condotto).
Compilazioni analoghe conosciute come Weistümer erano vigenti ovviamente nel resto del Tirolo e appena oltre il confine linguistico a nord di Trento sovente prendevano il nome di Riegelordnungen (ordinanze regoliere). La specificità di questa vicenda storica semmai consiste in un insieme di elementi inseparabili l’uno dall’altro; tra questi, il fatto che in Trentino la carte di regola fossero diffuse in maniera così capillare e che la regione fosse inserita sia nell’impero romano germanico, che nei territori ereditari della Casa d’Austria, contesti entrambi vocati all’autogoverno a motivo della loro stessa mancanza di omogeneità, che nelle terre degli Asburgo fu superata solo nei primi decenni dell’Ottocento. Quando tale processo prese avvio in maniera più decisa, ovvero sotto il regno d’Italia napoleonico (1810-1813), l’avvento del comune moderno causò la decadenza degli statuti regolieri.
Note al testo
[1] Testo in SPES, Le Regole di Spinale e Manez, vol II. Dal 1789 ad oggi, Edizione Regole di Spinale e Manez, 1985, p. 16.
[2] SPES, Le Regole di Spinale e Manez, vol II. Dal 1789 ad oggi, Edizione Regole di Spinale e Manez, 1985, pp. 20-23.