La vera questione che sta dietro il gender non è il maschile e il femminile, bensì quella dell’origine, della dipendenza, dell’impossibilità di farsi da soli, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Famiglia e gender.
Il Centro culturale Gli scritti (5/10/2022)
Dietro le discussioni sul gender è sbagliato soffermarsi solo sulla questione del maschile e del femminile, anche se essa è ovviamente centrale: più volte abbiamo ricordato che il maschile e il femminile sono “originari”, non “tradizionali”, nel senso che vengono dall’evoluzione stessa, dalla materialità dell’evoluzione, perché ogni altro genere ha bisogno, per nascere, del maschile del femminile.
Ma c’è una questione ancora più importante, oggi, in un tempo che tende a dimenticate la materia, la carne.
I maestri del ’68 avevano condotto, ispirandosi ad alcuni autori dell’ottocento, una critica alla paternità, alla figura del padre, in tutti i suoi aspetti (compresa la paternità, ad esempio, culturale, cioè il valore dei classici).
Karl Marx, un secolo prima, aveva illuminato a suo modo la questione: secondo il padre del marxismo era necessario demolire l’idea di padre, altrimenti non sarebbe mai divenuto evidente che è l’uomo ad essere artefice del proprio destino: per affermare che è il lavoro a “produrre” l’uomo, bisognava cancellare l’idea di “padre”[1].
Così scriveva Marx nel 1844:
«Un ente si stima indipendente solo appena sta sui suoi piedi, e sta sui suoi piedi appena deve la propria esistenza a se stesso.
Un uomo che vive per grazia di un altro si considera un essere dipendente.
Ma io vivo completamente per grazia di un altro quando non solo gli sono debitore del mantenimento della mia vita, bensì anche quando è esso che ha creato la mia vita, quando esso è la fonte della mia vita; e la mia vita ha necessariamente un tale fondamento fuori di sé quando essa non è mia propria creazione.
La creazione è quindi una rappresentazione molto difficile da scacciare dalla coscienza popolare. La sussistenza per opera propria (Durchsichselbstein) della natura e dell’uomo le è inconcepibile perché contraddice tutte le evidenze della vita pratica»[2].
Marx proponeva allora di rifiutare la domanda stessa sull’origine, dichiarandola astratta[3], perché questa era l’unica condizione che avrebbe permesso all’uomo di “prodursi” tramite il proprio lavoro, socialisticamente inteso:
«Tu puoi replicare: io non voglio l’annullamento della natura ecc.; io t’interrogo circa il suo atto d’origine, come interrogo l’anatomico sulla formazione delle ossa, ecc. Ma poiché, per l’uomo socialista, tutta la cosiddetta storia universale non è che la generazione dell’uomo dal lavoro umano, il divenire della natura per l’uomo, così esso ha la prova evidente, irresistibile, della sua nascita da se stesso, del suo processo d’origine»[4].
Da qui, anche se non solo da qui, tutta una linea di pensiero che ha inteso troncare il rapporto anche “culturale” con la paternità e il passato. Solo ciò che è nuovo, moderno, in quanto indipendente da ciò che è stato, è libero e liberante.
Ma questo con la conseguenza di rendere irrealistica la vita dell’uomo, sganciata dalla storia dei secoli dei secoli e da ciò che, in positivo, il pensiero, la poesia, la letteratura, la filosofia, la scienza, la religione, l’arte, hanno generato.
Il dramma di Marx è che l’abolizione della paternità non solo non rende concreto e materiale l’uomo, ma anzi lo obbliga all’astrazione più assoluta.
Oggi il pensiero contemporaneo è come se volesse spingersi ancora oltre Marx e cancellare non solo il padre, ma anche la madre. Ciò non era evidente e significativo nell’ottocento e nemmeno nel ’68: l’assalto era all’autorità, alla paternità, al maschile.
Oggi il rifiuto della madre non va inteso solo nel senso di una diffidenza verso il femminile – inteso solo come una possibilità fra mille diversi generi e relativizzato fino all’inconsistenza, come denunciano molte femministe -, ma ancor più come la volontà di tagliare di netto con la generazione tout court, di affermare che ci si “fa” da soli. Solo se ci si “fa” da soli è poi facile fare di sé quello che si vuole, perché appunto non c’è nessuna realtà che esista prima, in precedenza, nessuno che ci abbia generati, bensì esiste solo la libera volontà del soggetto.
Il richiamo ad una madre – e ad un padre – non va inteso, allora, innanzitutto come ad un atto di accusa contro il gender, ma piuttosto come un amore all’origine. Noi siamo generati: la vita è certamente nelle nostre mani, ma viene posta nelle nostre mani da qualcuno che ci ha chiamato alla vita.
Il maschile e il femminile non sono solo l’evidenza che solo tramite di essi nasce la vita, ma sono, prima ancora, l’evidenza che non ci diamo da soli la vita, che la vita non è un’autoproduzione, bensì un dono.
Forse l’ombelico è veramente quel “pezzetto” della nostra carne che più ci ricorda l’origine di noi stessi fuori di noi – esattamente come il DNA.
Se una falsa filosofia può fingere di dimenticarsi dell’origine e progettare a partite dall’io, l’ombelico, invece – come ha recentemente ricordato Hadjadj[5] -, ricorda l’origine dell’io.
Noi siamo generati. E generati non solo dalla generazione a noi precedente, ma “di generazione in generazione” dalla notte dei tempi. Noi siamo dono.
Certo siamo dono in modo specifico del maschile e del femminile, ma prima ancora siamo dono e basta. Dono ricevuto, prima che da fare.
Note al testo
[1] Siamo debitori di tale riflessione sui testi di Marx a M. Serretti, Il mistero dell’eterna generazione del Figlio (a questo link sul nostro sito il brano completo).
[2] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, in Opere filosofiche giovanili, tr.it., Roma 1971, p. 234.
[3] Marx scrive in proposito: «Ora è facile, in verità, dire al singolo individuo ciò che dice già Aristotele: tu sei generato da tuo padre e tua madre, dunque l’accoppiamento di due esseri umani, un atto generatore di uomini, ha prodotto l’uomo in te. Vedi dunque che l’uomo è debitore, anche fisicamente, della sua esistenza all’uomo. Tu non devi, perciò tener d’occhio soltanto uno dei due aspetti, il progresso all’infinito [all’indietro], per cui poi chiedi di chi abbia generato mio padre, e chi suo nonno, ecc.
Tu devi anche ritenere il movimento circolare ch’è visibile in quel progresso, e secondo cui l’uomo nella generazione ripete se stesso, e dunque l’uomo resta sempre il soggetto. Ma tu mi risponderai: concessoti questo movimento circolare, concedimi il progresso che mi porta sempre più oltre, fino a che mi domando: chi ha generato il primo uomo e la natura in genere?
Io posso soltanto risponderti: che la tua domanda stessa è un prodotto dell’astrazione. Domanda a te stesso come tu sia giunto a quella domanda; domandati se la tua domanda non provenga da un punto di vista a cui non posso rispondere perché assurdo. Domandati se quel progresso come tale sussista per un pensiero razionale.
Quando tu t’interroghi sulla creazione della natura e dell’uomo, tu fai astrazione, dunque, dall’uomo e dalla natura. Tu li poni come non-esistenti, e tuttavia esigi che io te li dimostri esistenti.
Io ora ti dico: rinuncia alla tua astrazione, e rinuncia così alla tua domanda» (K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, in Opere filosofiche giovanili, tr.it., Roma 1971, pp. 234-235).
[4] K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, in Opere filosofiche giovanili, tr.it., Roma 1971, p. 235.
[5] Cfr. F. Hadjadj, nell’articolo Il membro della famiglia, di Fabrice Hadjadj su questo stesso sito.