Le elezioni dinanzi alla rabbia e alla paura dell’Italia, rabbia e paura che dovremo accompagnare e gestire nel tempo che verrà, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Politica e giustizia.
Il Centro culturale Gli scritti (28/8/2022)
Forse l'immagine potrebbe essere
anche quella di una passione triste
Aldo Cazzullo titolava un articolo del Corriere della Sera del 17 agosto 2022 “Il Ferragosto all’Autogrill dell’Italia arrabbiata”.
Questa rabbiosità è palpabile. E non ha colore politico. La si vede per strada nel traffico, nelle file per gli acquisti, nei giovani di sinistra e di destra, all’uscita di un locale per ballare. È maggiore che negli anni passati.
Insieme ad essa, è evidente la preoccupazione, la paura. “Come si potrà fare, nei mesi che verranno, con le materie prime, con l’energia, con le bollette? Come si potranno mantenere i figli ed, anzi, far sì che essi possano giungere al termine degli studi e poi ad un lavoro bello?”
Il dramma della politica è che prescinde da tale rabbia e da tale paura.
La rabbia della gente è sempre sbagliata, ma chi ascolta in stile sinodale o politico la realtà non può prescinderne. Se non la si ammette almeno, ogni ascolto si rivela falsato, illusorio, fantastico e fantasticheggiante.
La rabbia esprime l’esigenza di un percorso che abbia delle regole, dove non tutto sia ammesso, dove esistano delle garanzie, dove il bene promesso venga realmente realizzato.
È sotto gli occhi di tutti che mentre si litiga sull’accoglienza, nessuno sta predisponendo un’accoglienza che integri veramente: tanti, troppi, sempre di più, dormono per strada.
Di questo bisognerebbe sentir parlare: la gente si sente accusata, ma non vede un progetto per il Paese su tale questione. Tale progetto è assente, a destra come a sinistra.
Le diverse movide d’Italia, la rabbia anche linguistica che si esprime in tanti rapper e trapper, mostrano che la situazione è sfuggita ad un controllo. Non solo ad un controllo che dia a tutti sicurezza, non solo ad un controllo moralistico, ma ad un’ipotesi di prospettiva di vita, ad uno sguardo fiducioso di una via che possa essere percorsa insieme, da tutti. Ognuno afferma solo il proprio: “Io cerco il mio, e chi non è con me peste lo colga”.
E la politica cavalca, per paura di perdere voti, la pseudo-libertrà dello svacco libero.
Il rifiuto a priori di nuove modalità espressive del mondo giovanile è sempre sbagliato, ma la gente si accorge che le prospettive di cui si discute sulla scuola non riguardano alla radice la questione educativa - che con grande senso profetico la chiesa italiana aveva indicato come decisiva. No, si parla di stipendi, di controlli e verifiche, di assunzioni, ma non di uno sguardo nuovo.
Mentre si litiga su tante questioni scolastiche, nessuno in politica è in grado di ricentrare la questione educativa in maniera convincente.
La stessa questione demografica fa ipotizzare che gli studenti debbano via via diminuire di molto e si vantano assunzioni e miglioramenti delle strutture, senza essere nemmeno convinti che vada invertita la curva decrescente della natalità: si prepara una scuola tutta basata sulla metodologia per alunni che nemmeno si è interessati a veder nascere.
La paura che prende gli italiani insieme alla rabbia è reale ed è ben motivata. Ma non c’è nessun politico che voglia spiegare al paese cosa succederà e a cosa dovremo rinunciare.
Gli italiani vengono lasciati nell’ignoranza, quasi fossero bambini ai quali non si può dire la vertà, perché tutti debbono vantare soluzioni onnipotenti ad una crisi reale del lavoro che è invece più grande di noi.
Il paese è stufo di bonus, di una politica assistenzialista. È stufo di vedere emolumenti a questa o a quella categoria a cascata, senza un intervento sostanziale, invece, di detassazione per chi assume giovani al lavoro o per chi genera più figli.
Il paese è stufo di questi contentini, tirati fuori ogni volta che una categoria si lamenta, mentre invece non viene fatto niente per promuovere, senza lunghe trafile burocratiche, chi ha idee.
Lo stesso atteggiamento che si ha verso la scuola, lo si ha verso il mondo del lavoro: contentini, non promozione di un nuovo sguardo appassionato sulla vita.
L’immobilismo sembra la cifra dominante, nonostante un’apparenza rivoluzionaria. Si afferma che tutto deve cambiare, con la conseguenza di non dare peso a niente di ciò che esiste, di delegittimare tutto ciò che esiste da secoli, tutto ciò che regge in realtà il paese.
Questo è un paradosso che meriterebbe più considerazione: tutti si professano innovatori in nome del bene, con il risultato di sfasciare semplicemente ciò che tiene, ciò che ci è stato consegnato. C’è una miopia reale, con la quale, come si dice, “si butta via il bambino con l’acqua sporca”.
In politica esistono poche persone prudenti nella profezia, che conoscano il valore delle istituzioni della società civile, che abbiano una chiara coscienza di quelle strutture di base che la sussidiarietà è chiamata a sostenere, perché sono tali cellule viventi a precedere la politica.
Tutto viene messo in discussione, a partire dalla famiglia, con il risultato che tutto si arresta, che niente si radica, che tutto diventa effimero e si impoverisce. La movimentazione di tutto, il vorticoso cambiare delle persone, delle alleanze, degli scenari, diventa la paralisi. Chiunque inizia qualcosa, sa che un attimo dopo quella cosa potrà essere smentita.
I partiti continuano ad insultarsi l’un l’altro, senza “conoscere” il paese reale, senza voler affrontare la sua rabbia e la sua paura, generando vorticosamente sempre nuove ipotesi di lavoro che in realtà, anno dopo anno, paralizzano sempre più tutti e generano una sfiducia crescente.
La stessa Chiesa, che è da tutti criticata a torto, quasi che qualsiasi organizzazione nata l’altro ieri sia meglio di essa - e che il suo apporto educativo debba essere ostacolato sempre e comunque - si troverà a gestire questa compresenza di rabbia e paura dopo le elezioni.
Ancora una volta le parrocchie, che sono veramente anima della società civile - come lo sono le famiglie -, si troveranno a svolgere non solo un compito di evangelizzazione, ma anche un compito di stemperamento dei conflitti, un ruolo educativo suppletivo, nell’incoraggiamento di chi è solo, ma ancor più di chi cerca il coraggio di sposarsi e generare.
Come i monasteri medioevali, le parrocchie saranno chiamate a custodire la fede, ma anche a sostenere un paese che si sente tradito dalla politica, un paese che oscilla costantemente fra la rabbia e la paura.