Dopo l'attacco ad una chiesa siro-cattolica durante la liturgia domenicale: Iraq, la diaspora forzata: in fuga la metà dei cristiani, di Camille Eid

- Scritto da Redazione de Gliscritti: 07 /11 /2010 - 14:38 pm | Permalink | Homepage
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Riprendiamo da Avvenire del 2/11/2010 un articolo scritto da Camille Eid. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Come è noto, i cristiani della Mesopotamia abitano il paese dalle origini del cristianesimo, cioè da secoli prima dell'invasione islamica, ed hanno contribuito nei secoli al benessere della nazione sentendosi a buono diritto non ospiti, bensì parte integrante della popolazione iraqena. La loro presenza, come quella dei cristiani autoctoni della Siria, dell'Egitto, della Palestina, di Israele e degli altri paesi del Medio Oriente, ricorda che esistono da sempre arabi cristiani, che arabo non è l'equivalente di musulmano e che anche gli arabi cristiani hanno a cuore la vita degli Stati a maggioranza musulmana di cui sono a pieno titolo cittadini. Per ulteriori approfondimenti su questo, vedi, su questo stesso sito Medio Oriente: la pace ha bisogno dei cristiani. Due interviste sul prossimo Sinodo per il Medio Oriente a Samir Khalil Samir e a Joseph Yacoub, di Giorgio Bernardelli. Di Camille Eid vedi, su questo stesso sito, La conversione al cristianesimo nell’Islam odierno e Qual è l'origine del terrorismo di matrice religiosa?.

Il Centro culturale Gli scritti (7/11/2010)

Cristiani a rischio estinzione in Iraq. «Un solo sacerdote – scriveva tre giorni fa The New American citando il vescovo caldeo di Erbil, monsignor Bashar Warda – ha registrato l’esodo di 70 famiglie nei dieci giorni scorsi». Non che nel passato siano mancate nel Paese persecuzioni ed eccidi a danno dei cristiani. Ma l’esodo di caldei, assiri, siro-cattolici e siro-ortodossi, armeni e latini è diventato oggi così quotidiano che l’antichissima comunità mesopotamica, per la prima volta nella sua storia, rischia davvero di sparire.

I fedeli delle varie denominazioni rappresentavano sino al 2003 quasi 800.000 persone, ossia il 3 per cento dell’intera popolazione irachena (25 milioni di abitanti). Oggi non si sa con esattezza quanti ne manchino all’appello, ma stime prudenti ritengono che oltre 350.000 cristiani abbiano lasciato il Paese in questi ultimi anni. Con la 'Grande fuga', così chiamata da Fulvio Scaglione nel titolo di una sua recente pubblicazione, rischia di perdersi per sempre sia un patrimonio preziosissimo di cui tali comunità sono depositarie, sia il ruolo di intermediazione che esse hanno svolto nel contesto musulmano.

Stime, queste, confermate dalle autorità irachene. Parlando lo scorso settembre al giornale arabo al-Sharq al-Awsat, il direttore del Dipartimento per i cristiani del ministero per gli Affari religiosi ha affermato che «almeno la metà dei cristiani iracheni che vivevano nel Paese sono emigrati negli ultimi anni».

«Sappiamo – ha aggiunto Abdullah al-Nawafel – che il 40 per cento degli iracheni che si trovano attualmente in Siria sono cristiani». Il funzionario iracheno ha sottolineato inoltre che numerosi cristiani «sono dati per dispersi perché sono stati rapiti dai terroristi e uccisi in questi anni, ma non si hanno cifre esatte».

La vera emorragia di cristiani dal Medio Oriente, come hanno avuto modo di confermare i padri sinodali a Roma negli ultimi giorni, riguarda l’Iraq. La 'prassi' è quasi sempre la stessa. Una prima tappa in un Paese vicino, il tempo di ottenere un visto – ma l’attesa può durare anni – e poi il viaggio verso la loro destinazione finale: Australia, Stati Uniti, Canada o Svezia.

Dietro ogni viso incontrato a Damasco, a Beirut, a Konye o ad Amman si nasconde una brutta avventura. Con una voce balbuziente, Samer rievoca i particolari del suo sequestro da parte di uomini mascherati che gli hanno bendato gli occhi e lo hanno portato via. Racconta della sua paura e del suo costante rifugio nella preghiera, delle frustate inflittegli per registrare le sue urla su una cassetta da mandare ai familiari a fini di estorsione.

Samer non è un ex dirigente del partito Baath, né un interprete al soldo degli americani, ma un ragazzo di 15 anni. La sua colpa? Appartiene a una famiglia cristiana di Baghdad. O, meglio, che risiedeva nella capitale. Perché, dopo questa dura prova, i suoi genitori e quelli di altri ragazzi sequestrati come lui hanno ritenuto che in Iraq la vita fosse diventata insostenibile per i cristiani. «Qui abbiamo tanti problemi, ma almeno non corriamo simili rischi», dicono.

Per loro, «qui» vuol dire la Siria dove sono affluite negli ultimi anni, e in diverse ondate, migliaia di famiglie cristiane irachene. Una delle più consistenti è stata all’indomani degli attentati del 1° agosto 2004 contro diverse chiese di Baghdad e Mosul. Secondo il governo iracheno ben 40 mila cristiani avrebbero lasciato il Paese solo nelle due settimane successive alle esplosioni.

A Sodertalje, vicino a Stoccolma, è normale sentire parlare la lingua aramaica propria dei rifugiati che rappresentano ormai il 35 per cento della popolazione, ben 22 mila persone. Le altre aree di maggiore insediamento si trovano a Sarcelles, alla periferia di Parigi, e in Germania. I nuovi arrivi seguono un percorso già battuto da migliaia di loro predecessori, arrivati da Mosul, Baghdad e Telkaif. I caldei rimasti in quest’ultima località sono probabilmente il 2 per cento di quelli chi vi abitavano e se ne sono andati.

I precedenti. Colpite più di 40 chiese su 65

Su 65 monasteri e chiese censiti nella capitale irachena, una quarantina ha subito uno o più attentati negli ultimi sette anni. Ricordarli tutte potrebbe sembrare una litania dei santi simile a quella recitata ieri nelle nostre chiese. Eccone solo alcune tra le chiese caldee: la chiesa di Santi Pietro e Paolo del quartiere cristiano di Dora; Sant’Elia di Hira del quartiere Nairiyeh; San Giacomo di Nisibi del quartiere di Asia, San Giuseppe vicino all’Università di Baghdad; San Giovanni Battista di Dora; San Paolo di Zafaranieh; San Mari del quartiere delle banche; la chiesa dell’Ascensione di Mashtal; le chiese di Nostra Signora del Rosario e del Sacro Cuore.

Colpiti anche numerosi luoghi di culto di altri riti cristiani, come le chiese siro-ortodosse di Mar Behnam a Dora e dell’Emanuele nel quartiere dell’Università, le chiese assire di San Giorgio a Dora e di Mar Mattai a Ghadir, quella armena di Nostra Signora dei Fiori a Karrada, quella dei greco-cattolici a Karrada e quella degli Avventisti del Settimo Giorno.

Alla chiesa siro-cattolica colpita domenica era già toccato una prima volta in quel fatidico 1° agosto 2004, quando diversi kamikaze hanno preso di mira, a intervalli di 15 minuti uno dall’altro, sette chiese di Baghdad e Mosul. Per fortuna, non vi furono allora morti in questa chiesa, ma almeno una cinquantina di fedeli avevano riportato ferite. Nostra Signora del Pronto Soccorso si traduce in arabo con Sayyidat an-Najat, ma il popolo cristiano ha sempre preferito chiamare la sua amata patrona con l’appellativo grazioso di 'Umm al-Tawq', la Signora del salvagente. La facciata della chiesa, un nuovo edificio costruito nel 1968, disegna una grande croce visibile da lontano. Un motivo in più, per i terroristi, per puntare ad essa e ricordare alla sempre più esigua comunità di Baghdad che non naviga ancora in acque tranquille.

L’ultimo episodio contro i luoghi di culto cristiani della capitale irachena risale infatti a un anno fa, esattamente al 25 ottobre 2009, quando una chiesa anglicana – l’unica a Baghdad – fu violentemente investita dall’ondata di esplosioni che ha lasciato 155 morti e oltre 700 feriti. Ma si trattava di un coinvolgimento 'accidentale' nella guerra confessionale in atto tra milizie sciite e sunnite. Bisogna invece risalire indietro di qualche mese ancora, al 12 luglio dello stesso anno, per imbattersi in un episodio per niente fortuito: una raffica di attentati contro cinque chiese che hanno provocato quattro morti e 32 feriti. Attentati mai rivendicati, la cui responsabilità è stata palleggiata a lungo tra le diverse comunità religiose del Paese.

Prima ancora ci fu un’altra ondata di attentati simultanei, contro cinque chiese di Baghdad, all’alba del 16 ottobre 2004. I luoghi di culto – quattro cattolici e uno ortodosso – sono stati colpiti con bombe artigianali in successione, nell’arco di poco meno di due ore, tra le 4:00 e le 5:50 del mattino. Complice l’ora dell’attentato, il bilancio non fu pesante: un morto e nove feriti.

Nuova a Baghdad la tecnica degli ostaggi. Non a Mosul. Il 7 dicembre 2004 dieci uomini armati hanno assalito l’antica chiesa caldea dedicata all’Immacolata nella città settentrionale. Hanno preso in ostaggio i fedeli che vi si trovavano, li hanno chiusi in una stanza e hanno piazzato delle cariche esplosive che hanno fatto esplodere. Gli ostaggi sono stati liberati successivamente, ma gli stessi uomini armati hanno impedito ai pompieri di spegnere l’incendio scoppiato in seguito alle esplosioni. Sono andate distrutte ampie parti della chiesa risalente al VII secolo.

Immagine in PDF

Immagine in PDF con i dati sui cristiani
dell'Iraq dal 2003 ad oggi (da Avvenire)