Battezzare nel Tevere, celebrare nelle case, di Andrea Lonardo
Pubblichiamo un articolo scritto da Andrea Lonardo per la rubrica “Paolo a Roma” del sito www.romasette.it
Il Centro culturale Gli scritti (21/3/2009)
I primi battesimi in Roma debbono essere avvenuti certamente nel Tevere, prima che si giungesse all’edificazione di battisteri stabili, sempre comunque con acqua corrente, nel periodo costantiniano.
Tertulliano, nel De baptismo, a cavallo fra il II ed il III secolo, ne accenna di passaggio, come un dato di fatto ovvio, solo per sottolineare che non bisogna badare alla diversità delle acque, come se ne esistessero di migliori o peggiori, poiché tutte ricevono la stessa forza sacramentale di rendere figli di Dio, per opera dello Spirito di Cristo:
«Non sussiste alcuna differenza fra chi viene lavato in mare o in uno stagno, in un fiume o in una fonte, in un lago o in una vasca, né c’è alcuna differenza fra coloro che Giovanni battezzò nel Giordano e Pietro nel Tevere, a meno che l’eunuco che Filippo battezzò con l’acqua trovata per caso lungo la strada abbia ottenuto in misura maggiore o minore la salvezza!»
Molti dei cristiani che accolsero Paolo a Roma devono aver ricevuto così il battesimo nel fiume a cui Roma deve la sua esistenza. I primi evangelizzatori dell’urbe, dei quali non si è conservato il nome, più volte scesero alle acque del Tevere insieme ai nuovi credenti che domandavano di ricevere il battesimo e più volte risuonò sulle rive del fiume di Roma la triplice domanda sulla fede in Dio Padre e nel Figlio e nello Spirito, forma primitiva del Credo cristiano che si svilupperà poi nel Simbolo degli apostoli e nel Credo niceno-costantinopolitano.
Dalla Lettera ai Romani appare con chiarezza che la composizione della prima comunità cristiana doveva essere mista, comprendendo nel suo seno cristiani che provenivano sia dal giudaismo, sia dal paganesimo.
Dalle attestazioni epigrafiche è ormai noto che la comunità ebraica era divisa in Roma, nel II-III secolo d.C., in sinagoghe ed è presumibile che molti di questi gruppi esistessero già in età neroniana. Se ne conservano, nelle epigrafi funerarie, 11 nomi: la sinagoga detta degli Ebrei (probabilmente la più antica, che doveva essere stata creata forse già al tempo dei Maccabei, nel II secolo a.C.), quella dei Vernaculi, quella detta degli Augustenses (probabilmente voluta dalla benevolenza dell’imperatore Augusto), quella detta degli Agrippini (voluta similmente da Marco Vipsanio Agrippa), quella dei Volumnenses (voluta forse da Volumnio, legato in Siria ed amico di Erode il grande), quella dei Campenses (dal Campo Marzio dove doveva avere il suo punto di riferimento), dei Suburenses (dalla Suburra, subito dietro i Fori imperiali, dove era certamente la sua localizzazione), quella dei Calcarenses (di più difficile localizzazione, forse verso l’antica Porta Collina), quella detta di Elaia (probabilmente a motivo della città greca da cui provenivano i suoi componenti), quella dei Tripolini e quella chiamata in greco tõn Sechenõn (termine di non univoca interpretazione).
Le prime presenze ebraiche in Roma in ordine cronologico debbono essere situate nella zona di Trastevere, il primo quartiere nel quale vennero ad abitare gli ebrei di Roma, giunti al seguito dell’ambasciata dei Maccabei e poi, in gran numero, come schiavi, quando Pompeo conquistò la Giudea nel 63 a.C. La catacomba di Monteverde conserva molte epigrafi ebraiche proprio perché era il luogo di sepoltura dei primi ebrei romani residenti a Trastevere.
Le iscrizioni rivelano la presenza di un gran numero di liberti che accedevano pian piano alla libertà; non si ha notizia, per il I secolo, di una vita culturale ancora particolarmente attiva nella comunità ebraica romana (l’unica personalità ebraica di rilievo intellettuale nella Roma del I secolo d.C., oltre a quelle neotestamentarie, è la figura di Flavio Giuseppe, che fu ospitato nella residenza di Vespasiano antecedente alla sua salita al seggio imperiale, luogo nel quale lo storico scrisse anche le sue opere, avendo pieno accesso agli archivi dello stato romano).
Gli studi ipotizzano che a Roma vivessero all’epoca circa 15.000 ebrei – un numero simile alla consistenza attuale della comunità ebraica romana – sebbene tale cifra sia ampiamente opinabile, in quanto fondata su deduzioni e non su dati certi.
Quando Paolo venne ad abitare in Roma in attesa del processo, nella forma di una custodia militare, invitò subito i “primi” tra i giudei (At 28,17), le autorità delle diverse sinagoghe, ad incontrarlo. Non è certa la localizzazione di questo evento. La tradizione vuole che Paolo abbia vissuto i “due anni interi” (At 28,30) della sua permanenza in libertà vigilata nell’urbe precisamente nel luogo dove sorge ora la Chiesa di San Paolo alla Regola, vicino Ponte Sisto e via Giulia. La Chiesa è stata restaurata proprio in vista dell’anno paolino e gli scavi sottostanti permettono di toccare con mano il livello dell’insula romana sulla quale fu edificata la chiesa.
Oltre alla basilica di S. Prisca, il terzo luogo romano che rivendica una abitazione paolina è la Chiesa di S. Maria in via Lata (via Lata era l’antico nome dell’attuale via del Corso). La cripta di questa Chiesa permette di venire a contatto con il sottostante livello romano di età neroniana ed invita a venerare i luoghi nei quali, secondo la tradizione, avrebbero dimorato Pietro e Paolo, ma anche gli evangelisti Luca e Giovanni.
Gli Atti e le lettere testimoniano che era proprio nelle case private che avveniva l’incontro delle comunità cristiane e la celebrazione dell’eucarestia. Personalità più abbienti della comunità dovevano possedere delle abitazioni spaziose e mettevano a disposizione i locali più ampi, probabilmente il triclinium, delle loro case per gli incontri.
È certo, dai testi neotestamentari, che le riunioni fin dal I secolo erano già settimanali, scandendo il tempo a partire dal giorno della resurrezione del Signore; esse comprendevano la preghiera, la lettura delle Scritture (cioè dell’Antico Testamento, al quale cominciavano ad aggiungersi gli scritti neotestamentari ancora indipendenti l’uno dall’altro), la predicazione di qualcuno degli apostoli o di personalità legate alla tradizione apostolica ed, infine, la fractio panis.
Lo stesso Paolo è descritto due volte, negli Atti, presiedere la celebrazione dell’eucarestia, una prima volta proprio in una casa privata a Tròade (in At 20,11, dopo il miracolo della resurrezione del giovinetto che era morto cadendo per essersi addormentato a motivo della lunghezza della riunione che si era protratta fino a mezzanotte!) ed una seconda sulla nave che si dirigeva verso Malta, poco prima del naufragio (At 27,35).
Quando Paolo ricorda ai Corinzi l’eucarestia che ha loro trasmesso dopo averla ricevuta a sua volta non ha in mente solo la consegna delle espressioni pronunciate da Gesù nell’ultima cena con il loro significato, ma, ben più significativamente, la tradizione stessa dell’evento liturgico che egli doveva aver presieduto nella comunità di Corinto e che aveva chiesto fosse perpetuato dai corinzi.
Senza poterne così individuare con esattezza i luoghi, la città di Roma, con il suo fiume e con le sue insulae romane sottostanti le successive chiese, ricorda a tutti i molti luoghi nei quali Paolo e le prime comunità cristiane celebravano l’iniziazione cristiana di coloro che «il Signore aggiungeva a coloro che erano salvati» (At 2,48).