Un caso da manuale: un pittore utilizzato contro la Chiesa. Le opere per le chiese di Roma di Caravaggio e la critica storico-artistica. Progetto di tesi di dottorato di Andrea Lonardo

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 27 /08 /2022 - 21:53 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo sul nostro sito il progetto di tesi di dottorato presentato da Andrea Lonardo per il Pontificio Istituto Pastorale “Redemptor hominis” della Pontificia Università Lateranense, non solo per ciò che propone su Caravaggio, ma ancor più per la riflessione che apre in merito alla rilevanza degli studi storico-artistici e più in generale storici nella progettazione pastorale del cammino di una diocesi in vista dell’evangelizzazione e della formazione. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Caravaggio e Arte e fede.

Il Centro culturale Gli scritti (28/8/2022)

N.B. de Gli scritti Il testo che segue è quello presentato per l’autorizzazione della ricerca. Precede, quindi, la ricerca stessa ed ha una finalità meramente accademica. Con ciò si intende sottolineare che le espressioni utilizzate non descrivono il risultato raggiunto, ma la prospettiva di ricerca che deve ancora essere verificata ed, eventualmente, corretta.

Indice

1/ OGGETTO MATERIALE E FORMALE DELLA RICERCA

Oggetto materiale della ricerca saranno le opere realizzate da Caravaggio per le chiese romane. Esse sono, in particolare, le tele per il ciclo di San Matteo della Cappella Contarelli, prima del quale Caravaggio aveva dipinto solo opere per residenze private, le due tele per Santa Maria del Popolo con la Conversione di san Paolo e la Crocifissione di san Pietro, la Madonna dei Pellegrini per la basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio, la Morte della Vergine per la chiesa dei carmelitani di Santa Maria della Scala, rifiutata per finire poi al Louvre, la Madonna del serpe dipinta per la basilica di San Pietro e la Deposizione per la chiesa di Santa Maria in Vallicella, più nota come Chiesa Nuova.

La ricerca si focalizzerà su tali opere perché esse, ed esse sole, sono le opere “pubbliche” del Merisi in Roma. Sono cioè le sole tele dipinte non per un committente privato e, quindi, per saloni o gallerie di personaggi dell’epoca, ma per commissioni ecclesiastiche pubbliche. Tali opere, a differenza delle altre, non gli vennero commissionate solo per le sue qualità pittoriche, ma anche perché avessero una funzione educativa e liturgica in relazione a precisi luoghi dove dovevano essere ammirate da chiunque vi si recasse.

La domanda alla quale intende rispondere la nostra ricerca, come oggetto materiale della ricerca, è se l’attuale vulgata circolante sul Merisi come di un “maledetto”, come di un personaggio quasi ereticale, come di una vittima della Chiesa controriformista del suo tempo che lo avrebbe continuamente ostacolato con rifiuti successivi delle sue tele, corrisponda a verità, oppure se egli sia stato non solo amato dalla comunità cristiana del suo tempo, ma anzi se egli stesso abbia amato la Chiesa e abbia inteso servirla con la propria creatività, attraverso tali opere.

Ma a tale oggetto materiale si lega l’oggetto formale della nostra ricerca. Infatti, dopo aver scandagliato accuratamente l’angolatura meramente storico-artistica e aver analizzato, come è necessario, le opere stesse e le fonti dell’epoca per ricostruire la vicenda caravaggesca in chiave scientifica, l’oggetto formale sarà poi dato dalla peculiare prospettiva della teologia pastorale.

Il nostro studio, infatti, intende indagare in che modo lo studio della storia, con particolare attenzione alla relazione esistente fra storia della chiesa e storia dell’arte, sia rilevante nell’annuncio della fede e nell’edificazione della comunità cristiana.

Esistono numerose ricerche sul ruolo che l’arte e la bellezza possono e debbono avere - e di fatto hanno avuto - nella trasmissione del Vangelo, ma la nostra ricerca non intende essere un ulteriore tassello in tale direzione, anche se gli studi in merito saranno ovviamente tenuti presenti.

Ciò che specificamente, ed originalmente, si intende rielaborare è che ruolo giochi lo studio del passato nell’autocomprensione della comunità cristiana e nel suo compito di annuncio del Vangelo.

La figura del Caravaggio, in particolare, permette di porre la questione (di attualità pastorale anche nel nostro tempo) di cosa possa cambiare nella coscienza e nella prassi della comunità cristiana a seconda che la storia dell’arte appaia come opera di ribelli che creano capolavori in antagonismo alla comunità cristiana oppure, al contrario, come maestri che agiscono in armonia con essa, pur nella loro individualità unica.

Non è scontato, infatti, che una corretta ricostruzione storico-artistica sia influente nella prassi ecclesiale e che sia prezioso mostrare il nesso vitale che unisce gli artisti con la Chiesa del loro tempo, tanto è vero che poca attenzione si dedica spesso in catechesi alla formazione di laici e presbiteri perché possano dare ragione correttamente di quale sia la relazione esistente fra i capolavori artistici e la storia di un determinato periodo. Una tale questione, nel peculiare contesto italiano e romano – così ricco di opere d’arte di grande rilevanza per la storia dell’arte occidentale - assume delle implicazioni pastorali addirittura decisive.

La nostra ricerca intende mostrare quali conseguenze possa avere in prospettiva pastorale l’approfondimento degli studi storici e storico-artistici, in maniera da abilitare i credenti a stare al mondo, dialogando con chi non crede ma ha passione per l’arte, mostrando come la fede abbia generato frutti nei diversi contesti storici non solo tramite opere caritative e di assistenza, ma anche producendo bellezza e cultura e generando capolavori capaci a distanza di secoli di toccare ancora i cuori e le menti.

La ricerca non intende, quindi, se non indirettamente, domandarsi come ancora oggi sia possibile generare un’arte che trasmetta la fede, bensì si incentrerà sul “racconto” della storia dell’arte, per mostrare come esso incida profondamente nell’edificazione odierna della Chiesa.  Ci collochiamo così al crocevia di alcuni temi pastorali rilevanti: il rapporto cultura ed evangelizzazione; l’arte e la sua funzione nella vita della chiesa; la riappropriazione adeguata di un patrimonio artistico altrimenti percepito come ingombrante o soltanto museale; il contributo che la ricerca teologica può offrire dal di dentro alla comprensione corretta dell’opera di un artista cristiano.

2/ MOTIVO DI INTERESSE DELLA RICERCA

L’interesse e la bellezza di tale ricerca mi è apparsa in maniera chiara a partire dalla passione che ho maturato, negli anni, per la storia della città di Roma e della sua Chiesa.

Negli anni in cui ho ricoperto l’incarico di direttore dell’Ufficio per la catechesi e del Servizio per il catecumenato della diocesi di Roma, mi è apparso subito evidente quanta poca attenzione esistesse nell’elaborare una storia della Chiesa e delle chiese di Roma e nel preparare laici e presbiteri in grado di presentarla.

La presenza in Roma di un numero così grande di luoghi di memoria, di edifici di culto e di opere d’arte e l’importanza assoluta di tale patrimonio è tale che non può che essere avvertita come ingombrante e disorientante, a meno che non venga costruito un discorso che permetta di coglierne tutto il significato.

Si è accentuata in me la domanda se, paradossalmente, l’“eccessiva” presenza di segni cristiani in una città come Roma possa non solo cessare di parlare ai nostri contemporanei, ma addirittura generare un rifiuto a priori, se non esistono persone e progetti che accompagnino a generare una comprensione e un amore per la storia cristiana della città.

Tale consapevolezza mi ha portato a progettare e realizzare un corso di storia della Chiesa di Roma, a cui hanno partecipato catechisti ed animatori delle diverse parrocchie, che non ha conosciuto soste, dal suo inizio nel 2007.

È stata questa esperienza a confermarmi nell’intuizione della rilevanza di una corretta elaborazione della storia della Chiesa e della storia dell’arte, vedendo centinaia e centinaia di persone riversarsi nelle chiese dove si sono tenuti negli anni tali appuntamenti, desiderosi di riappropriarsi della città, dei suoi monumenti e della sua storia, con una narrazione che non si limitasse a considerazioni storiche e filologiche.

Questa esperienza mi ha reso più consapevole del fatto che in luoghi come la Terra Santa o come la città di Assisi esiste da tempo una tradizione di pellegrinaggio, capace di far risuonare fatti e luoghi all’unisono, ma non così è di Roma.

Esistono cioè luoghi in cui la comunità cristiana, in prima persona, si è fatta carico di presentare determinati eventi, figure, santuari, opere d’arte e più in generale edifici elaborando specifici approcci che uniscano storia e capolavori.

All’opposto altrove - e Roma non è esente da tale osservazione - è come se le comunità cristiane non avessero dimestichezza con la propria storia e con i luoghi in cui essa si è svolta, lasciando così sole le personalità della cultura e della comunicazione come artefici e padrone delle narrazioni di quegli spazi e di quegli eventi.

Spesso, il rapporto con i diversi luoghi e le diverse opere è configurato in forma vuoi devozionale, vuoi eccessivamente filologica e generale, ma comunque incapace di una lettura profonda e innovativa del passato.

Proprio l’esperienza di accompagnare con costanza catechisti, laici e presbiteri nei diversi luoghi di Roma, anche in quelli che custodiscono i capolavori del Merisi, mi ha mostrato come essi apprezzassero tale prospettiva quasi fosse la prima volta che venivano a contatto con la storia ecclesiale di Roma: il loro stupore mi ha confermato negli anni che portare le persone a conoscenza delle figure, degli eventi, dei luoghi decisivi della storia della Chiesa e dell’arte permetteva di scoprire l’attualità della fede stessa, attraverso gli eventi che essa aveva prodotto.

Questo mi è apparso subito in consonanza con l’impostazione dei corsi di Teologia pastorale fondamentale della scuola dei Laterani, dove il primo approccio alla materia è sempre dato da un’elaborazione del contributo storico che ha pian piano dato forma alla disciplina.

3/ ORIGINALITÀ DELLA RICERCA

La nostra ricerca intende analizzare il dilemma che si propone a chi intende oggi utilizzare i capolavori artistici in prospettiva teologico-pastorale.

Da un lato essi, infatti, sono presenti in tanti progetti pastorali, ma lo sono in maniera ingenua, quasi che sia sufficiente evocarli per trarne conclusioni spirituali o per supportare la catechesi con il sostegno di immagini.

Tale ingenuità appare manifesta quando la si confronta con l’atteggiamento iper-critico degli studi moderni che tendono a collegare ogni opera d’arte non solo al suo contesto storico, ma anche ad una serie di dettagli che mostrerebbero come essa sia stata utilizzata in chiave di potere o di propaganda dal committente stesso.

Anche i capolavori di soggetto religioso sono così indagati mettendo in rilievo ogni possibile ipotesi che veda il committente, ad esempio un papa o un ecclesiastico, un aristocratico o un ricco mercante, come desideroso di esaltare se stesso e il proprio casato. Il soggetto, anche religioso, sembra spesso solo l’occasione che quella personalità utilizzò per dare lustro alla propria parte o alla famiglia o al gruppo di potere cui apparteneva.

Il caso del Merisi è emblematico di questo atteggiamento della critica. La sua notorietà e l’apprezzamento generale della sua pittura hanno fatto sì, dunque, che si esercitasse su di lui, ancora più che su pittori meno apprezzati, quel “sospetto” che decostruisce ogni visione ufficiale del vivere umano – il riferimento è al termine caro a Paul Ricoeur che indica Marx, Freud e Nietzsche come “maestri del sospetto”, capaci di svelare i retroscena e le vere motivazioni diverse dalle intenzioni apparenti.

Secondo gran parte della critica – come meglio si indagherà nella tesi – Caravaggio rappresenterebbe allora il ribelle contro la Chiesa della controriforma che sarebbe riuscito ad affermarsi e a dipingere, celando però nei suoi quadri messaggi diversi da ciò che gli ambienti ecclesiastici gli avrebbero in realtà commissionato.

La bellezza dei suoi capolavori deriverebbe, secondo tanti autori, non da una condivisione degli ideali cristiani, ma da particolari che, ben indagati, permetterebbero di cogliere la separazione fra l’artista e la Chiesa del tempo, anzi dalla Chiesa di sempre.

Tale visione dei capolavori caravaggeschi andrebbe così ad inficiare radicalmente la via pulchritudinis - quella “via” di annuncio del Vangelo divenuta cara alla teologia pastorale a partire da papa Paolo VI - anche se la codificazione del termine è successiva e diviene, infine, presente in maniera chiarissima in Evangelii Gaudium.

La tesi cercherà di mostrare come la comunità cristiana debba evitare tale utilizzo ingenuo della via pulchritudinis, evitando il rischio di confidare nell’utilizzo delle immagini senza aver maturato una padronanza non solo iconografica, ma anche storico-artistica.

La bellezza potrebbe rivelarsi, altrimenti, come nel caso di Caravaggio, una via per allontanare dalla fede e non per avvicinarsi ad essa e, di fatto, in tanti itinerari turistici le sue opere come le diverse opere artistiche nate in alveo ecclesiale vengono presentate esattamente a detrimento della Chiesa stessa.

L’originalità della tesi consisterà nell’indagare questo iato che si è prodotto fra la moderna critica d’arte e l’utilizzo delle tele di Caravaggio che decostruisce la via pulchritudinis mentre la utilizza e intende, al contempo, mostrare come i suoi capolavori possano essere valorizzati correggendo ciò che si dice di essi in tanti studi: in questa maniera si sostiene la necessità di una visione critica che sappia discernere le prospettive ideologiche di una certa critica moderna di cui la divulgazione poi si serve.

Si intende, insomma, verificare se le opere dipinte da Caravaggio per le chiese romane possano e debbano avere esattamente un’interpretazione conforme alla visione della Chiesa del tempo, di modo che la loro lettura odierna possa far comprendere qualcosa che l’artista ha oggettivamente posto nelle sue opere.

Anzi, l’esigenza di far partecipare Caravaggio al dibattito sulla bontà o meno della presenza della Chiesa nella storia invita con forza a superare quella critica eccessivamente filologica che relega ogni opera del passato come in una camera mortuaria per sottoporla ad esami diagnostici quasi fosse un’autopsia per farla ritornare a parlare nel dibattito vivo che, allora come oggi, rende interessante un approccio ad essa.

D’altro canto la tesi intende mostrare come sia profondamente errato dare una lettura non scientifica di tali opere, quasi che fosse sufficiente solo un approccio spirituale – o peggio spiritualistico – alle opere che dimenticasse un’analisi scientifica della poetica del pittore.

Si intende così rifiutare una lettura puramente iconografica della via pulchritudinis, quasi che sia possibile utilizzare le opere d’arte nell’edificazione della Chiesa, prescindendo dai rilevi critici elaborati dagli studi e dagli uomini di cultura.

La ricerca intende mostrare come il collegamento con la storia della Chiesa sia indispensabile ad un corretto utilizzo della via pulchritudinis e come questo richieda un investimento in termini di studi, di ricerca e di formazione di chi viene incaricato della presentazione di tali capolavori. Fa parte dell’originalità della nostra tesi non solo enunziare il valore di tale via, ma soprattutto indagarne le condizioni di praticabilità, di modo che la comunità cristiana appaia produttrice di cultura e di bellezza, capace oggi di presentare i capolavori che nei secoli ha prodotto.

4/ AVANZAMENTO DELLA RICERCA

La nostra ricerca si propone un duplice tipo di avanzamento, da un lato storico e dall’altro teologico-pastorale.

Da un punto di vista storico l’elaborazione di un fondato rifiuto della leggenda del Merisi come nemico della Chiesa controriformista porterebbe non solo ad una migliore comprensione della sua vicenda e delle sue opere, ma anche alla riscoperta di lati estremamente interessanti e fecondi di quella stagione della Chiesa. La tesi è che essa seppe valorizzare ed anzi esaltare il Merisi, di modo che è legittimo porre anche la questione se quel periodo sia stato solo oscuro o se esso abbia visto una libertà e alcune intuizioni creative di ampio respiro.

Se, infatti, la visione di un Caravaggio grande perché ribelle non può che sminuire la Chiesa del tempo, all’opposto la scoperta che egli agì in accordo con la Roma controriformista all’alba dell’età barocca non potrà che invitare a riconsiderare quali fossero le effettive condizioni di vita dei cristiani di allora.

Ma questo avanzamento della conoscenza storica non è l’unico scopo che la nostra ricerca si prefigge. La nostra tesi, infatti, intende verificare quanto i dati storici (e più globalmente culturali) incidano costitutivamente sull’evangelizzazione. Se cioè l’annuncio del Vangelo sia determinato solo dalla testimonianza dei cristiani del presente o se abbia un ruolo la presentazione della vita delle generazioni cristiane passate.

Se è vero che, a livello teologico e spirituale, la Chiesa è costituita dai credenti della Chiesa pellegrinante in terra, ma anche di quelli che hanno già raggiunto il cielo, la nostra ricerca cercherà di determinare, a partire dalla vicenda del Merisi, se possano giocare un loro ruolo ed, anzi, essere determinanti in teologia pastorale e nell’edificazione della Chiesa ricostruzioni più corrette della storia della Chiesa.

Sarà proprio il caso specifico del Merisi a illuminare la questione se sia indifferente presentare un artista geniale come sorto in opposizione alla comunità cristiana o in armonia con essa.

Tale attenzione al passato non intende negare il valore della profezia e della proiezione del futuro nei progetti pastorali, ma intende, in maniera complementare, analizzare quanto la capacità di incidere nel futuro sia favorita dall’essere coscienti delle proprie radici e non solo di quelle originarie.

L’analisi di quale sia il corretto racconto delle vicende del Caravaggio in relazione alla Chiesa del suo tempo intende essere così un modello per pensare a quale lavoro pastorale potrebbe essere progettato e attuato in Roma, come anche in altre comunità cristiane nelle quali sia presente un patrimonio artistico analogo, per apprendere oggi, in maniera nuova, l’abilità di raccontare la propria storia ecclesiale.

L’analisi delle interpretazioni odierne del Merisi e la possibilità di una lettura del suo operato in armonia con la Chiesa del tempo dovrebbero fornire una prospettiva utilizzabile anche in altri casi per verificare se le comunità cristiane abbiano compiuto lo sforzo di elaborare una propria lettura della storia e della storia artistica della città o altrimenti come incamminarsi in tale direzione.

In particolare proprio la figura di Caravaggio fa porre la domanda se la comunità cristiana odierna possa celebrare le sue opere in maniera non ipocrita, riconoscendo alla chiesa di quel tempo una paternità ed una fratellanza nei confronti del pittore. Oppure, all’opposto, se si debba fare un mea culpa per non averlo allora compreso e accolto. Ma per sciogliere questo nodo è come se laici e presbiteri dovessero ridiventare “padroni” di tale storia, capaci di elaborare un’ermeneutica corretta della genesi di quelle opere che renda gloria all’artista e, al contempo, non squalifichi i cristiani del suo tempo. E tutto questo deve avvenire non in maniera astorica e antiscientifica, bensì in maniera conforme al vero.

Ovviamente la decisa affermazione che la storia della Chiesa e il suo legame con la storia dell’arte sono elementi decisivi per una corretta edificazione della coscienza credente e della Chiesa oggi porterà poi a porre la domanda se le tante istituzioni accademiche ecclesiastiche hanno compiuto i doverosi sforzi perché presbiteri, religiosi e laici siano competenti in tale ambito.

5/ METODO DELLA RICERCA

Il metodo di ricerca non potrà che partire innanzitutto da un’accurata ricerca storico-scientifica che porti a verificare l’ipotesi se il Merisi fosse effettivamente un “ribelle” nei confronti della Chiesa del suo tempo o, altrimenti, una figura non solo apprezzata, ma anche pienamente integrata nel suo ambiente.

Tale analisi, però, a partire da tale sguardo storico-artistico, si allargherà in prospettiva teologico-pastorale, in piena corrispondenza con l’impostazione del Pontificio Istituto Pastorale Redemptor Hominis.

La corretta ricostruzione di una vicenda artistica già conclusa permetterà di considerare attentamente quanto la Chiesa del tempo attribuisse importanza ad una presentazione iconografica e narrativa della fede, per trasmetterla e celebrarla. La sottolineatura del carattere “narrativo” di un’opera d’arte visiva ed, in particolare, di quelle che intendono svilupparsi in cicli pittorici, implica il fatto che le opere non venissero commissionate come entità a se stanti, bensì venissero pensate dai committenti e dagli artisti come tendenti a raffigurare storie articolate e sintetiche in maniera da non limitarsi a trattare di singole figure o eventi.

D’altro canto questo permetterà di analizzare in tale caso emblematico quanto le scelte iconografiche della comunità cristiana di una determinata epoca abbiano rilevanza nell’evangelizzazione degli uomini di quella generazione e di quelli delle generazioni future.

Una vicenda in sé circoscrivibile temporalmente, come quella del Merisi, permetterà di trarre lumi per interrogarsi se in teologia pastorale una corretta presentazione degli snodi cruciali della storia della Chiesa sia una questione comunque attuale e decisiva per l’annuncio della fede oggi e per la sua credibilità.

Ci si domanderà, insomma, se una comunità cristiana può essere edificata preoccupandosi solo di catechesi, di liturgia e di carità, o se abbia bisogno anche di ricostruire correttamente la storia della Chiesa e, nello specifico, la storia della chiesa locale.

Il metodo della ricerca includerà la dimensione kairologica perché cercherà di addentrarsi nella passione che l’uomo contemporaneo nutre per l’arte, e per Caravaggio in particolare, cogliendo in questo interesse sempre più largo la caratteristica di kairos, di evento propizio che interpella la risposta pratica della comunità cristiana.

Legata all’evidenza del grande interesse (quantitativo e qualitativo) che si ha oggi per Caravaggio ci si domanderà quale rilevanza abbia la dimensione “apologetica”, cioè se determinate presentazioni dei capolavori dipinti dai grandi maestri siano o no indifferenti in relazione alla trasmissione della fede.

Sarà poi necessaria affrontare la dimensione criteriologica per fissare quali criteri occorrano per correlare operativamente tra loro la storia dell’arte e la vita della comunità cristiana.

Dinanzi alla difficoltà e al preoccupante silenzio che circondano l’odierna realizzazione di programmi iconografici nelle chiese moderne, con un’assenza di cicli narrativi, con linguaggi che vanno dall’aniconico all’astratto, da un realismo assolutamente mancante di bellezza al kitsch, ci si domanderà che atteggiamento avesse l’età di Caravaggio e se abbia qualcosa da insegnare alla Chiesa del nostro tempo.

La ricerca intende così avere come orizzonte, anche se a partire solo da un singolo caso per quanto importante, la questione di quale uso della storia dell’arte sia possibile e anzi necessaria in una prassi di evangelizzazione.

Infine, il metodo di ricerca includerà una dimensione operativa perché si rivolgerà a considerare quale apporto possa e debba dare oggi la Chiesa nella formazione dei nuovi studenti e ricercatori di storia dell’arte, quale tipo di dibattito culturale la comunità cristiana debba proporre in merito ai capolavori artistici e come debba elaborare una modalità di lettura delle opere d’arte che rifugga da approcci puramente filologici o smaccatamente bigotti.

L’emblematicità del caso del Merisi potrà almeno porre in risalto quanto tali questioni siano decisive e richiedano intelligenza e passione e non possano essere ignorate.

6/ CONTENUTI DELLA RICERCA

Alla luce di quanto fin qui esposto la ricerca si suddividerà in quattro capitoli.

Nel primo si cercherà di indagare come sia divenuto abituale presentare il Merisi come pittore “maledetto” e come tale “leggenda” sia divenuta una falsa chiave interpretativa sia presso i critici d’arte come presso i divulgatori. Tale prospettiva dovrà essere messa a confronto con le fonti coeve o immediatamente successive al Merisi. In particolare sarà necessario verificare se i comportamenti “disordinati” del Merisi fossero suoi peculiari e, quindi, chiave decisiva per la sua interpretazione oppure se siano stati molto diffusi all’epoca, soprattutto nell’ambiente artistico, per giungere poi a domandarsi se egli sia stato percepito all’epoca come una personalità con tratti ereticali e anticattolici, oppure fosse un caposcuola pittorico, senza particolari differenze ideologiche rispetto al suo ambiente.

Nel secondo capitolo saranno analizzate tutte le opere per le chiese romane dipinte dal Merisi. Di tali opere si analizzeranno la committenza e le scelte iconologiche, per verificare se l’originalità del suo stile abbia inteso intaccare la fede cattolica della Chiesa del tempo. Grande attenzione sarà data alla questione dei cosiddetti “rifiuti” per indagare se sia esistito all’epoca un qualche sospetto dogmatico o spirituale sul pittore stesso.

Nel terzo capitolo la ricerca si allargherà a riflettere se l’arte del tempo del Caravaggio avesse criteri chiari, elaborati in riferimento alla liturgia, alla catechesi, all’edificazione della comunità cristiana, al servizio che essa presta al mondo e all’annunzio della fede, per accompagnare la creatività dell’artista, chiarificando la sua missione e il suo compito.

In questo capitolo si rivolgerà attenzione anche alla prospettiva, ancora tipica al tempo del Merisi, di lavorare per cicli, riflettendo su come tale modalità sia imprescindibile per l’arte che voglia rappresentare la fede cristiana: ci si domanderà cioè se il concorso di diversi autori sia avvenuto e debba avvenire all’interno della progettazione di un disegno globale delle immagini da utilizzare nell’aula di culto.

Infine, nell’ultimo capitolo, ci si soffermerà sui criteri più adeguati da utilizzare per una comprensione in chiave teologico-pastorale non solo del Merisi, ma anche di altri artisti sempre in relazione alla storia della Chiesa di cui essi sono espressione.

Si cercherà di comprendere meglio perché proprio l’arte - e le opere del Merisi in particolare - siano non solo nel passato, ma anche oggi, un’occasione e un kairos, vivi e operanti, nell’annunzio del Vangelo e nell’edificazione della comunità cristiana, affrontando la questione di quali percorsi formativi, di quali modalità di presentazione e di quali figure ministeriali siano preziosi in questa prospettiva.

Si analizzeranno, in questo senso, quei criteri che possono essere utili ogni volta che ci si accinge a considerare nell’azione della Chiesa il valore testimoniale delle opere d’arte e degli artisti, per determinare a che condizioni una via pulchritudinis è veramente percorribile.

Si approfondirà, contestualmente, la dimensione operative e cioè si cercherà di determinare quali azioni la comunità cristiana può e deve porre in atto perché ciò che essa stessa ha prodotto a servizio del Vangelo non venga sfigurato fin dalle radici divenendo quasi una “contro-testimonianza” utilizzabile per sminuire la fecondità della fede.