La persona umana costituita dalla relazione, di Achille Tronconi
Presentiamo on-line sul nostro sito per sua gentile concessione una trascrizione della relazione tenuta da d. Achille Tronconi il 14/6/2008 presso il C.I.F.I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (2/11/2008)
Intendo parlarvi in veste di formatore, dove nell’aiutare l’altro “a prendere forma” ho come punto di riferimento il concetto di persona. E possiamo affermare che tale concetto in tutta la sua ricchezza è nato grazie al pensiero cristiano poiché insieme all’amore e all’essere, dei quali è protagonista ed espressione, la persona è la realtà che più ci accomuna a Dio.
Persona come riferimento ad altro
Ed è proprio a Dio che mi devo riferire per capire cosa è la persona, in quanto il primo ad essere persona è Dio stesso: è lui il paradigma originario. In questo procedimento di conoscenza, capire la mia verità riferendomi ad un Altro, già dico una prima e determinante caratteristica: la persona in tutto il suo essere si riferisce ad altro. Sembra una cosa semplice ma è la vera rivoluzione culturale portata dal pensiero cristiano: non siamo auto-referenziali in assoluto, ma la verità ci donata da altro da noi.
Ne consegue che oltre la disponibilità e la capacità a capire, la verità chiede una reale umiltà in quanto resiste a coloro che sono sostanzialmente auto-referenziali. Noi non siamo autosufficienti riguardo alla verità: il riferimento risulta vitale. Il peccato è quando io nego in modi diversi questo rapporto e mi esaurisco in me stesso. Il peccato è infatti la negazione della persona, che invece chiede la relazione ad altro per essere se stessa. Si tratta di una dinamica fondamentale da capire nella vita e per una giusta comprensione della fede cristiana: essere in riferimento ad altro per essere se stessi.
Persona come colui che non può dirsi né darsi senza l’altro
Nel cristianesimo la necessità di un nuovo termine che dicesse tutta la ricchezza del concetto di persona sorge proprio nell’impegno di definire i rapporti fra le persone della Trinità. Qui il Padre va via da sé per donarsi al Figlio e in questo è la sua identità di persona.
Non si può andare all’altro se non si va via da sé. Allora la persona acquista la propria identità dall’altro: il Figlio è tale nel ricevere il dono del Padre. Il dono che l’altro fa di sé profila l’identità stessa del ricevente. Così nel riferirci al mistero trinitario noi vi vediamo persone che si donano reciprocamente e nel donarsi realizzano la propria identità e quella dell’altro.
Persona come capacità di ricevere il dono
Il Figlio, nel rivelarsi, rivela a noi che il costitutivo della sua identità è la capacità di ricevere il dono di sé stesso dal Padre. Questo ci dice che altra caratteristica fondante della persona è la capacità di ricevere il dono.
Noi, prima ancora di dare, siamo oggetto di dono: questo viene sempre prima.
L’unico a non venire prima in questo senso è Dio, il quale ci ha amati per primo. Questo fa la differenza e fonda la verità stessa.
La nostra vita è un dono e la nascita il primo atto di obbedienza al dono, prima ancora che io ne sia consapevole. Ogni dono chiede poi capacità di riceverlo in una obbedienza consapevole e grata.
Allora essere persona nel Figlio è la capacità di ricevere se stessi. Nel cuore del pensiero cristiano sta questa verità: è l’altro che dà noi stessi a noi e questo ci caratterizza come persona. Dimenticata questa verità non si può comprendere il cristianesimo nei suoi contenuti più alti e significativi (Gesù, la Trinità ) e nelle sua modalità irrinunciabile di vita che è la comunione (Chiesa).
Si scopre anche che la persona non può relazionarsi con se stessa se non già grazie alla relazione che la precede, fino a giungere a quella che la ha generata, cioè la relazione dei genitori; ed ancora al di là di loro il riferimento va a Dio come realtà che è in relazione e nel momento in cui vuole rapportarsi con me compie l’atto creativo.
Non sono il signore e padrone della relazione, spadroneggiando a secondo dei miei capricci, né posso sentirmi d’animo nobile o generoso perché concedo rapporti.
Direi quindi che la persona non può raggiungersi senza essere presso un altro. Oggi la persona è facilmente disconnessa con sé perché non riconosce di essere presso un altro, già in relazione con altro. Essere orfani non è per noi: siamo nati figli; se dimentico questo mio essere “presso il Padre nel Figlio per mezzo dello Spirito” infliggo una ferita totale alla mia identità.
Persona come coscienza
Arriviamo così al punto fondamentale della definizione cristiana di persona: essa trova infatti la propria pienezza e verità nella capacità di considerare se stessa come altro da sé. È lì che può nascere la riflessione e la coscienza. Se invece la vita è una ininterrotta celebrazione di un io ipertrofico così da togliere la visione stessa della realtà, non ho la giusta distanza di me come altro da me. Invece io sono un percorso da conoscere, un dato da elaborare, un dono da ricevere, un dono da dare: senza questa distanza da me non ho piena libertà di valutazione e di discernimento, una vera coscienza.
Tutto questo può sembrare tanto teorico, ma lo sperimentiamo tutti i giorni quando all’altro, ad esempio, non si può far notare nulla perché si offende, facendo di ogni cosa una questione personale in una realtà che si identifica con se stesso.
Se c’è una giusta distanza da sé diventa possibile il confronto, il dialogo e, perché no, una seria verifica indispensabile per la crescita.
Affinché io possa essere luogo d’incontro con l’altro è necessario che sia capace di vedermi altro da me, che ci sia un momento di verità, superiore al mio essere, al mio sentire, alla mia emozione, al mio corpo: e questa è la coscienza. Essa è il punto focale della persona, ciò che la rende unica e nello stesso tempo luogo d’incontro e di comunione con l’altro. Questo ci rende capace di giudizio su di noi, giudizio al quale è necessario essere educati perchè nell’incontro con l’altro io possa riconoscere la verità su di me e progredire nel discernimento.
L’esame di sé, il riconoscimento del proprio peccato, l’ammissione di responsabilità non hanno più spazio in chi è occupato a tempo pieno nel monitoraggio ossessivo dell’altro. Mentre la caratteristica essenziale della persona è la sua lucidità e consapevolezza riguardo sé e il reale; ciò la rende responsabile e consistente.
Indicazioni conclusive
Se metto costantemente in evidenza che l’essere persona sta nel ricevere la verità dall’altro, la relazione – così provata nella vita - non ha nulla di straordinario o di eroico, ma è la condizione necessaria e normale del vivere umano. Se uno riesce ad avere relazioni libere e vere con gli altri, per questo non diventa un eroe ma semplicemente una persona.
La nostra vita, per essere persone, non può che essere vita di relazione anche nei possibili contrasti. Nessuno è escluso: non è una opzione per i più fortunati, o i più buoni, né tanto meno per ingenui che credono ancora in una possibilità di comunione.
La prima indicazione è perciò questa: onorare il nostro essere persona con l’affermare che la nostra origine prossima e remota è posta in una relazione e questa è il motivo per cui sono al mondo e nessuna difficoltà o costo potranno fammi pensare diversamente.
La seconda indicazione: celebrare quotidianamente la gioiosa consapevolezza che ciò che ci fonda è un dono fatto da un atto di amore. Ogni mattina abbiamo il bisogno di ricapitolare la nostra vita in questa prospettiva, ed è la preghiera che riconosce fedelmente tale verità: essere un dono amato dal Padre. Ogni mattina, primo atto di consapevolezza di essere dono anche in quel giorno. Quindi esercito il riconoscimento e dico ‘Padre’ perché mi riconosco figlio, dico ‘grazie’ perché riconosco il dono, chiedo aiuto perché riconosco la mia debolezza e il suo amore, riconosco e celebro la sua presenza che gratuitamente mi salva.
La terza indicazione: l’essere persona rivela la nostra vocazione ad essere dono. Essere dono per gli altri è normale perché vocazione di tutti, perché persone. Essere persona è essere dono - non c’è alternativa - e il dono reciproco fa la comunione.
In conclusione possiamo dire che il fine dell’essere persona è la comunione, tornando così al mistero trinitario: Dio è persona in comunione di persone.
La persona non è fine a se stessa ma è stata voluta e inventata per la comunione che ha come oggetto la costituzione della persona.
Ecco a proposito le parole di Benedetto XVI: «Da questa realtà di Dio, che Egli stesso ci ha fatto conoscere rivelandoci il suo nome, cioè il suo volto, deriva una certa immagine di uomo, cioè il concetto di persona. Se Dio è unità dialogica, essere in relazione, la creatura umana, fatta a sua immagine e somiglianza, rispecchia tale costituzione: essa pertanto è chiamata a realizzarsi nel dialogo, nel colloquio, nell’incontro: è un essere in relazione. In particolare, Gesù ci ha rivelato che l’uomo è essenzialmente figlio, creatura che vive nella relazione con Dio Padre, e così in relazione con tutti i suoi fratelli e sorelle» (omelia a Genova il 18 maggio 2008).
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