Castel del Monte e Federico II: il vero “mistero” di un imperatore medioevale, di Andrea Lonardo
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Il Centro culturale Gli scritti (10/7/2022)
1/ Castel del Monte, simbolo del potere federiciano
Castel del Monte è certamente il simbolo architettonico di Federico II.
Ma come interpretarlo, cosa dedurne? È bene innanzitutto rendersi conto di quante assurdità si dicono di quella costruzione meravigliosa.
Ad esempio, nella guida del Touring Club del 2000 si parte da una interpretazione cristiana: siccome otto sono i lati del castello, se ne deduce che questo numero indicherebbe l’ottavo giorno, il primo giorno dopo il sabato, e, quindi, la resurrezione. Ma poi, nello stesso testo, si passa a dire che il numero otto e l’intera architettura nasconderebbero simboli esoterici, poi ancora astronomici e così via.
Si vede come tali interpretazioni siano esagerate, sia quelle cristiane, sia quelle anti-cristiane, e vengono insinuate nel lettore – che oggi è felice di sentirsi raccontare di “misteri” e “segreti” che tali non sono -, senza che ci sia una sola argomentazione seria e scientifica in merito.
Ma allora, cosa si deve dire di Castel del Monte?
Innanzitutto che è la residenza estiva di Andria, la città che Federico II amava e per la quale coniò quell’espressione famosissima: “Legata indissolubilmente alle mie viscere”. L’iscrizione campeggia ora sulla porta di Andria detta di Sant’Andrea: Andria fidelis nostris affixa medullis – Andria fedele, affissa alle nostra midolla, cioè vicinissima al nostro cuore, amata con tutto il cuore con un attaccamento indissolubile.
Federico II era un imperatore germanico, nordico, ma come figlio di Costanza di Altavilla amava queste terre. Una cosa particolarissima, un imperatore tedesco che si sente meridionale, un imperatore “terrone”, si potrebbe dire scherzando.
Ebbene Castel del Monte è la residenza estiva legata all’abitazione imperiale ordinaria che era ad Andria: ci sono solo 20 chilometri dall’una all’altro e da Andria si vede Castel del Monte.
È evidente, allora, che Castel del Monte non era innanzitutto un castello per la caccia, bensì rappresentava innanzitutto il potere imperale – nelle forme lo si potrebbe assomigliare a una “corona” potente, ben visibile da Andria – e certamente un potere elegante, degno, nobile. Non un segno cristiano o esoterico, bensì un simbolo di potere.
Chi infatti saliva da Andria - i re, gli ambasciatori, i vescovi - doveva immaginare il potere dell’Imperatore e vederlo rappresentato in quell’edificio, luogo del suo potere come sono tutti i Castelli – e Federico II ne aveva molti e ne costruì molti di castelli.
Sebbene Castel dl Monte non abbia una simbologia cristiana – così come non ha senso dire che esso avrebbe una simbologia esoterica, anzi è una castroneria colossale una tale affermazione! – lo stesso Federico II è stato ed ha preteso di essere un imperatore cristiano e cattolico.
2/ Federico II, imperatore cattolico
È da sfatare la leggenda infondata che si trova in diversi autori dozzinali che Federico II fosse lontano dalla fede cristiana e dalla fede.
Innanzitutto perché venne consacrato a Roma, in San Pietro – ciò avvenne nel 1220, ma si era già fermato in Roma e al Laterano quando era in viaggio per recarsi a ricevere la Corona imperiale in Germania.
In punto di morte l’arcivescovo di Palermo Berardo di Castagna lo confessò e gli dette gli ultimi sacramenti. Ma è ancora più importante che per tutta la vita Federico si ritenne l’advocatus ecclesiae (era la tipica concezione dell’Imperatore medioevale, che si riteneva investito del compito di difendere la Chiesa e del compito di predicare il Vangelo).
Le due scomuniche da lui ricevute mostrano chiaramente come egli appartenesse al mondo cattolico: esse non furono di certo a lui gradite. Nella sua vicenda l’imperatore non poteva ridicolizzarle, bensì cercò di farle revocare e più ancora cercò di assoggettare a sé il pontefice (non di eliminarlo dal giro di orizzonte).
3/ Il difficile rapporto con l'Islam di Federico II
L’altra leggenda che si ripete acriticamente su di lui è che egli fosse indifferente alle religioni e che fosse tollerante. A riguardo si cita l’evento della Crociata: Federico II riuscì ad ottenere per 10 anni il possesso pacifico di Gerusalemme.
Ma questo non fu dovuto ad un suo particolare atteggiamento benevolente nei confronti dell’Islam: semplicemente fu estremamente fortunato a governare in un momento in cui i musulmani d’Egitto erano in conflitto con i musulmani di Palestina ed egli riuscì a sfruttare tale tensione per proporre il suo accordo pacificatore.
In altri casi, invece, combatté con le armi contro i musulmani come nel 1223, quando conquistò Gerba perché era un avversario pericoloso e da lì partivano le armi che attaccavano le coste mediterranee, oppure nel 1249 quando aiutò con le armi Luigi IX partito per la Crociata.
Ma tale atteggiamento appare in maniera ancora più chiara dai fatti di Sicilia.
Federico II combatté contro gli arabi musulmani stanziati in Sicilia dai tempi dell’invasione per ben due decenni dal 1223 al 1225 e dal 1240 fino alla loro definitiva deportazione (cfr. su questo Federico II: la “reconquista” della Sicilia, di Ferdinando Maurici).
In quegli anni, mentre gli arabi erano già stati allontanati dalle coste sicule, ne erano rimasti nelle zone montuose dell’interno dell’isola e da lì compivano assalti e tentativi di rendersi indipendenti.
Federico II si rese conto che non riusciva ad integrarli nell’impero, li sconfisse con battaglie e assedi, finché deportò i superstiti in Puglia, a Lucera (fu una vera e propria deportazione che portò alla fine della presenza araba in Sicilia; cfr. su questo Lucera [e la deportazione dei musulmani di Sicilia in Puglia da parte di Federico II], di Raffaele Licinio. Saraceni di Sicilia, di Annliese Nef-Henri Bresc).
Federico II era un vero politico e, quando comprese che essi erano inaffidabili per la pace nel suo regno, si decise per l’unica soluzione che gli sembrò potesse assicurare il controllo dell’interno della Sicilia: non solo la loro sconfitta, ma anche la loro deportazione.
Lo storico arabo Ibn Khaldun scrisse, riferendosi a Federico II: “Questo tiranno s’insignorì della Sicilia e delle isole adiacenti e vi cancellò la legge dell’islam sostituendole quella della sua empietà”». Bisogna leggere le fonti islamiche per vedere come esse non siano assolutamente tenere con Federico II e come lo ritengono un tiranno, perché cancellò l’Islam dalla Sicilia, cacciandone gli ultimi musulmani.
Ma si pensi anche alla questione delle Costituzioni di Melfi del 1231 (vedi G. Barone, Federico II e gli ordini mendicanti, in “Mélanges de l'école française de Rome” (1978) 90-2, pp. 607-626), quando l’imperatore chiese l’intervento dei domenicani contro gli “angeli pessimi”, cioè gli eretici che venivano dalla Lombardia: come sovrano cattolico egli sentiva il bisogno di predicatori che combattessero l’eresia (anche se poi ebbe a distanziarsi da francescani e domenicani a motivo del pontefice).
4/ L'apertura intellettuale di Federico II, caratteristica dell'uomo medioevale
Ma se nei fatti fu proprio Federico II a dare termine, con la deportazione, alla presenza musulmana in Sicilia e se egli fu a tutti gli effetti un sovrano cattolico, che cosa è questa apertura culturale ai sapienti islamici e questa suo orizzonte vasto di prospettive che è anch’esso reale, come il suo potere che egli pensava come “assoluto”?
Federico II è un vero sovrano medioevale e, proprio essendo tale, conserva e amplifica questa apertura al mondo islamico che era proprio del mondo medioevale nella sua interezza (forse i normanni furono ancora più aperti di lui).
Sappiamo che Federico II ebbe arcieri mussulmani nel suo esercito perché allora si assoldavano truppe straniere (così come i longobardi avevano assoldato degli arabi e come gli arabi, a loro volta, poteva combattere avendo con sé unità cristiane).
Ma pensiamo ancor più alla cultura. La cultura importava al medioevo da qualunque parte venisse: il Medioevo fu un periodo fragile, debole, dove la vita non era sicura, eppure fu interessatissimo alla cultura.
Michele Scoto, cristiano, fu il grande traduttore delle opere arabe in latino: egli veniva dalla Spagna e, prima di lavorare per Federico II, li tradusse soprattutto a Toledo, nel periodo della Reconquista, quando si andava via via riformando nuovamente l’antica Hispania nella nuova corona spagnola.
I re di Spagna vollero prima di Federico Michele Scoto che traduceva per loro i testi arabi, che a loro volta erano testi greci tradotti in arabo i per mano di scribi cristiani di Baghdad o della Siria (cfr. Quando i califfi appoggiavano i cristiani del Medio Oriente, di Samir Khalil Samir e I due grandi periodi di Rinascimento islamico dovuti ai cristiani di Siria, di Samir Khalil Samir).
Scoto poi passò a Bologna dove servì il Papa per la traduzione di testi dall’arabo al latino o dal greco al latino. Erano questi grandi intellettuali cristiani che padroneggiavano sia il greco, sia l’arabo e il latino (cfr. Al-Andalus e la questione del rapporto fra ragione e rivelazione (e, quindi, della legittimità o meno della violenza o della libertà religiosa) e Le traduzioni in arabo, latino, ebraico). Interessante che fossero cristiani questi autori. Michele Scoto passò infine con Federico II perché a Federico interessavano molto le questioni di filosofia, le questioni mediche, così come interessavano ai re di Spagna e al pontefice. Anzi i Normanni furono probabilmente più avanzati di Federico II nel loro amore a tali ambiti culturali.
Federico, insomma, è realmente un sovrano medioevale e per questo è cattolico e per questo è anche interessato a questioni di cultura islamica o scientifica.
5/ Imperatore e pontefice: due autorità che si riconoscevano a vicenda, ma che talvolta ambivano a troppo
Anche nello stemma dell'Università di Napoli
Federico II compaiono i simboli del potere
"romano" e della croce cattolica di Federico II
Federico II volle farsi garante della fede al posto del pontefice, così come il pontefice del tempo strabordava dall’ambito della sua autorità: entrambi volevano troppo.
Qual è allora la tentazione non scientifica delle varie letture moderne di Federico II? È che lo si vuole separare del suo tempo per farne in qualche modo un laico o addirittura un laicista ante litteram come si fa un po’ con Francesco d’Assisi o con Caravaggio. Si stravolgono le loro figure, siccome sono figure grandi: dinanzi a tali figure si dovrebbe dire che siccome Federico II e Francesco d’Assisi sono grandi, allora il medioevo è interessantissimo, così come se Caravaggio è un grande, allora è interessantissima la Controriforma. E siccome questo non si può dire, secondo il politicamente corretto, allora questi personaggi vengono separati dal loro tempo, come se fossero delle eccezioni, come se fossero degli estranei rispetto al loro tempo.
Federico II è stato una persona che ha vissuto il suo tempo, conscio dell’utilitas; ha dovuto fare i suoi calcoli per governare, ha amato la sapienza, ha vissuto avendo intellettuali con sé, al suo fianco, ha voluto simboli di potere come quello di Castel del Monte. È stato insomma un medioevale aperto, intelligente, colto, grazie a tanti altri uomini medioevali che lo hanno supportato. Talmente medioevale da giungere ad equiparare i cavalieri teutonici ai templari.
Lo possiamo immaginare entrare e uscire dalle porte di Castel del Monte per andare a caccia o per passeggiare.
Ma è stato anche un uomo che ha usato e abusato del suo potere, è stato l’imperatore che, pur avendo accolto i sapienti musulmani, ha cacciato tutti i musulmani della Sicilia, deportandoli in Puglia – ed è incredibile come si nasconda questo da parte di grandi autori.
Illuminante è anche la questione delle scomuniche, del conflitto così forte che vide tutti perdenti alla fine, papato e impero. Qual è la vera questione di questo “imperatore medioevale”, come lo ha definito Abulafia, uno degli ultimi storici che lo ha studiato approfonditamente (D. Abulafia, Federico II. Un imperatore medioevale, Torino, Einaudi, 1990)?
La vera questione qui fu quella del potere: è necessario capire la lotta per il potere in quel tempo per capire le opposte responsabilità nelle scomuniche.
Da un lato Federico II pretendeva di essere il nuovo Augusto, voleva comandare veramente tutti. Anche Cielo d’Alcamo prende in giro questo potere. Nel Contrasto (Fresca rosa aulentissima) in cui in duetto un uomo vuole una donna e lei si concede solo dopo che lui le avrà promesso di amarla “per sempre”, si citano anche le monete di Federico II per dire del suo potere: «Se i tuoi parenti mi trovano, cosa mi possono fare? Ci metto una difesa di duemila augustali [moneta del regno di Federico II]: tuo padre non mi toccherà per quante ricchezze ha a Bari. Viva l'imperatore, grazie a Dio! Capisci, bella, quello che ti dico?» (il testo è qui in versione italianizzata).
Federico II voleva un cesaropapismo, tentazione che in quei tempi era ancora viva: cioè pretendeva che la sua legge valesse ovunque, anche sul pontefice.
Voleva addirittura giungere a designare il Papa, quando un pontefice non la pensava come lui – si pensi a Federico I Barbarossa che designò un antipapa. Federico II voleva designare i vescovi, non eliminarli.
D’altro canto c’era l’autorità delle realtà locali - oggi diremo della “sussidiarietà” – c’erano, cioè, i comuni. Di fatto è proprio dinanzi ad essi che Federico II fallì, vincendoli prima e poi venendo sconfitto come il Barbarossa. La sua fine fu decretata dalla sconfitta dei comuni. Federico II che intendeva avere il dominio totale su tutta l’Italia settentrionale venne sconfitto mentre assediava Parma, da una località detta Vittoria – ironia della sorte.
Monete coniate da Federico II con i simboli del potere imperiale
augusteo e la croce cattolica: multiplo di tarì, grosso da 20 denari,
augustale e moneta coniata in vista della battaglia di Parma
che si tramutò invece in sconfitta: vittorino per la battaglia di Parma
Per i comuni il potere imperiale era legittimo, ma, al contempo, essi chiedevano che fosse riconosciuta la loro autonomia e che restassero liberi.
Il sistema medioevale era un sistema plurale: non c’era solo un’unica legge - questo gli statalisti fanno fatica a capire - ma co-esistevano realtà diverse negli stessi territori con autorità dell’imperatore, del papato e dei vescovi, dei singoli comuni, delle singole corporazioni o università che si suddividevano gli ambiti di autorità.
Il Papato, dal canto suo, desiderava - e sbagliava a pretenderlo - che il Regno di Puglia e di Sicilia fosse una cosa diversa dall’Impero: voleva cioè che Federico II facesse l’imperatore e lasciasse ad un altro re Sicilia e Puglia, perché sarebbe stato altrimenti troppo potente.
L’imperatore, invece, intendeva eliminare qualsivoglia altro potere diverso da sé, nel settentrione e nel meridione, comandando anche sui Comuni e pretendendo di decidere delle nomine episcopali.
Ma tutti erano cattolici e nessuno contestava la fede cattolica degli altri.
Non era ancora risolta la questione della duplice “spada”, cioè come dovessero relazionarsi in autonomia il potere politico e quello religioso. Entrambe le autorità pretesero tutto, ora l’una ora l’altra. Invece, nei periodi migliori, era chiaro che l’esistenza della “spada spirituale” non significava che il papa comandasse sull’imperatore, ma piuttosto che anche il potere politico doveva considerarsi sottomesso alle esigenze morali, così come era evidente che non dovevano essere il pontefice e i vescovi a dettare la linea politica, ma ciò spettava all’impero che doveva rispettare le autonomie comunali e particolari.
C’era talvolta, come ai tempi di Federico II, il conflitto tra due autorità che pretendevano un ossequio totale – l’imperatore e il papa – e in mezzo le realtà sussidiarie che cercavano il loro legittimo spazio (i comuni e le varie realtà locali, i vari regni).
Il mondo moderno deve a quei tempi la nostra concezione della vita per cui è divenuto evidente che il Papa deve essere veramente libero, così come anche i vescovi: non può essere lo Stato a nominarli e i vescovi devono essere liberi di parlare. Ma, d’altro canto, né essi, né il pontefice, ma nemmeno l’imperatore possono pretendere obbedienza dal mondo intero.
La storia di quegli anni ci ha portato a diffidare del potere unico, anzi a volere la pluralità dei poteri e la loro indipendenza.
Noi cerchiamo di capire questo periodo e facendolo, cerchiamo di capire i dilemmi del Medioevo, un periodo nel quale non mancava il desiderio comune di cercare il bene, di riferirsi al Vangelo, di permettere a tutti di prosperare e di credere in Cristo, ma poi, nelle diverse scelte concrete, i poteri si fronteggiavano gli uni contro gli altri e la realtà viva del Vangelo veniva come imprigionato dagli schemi ora degli uni e degli altri.
6/ Le donne di Federico
Da Castel del Monte è bello discendere ad Andria, la città che Federico II amò, l’Andria fidelis. Lo ripetiamo: è particolare che un imperatore tedesco amasse una città del sud Italia più della Germania. Evidentemente la madre Costanza d’ Altavilla era stata molto importante nella sua formazione rispetto al padre, l’imperatore di Germania.
Nella cattedrale di Andria possiamo immaginare Federico II mentre seppellisce la sua seconda e terza moglie: Jolanda di Brienne e Isabella di Inghilterra. Le analisi al carbonio C14 hanno permesso di ritrovare i due corpi, ma non abbiamo più la possibilità di distinguere i resti delle due donne. Federico II ebbe 4 mogli: la prima fu Costanza di Aragona da cui ebbe come figlio l’Imperatore Enrico VII, la seconda Jolanda di Brienne da cui ebbe come figlio Corrado IV, sposò poi Isabella d’Inghilterra e poi Bianca Lancia detta anche Bianca d’Agliano.
Oltre a queste ebbe almeno 8 amanti di cui riconobbe i figli (su questo, cfr. la voce Federico II, figli, in Federiciana della Treccani, disponibile on-line): di alcuni di essi si conoscono i nomi, di altri non si conosce chi fossero le madri. Evidentemente si trattava di una persona libera dal punto di vista affettivo e si vede come la donna contasse meno al tempo (lui era l’amante, lui il grande imperatore).
7/ Il destino di Federico II
Federico II, insomma, non è come lo dipingono i clericali né come lo dipingono gli anticlericali; non è né un diavolo né un angelo. È un medioevale che cercò di vivere al meglio il suo tempo, con grande apertura, ma anche con grande desiderio di potere assoluto su tutti.
Nell’ultima visita a Castel del Monte vi trovai, proprio dinanzi, dei performers, degli spinner, con cyclette per compiere le loro prestazioni di benessere: peggio ancora che le riletture esoteriche del povero Federico II! Forse la vita – anche quella di luoghi così importanti della storia italiana e mondiale - avrebbe bisogno di un’altra dignità, di una maggiore ampiezza di orizzonti rispetto a queste versioni ultra moderne di abuso dell’antico.
Federico II si fece seppellire con l’abito di oblato cistercense (cfr. su questo Federico II, imperatore cristiano, in un breve scritto di Franco Cardini).
Qui il video da cui è tratto (con correzioni e aggiunte) questo testo: