Del valore teologico della bestemmia, per una filosofia del linguaggio, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Cristianesimo.
Il Centro culturale Gli scritti (10/10/2022)
Villeggiando in Trentino o in Veneto si sente spesso bestemmiare, ma tale intercalare, voluto o meno, tocca tutte le regioni.
Ebbene, come già disse Chesterton:
«Senza dubbio la bestemmia è l’argomento più forte in favore del punto di vista religioso della vita. Un uomo non sa affermare nulla rispetto a questo mondo, in modo di esserne soddisfatto, se da questo mondo non evade [...] Il modo più naturale di parlare è quello soprannaturale [...] Non chiederei se [le “fedi” laiche dell’etica o dell’evoluzione] siano in grado di produrre la santità, ma se possono produrre il turpiloquio. È possibile imprecare in nome dell’etica? Si può bestemmiare l’evoluzione? […] Le loro imprecazioni non sarebbero un poco incolori?»[1].
Chi non crede, se fosse linguisticamente coerente, dovrebbe esclamare, dinanzi alla morte di qualcuno o di un grave disgrazia: “Porca natura”. Oppure “Porca evoluzione”.
Oppure come fanno tanti, che da Dio passano ai “suoi”, a Maria o ai santi, dovrebbe esclamare: “Porco Darwin”, “Porco Mendel”, “Porco Lemaître”.
Il fatto che mai e poi mai sentiremo tali esclamazioni non significa che sia bene bestemmiare, ma che un linguaggio teologico è l’unico che abbia senso!
Note al testo
[1] In G.K. Chesterton, Rimpianti rebelasiani nella raccolta L'uomo comune, Edizioni Paoline, traduzione di Frida Ballini, 1955.