Quando la scienza spiegò il moto della vita. Per la prima volta in italiano un’opera del matematico e fisiologo Borelli (1680) che illustra il movimento degli animali e dei fluidi corporei Uno studio illustrato frutto di osservazioni e misurazioni empiriche che ha mostrato metodo e fondamenti medico-scientifici per rendere più efficaci diagnosi e cura, di Flavia Marcacci
Riprendiamo da Avvenire del 4/5/2022 un articolo di Flavia Marcacci. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, vedi la sezione Scienza e fede.
Il Centro culturale Gli scritti (12/6/2022)
«Perché gli uccelli, poggiandosi sui rami degli alberi, possono stare fermi e dormire senza cadere?». È una domanda comune tra i bambini e spesso per rispondere bisogna far mente locale su minimi elementi di ornitologia. Durante il sonno gli uccelli si irrigidiscono così tanto che la muscolatura degli arti e delle zampe permette agli artigli di aderire bene al ramo «come una tenaglia», gli arti inferiori restano arcuati ed è impossibile che essi cadano.
La domanda non l’ha fatta, però, un bimbo nel 2022. Fu pubblicata nel 1680, dopo circa trent’anni di lavoro e con la risposta corretta, in un’opera antesignana che indagava il moto degli esseri viventi. La cosa interessante è che per arrivare a formulare la risposta fu impiegata tanta geometria.
Analogamente fu spiegato perché gli uomini possano camminare sul ghiaccio o perché gli animali più piccoli e più leggeri fanno dei grandi salti rispetto al loro corpo e ad animali più grandi. E ancora, dopo aver analizzato la respirazione, si indagò come si costruisca una macchina con la quale gli uomini possono respirare e vivere sott’acqua per diverse ore.
La scienza fisica e matematica, che avevano mutato dall’intimo l’astronomia e reso la Terra un corpo mobile, andavano ora a indagare le scienze biologiche grazie all’estro e al genio del partenopeo Giovanni Alfonso Borelli, conosciuto in ogni ambiente culturale italiano dell’epoca e operativo soprattutto a Messina. Dopo circa 350 anni abbiamo finalmente la traduzione italiana del suo De motu animalium (a cura di Luigi Ingaliso, Rubbettino pagine 1138, due volumi, euro 49). L’edizione è corredata da splendide tavole che riproducono le immagini con cui Borelli integrava le sue dimostrazioni: la rivoluzione visuale della scienza campeggia qui in schemi, diagrammi, riproduzioni che permettono di capire bene la logica meccanica del moto dei viventi e i dei suoi meccanismi. Vedere significa capire, perché si capisce solo mostrando e dimostrando.
La descrizione dell’anatomia di arti e muscoli è la premessa necessaria per applicare i lemmi meccanici che spiegano il funzionamento e gli effetti delle forze. In aria come nell’acqua, per gli uomini come per gli animali. Anche la purificazione del sangue nei reni e della bile nel fegato, così come la nutrizione e la digestione, e anche la generazione dei viventi sono possibili in virtù del comportamento meccanico delle particelle di cui gli organismi sono composti. Queste particelle sono di varie specie e possono adattarsi soltanto a quegli organi che, come fossero crivelli, filtrano l’una o l’altra specie. Sono sempre particelle quelle che ammalano l’essere umano quando dalla terra salgono esalazioni tossiche che poi precipitano con la pioggia e penetrano nei polmoni. Similmente il cuore non è la sede del calore innato e, contro la concezione di Aristotele e di Cartesio, è invece un muscolo innervato, una pompa sanguigna con struttura stratiforme.
Borelli non vide la sua opera pubblicata, perché morì per una polmonite nel 1679. Ne affidò la stampa a padre Carlo di Gesù e ai suoi allievi dell’Ordine degli Scolopi. Padre Carlo non nascondeva l’attenzione per la nuova scienza, favorendone lo studio nei corsi superiori delle Scuole pie. D’altra parte, il religioso era stato allievo di padre Angelo Morelli, coinvolto nella traduzione dall’arabo delle Coniche di Apollonio. Nell’opera di Borelli si sente la frequentazione dell’Accademia del Cimento e l’approccio profondamente sperimentale.
La vocazione galileiana dell’opera di Borelli è evidente, pagina dopo pagina, e usciva dopo la condanna e l’abiura dello scienziato pisano (1633). La generazione dei primi galileiani tra mille fatiche si era concentrata in quei decenni per consolidare e diffondere il metodo sperimentale di Galileo. Per qualche motivo, invece, l’imprimatur del De motu non costò fatica. Forse ciò avvenne a ragione dell’appoggio della regina Cristina di Svezia, convertita al cattolicesimo e donna di profonda sensibilità artistica e scientifica, o in virtù della frequentazione da parte di Borelli degli ambienti romani con esplicita ammissione di obbedienza alla Chiesa. Gesuiti come G. B. Villalpaldo o J. Prado non sono espressamente menzionati da Borelli, ma lo scienziato li aveva presenti riprendendone alcune concezioni: nel loro commento al libro di Ezechiele (Roma, 1596-1604) evocavano i principi di statica animale e la legge dell’equilibrio dei corpi pesanti ricondotta alla teoria dei baricentri. Come capitava spesso, nei commenti alla Scrittura potevano esserci riferimenti a nozioni scientifiche: si tratta di riferimenti utili a capire dove e come circolasse l’informazione scientifica.
Allievo di Benedetto Castelli, lettore attento di Harvey e di Gassendi, maestro di M. Malpighi e C. Aubry, matematico sulla linea del Maurolico, interessato a questioni astronomiche raffinate, Borelli ha diffuso con il De motu la concezione della coincidenza tra vita e moto e la necessità di lasciarsi guidare da accurate osservazioni e schematizzazioni affinché metodi di diagnosi e cura siano più efficaci. È una pregiata occasione poter sfogliare queste pagine e capire di dove viene la scienza medica di oggi.