Vita di Leonardo da Vinci, di Guido Cornini
Riprendiamo sul nostro sito un testo del prof. Guido Cornini, già curatore dei Musei Vaticani, da lui preparato in occasione della mostra Leonardo. Il San Girolamo dei Musei Vaticani, tenutasi dal 22 marzo al 22 giugno 2019 presso il Braccio di Carlo Magno in Vaticano. Il testo è reperibile on-line fra il materiale disponibile ai visitatori della mostra. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione . Sugli ultimi anni di Leonardo e sulla sua opera, cfr. su questo sito:
- Il cattolicissimo Testamento di Leonardo da Vinci: «Primeramente el racomanda l’anima sua ad nostro Signore Messer Domine Dio, alla gloriosa Virgine Maria, a Monsignore Sancto Michele, e a tutti li beati Angeli Santi e Sante del Paradiso»
- Dal Codice da Vinci di Dan Brown ad una più rispettosa lettura iconografica del Cenacolo di Leonardo nel Refettorio di S.Maria delle Grazie a Milano, di Andrea Lonardo
- Giovanni Battista il testimone: un dito per indicare. Il Giovanni Battista di Leonardo da Vinci dal Louvre a Roma per la mostra Il potere e la grazia (di A.L.)
Il Centro culturale Gli scritti (28/8/2022)
Figlio naturale di Ser Piero di Antonio e di donna Caterina, Leonardo nasce ad Anchiano, nel comune di Vinci, il 15 aprile 1452. Una portata al catasto del 1457 lo definisce “figliuolo di detto ser Piero non legiptimo, nato da lui e dalla Catharia (...), d’anni 5”.
Alla morte del nonno Antonio, capostipite del casato e iniziatore delle fortune familiari, Leonardo si trasferisce a Firenze, con il padre Piero e lo zio Francesco, in una casa in via delle Prestanze (attuale via dei Gondi), di proprietà dell’Arte dei Mercanti.
Data probabilmente al 1469 il suo ingresso alla scuola del Verrocchio, dove – conformemente alle tradizioni del tempo – apprende a leggere e a far di conto, ricevendo al contempo una completa istruzione di bottega.
Iscritto alla corporazione dei pittori almeno dal 1472, è dell’anno successivo il famoso disegno di paesaggio oggi agli Uffizi, datato “addj 5 d’Aghossto 1473”; si collocano nello stesso decennio, oltre al noto intervento nel Battesimo di Cristo del Verrocchio, eseguito dal Maestro per la chiesa di San Salvi e oggi anch’esso agli Uffizi (l’angelo di spalle sulla sinistra, dal profilo delicatamente rivolto verso destra), anche il ritratto a mezzo busto di Ginevra Benci (Washington, National Gallery), le due Annunciazioni di Firenze (1472-75) e Parigi (1478), nonché le due Madonne di San Pietroburgo (1475-78) e di Monaco (1478-80).
Il 10 gennaio 1478, su delibera dei Priori della Signoria, gli viene allogata l’esecuzione di una pala per la Cappella di San Bernardo in Palazzo Vecchio, in sostituzione di una tavola preesistente, dipinta nel 1355 da Bernardo Daddi: il lavoro, assegnato in precedenza a Piero del Pollaiolo e portato successivamente a termine da Filippino Lippi, frutterà a Leonardo il pagamento di “25 fiorini larghi” (16 marzo 1478).
L’abbandono di questo e di altro consimile incarico, conferitogli nel marzo 1481 dai monaci di San Donato a Scopeto per la cappella maggiore della loro chiesa conventuale, con l’obbligo di portalo a termine entro un massimo di 30 mesi (si tratta dell’Adorazione dei Magi oggi agli Uffizi, capolavoro assoluto della prima maturità, lasciato incompiuto e sostituito nel 1496 da una pala di analogo soggetto, affidata anch’essa ai pennelli di Filippino Lippi), è solito motivarsi con la partenza di Leonardo per Milano.
Qui, l’artista si tratterrà quasi ininterrottamente per 17 anni, alla corte di Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, dall’estate del 1482 alla tarda primavera del 1499. Nell’offrire i suoi servigi al duca, illuminata figura di politico e mecenate delle arti, Leonardo si presenta piuttosto come ricercatore che come pittore, occupandosi di scienze naturali, speculative e applicate e perseguendo quella varietà di obiettivi che faranno di lui il modello per antonomasia dell’«artista universale».
Ricadrebbe in questo momento, secondo una parte della critica recente, il San Girolamo della Pinacoteca Vaticana, eloquente immagine degli sforzi e dei «patimenti» legati all’assiduità della ricerca, che altri assegnano al contrario agli ultimi tempi del soggiorno fiorentino.
Risalgono invece con certezza al periodo milanese, oltre alla prima versione della Vergine delle Rocce (Parigi, Louvre: 1483 ca.), anche il Ritratto di musico all’Ambrosiana (1490 ca.), quello di Giovane dama del Louvre (la «Belle Ferronière»: 1485-90 ca.) e quello di Cecilia Gallerani, allo Czartoryski Muzeum di Cracovia (c.d. «Dama con l’ermellino»: 1485-90 ca.).
Del 1495-97 è infine l’Ultima Cena per il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, opera chiave del Rinascimento europeo, dove vengono studiate le complesse relazioni che legano tra loro i protagonisti dell’evento, secondo i nuovi principi della teorica degli «affetti».
Degli stessi anni sono anche lo splendido cartone della Madonna, Sant’Anna e il Bambino alla National Gallery di Londra – prima versione di un tema che continuerà ad affascinare l’artista fino agli anni estremi della vecchiaia – e l’incarico per la decorazione della Sala delle Asse, al piano terra della torre di nord-est del Castello Sforzesco.
Alla caduta degli Sforza per mano di Luigi XII di Francia (settembre 1499), Leonardo lascia Milano per dirigersi prima a Mantova (ove abbozzerà il ritratto a sanguigna della marchesa Isabella, ora al Louvre) e poi a Venezia (dove sarà consultato per lavori di ingegneria militare ai confini orientali della Serenissima).
Ai primi del 1500 è ancora a Venezia, ma in agosto è già a Firenze, dove ha contatti con Francesco Malatesta, agente dei Gonzaga nella città medicea. Dall’anno successivo è ospite dei Serviti al convento della Nunziata, dove mantiene bottega con due garzoni.
Sono di questo periodo la seconda versione della Madonna, Sant’Anna e il Bambino (perduta, ma nota da studi e disegni preparatori) e una Madonna per il barone Florimond de Robertet, Segretario di Stato di Luigi XII («Madonna dei Fusi»), nota anche questa attraverso copie o repliche parzialmente autografe.
Nel 1502 passa al servizio di Cesare Borgia, per conto del quale ispeziona le fortificazioni dei territori da lui dipendenti. Nel 1503 è di nuovo a Firenze, dove in aprile riceve l’incarico di decorare la nuova Sala del Gran Consiglio in Palazzo Vecchio con una pittura di carattere storico: la Battaglia di Anghiari. Il compito, collegato alla nuova autonomia reclamata per sé dall’autorità cittadina, consiste in un gigantesco murale, grande tre volte il Cenacolo, commemorante la vittoria dei fiorentini sui milanesi nel 1440.
L’incombenza di decorare l’altra metà della parete con una pittura di analogo soggetto – la Battaglia di Cascina – va al giovane Michelangelo, già affermatosi come scultore del colossale David: l’artista, però, non va oltre il cartone e nel 1506 ritorna al servizio del papa.
Anche Leonardo, che per tutto il 1504 ha lavorato a sviluppare i cartoni per la grandiosa composizione (e che nel 1505 ha cominciato a trasferirne su parete il contenuto) rinuncia nel 1506 all’impresa. Scompariranno così le due opere che per il Cellini, “mentre che stettero in piedi, furono la scuola del mondo”: il cartone di Michelangelo, distrutto nei tumulti che seguiranno, nel 1512, il rientro dei Medici a Firenze; la pittura di Leonardo, cancellata dalle modifiche che saranno apportate, nel 1563, alla Sala stessa dal Vasari.
Rimontano peraltro ai medesimi anni i disegni per la monumentale fontana del Nettuno (giunta ad avanzato stadio di progettazione, ma mai realizzata) e, secondo il Vasari, anche la Gioconda (1503-09) e la perduta Leda (1503-1510/15).
Dal giugno 1506, frattanto, Leonardo è di nuovo a Milano, dove resterà fino al settembre 1507 e dove, su incarico di Carlo II d’Amboise, signore di Chaumont e nuovo governatore del ducato, lavora a progetti di architettura e canalizzazione.
Appartengono a questo periodo gli studi per un monumento equestre a Gian Giacomo Trivulzio (quelli per un simile monumento a Francesco Sforza, spintosi fino alla realizzazione del modello, l’avevano occupato a lungo nel soggiorno precedente), nonché una seconda versione della Vergine delle Rocce (Londra, National Gallery), ripresa con un’impostazione più scultorea delle figure e una resa più architettonica dell’ambiente.
Nel 1508, di ritorno a Firenze, vive in casa del matematico Piero di Baccio Martelli, letterato e umanista, dove dà forse inizio alla stesura pittorica della Vergine, Sant’Anna e il Bambino (Parigi, Louvre), terza e ultima versione del tema già tante volte affrontato, su cui continuerà a lavorare, di rientro a Milano, nel 1509-10 e, con maggiore certezza, in Francia, a partire dal 1517.
Nel 1511, frattanto, Ercole Massimiliano, figlio del Moro, restaura gli Sforza a Milano: vi giunge anche Leonardo, ospite probabilmente di Francesco Melzi, giovane rampollo del patriziato milanese e suo affezionatissimo allievo, che già in precedenza ha avuto modo di accoglierlo nella tenuta di Vaprio e presso cui si trattiene almeno un anno: il 25 marzo del 1513, infatti, l’artista è in città, ospite di un consulente dell’Opera del Duomo, da cui si congederà soltanto in settembre per recarsi a Roma.
Qui, Leonardo prende dimora per circa tre anni, nei quartieri messigli a disposizione in Vaticano dal cardinale Giuliano de’ Medici, duca di Nemours. Per tutta la durata del soggiorno, l’artista si tiene lontano dalla scena artistica locale, dominata dalle figure di Michelangelo e Raffaello, rilasciando piuttosto consulenze scientifiche e compiendo viaggi di studio a Firenze, in Emilia e in Romagna.
Tema portante di questo periodo è il progetto di bonifica delle Paludi Pontine, impresa per la quale riceve il mandato del cardinale Giuliano e che, approvata da Leone X il 14 dicembre 1514, viene anch’essa lasciata interrotta per l’incalzare degli eventi.
Nel 1517, infatti, Leonardo accetta l’invito di Francesco I, succeduto a Luigi XII sul trono di Francia, che gli offre ospitalità nel castello di Clos Lucé (Cloux), presso Amboise, dove è presente già in maggio, per la festa dell’Ascensione.
In ottobre riceve la visita del cardinal Luigi d’Aragona, legato a latere della Marca Anconitana e Vicario Pontificio con poteri speciali: secondo la testimonianza del canonico Antonio de Beatis, segretario del cardinale e diarista del viaggio da questi compiuto attraverso l’Europa, il Maestro ha con sé la Gioconda, il San Giovanni Battista e la Sant’Anna ed è impossibilitato a dipingere perché colpito da paralisi alla mano destra: ma è attivamente calato nei suoi studi e sempre abile “a far disegni e ad insegnar ad altri”.
È probabile, anzi – benché i documenti non ne facciano menzione – che l’artista prenda parte ai festeggiamenti dell’anno seguente, organizzati per il battesimo del Delfino, Francesco di Valois-Angoulême, il 25 aprile, e per il matrimonio di Lorenzo II de’ Medici, duca d’Urbino, con la nipote del re, Medaleine de la Tour d’Auvergne, il 5 maggio. Dagli appunti del Maestro, inoltre, si apprende come egli abbia in animo di realizzare un canale per l’irrigazione tra Tours, Blois e la Saônne.
Nella primavera del 1519, però, il Maestro cade gravemente malato: il 23 aprile fa testamento – con la disposizione, tra l’altro, di essere sepolto nella locale chiesa di Saint-Florentin – e il 2 maggio si spegne nella dimora di Clos Lucé, alla presenza del Melzi, suo esecutore testamentario.
Il 12 agosto, una nota dei registri parrocchiali riporta: “fut inhumé dans le cloistre de cette église M. Lionard de Vincy, noble milanois et premier peintre du Roy, meschanischien d’Estat et anchien directeur de peincture du duc de Milan” (Amboise, Registri del Capitolo Reale di Saint-Florentin).
Le ceneri del Maestro, segnalate da una lapide nel chiostro della chiesa, vengono verosimilmente disperse già nei decenni seguenti, nel corso dei torbidi generati dalle Guerre di Religione (1562-98): nel 1874, tuttavia, resti dubitativamente identificati con quelli del Maestro, rinvenuti durante i restauri della chiesa (1863), vengono solennemente traslati nella cappella di Sant’Uberto, all’interno del castello di Amboise, e qui tumulati per esservi onorati come tali.