1/ Ma che cosa ha detto veramente Salman Rushdie, di J.M. Gaudeul (in francese) 2/ Salman Rushdie, sarebbe bello che qualche autorità musulmana dicesse: “Nel passato i musulmani hanno ucciso chi criticava il Corano, da oggi in poi non faremo più così: Rushdie ha bestemmiato, ma Dio non vuole la morte dei bestemmiatori”, di Giovanni Amico

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 14 /08 /2022 - 13:49 pm | Permalink | Homepage
- Segnala questo articolo:
These icons link to social bookmarking sites where readers can share and discover new web pages.
  • email
  • Facebook
  • Google
  • Twitter

1/ Ma che cosa ha detto veramente Salman Rushdie, di J.M. Gaudeul (in francese)

Riprendiamo sul nostro sito un articolo di J.M. Gaudeul pubblicato in “Se Comprendre” (PISAI), n. 89/04 del 24 aprile 1989. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione L’Islam contemporaneo e la violenza.

Il Centro culturale Gli scritti (14/8/2022)

Cliccando su questo link è possibile leggere l'articolo di J.M. Gaudeul MAIS QUE DIT RUSHDIE? nella versione originale francese MAIS QUE DIT RUSHDIE? par J.M. GAUDEUL

Ma che cosa dice Rushdie?, di J.M. Gaudeul

Mettiamo a diposizione sul nostro sito una traduzione di Silvia Gramegna dell’articolo di J.M. Gaudeul. L’autore non ha rivisto la traduzione. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza di questa traduzione sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.

Il Centro culturale Gli scritti (28/8/2022)

Si è detto di tutto sull’affare Rushdie: il suo libro “I Versetti satanici”, le reazioni delle folle di musulmani in Gran Bretagna e nel mondo islamico, la sua condanna e le minacce provenienti dall’Iran, le misure prese dai governi europei, le proteste degli editori e degli intellettuali occidentali: tutto, si è detto di tutto. Sono anche state date delle spiegazioni estremamente dotte per suggerire che l’atteggiamento di Khomeini gli fosse stato dettato da calcoli di politica interna.

Nel frattempo, si è scritto ben poco sul contenuto vero e proprio del libro e sulle ragioni che abbiano potuto causare una reazione tale negli ambienti musulmani. È pur vero che pochi giornalisti hanno potuto leggerlo. Il lettore ha spesso l’impressione che tutto questo trambusto sia irrazionale, dettato dal fanatismo ben più che dal libro in sé. Qual è la realtà? Cosa dice Rushdie?

LA DERISIONE: CONSEGUENZA INEVITABILE

Cominciamo dal tono generale: un romanzo enorme, fitto, scritto in un inglese decisamente difficile perché costellato di espressioni indiane e di giochi di parole che partono da queste espressioni.

A cosa comparare questo stile? Pensiamo a Rabelais o, più vicini a noi, a Sanantonio o al Canard Enchaîné[1]. L’atmosfera è scanzonata, spiritosa, e l’autore sembra amare le situazioni scabrose e gli scherzi divertenti.

UN TROMPE L’ŒIL

I giornalisti conoscono bene il procedimento che consiste nel dire le cose peggiori su qualcuno ma tutelandosi da eventuali conseguenze: “Nei bistrot della città, si sente dire che il sindaco si sia immischiato in certi affari loschi…”. Apparentemente, viene solo riportato un pettegolezzo, ma il lettore è sensibile al contenuto di questo pettegolezzo, a prescindere dal fatto che sia stato verificato o meno.

Salman Rushdie decide di fare lo stesso: parlerà dell’Islam, della religione in generale e di Maometto in particolare dicendo che si tratta solamente di un sogno fatto da un indiano. Sogno o realtà? Non si sa mai, l’eroe stesso non sa cosa pensare dei suoi strani sogni, più reali del suo stato di veglia.

D’altronde, il libro inizia con una scena strana: due indiani (Chamcha e Gibril), cadono da un aereo che esplode in pieno volo: ne escono, senza che si capisca mai se siano scampati alla morte o se siano finiti nell’aldilà. Ci si sbilancerebbe sulla seconda ipotesi perché il più sincero dei due, Chamcha, si ritrova trasformato in un demone, nelle sembianze di un caprone. Non se ne libererà fino a quando non si abbandonerà a una spaventosa crisi di rabbia distruttiva. Finché vuole restare calmo e dolce, rimane prigioniero della sua apparenza demoniaca. Non appena si consegna all’ira… ridiventa umano. Passando per questo aldilà, i nostri due eroi sono entrati in una dimensione dove il male e il bene sono intercambiabili, e dove Satana, i demoni e gli angeli non si distinguono più gli uni dagli altri.

L’ISPIRAZIONE DI MAOMETTO

È a questo punto che entriamo nei sogni di Gibril: è un angelo o un demone? È ancora il semplice personaggio che era prima, o ormai è in comunione con un altro essere misterioso (l’arcangelo Gabriele, Gibril) che si ricorda del passato e ci descrive del suo incontro con il profeta dell’Islam? Sogno o ricordo?

Ci ritroviamo dunque a seguire la carriera profetica di Maometto in episodi alternati ad altre sequenze spassose della vita dei nostri due eroi, Chamcha e Gibril.

È così che assistiamo (sogno o ricordo?) al primo incontro tra il Profeta e l’angelo Gabriele. Quest’ultimo ci confida che non aveva niente da dire a Maometto, ma che questo commerciante arabo voleva così tanto ascoltare una parola… che se l’è fatta uscir fuori senza neanche rendersene conto.

Altri episodi della vita del profeta vengono dunque raccontati, mostrando tuttavia che, senza accorgersene troppo, spesso Maometto si fabbricava le rivelazioni che desiderava, e che non sapeva distinguere ciò che veniva da Dio da ciò che veniva da Satana (d’altronde, è mai esistita una vera rivelazione?). Infine, abbiamo diritto (sogno o ricordo?)  alle confidenze di uno dei primi musulmani, lo scriba che riceve la rivelazione sotto dettatura del Profeta. Questo scriba perde la fede in Maometto quando si accorge che il suo maestro non nota nemmeno gli errori infilati volontariamente nel testo del Corano dal suo segretario.

Tutti questi versetti, che si dice siano rivelati, non sono invece che una fabbricazione umana, insinuano gli eroi del sogno di Gibril.

Non sono umani i versetti del Corano che sembrano esprimere unicamente i desideri di Maometto e le pulsioni del suo subconscio?

- Umani i versetti che lo autorizzano a sposare Zaynab, la donna che lui desidera (33, 36-40)? ‘A’isha non commentò forse dicendo “sei fortunato ad avere un Dio che soddisfa tutti i tuoi desideri”?

- Umani i versetti che assolvono la sua donna preferita ‘A’isha, sospettata di adulterio (24, 11-13)?

- Umani quei passaggi in cui si esprime la gelosia di un marito che vuole proteggere le sue donne dallo sguardo altrui, impone loro il velo, le dichiara madri dei credenti perché esse non si sposino con nessuno dopo di lui?

- Umani quei versetti che danno ragione a Maometto nei litigi con le sue donne, o chiedono ai fedeli di rispettare la sua intimità quando si riposa in famiglia?

Passiamo sotto silenzio i passaggi dove si vedono le prostitute di un bordello darsi i nomi delle spose del Profeta per far triplicare i loro guadagni. È solo un’invenzione dell’autore.

Tuttavia, gli altri fatti sono dei dati storici ben conosciuti della tradizione musulmana, ma Rushdie dà loro un’interpretazione radicalmente scettica.

Uno di questi episodi si chiama, appunto, dei “Versetti satanici”[2]: secondo Tabari, un grande storico musulmano, il versetto 53, 19 del Corano era stato appena rivelato quando “Satana mise sulla lingua del profeta ciò che egli aveva nel profondo dei suoi pensieri e che si augurava per il suo popolo”. Seguirono due versetti di compromesso con i pagani che riconoscevano alle tre dee della Mecca un certo ruolo di intercessione presso Dio. Corretto, più tardi, da Gabriele, il Profeta avrebbe allora soppresso i versetti satanici e conservato il senso strettamente monoteista del passaggio. Un’altra rivelazione, diversi mesi più tardi, avrebbe dato la chiave dell’episodio: “non abbiamo inviato prima di te né Inviato, né Profeta senza che, quando aveva un desiderio, Satana non glielo abbia fatto esprimere. Allah cancella ciò che è inviato da Satana, poi Allah ripristina i suoi Segni (o versetti)” (22, 52).

Imbarazzati da questo episodio, certi commentatori lo passano sotto silenzio, altri accusano gli orientalisti occidentali di aver inventato questa storia scabrosa. Altri, infine, insinuano che Satana abbia fatto sentire queste parole al pubblico senza che Maometto le abbia pronunciate.

Il libro di Rushdie grida ai credenti: aprite gli occhi dunque, vedete bene che tutto questo dimostra che il Corano è un libro umano, scaturito dalla psicologia di Maometto. Ma i credenti possono davvero aprire gli occhi? Non sono forse chiusi in una cecità che desiderano conservare?

LA FEDE CHE ACCECA

Uno degli ultimi episodi del libro (sogno o ricordo?) ci mostra la comunità musulmana attuale in India: una visionaria trascina un villaggio intero in un pellegrinaggio da pazzi, a piedi nudi, dall’India alla Mecca. Anche lei dice di aver ricevuto una rivelazione di un angelo! Nonostante tutti gli sforzi di qualche libero pensatore della comunità che si fa trattare da infedele e da impuro, tutto il villaggio si getta in mare e vi muore. Lungi dal vacillare nella loro fede, la folla degli astanti, impressionata da questo gesto, mormora che Dio li ha tutti semplicemente trasportati miracolosamente alla Mecca.

La fede si chiude così nell’irrazionale e si serve anche dei suoi fallimenti per confermarsi nei suoi dogmi. I credenti si chiudono nella loro cecità

QUALCHE RIFLESSIONE

Lo si sarà capito, i lettori musulmani del libro hanno immediatamente compreso che il libro attaccava ciò che costituisce il fondamento stesso dell’Islam: la certezza che Dio ha parlato a Maometto e che il Corano è la trascrizione di queste rivelazioni.

Tradizionalmente, l’Islam si è compiaciuto di descrivere il fenomeno della rivelazione in termini di Dettato celeste trasmesso tramite l’intermediario dell’angelo Gabriele (Gibril). Il solo essere capace di distinguere ciò che veniva da Dio e ciò che era solo pensiero umano è Maometto stesso. L’Islam rigetta infatti ogni discernimento altro da quello del Profeta in persona. La teologia classica ha quindi dovuto postulare che Maometto era infallibile, nonché impeccabile, per non aver potuto commettere nessun errore in questo discernimento e nella trasmissione delle rivelazioni.

Il Come di questo fenomeno non è mai descritto: la forma che prende la coscienza profetica nella sua attività di accoglienza della rivelazione resta in larga parte misteriosa. Si ama credere che questo Dettato dovesse essere totalmente indipendente dagli stati d’animo del Profeta. E tuttavia, la tradizione musulmana ha conservato traccia di un processo più esitante e più simile a quello tipico nella vita dei profeti biblici.

Prendendo l’episodio dei Versetti satanici per il titolo del suo romanzo, Rushdie mette il dito sul nervo scoperto del dogma islamico. Come può una Parola divina diventare Libro umano senza essere condizionata dai limiti del linguaggio umano, le particolarità del contesto e i pensieri del profeta che la trasmette?

Per affermare meglio che il Corano è Parola di Dio, i teologi dell’Islam classico hanno creduto di dover negare questo condizionamento. Tutto, nel Corano, veniva da Dio e da Lui solo: messaggi e forme del messaggio, contenuto e stile, lettera e spirito. Rushdie, al contrario, trova il Libro troppo umano, troppo legato alle circostanze della vita del profeta perché tutto vi sia divino. Come può un messaggio divino prendere una forma così umana? Preferisce allora non vederci null’altro che l’umano.

L’Islam, sembra dire, non può più accontentarsi di parlare di un Libro proveniente dal cielo senza elaborare una spiegazione coerente e critica del modo in cui un cuore umano può percepire la Rivelazione divina.

Recentemente, alcuni pensatori musulmani hanno provato a farlo: alcuni, come Mohammed Khalafallah, hanno evocato la presenza di generi letterari nel Corano: il loro pensiero è stato condannato; Fazlur Rahman, un professore pakistano, ha tentato di mostrare che il Corano poteva essere interamente Parola di Dio e interamente parola di Maometto, un po’ allo stesso modo dei libri della Bibbia. Ha dovuto esiliarsi di fronte allo scandalo provocato da questa tesi innovatrice[3]. Più vicini a noi, troviamo un saggio più discreto di riflessione su questo tema in un libro recente: “Ces Ecriture qui nous interrogent”[4] (Centurion, Paris, 1987, 159 p.), frutto di una collaborazione tra intellettuali cristiani e musulmani.

Ma l’Islam aspetta ancora una teologia della rivelazione che prenda in considerazione tutti i dati della fede e quelli delle scienze umane per farne una sintesi.

UN GRIDO DI DISPERAZIONE

Non bisogna nasconderselo, il libro di Rushdie non è un contributo serio al dibattito. È deliberatamente provocatorio e, sotto la risata, vuole esprimere un risentimento feroce contro la religione della sua infanzia e contro ogni religione.

Ma la reazione che suscita ci consegna anche una parte della chiave del suo libro. Egli tratta del fenomeno storico che è alla base della fede musulmana. Ridacchia, ci sputa sopra, lo calpesta. La folla urla e vuole punirlo, eliminarlo; e tuttavia sul problema di fondo, nessuno dice niente.

Ma dove si potrebbe parlare liberamente, posatamente, di un tale problema? Il libro di Rushdie non è forse il segno che l’autore ha perduto la speranza di poterne discutere pacatamente e di trovare una risposta coerente alle domande che si pone un uomo del nostro tempo davanti al fatto della rivelazione? Avrebbe scritto questo libro, e in questa maniera, se i centri del pensiero islamico in tutto il mondo avessero preso in considerazione questi nuovi interrogativi dei credenti musulmani, e se avessero permesso di discuterne alla luce della fede?

I cristiani hanno conosciuto, più di un secolo fa, la stessa crisi dell’Islam attuale. A una interpretazione troppo fissa e statica della Bibbia si è subito opposta una corrente che riscopriva il contesto storico nel quale si era prodotta la Rivelazione. In un primo tempo, anche questa corrente si prestava alla provocazione, e si sollevavano delle voci che non vedevano nella Bibbia niente più che un libro puramente umano. Ci sono voluti diversi anni per superare il livello dello scontro sterile della provocazione e dell’indignazione che essa suscita. Poco a poco è stato trovato un nuovo approccio, che permette di accogliere la Parola di Dio attraverso il linguaggio umano che l’aveva trasmessa.

L’Islam, dal canto suo, entra ora in questa crisi. No, questo libro non risolverà niente: non è nemmeno un gran romanzo, senza dubbio, né un’opera eccezionale. No, non è il tono adottato da Rushdie che faciliterà la discussione sull’essenziale. Non è nemmeno il tono sprezzante adottato dall’insieme dei media occidentali nei confronti dei credenti musulmani che farà progredire la riflessione. I musulmani sono indignati, e hanno ragione: il libro di Rushdie aveva proprio questo obiettivo.

Ma, diciamocelo chiaramente, neanche la condanna a morte risolverà niente. Anzi, non farà altro che suscitare altri libri o altri articoli scritti con lo stesso piglio.

Siamo ancora solo al prologo di un confronto di idee che impiegherà molto tempo e chiederà molta pazienza, ma che dovrà esser fatto, presto o tardi. Una nuova teologia della rivelazione nascerà da questo lavoro. L’Islam non perderà nulla della sua fede nel Libro e nel Profeta che l’ha trasmesso. Al contrario: ci guadagnerà probabilmente una comprensione nuova, un senso più affinato del messaggio coranico.

Note al testo

[1] Rivista satirica francese, NdT.

[2] Cf. M. Gaudefroy—Demonbynes, Mahomet (Albin Michel, Paris, 1957/1069, 698 p.), pp. 84-87 o W.M. WATT, Bell's introduction to the Qurân (Islamic Surveys 8, Edinburgh, 1970, 258 p.), pp. 55-56, 88, 117.

[3] Su M. KHALAFALLAH, vedere J. JOMIER, Quelques positions actuelles de l'exégèse coranique en Egypte - Révélées par une polémique récente (1947-1951), in M.I.D.E.O. (Mélanges de l'Institut Dominicain des Etudes Orientales) I (1954), pp. 39-72. Quanto a Fazlur RAHMAN, si potrà consultare il suo libro Islam (Doubleday Anchor Book, New—York, 1966, 331 p.), in particolare, pp. 26-29.

[4] Sic. Il titolo del libro è “Ces écriture qui nous questionnent”.

2/ Salman Rushdie, sarebbe bello che qualche autorità musulmana affermasse: “Nel passato i musulmani hanno ucciso chi criticava il Corano, da oggi in poi non faremo più così: Rushdie ha bestemmiato, ma Dio non vuole la morte dei bestemmiatori”, di Giovanni Amico

Riprendiamo sul nostro sito una nota di Giovanni Amico. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione L’Islam contemporaneo e la violenza.

Il Centro culturale Gli scritti (14/8/2022)

Dinanzi all’attentato a Salman Rushdie, sarebbe bello che le autorità musulmana proclamassero: “Nel passato i musulmani hanno ucciso chi criticava il Corano, da oggi in poi non faremo più così”. Spiegando bene: “Certo Rushdie ha bestemmiato, ha criticato il Corano, ha criticato Maometto e questo è grave. Ma Dio non vuole la morte dei bestemmiatori”.

Sarebbe bello che almeno qualcuna delle autorità delle principali università islamiche, che almeno qualcuno degli imam di al-Azhar al Cairo, che almeno qualcuno degli Emirati più tecnologicamente avanzati si pronunziasse.

Sarebbe l’occasione per una revisione storica – o è solo la Chiesa cattolica che chiede perdono delle proprie colpe nel passato come è appena avvenuto in Canada?

Sarebbe una profezia di pace per il futuro.

È possibile aspettarsi questo? È almeno lecito desiderarlo? O non ha nemmeno senso aspettarselo, quasi a proclamare in negativo che non c’è via di uscita dalla violenza in quel contesto religioso?