1/ Energia. Le importazioni di petrolio russo in Italia sono quadruplicate, della Redazione Economia di Avvenire 2/ Ucraina. Caos gas russo, la Ue blocca i pagamenti in rubli col doppio conto bancario. Il meccanismo deciso da Mosca dopo le sanzioni è complesso, anche Bruxelles fatica a dare indicazioni chiare. Diversi stati non vogliono perdere le forniture, di Giovanni Maria Del Re (con una breve nota de Gli scritti)
N.B. de Gli scritti
Incredibile è come, ben al di là dei proclami sui media, il commercio internazionale di petrolio e gas con la Russia prosegua e nessuno abbia in realtà intenzione di interromperlo. L’Europa vende o regala armi all’Ucraina e, al contempo, acquista materie prime dalla Russia. Purtroppo, questa è la sua “lungimirante” politica.
1/ Energia. Le importazioni di petrolio russo in Italia sono quadruplicate. Il Financial Times solleva il caso: dopo l'avvio delle sanzioni la raffineria siciliana Isab lavora solo greggio russo, mentre al porto di Trieste arriva il petrolio per le raffinerie Rosneft tedesche, della Redazione Economia di Avvenire
Riprendiamo da Avvenire un articolo della Redazione Economia di Avvenire pubblicato il 20/5/2022. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Per la pace, contro la guerra.
Il Centro culturale Gli scritti (23/5/2022)
L'area della raffinazione Isab di Priolo Gargallo,
in Provincia di Siracusa - Ansa
L’Italia in questi mesi è diventata il punto di approdo principale per il petrolio russo trasportato via nave in Europa. Lo ha rivelato il Financial Times mostrando i dati raccolti dalla società di analisi di mercato Kpler. Dall’inizio di maggio la Russia ha esportato 450mila barili di petrolio al giorno in Italia, più di quattro volte l’export del mese di febbraio, il mese in cui è iniziata l’invasione dell’Ucraina.
Ci sono due ragioni dietro questa impennata di acquisti di petrolio russo.
La prima è il caso della raffineria Isab di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa. L’impianto, la più moderna raffineria d’Italia, appartiene a Litasco, società svizzera del colosso russo Lukoil, che l’ha comprato qualche anno fa da Erg. Lukoil al momento non è nella lista degli enti sanzionati dall’Unione Europea, ma per cautela le banche hanno smesso di concedere a Isab linee di credito. Senza i tradizionali canali di finanziamento, la raffineria che prima comprava greggio da fornitori diversi ora acquista solo il prodotto di Lukoil, la sua controllante. Se prima dell’invasione il greggio russo rappresentava solo il 30% del prodotto raffinato a Priolo ora è il 100%. Se l’Ue dovesse decidere di fermare gli acquisti di petrolio russo, Isab sarebbe costretta a spegnere gli impianti: la sorte dei suoi mille dipendenti e dei diecimila lavoratori collegati all’indotto in una terra povera di lavoro come la Sicilia preoccupa le istituzioni locali e nazionali. Difatti non si esclude una nazionalizzazione della società, che a quel punto potrebbe tornare a lavorare “normalmente” diversi tipi di greggio.
La seconda ragione dietro la crescita delle importazioni di petrolio russo in Italia è il ruolo del porto di Trieste. Parte da Trieste infatti la Transalpine Pipeline (Tal), oleodotto da 753 chilometri che riceve il carico delle petroliere nel Mediterraneo e accompagna il greggio fino alle raffinerie della Baviera e del Baden-Württemberg. Le due grandi raffinerie a cui arriva quel petrolio sono la MiRo di Karlsruhe e la Bayernoil di Neustadt. In entrambi gli impianti il gruppo statale del petrolio russo Rosneft è l’azionista di maggioranza relativa. In cerca di sbocchi per un petrolio sempre più difficile da vendere in Europa, è naturale per la Russia spedirlo intanto alle proprie raffinerie, che non possono permettersi di fare le schizzinose sui fornitori. Passando, nel caso di Miro e BayernOil, per l’Italia.
Mentre cerca senza successo l’unanimità sulle sanzioni al petrolio russo (l’Ungheria si oppone e blocca tutto) l’Unione Europea ha tagliato drasticamente le importazioni. Secondo le stime di Mike Muller, capo di Vitol Asia, le forniture di petrolio russo all’Europa sono scese ad aprile a solo 1 milione di barili al giorno, il minimo degli ultimi undici anni, meno della metà dei 2,3 milioni di barili quotidiani di acquisti di prima dell’invasione.
Nel frattempo Mosca si è organizzata per trovare compratori alternativi. Non è difficile, considerato che il prezzo dell’Urals, il greggio siberiano, è ora di circa 35 dollari al barile inferiore a quello del Brent, il prezzo di riferimento del petrolio europeo (prima della guerra lo “sconto” per l’Urals era attorno agli 2-3 dollari al barile). La Cina ha preso a comprare quasi 2 milioni di barili di petrolio russo al giorno, circa 300mila in più rispetto alla media del 2021 secondo ricerche citate da Reuters. Le importazioni di gas russo in India, che in media erano di 33mila barili al giorno nel 2021, si sono impennate fino ai 700mila barili al giorno di aprile e sembrano destinate a salire ancora.
2/ Ucraina. Caos gas russo, la Ue blocca i pagamenti in rubli col doppio conto bancario. Il meccanismo deciso da Mosca dopo le sanzioni è complesso, anche Bruxelles fatica a dare indicazioni chiare. Diversi stati non vogliono perdere le forniture, di Giovanni Maria Del Re
Riprendiamo da Avvenire un articolo di Giovanni Maria Del Re pubblicato il 29/4/2022. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Per la pace, contro la guerra.
Il Centro culturale Gli scritti (23/5/2022)
La sede di Mosca del gigante dell'energia Gazprom - Ansa
«È un caos». Sbotta così un diplomatico di un importante Paese Ue, commentando la questione del decreto di Vladimir Putin sul pagamento del gas del 31 marzo. A Bruxelles da giorni non si parla d’altro. Non aiuta il fatto che la Commissione Europea faccia fatica a dare indicazioni chiare, mentre varie società già si stanno organizzando per ottemperare al volere di Putin pur di non perdere le forniture di gas, come avvenuto a Polonia e Bulgaria. Il decreto, lo ricordiamo, prevede un complicato meccanismo, secondo il quale i compratori dovranno aprire due conti presso Gazprombank, uno in euro, in cui andrà versato l’ammontare richiesto, da convertire poi in rubli nel secondo conto, dal quale sarà poi effettuato il pagamento a Gazprom.
La transazione sarà dichiarata completa solo dopo questo secondo passaggio. Ed è questo il problema, secondo la Commissione. Questo perché, dopo il versamento in euro nel primo conto, tutto sfugge al controllo delle società acquirenti, e passa completamente nelle mani delle autorità russe. Particolare problematico: «non c’è alcun limite di tempo per la conversione in rubli», dicono alti funzionari comunitari. Le autorità russe potrebbero far passare anche mesi nel passaggio al secondo conto, e nel frattempo la Banca centrale russa – di cui le sanzioni hanno congelato circa metà dei 600 miliardi di riserve valutarie – potrebbe utilizzare gli euro a piacimento.
«Sarebbe praticamente – spiegano – un prestito alla Banca centrale russa, con la quale invece, secondo le sanzioni, è vietata qualsiasi transazione».
Insomma: aprire il secondo conto in rubli «costituirebbe una violazione o un’elusione delle sanzioni», dunque i compratori dovranno rifiutarsi. «Le società europee – spiegano i funzionari – possono pagare in euro e insistere, con una dichiarazione ufficiale, che considerano il pagamento completo». Aprire un conto presso Gazprombank in Russia «di per sé non è un problema, visto che le società hanno già conti presso la filiale in Lussemburgo di questa banca».
Quello che accade dopo, a quel punto, «è affare puramente interno alla Russia». Il problema è insomma il collegamento tra i due conti. Solo che i russi molto probabilmente potrebbero dichiarare che la transazione non è affatto completata con il pagamento nel conto in euro. Non a caso nelle linee guida della Commissione (di cui Avvenire ha copia, ndr) si legge: «è consigliabile chiedere alla controparte russa conferma che questa procedura è possibile secondo le regole del decreto».
Impresa a dir poco ardua. Al momento, sottolineano comunque i funzionari, «nessun Paese Ue ha intenzione di pagare in rubli». Sarà, ma intanto il ministro degli Esteri ungherese Szijjártó ha dichiarato che «l’Ungheria non ha dubbi sul proprio obbligo di pagare il gas russo nel modo che garantisca la sua regolare fornitura».
Secondo il Financial Times, inoltre, anche gli operatori del gas in Germania, Austria e Slovacchia si stanno «preparando» ad aprire conti in rubli presso la filiale svizzera di Gazprombank. Tra questi, due dei maggiori importatori di gas russo, la Uniper con base a Düsseldorf, in Germania, e l’austriaca Omv (anche se ieri il cancelliere austriaco Karl Nehammer ha parlato di «fake news»). Anche l’Eni non si è sbilanciata e non esclude di ottemperare al decreto russo. La Polonia è furibonda, e ha chiesto pesanti multe per queste società. Varsavia, come le Repubbliche baltiche, chiede un embargo totale al gas russo, ipotesi respinta da Germania, Austria e Ungheria vista l’alta dipendenza da Mosca. Sullo sfondo, l’impatto della guerra sull’Ue.