La Croce Lateranense o Costantiniana, capolavoro del Museo della basilica di San Giovanni in Laterano, e la tipologia delle Scritture con scene dalla Genesi, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito uno studio di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Roma e le sue basiliche.
Il Centro culturale Gli scritti (10/7/2022)
La Croce Lateranense o Costantiniana è una croce processionale, realizzata cioè per aprire le processioni avendo a fianco i portatori di candele, e, dato il luogo per cui venne pensato, per aprire le processioni del vescovo di Roma, il papa, nel medioevo. È ancora oggi utilizzata nelle vive liturgie delle grandi feste della Basilica di San Giovanni in Laterano[1].
Mentre in origine gli studiosi ne avevano fissato la data nell’avanzato XII secolo[2], oggi gli studi di Andaloro ne hanno sposato più in avanti la datazione alla fine del XIII secolo o addirittura agli inizi del XIV[3].
Radaeglia[4] ha sintetizzato gli studi su tale meravigliosa croce stazionale – altro termine utilizzato per sottolineare questa volta il suo utilizzo nelle stationes, cioè le chiese indicate dalla tradizione per le celebrazioni pontificie di determinate feste liturgiche – mostrando come essa avesse una disposizione almeno parzialmente diversa delle placche nel 1699, quando il Ciampini la disegnò[5], e suggerendo ipotesi convincenti di una sistemazione delle scene ancora diversa, anteriormente a tale data[6].
Risulta, infatti, evidente che la disposizione attuale non può essere quella antica, tanto alcune scene, ad esempio quella del Sogno del patriarca Giuseppe, sono lontane dalle altre relative alla stessa figura biblica[7].
1/ La crocifissione e il peccato originale nella Croce Lateranense
L’incertezza sulla posizione originaria di alcune scene non impedisce, comunque, di coglierne l’impianto, così come venne pensato dall’argentiere e dai committenti.
Innanzitutto è evidente che la croce ha due scene maggiori, l’una anteriormente e l’altra posteriormente, che sono la Crocifissione e il Peccato originale: l’evento della morte salvatrice del Cristo e il peccato che causa la morte sono posti in relazione di reciprocità.
Già questa giustapposizione dice come l’esegesi cristiana del tempo – e l’esegesi di sempre – insegni che non avrebbe senso la venuta di Cristo se il mondo non fosse uscito dalle mani di Dio e se l’uomo non avesse bisogno di essere salvato dal peccato che tutti ha portato alla rovina. È necessario che Cristo muoia per i peccati. Insomma, fra Genesi e il Vangelo c’è una reciprocità asimmetrica: il Vangelo è infinitamente più importante, ma senza Genesi non avrebbe senso.
Questo è evidente anche iconograficamente. Nella scena della Crocifissione sta al centro il Cristo, mentre nella scena del Peccato sta al centro il serpente demoniaco e sotto entrambi stanno un uomo e una donna, Adamo ed Eva, Maria e Giovanni: i primi perdono la salvezza, i secondi la ricevono nuovamente in dono.
Nel rapporto tipologico si evidenzia il ruolo di Maria, nuova Eva, a rappresentare la Chiesa che viene salvata – per tipologia, si intende che ogni evento dell’Antico testamento è visto come un “tipo”, una prefigurazione, un’anticipazione, un’ombra del Nuovo.
Nel tondo della Crocifissione si vedono in alto il sole e la luna, segno che la croce di Cristo è un evento cosmico e non riguarda solo qualcuno: il cosmo intero compartecipa all’evento della salvezza, attraverso un’eclissi.
A fianco di Gesù stanno, come sempre, la Madonna e San Giovanni Evangelista. Sotto si vedono fiori, perché dalla croce germoglia ormai la vita. La Madonna/Chiesa raccoglie il sangue di Cristo che le dà vita.
2/ I “tipi” di Cristo nelle storie della Genesi della Croce Lateranense
Le storie e i tondi che sono ai quattro bracci della croce dal lato della Crocifissione sono chiaramente scelti perché i personaggi delle storie in essi narrati sono visti come “tipi” di Cristo nell’Antico Testamento: quelle quattro storie sono scelte perché in esse la Chiesa ha letto con forza una prefigurazioni di ciò che in Gesù è divenuto realtà piena[8].
a/ In alto si vede, nel tondo, il sacrificio di Isacco. Qui la figura che anticipa il Cristo non è Abramo, ma Isacco. Il figlio di Abramo viene preparato per il sacrificio, ma poi esso non avverrà non solo perché Dio lo impedirà come racconta il testo stesso della Genesi, ma ancor più perché sarà il Cristo che deve ancora venire ad essere il vero Figlio che sarà sacrificato. Ecco la tipologia: l’episodio del sacrificio di Isacco non si limita al contesto antico, ma viene riletta a partire dalla croce, il vero sacrificio che sostituisce tutti i precedenti.
Nel tondo si vedono solo Abramo e Isacco, ma il riferimento è alla croce di Cristo che è nel tondo centrale, vero sacrificio che fa cessare tutti i sacrifici umani, sempre imperfetti e, in fondo, inutili.
b/ Nel braccio orizzontale, invece. è la storia di Giuseppe. All’estrema destra si vede Giuseppe che va incontro ai suoi fratelli, ma essi decidono di ucciderlo e, infatti, nel tondo di destra, egli viene gettato nel pozzo per essere poi venduto alla carovana di ismaeliti che si vede a sinistra del pozzo.
Nella parte sinistra del braccio orizzontale, lo si vede invece in Egitto, nel tondo, mentre gli si presentano davanti i suoi fratelli che in un primo momento non lo riconoscono, ma vengono da lui salvati.
Qui è Giuseppe ad essere “tipo” di Cristo: egli è il fratello amato dal Padre – lo si vede a destra arrivare dai suoi fratelli con il suo bel vestito, tutto felice -, che viene rigettato dai suoi fratelli che lo vogliono morto, ma la provvidenza di Dio fa sì che questo loro rifiuto divenga invece salvezza, perché egli dall’Egitto li salverà dalla carestia.
Nuovamente quel pozzo di morte che genera invece salvezza non è un episodio che la Croce stazionale considera chiuso in se stesso bensì lo vede come annuncio della morte in croce che genererà la salvezza per tutti i fratelli.
c/ In basso è il tondo con il sacrificio di Caino e Abele e subito sotto è l’uccisione di Abele da parte di Caino. Dio gradisce il sacrificio di Abele, ma subito il fratello che è invidioso di lui e della sua benedizione, lo uccide – l’uccisione è sopra il tondo, più vicina alla crocifissione e si vede anche Dio che dal cielo chiede conto a Caino della morte del fratello. Qui è Abele ad essere “tipo” di Cristo: come Abele, così Cristo è bene accetto a Dio e, nonostante questo, deve subire un’ingiusta morte.
d/ Le scene che sono alle estremità dei bracci probabilmente avevano in origine una diversa sistemazione – almeno alcune di loro, come ipotizza Radaeglia anche a partire dal disegno del Ciampini.
Le descriviamo così come esse ci appaiono ora: in atto, sopra il sacrificio di Isacco, sta il sogno di Giuseppe che nei covoni e nelle stelle vede e profetizza la prosperità futura cui la provvidenza condurrà la storia.
Sotto il sacrificio di Isacco sta una scena di non univoca interpretazione che potrebbe essere la partenza di Giuseppe che si distacca dal padre per raggiungere i suoi fratelli.
All’estremità sinistra del braccio orizzontale sta, invece, una scena relativa a Giacobbe che è anch’egli “tipo” del Cristo. Qui lo si vede nella sua lotta con Dio, per ricevere la sua benedizione e conoscerne il nome.
Le due scene in basso, nel braccio verticale, trattano nuovamente di Giacobbe. In quella disposta in lunghezza è Giacobbe che si accorge che una scala sale al cielo e gli angeli salgono e scendono su di essa, segno che Dio è presente proprio dove lui è e che il cielo è aperto. Gesù mostrerà con le sue stesse parole che quell’episodio è prefigurazione della sua vita, annunciando che i credenti vedranno il cielo aperto e gli angeli salire e scendere su di lui.
La scena più in basso, invece, può essere interpretata come Giacobbe che unge la pietra per il sacrificio, segno anticipatore del tempio che diverrà poi la carne del Cristo, oppure ancora Giacobbe al pozzo, segno della vera acqua che zampilla per la vita eterna: sempre, comunque, l’autore ha in mente il rapporto Giacobbe/Cristo.
In sintesi, nell’iconografia della Croce lateranense, se la croce è il cuore di tutto, rivelazione dell’amore del Padre che si offre totalmente nel Figlio, chiarissime sono le quattro prefigurazioni di quella croce, quella di Abele, quella di Isacco, quella di Giacobbe e quella di Giuseppe.
Più spazio è data a quest’ultima, con ben due tondi, mentre quella di Giacobbe, pur molto presente, non ha un tondo che la ponga in evidenza.
3/ Il racconto della creazione e il peccato originale che deve essere redento dalla croce
Sull’altro lato della croce sta la storia della creazione[9]. È meraviglioso come il medioevo proiettasse sempre la salvezza dinanzi al cosmo. Senza la croce tutto il creato sarebbe destinato a perire e l’uomo si perderebbe nell’immensità del fluire delle cose. Ma, d’atro canto, è solo perché Dio ha creato il mondo e l’uomo che infine si preoccupa della loro salvezza.
L’una parte della Croce lateranense non avrebbe senso senza l’altra. L’una è l’altra faccia dell’altra.
Ebbene al cento sta il peccato originale.
Ma, prima di arrivare ad esso, vale la pena seguire l’andamento iconografico di questo lato.
In alto sta la raffigurazione del Padre: tutto da lui ha origine e in lui ha vita e salvezza. È lui ad inviare lo Spirito che si vede discendere ed è lo Spirito a dare vita a tutto.
Sotto di lui sono raffigurate, in forma antropologica, la luce e le tenebre, il giorno e la notte.
Non solo lo scorrere del tempo, ma l’esistenza stessa della luce che rende intelligibile e bello tutto e si staglia nelle tenebre, tutto discende da Dio.
Subito sotto, nel tondo, a dare rilievo sta la creazione della donna dalla costola dell’uomo. Costola – lo sapevano bene anche i medievali – era simbolo della parità: la prima donna non nasce dai piedi dell’uomo perché egli la domini, ma nemmeno dal suo capo perché sua la donna a dominare: dalla costola perché siano compagni, l’uno di fianco all’altra (cfr. su questo Pietro Lombardo che riprende le antiche prospettive di esegesi rabbinica: “Veniva formata non una dominatrice e neppure una schiava dell’uomo, ma una sua compagna”, in Sentenze 3, 18, 3).
La creazione dell’uomo è posta al di sotto alla creazione della donna, con l’immagine di Dio che “parla” all’uomo, che si rivolge a lui, perché è l’unica creatura che gli possa stare dinanzi, mentre gli animali non sono in grado di fare questo.
Probabilmente viene data maggior enfasi alla creazione della donna perché in chiave tipologica Eva rappresenta l’intera chiesa che viene generata dal costato di Cristo.
Si giunge così alla raffigurazione centrale, il tondo con il peccato originale. Il serpente è rappresentato con il pomo in bocca, mentre lo offre alla donna. Sua è la cattiveria di indurre in tentazione, di gettare discredito su Dio, quasi che allontanandosi da lui si possa trovare gioia e libertà e non invece tristezza e schiavitù.
Nel braccio orizzontale, a sinistra, si vede Dio nel tondo che si rivolge ad Adamo ed Eva che si sono nascosti dietro un albero e altre fronde: hanno perso dimestichezza con Dio, si vergognano, fuggono, sanno di aver sbagliato.
Ancora più a sinistra si vede Dio che dialoga con i due e li interroga, poiché essi possono rispondergli e rendergli conto della vita. L’uomo sta già accusando Eva – è la nascita della misoginia -, cercando di discolparsi, piuttosto che ammettere la sua corresponsabilità. Non sono più compagni, alleati, ma sono nemici l’uno dell’altra.
Nel braccio orizzontale a destra si vede l’allontanamento di Adamo ed Eva dalla condizione di felicità – non una condanna, ma la scoperta che non c’è felicità senza lo stare con il Creatore – e dopo il tondo si vede l’angelo fiammeggiante che indica che la strada è ormai preclusa (sarà la croce a riaprirla, con il perdono).
Infine all’estrema destra si vedono Adamo ed Eva al lavoro: l’uomo medioevale sapeva che questa condizione non era semplicemente una punizione, ma l’offerta di una via di redenzione. L’uomo e la donna lavorando, ritrovano la giusta strada del servizio reciproco e alla società e scoprono la bontà del costruire la città secondo il cuore di Dio. L’uomo, lavorando, impara nuovamente a fidarsi dei fratelli e a fidarsi di Dio: il lavoro è veramente un mezzo per ritrovare la via, secondo la visione medioevale.
Nella parte inferiore si vede in basso, innanzitutto, l’arca di Noè che è segno, nell’iconografia medioevale, dell’amore di Dio che permane nonostante il peccato, motivo per cui Dio salva l’uomo e l’intero cosmo, con tutti gli animali, nonostante il peccato, in vista della salvezza che giungerà. L’arcobaleno, che qui non è rappresentato, è il simbolo biblico che indica l’amore di Dio che permane nonostante il peccato degli uomini.
Subito sopra è un duplice episodio che, a nostro avviso, ha ragione Redaeglia a leggere come l’incontro di Abramo con Dio[10], rappresentato prima tramite un angelo e poi tramite tre segni in alto: il Dio trino ed unico si rivela già a Mamre, secondo l’esegesi tipologica del tempo.
Sotto il tondo del peccato originale stano invece il tondo con Giacobbe che riceve, con l’aiuto della madre Rebecca che è al suo fianco, con un inganno, la benedizione della primogenitura dal padre Isacco sottraendola al fratello gemello Esaù, che si vede in alto tornare, dopo essersi allontanato, con la selvaggina. Anche qui la storia richiama il perdurare della benedizione nonostante i sotterfugi degli uomini.
Note al testo
[1] È custodita nel Museo della basilica di San Giovanni in Laterano a cui si accede a destra del presbiterio.
[2] Così C. Cecchelli, Il tesoro di S. Giovanni in Laterano, in “Dedalo” (1926-1927), VII, p. 250 e C. Cecchelli, La vita di Roma nel Medioevo, Roma, Fratelli Palombi, 1951-1952, pp. 42-43; 715, seguito dal Garrison e dal Waetzoldt.
[3] Così M. Andaloro (a cura di), Tesori di arte sacra di Roma e del Lazio dal Medioevo all'Ottocento, Roma, Comune di Roma, 1975, pp. 68-70 e tavole LXXVII-LXXIX, proseguendo un’intuizione che era già stata di P. Toesca, Il Medioevo, vol. II, Torino, UTET, 1927, p. 1148. Così D. Radeglia, Osservazioni sulla primitiva disposizione delle scene veterotestamentarie della croce stazionale di S. Giovanni in Laterano, in A.M. Romanini (a cura di), Federico II e l'arte del Duecento italiano, vol. II, Galatina, Congedo editore, 1980, pp. 153-158.
[4] D. Radeglia, Osservazioni sulla primitiva disposizione delle scene veterotestamentarie della croce stazionale di S. Giovanni in Laterano, in A.M. Romanini (a cura di), Federico II e l'arte del Duecento italiano, vol. II, Galatina, Congedo editore, 1980, pp. 153-158 (con immagini e ricostruzione dell’ordine delle storie al termine del volume).
[5] D. Radeglia, Osservazioni sulla primitiva disposizione delle scene veterotestamentarie della croce stazionale di S. Giovanni in Laterano, in A.M. Romanini (a cura di), Federico II e l'arte del Duecento italiano, vol. II, Galatina, Congedo editore, 1980, p. 155 (al termine del volume sono pubblicati i disegni del Ciampini).
[6] Radeglia, fra l’altro, mostra come almeno un punzone sia settecentesco, segno di un restauro del manufatto (D. Radeglia, Osservazioni sulla primitiva disposizione delle scene veterotestamentarie della croce stazionale di S. Giovanni in Laterano, in A.M. Romanini (a cura di), Federico II e l'arte del Duecento italiano, vol. II, Galatina, Congedo editore, 1980, p. 155), e sottolinea come il Sogno di Giuseppe mostri l’esistenza di un aggiunta, segno che dovette essere adattato per essere ricollocato (D. Radeglia, Osservazioni sulla primitiva disposizione delle scene veterotestamentarie della croce stazionale di S. Giovanni in Laterano, in A.M. Romanini (a cura di), Federico II e l'arte del Duecento italiano, vol. II, Galatina, Congedo editore, 1980, p. 156). Non esistono però né immagini, né testi antecedenti ai disegni del Ciampini che indichino la disposizione originaria, che deve perciò essere dedotta dallo stato attuale.
[7] C. Valenziano, Le iconi, in Ufficio celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice (a cura di), Magnum Iubilaeum. Trinitati Canticum, Città del Vaticano, LEV, 2007, pp. 695-721 sembra ignorare che la disposizione attuale non sia quella originaria.
[8] Sulla lettura tipologica, cfr. La lettura cristologica e tipologica dell’Antico Testamento nel Nuovo Testamento (da Manlio Simonetti) e Abramo vide il mio giorno e fu pieno di gioia, di Andrea Lonardo. Cfr. anche A. Lonardo, La Parola si è fatta carne, non libro. I "misteri" della vita di Gesù tra Scrittura, liturgia e arte, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2019 (insieme a L. Mugavero).
[9] Per approfondimenti sull’esegesi di Genesi, cfr. A. Lonardo, La bellezza originaria. I racconti di creazione nella Genesi, Castel Bolognese, Itaca, 2017.
[10] D. Radeglia, Osservazioni sulla primitiva disposizione delle scene veterotestamentarie della croce stazionale di S. Giovanni in Laterano, in A.M. Romanini (a cura di), Federico II e l'arte del Duecento italiano, vol. II, Galatina, Congedo editore, 1980, p. 158 (con immagini e ricostruzione dell’ordine delle storie al termine del volume).