1/ Roma 1940-1944: i benemeriti della tutela dell’arte italiana, di Paola Nicita 2/ «I trasporti possono essere iniziati da oggi, 15 novembre 1943»: il ruolo del Vaticano nella salvaguardia del patrimonio artistico italiano, di Micol Forti
1/ Roma 1940-1944: i benemeriti della tutela dell’arte italiana, di Paola Nicita
Riprendiamo sul nostro sito parte dell’articolo Roma 1940-1944: i benemeriti della tutela dell’arte italiana, di Paola Nicita, in Musei e monumenti in guerra 1939-1945. Londra Parigi Roma Berlino, T. Calvano – M. Forti ( a cura di ), Città del Vaticano, Edizioni Musei Vaticani, 2014, pp. 134-140. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Il Novecento: la Resistenza e la Liberazione.
Il Centro culturale Gli scritti (15/5/2022)
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Dopo le prime violazioni dei depositi dell'ottobre 1943, L'Ufficio delle Arti di Roma cercò […] di riprendere il controllo della situazione, appoggiandosi al parere collegiale dei soprintendenti del Lazio, che si riunirono il 31 ottobre, e chiedendo consiglio ai più eminenti studiosi d'arte. Tra questi vi era Pietro Toesca. La lettera, datata 21 ottobre, fu firmata dal direttore generale Lazzari, ma la minuta fu scritta da Argan, di cui è riconoscibile la calligrafia:
In quest’ora tragica della storia nazionale, il patrimonio artistico italiano versa in condizioni di tale gravità che la normale autorità amministrativa della Direzione Generale delle Arti e dello stesso Ministero dell’Educazione Nazionale non è purtroppo più sufficiente a garantire l’integrità delle nostre collezioni artistiche nei territori invasi e occupati dallo straniero. In tale situazione, sento aggiungersi quasi schiacciante la responsabilità della tutela del patrimonio artistico nei confronti degli studiosi, del paese, del mondo intero.
Lazzari chiedeva a Toesca il suo sostegno: «con la Sua competenza, la Sua esperienza e il Suo alto senso di civismo in un’azione che non ha altro scopo se non quello di conservare all’Italia in quest’ora di pericolo il possesso del suo patrimonio artistico. [...] contro chiunque, avvalendosi del diritto della forza, intenda menomarlo o sottrarlo al nostro controllo diretto»[1].
Toesca rispose il 4 novembre offrendo piena collaborazione: «caro direttore ho ricevuto soltanto con la posta di stamane la lettera del 20 ottobre sc. Nella forma da lei esposta io sono prontissimo a darle tutta la mia collaborazione; e la ringrazio vivamente della sua fiducia». Subito dopo lo storico dell'arte, con l'ispettorato tecnico della Direzione delle Arti, compilò l'elenco delle opere più importanti dell'Italia centro-settentrionale perché fossero le prime a essere messe in salvo.
Studiosi, soprintendenti e funzionari furono d'accordo nell'affermare che non solo le opere non dovessero essere trasferite al Nord, ma che le stesse opere dell'Italia centrale e settentrionale dovessero essere portate a Roma, possibilmente in Vaticano.
Le trattative erano state avviate fin dall'agosto con la Santa Sede. Il 14 agosto Roma era stata dichiarata "città aperta", uno status che avrebbe dovuto comportare la fine dei bombardamenti, che purtroppo continueranno nei mesi successivi nelle periferie della città. Fu comunque il duplice carattere di Roma città aperta e di città sacra per la presenza del Vaticano a far sì che si accelerassero le trattative per trasportarvi le opere d'arte di maggiore interesse artistico d'Italia, trattative che furono riprese in autunno, quasi «privatamente», come scrisse Lavagnino nel diario, da parte di un gruppo di funzionari dell'amministrazione delle Belle Arti che chiedeva che in nome della cultura «quelle supreme creazioni dello spirito venissero poste fuori della guerra e la loro voce venne ascoltata»[2].
Argan coordinò il lavoro da Roma, mentre a dirigere operativamente le missioni, delicate e pericolosissime, fu proprio Lavagnino. La scelta del soprintendente alle Gallerie De Rinaldis - all'epoca impossibilitato a muoversi – di affidare a Lavagnino quest'incarico non solo è espressione dell'assoluta stima e fiducia nelle capacità dell'ispettore, ma ha anche un chiaro significato politico. Dal 1938 Lavagnino era stato allontanato, per le sue posizioni antifasciste, dall'amministrazione delle Belle Arti e declassato, per decisione dell'allora ministro Bottai, al ruolo di ispettore per l'insegnamento medio, assegnato, cioè, alla Direzione Generale dell'Istruzione media tecnica, con il compito di occuparsi dell'organizzazione e dello sviluppo delle scuole alberghiere e di avviamento professionale.
Non poteva più svolgere il suo lavoro di storico dell'arte in Soprintendenza, né dirigere la Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Corsini, a cui era stato assegnato dal 1933. La decisone punitiva è da collegare ai contatti che Lavagnino aveva con gli ambienti degli esuli antifascisti, come si ricava da una lettera del 1942 del capo della polizia Senise che informava il ministro Bottai dell'esistenza di rapporti epistolari tra Lavagnino e Giuseppe De Logu, già professore di storia dell'arte all'Accademia di Belle Arti di Venezia, fervente repubblicano ed esponente di spicco del gruppo di esuli antifascisti a Zurigo.
Con l'istituzione del governo Badoglio, Lavagnino sarà richiamato dal ministro Severi alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti. Da quel momento si occuperà attivamente del recupero delle opere d'arte dislocate nei ricoveri antiaerei e del loro trasferimento al sicuro entro le mura vaticane.
Ma essendoci due governi sul territorio italiano ed essendo l'Italia divisa in due, alla fine del dicembre 1943 il governo della Repubblica Sociale stabilì ufficialmente il collocamento a riposo di Lavagnino, come degli altri benemeriti della tutela. L'impegno civile e politico di Lavagnino non s'affievolì neppure nei nove mesi di occupazione tedesca. Insieme alla sorella Eleonora, avvocatessa e militante del Partito d'Azione, protesse e nascose in casa ebrei ed ex prigionieri alleati, contribuendo alla creazione di falsi documenti d'identità e al trasferimento e distribuzione di armi.
Oltre al diario di guerra di Lavagnino, siamo informati dello svolgimento delle trattative per il ricovero delle opere in Vaticano grazie ai resoconti e ai verbali scritti da Argan e dagli altri funzionari dal novembre al dicembre 1943, ovvero nel momento in cui iniziò a operare il Kunstschutz a Roma.
Alla data del 10 novembre, queste sono le annotazioni di Argan:
Per incarico del direttore generale, assente, telefono al console Giurati del Ministero degli Esteri. Gli dico che il prof. Nogara non ha ancora avuto notizia ufficiale dell'accordo intervenuto col Vaticano, e gli chiedo se di tale accordo possa esserci data comunicazione scritta. Il Giurati ritiene che, data la particolare delicatezza della questione, non sia opportuno mettere nulla in iscritto, se non il verbale di consegna o la ricevuta delle opere da parte del Vaticano; questa farà fede dell’accordo raggiunto. Il Giurati ritiene inoltre che sia opportuno, finché possibile, valersi di mezzi nostri per il trasporto delle opere, ricorrendo solo in caso di necessita al concorso germanico. La partecipazione dei tedeschi deve avere un carattere di semplice collaborazione e prestazione, senza che sembri loro deferito o riconosciuto un compito preciso o riconosciuta una facoltà di ingerenza diretta[3].
Il 12 novembre, Argan annotò: «II Prof. Nogara informa d'aver avuto comunicazione ufficiale dell'accordo intervenuto col Vaticano; e dichiara d'esser pronto a partire dal lunedì 15 corrente a ricevere le opere». Contemporaneamente, la Direzione delle Arti prese accordi con l'Ufficio tedesco per la protezione artistica che accettò che fosse l'autorità italiana a provvedere alla protezione del proprio patrimonio. Limitandosi a seguire l'organizzazione dei trasporti e a far da tramite presso i comandi militari. Era comunque chiaro che i tedeschi potevano in tal modo mantenere sempre un controllo diretto sugli spostamenti delle opere sul territorio italiano.
In un altro appunto di Argan, allegato alla nota scritta per l'amministrazione delle Belle Arti il 15 novembre, si informava il Ministero degli Affari Esteri della procedura stabilita per il ricovero delle opere nei Musei Vaticani:
Con il Prof. Nogara, direttore generale dei Musei Vaticani, sono stati persi i seguenti accordi: 1) Le opere d'arte entreranno nella Città del Vaticano con mezzi privati italiani; 2) Esse saranno conservate nei depositi della Pinacoteca, i quali presentano ogni garanzia per la migliore conservazione delle opere stesse; 3) Le opere saranno chiuse in casse sigillate e numerate; l'elenco delle opere contenute in ciascuna cassa rimarrà nelle mani dell'Autorità italiana; 4) Una Commissione di funzionari italiani rimarrà in continuo contatto con la Direzione dei Musei Vaticani per le necessarie verifiche periodiche del materiale per l'eventualità che si renda necessaria l'apertura delle casse ecc. 5) I trasporti possono essere iniziati, per quanto riguarda la Direzione dei Musei Vaticani, da oggi 15 novembre[4].
Fu infine possibile effettuare i primi trasporti dai depositi del Lazio. Con due viaggi, il 18 e il 26 novembre, effettuati con mezzi tedeschi, vennero ritirate le casse ancora depositate nel ricovero di Casamari. Il 27 novembre fu eseguito il primo trasporto in Vaticano delle opere d'arte già portate a Roma nel viaggio del 27 agosto da Anagni, Veroli, Alatri e Casamari, collocate temporaneamente all'interno di Castel Sant'Angelo. Il 7 dicembre furono trasportate a Roma le casse conservate nel Forte Sangallo di Civita Castellana. Una cassa conteneva la Deposizione di Raffaello della Galleria Borghese. Presente alla rimozione era anche il maggiore Evers del Kunstschutz. La nota stilata quel giorno dall'ispettore de Tomaso per il Ministero segnala che «particolari difficoltà» furono incontrate per il carico sul camion dell'opera «non solo per le sue dimensioni, ma anche per il suo peso eccezionale (circa 10 quintali)» e che «speciale cura venne posta per impedire eventuali infiltrazioni d'acqua in caso di pioggia nell'interno della cassa, essendo il camion sprovvisto di copertura»[5]. L'opera arriverà a Roma sana e salva.
Nonostante la piena disponibilità del Vaticano e il buon esito dei primi viaggi, la Direzione delle Arti non riusciva a ottenere da parte tedesca la collaborazione a effettuare i trasporti delle opere dai grandi depositi delle Marche. Dalla nota di Argan datata 11 dicembre, apprendiamo di un incontro avvenuto con il maggiore Evers all'albergo Quirinale in cui si discusse operativamente del viaggio a Carpegna. Argan riferì che sia lui che Lavagnino ebbero l'impressione che si volesse differire il più possibile il trasporto, che invece appariva ai funzionari «urgentissimo» poiché - scrive Argan - «se gli sgomberi dei depositi Laziali rappresentano un'ovvia misura in rapporto alle operazioni militari in atto, soltanto con i trasporti dal nord l'attività di tutela si traspone su di un piano politico e crea in questo senso, un precedente di qualche valore nei confronti di un'autonomia d'iniziativa dello Stato italiano»[6].
A tale scopo Argan chiese al direttore Lazzari di organizzare un incontro con il console tedesco Müllhausen e il consigliere dell'ambasciata Haas per «accertare quali siano le reali intenzioni delle autorità germaniche e cioè se le continue difficoltà frapposte al viaggio per Carpegna siano reali o fittizie». Argan pensava di proporre ai tedeschi «un programma completo da attuarsi con nostri autocarri, nostro carburante (comprato magari in borsa nera), nostro personale e, potendo ottenerla, scorta armata nostra (preferibilmente Guardia di Finanza); a loro chiedendo soltanto i lasciapassare e un ufficiale che risponda alle domande dei posti di blocco e delle pattuglie tedesche». L'incontro tra il direttore generale Lazzari e il consigliere Haas si tenne il 13 dicembre. Lazzari spiegò che non esistevano obiezioni di carattere pratico per rinviare il viaggio, poiché il Ministero aveva già pronti autocarri e carburante; anche la scorta poteva essere composta da agenti italiani. Si chiedeva ai militari tedeschi i lasciapassare per gli uomini e per le macchine e un ufficiale tedesco che accompagnasse il convoglio.
Le pressioni italiane ebbero effetto e finalmente, il 19 dicembre 1943, partì la prima spedizione per le Marche, guidata da Lavagnino e formata da ventidue persone, compresi il tenente Scheibert del Kunstschutz e una scorta armata di sei persone. Dopo un viaggio difficoltoso e pieno di pericoli, poiché tutte le strade, dalle grandi vie consolari a quelle minori di campagna, erano continuamente bombardate e mitragliate, giunsero a Carpegna, poi a Sassocorvaro e Urbino. Ripartirono per Roma con centoventi casse contenenti i dipinti delle Gallerie Borghese e Corsini, delle chiese di Santa Maria del Popolo e di San Luigi dei Francesi, delle Gallerie dell'Accademia e delle chiese di Venezia, della Pinacoteca di Brera e del Museo di Tarquinia. Un carico dal valore culturale incommensurabile.
Alle ore 15 del 22 dicembre Lavagnino e gli altri erano a Palazzo Venezia, stremati. Veniva così avviato il graduale trasferimento di quei capolavori in Vaticano. Ma gli sforzi per metter al sicuro il patrimonio artistico italiano non si fermarono:
Ora che quel primo viaggio era stato compiuto - scrisse Lavagnino - ora che avevamo controllato, alla prova, come imprese del genere fossero ancora possibili e io, che quel viaggio aveva diretto, avevo potuto constatare come lassù nelle Marche rimanessero ancora tanti nostri tesori dislocati in prossimità di quella che già allora veniva definita Linea Gotica, senza altra difesa, oso dire che la disperata volontà del soprintendente Rotondi, decidemmo di organizzare un secondo viaggio. Ma intanto, proprio qui a Roma, la situazione appariva sempre più grave. Il Ministero si stava sfasciando[7].
L'8 gennaio 1944 tutti i soprintendenti delle Belle Arti furono convocati a Padova dal nuovo direttore generale Carlo Anti che aveva preso il posto di Marino Lazzari. Si proibì loro di rimuovere le opere dai depositi e soprattutto di mandarle a Roma. Ma molti funzionari non si presenteranno neppure alla riunione.
Nella relazione scritta dopo la liberazione di Roma, il 10 luglio 1944, Argan, Lavagnino, Romanelli, De Angelis D'Ossat e de Tomasso, riferendosi a queste disposizioni, dichiararono che «il soprintendente alle Gallerie delle Marche, Pasquale Rotondi, benché avesse anch'egli ricevuto l'ordine di non consegnare le opere a chi si presentasse a richiederle, dichiarò coraggiosamente di non voler ubbidire se non alla propria coscienza e di voler agire nel modo che riteneva più utile alla salvaguardia del patrimonio artistico a lui affidato: furono così evacuati i grandi depositi di Carpegna, Sassocorvaro, contenente le opere delle gallerie di Venezia, il tesoro di San Marco, i dipinti della Pinacoteca di Brera e della Galleria di Urbino»[8].
Il 13 gennaio 1944 una seconda autocolonna, formata da due autotreni con quindici persone, partì da Roma diretta a Urbino e Sassocorvaro. Arrivati a Urbino quando era già notte, incontrarono il soprintendente Rotondi che non esitò ad affidare a Lavagnino - ormai a tutti gli effetti un privato cittadino - un altro centinaio di casse contenenti capolavori assoluti dell'arte italiana. Centinaia di opere in tal modo potevano essere messe fuori dalla guerra. Al suo ritorno, Lavagnino commentò sul suo diario: «non ho mai lavorato tanto per l'amministrazione come da quando sono un pensionato»[9]. Dopo aver proceduto, con L'aiuto di Argan, alla verifica del contenuto del materiate artistico momentaneamente depositato a Palazzo Venezia, Lavagnino organizzò, il 20 e 21 gennaio, una piccola esposizione temporanea di alcuni dipinti, allestita in due sale di Palazzo Venezia, prima che le opere fossero messe al sicuro in Vaticano.
In quei giorni Lavagnino ricevette un fonogramma di rimprovero dal Ministero dell'Educazione Nazionale di Padova in cui veniva condannato il suo comportamento per aver rilevato i dipinti dai depositi delle Marche e diffidato dal continuare.
Ma nonostante licenziamenti e diffide, i trasporti di opere d'arte in Vaticano continuarono ancora per diversi mesi, poco prima che le truppe alleate entrassero nella capitale. L'ultima consegna fu effettuata il 3 giugno. La Soprintendenza alte Gallerie, dato l'intensificarsi dei bombardamenti, aveva dato disposizioni per l'urgente ritiro di tutto il materiale artistico in pericolo, non solo quello delle gallerie statali che si trovava ancora nel ricovero di Genazzano, ma anche quello disseminato sul territorio del Lazio, conservato sia nelle chiese, sia nei musei civici.
Nonostante i mitragliamenti delle strade intorno a Roma, Lavagnino riuscì ad arrivare al deposito di Genazzano e a caricare centocinquanta dipinti delle gallerie Borghese, Corsini e Spada e le opere più pregevoli del Museo di Palazzo Venezia. Tra il gennaio e il maggio del 1944, usci e rientrò a Roma molte volte, trasportando dipinti, sculture, oreficerie e parati sacri, raccolti in tutto il territorio del Lazio. Fu così che le opere d'arte dei musei e delle chiese di Viterbo, Rieti, Tarquinia, Tuscania, Civitavecchia, Magliano Sabina, Sutri, Vetralla, Fondi e di altri paesi vennero gradualmente trasportate a Roma e poste al sicuro in Vaticano. E quando la guerra distrusse in parte quei paesi, almeno le loro opere d'arte erano state salvate.
Il 4 giugno 1944, dopo nove mesi di occupazione tedesca, facevano il loro ingresso a Roma le truppe anglo-americane. Non fu soltanto la fine della guerra, ma anche l'inizio di una rinascita culturale. I capolavori trasportati in Vaticano vi restarono custoditi fino al termine del conflitto, fatta eccezione per quarantasei opere d'arte che, subito dopo la liberazione di Roma, furono esposte nella Mostra di Capolavori della Pittura europea allestita a Palazzo Venezia. La mostra, aperta al pubblico il 28 agosto 1944, fu organizzata dalla Monuments, Fine Arts and Archives Subcommission, diretta dal maggiore Ernest T. De Wald dell'Università di Princeton, con la collaborazione di Argan, con l'intento di offrire la visione di opere di straordinaria qualità provenienti dai musei di' Venezia, Napoli, Milano, Urbino, Roma e di permettere finalmente l'accesso alle sale di Palazzo Venezia che per tanti anni erano state chiuse ai visitatori.
I protagonisti di questa storia, i benemeriti della tutela dell'arte italiana, mostrarono un grande coraggio in molti momenti di pericolo, un alto senso dello Stato e la volontà e capacità di agire contro l'imbarbarimento, per permettere al nostro patrimonio di valicare la tempesta e tramandarsi alle future generazioni. Erano parte di quella che - riprendendo un'efficace espressione di Benedetto Croce - era l'«Italia che non muore»[10].
Nel 1954 Lavagnino sarà insignito per La sua azione della Medaglia d'oro dei Benemeriti della cultura e dell'arte.
2/ «I trasporti possono essere iniziati da oggi, 15 novembre 1943»: il ruolo del Vaticano nella salvaguardia del patrimonio artistico italiano, di Micol Forti
Riprendiamo sul nostro sito l’articolo «I trasporti possono essere iniziati da oggi, 15 novembre 1943»: il ruolo del Vaticano nella salvaguardia del patrimonio artistico italiano, di Micol Forti, in Musei e monumenti in guerra 1939-1945. Londra Parigi Roma Berlino, T. Calvano – M. Forti ( a cura di ), Città del Vaticano, Edizioni Musei Vaticani, 2014, pp. 149-165. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Il Novecento: la Resistenza e la Liberazione. Cfr. anche Dall’autunno del 1943 al luglio 1944 i capolavori della Pinacoteca di Brera e del Castello Sforzesco, dell'Accademia di Venezia, della Galleria di Urbino, dell'Accademia Carrara di Bergamo, insieme ai dipinti dei Musei romani e ad opere d'arte provenienti da chiese, come il Tesoro di San Marco o le tele di Caravaggio furono custodite in Vaticano (da Micol Forti) e 1/ Pasquale Rotondi, grandissimo e sconosciuto responsabile dell’Operazione Salvataggio delle principali opere d’arte italiane nel 1944. I quadri delle principali gallerie italiane, tramite le Marche, in Vaticano e loro restituzione dopo la guerra 2/ Il contributo di Rodolfo Siviero.
Il Centro culturale Gli scritti (15/5/2022)
«I trasporti possono essere iniziati da oggi, 15 novembre 1943»: il 15 novembre è un lunedì, come minuziosamente scrive Giulio Carlo Argan nelle sue relazioni giornaliere inviate alla Direzione Generale delle Arti del Ministero dell'Educazione Nazionale sull'andamento degli accordi con il Vaticano e in particolare con i Musei Vaticani, allora diretti da Bartolomeo Nogara[11]: tutto è pronto per l'avvio del trasferimento delle opere dello Stato italiano verso il territorio neutrale della Città del Vaticano.
Come è stato messo in evidenza dalla ricca bibliografia che negli ultimi anni ha riportato alla luce documenti e testimonianze, questa decisione è in realtà frutto di una lunga contrattazione, che ha riguardato non solo aspetti conservativi e tecnici, ma soprattutto politici e diplomatici, all'interno di un contesto bellico in costante evoluzione e drammatizzazione.
Rispetto a questo specifico episodio della storia della tutela e della conservazione nel corso della Seconda guerra mondiale, uno degli aspetti più interessanti riguarda l'azione del «trasferimento», dello «spostamento» in un luogo «sicuro», del patrimonio culturale di una nazione in guerra.
Un aspetto emerso per la prima volta durante la I e la II Conferenza internazionale della Pace dell'Aja, rispettivamente nel 1899 e nel 1907: oltre, infatti, a definire il concetto di «saccheggio» e ad abolire il diritto al bottino di guerra[12], questi documenti prevedono che in caso di conflitto bellico il bene culturale - ovvero tutto ciò che appartiene all'intera collettività – potesse essere rimosso e trasferito in altri luoghi, creando quello che la Società olandese di Archeologia definì, nel 1918, i «santuari dell'arte»[13]. Una tipologia di provvedimento che viene puntualizzata in un vero piano di salvaguardia, ma che non fu mai messo in pratica, dall'Ufficio internazionale dei Musei nel 1934 a partire dall'esperienza della Grande Guerra.
È infatti già durante la Prima guerra mondiale che la Città del Vaticano viene invocata come rifugio ideale per accogliere, in quella circostanza, il patrimonio artistico di Venezia e di altre aree del nord Italia interessate dal conflitto; ben prima dunque della creazione di uno Stato neutrale, cosa che avvenne solo nel 1929 con i Patti Lateranensi[14].
Certo è che ogni azione di trasferimento presuppone la fondamentale e ineludibile opera di conoscenza della quantità e della natura del bene da trasferire. È molto interessante che, sebbene in ritardo rispetto all'azione italiana, che aveva avviato le richieste di elenchi delle opere d'arte di sommo pregio a partire dal 1931[15], anche Pio XII si farà promotore di un'importante azione di censimento limitata, in questa prima fase, ai beni archivistici e librari. Una sorta di questionario per raccogliere notizie relative al contenuto e all'estensione di tutti gli archivi ecclesiastici d'Italia, maggiori e minori, viene elaborato nell'ottobre del 1941 dal card. Giovanni Mercati, bibliotecario e archivista, fratello del Prefetto della Biblioteca Vaticana e anch'egli cardinale, Angelo Mercati[16]. Nel gennaio del 1943 seguì, quale iniziativa "privata" del Vaticano, l'azione di recupero di parte della documentazione archivistica e libraria, trasportata in territorio neutrale[17].
Null'altro sembra essere stato promosso, in forma preventiva, in merito ad una ricognizione della quantità, della tipologia e dello stato di conservazione dei beni ecclesiastici che avrebbero potuto richiedere un'azione di tutela e di trasferimento sotto il diretto intervento dello Stato vaticano. Le poche azioni sono limitate, all'interno delle mura, alla protezione dei Palazzi Apostolici con l'inserimento di grate metalliche alle finestre, poste in opera nel 1939.
Solo nel 1943 si registra l’isolato invio da parte del cardinale Schuster, arcivescovo di Milano, del prezioso altare del IX secolo della Basilica di Sant'Ambrogio, spedito tra l'aprile e il maggio in una cassa espressamente indirizzata a: «Sua Santità il Sommo Pontefice Pio XII - Roma, Stazione di S. Pietro-Città del Vaticano». L'altare di Sant'Ambrogio fu ricoverato al piano terreno della Biblioteca Apostolica Vaticana, insieme al materiale archivistico e librario.
Il problema del «trasferimento» e del «censimento» ad esso subordinato, è strettamente collegato ad un'altra importante e delicata questione di metodo, ovvero la classificazione selettiva.
Non potendo immaginare di trasferire l'intero patrimonio storico e artistico dell'Italia all'interno delle mura vaticane, o in altro luogo sicuro, è stato necessario riflettere sull'idea di selezione o di graduatoria, in cui far convergere ogni testimonianza culturale. Il che ha significato agire tenendo presente la definizione del concetto di "testimonianza storica" da un lato e di "capolavoro" dall'altro, inserendo entrambi all'interno di un più ampio e complesso contesto culturale e civile su cui si basavano le radici e la memoria di un'intera civiltà.
Un tema questo che andrebbe approfondito anche alla luce dei criteri che le diverse epoche hanno applicato nella definizione delle "classi" e delle "tipologie" di testimonianze ritenute imprescindibili per identificare e riassumere l'idea stessa di una civiltà. Esse sono il risultato della combinazione di numerosi elementi, tra cui le caratteristiche di un determinato momento storico., la portata del pericolo, la formazione o le prospettive culturali e/o ideologiche di chi è chiamato a operare il salvataggio, determinando cosa può o deve essere salvaguardato. I concetti stessi di collettività e di memoria collettiva sono composti di testimonianze e di manipolazioni, di integrità e di parzialità, di identità e di alterazioni, convergenti nell'azione interpretativa che è propria di ogni operazione di recupero.
È sulla base di queste problematiche che i funzionari e i soprintendenti italiani hanno impostato la loro azione, in poco tempo e con scarsissima disponibilità di mezzi.
Inoltre il precipitare degli eventi militari rendeva sempre più urgente la necessità di stabilire un accordo con il Vaticano, il solo luogo dove far confluire le opere di "maggior importanza".
È in questo momento che il governo tedesco assume un ruolo di grande rilievo nell'azione di ponte tra il Vaticano e il Governo Italiano. Gli studi attenti di Lutz Klinkhammer e di altri studiosi[18] mi esentano dal ripercorrere le tappe di costituzione e di azione del Kunstschutz ovvero dell'Ufficio di protezione artistica aggregato all'amministrazione militare tedesca in Italia, istituito dopo l'8 settembre con sede centrale a Firenze. Va però sottolineata l'azione politica precedentemente avviata dall'ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, barone Ernst von Weizsäcker, e quella più operativa del tenente Peter Scheibert, come risulta anche da documenti ancora inediti, recentemente rintracciati da Gudrun Sailer nell'archivio dell'archeologa e storica dell'arte Hermine Speier, la quale lavorò anche presso la Biblioteca Vaticana e l'Archivio fotografico dei Musei Vaticani[19].
Un'azione che venne intensificata con l'arrivo del barone Bernard von Tieschowitz, incaricato di sovrintendere alla tutela delle opere d'arte in tutti i territori occupati. Fu Von Tieschowitz, poi sostituito dal maggiore Hans Gerhard Evers[20], che riuscì a interessare lo stesso Hitler, il quale concordava sul fatto che il Vaticano fosse il solo luogo sicuro per la salvaguardia del patrimonio artistico italiano[21].
Tali accordi si indirizzano verso una conclusione positiva, anche grazie al ruolo svolto da monsignor Giovanni Costantini, presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, e dei tanti funzionari della Direzione Generale delle Arti (tra i tanti: Argan, De Angelis D'Ossat, De Rinaldis, De Tomasso, Lavagnino, Romanelli, Rotondi, Vannutelli) che danno vita a una rinnovata collaborazione tra lo Stato italiano e quello vaticano, che precede e supera le esigenze della diplomazia e della politica[22].
È in questa fase che si stabiliscono Le modalità, rispettate anche durante le effettive operazioni di trasferimento, con cui le opere sarebbero entrate in Vaticano, ovvero sempre chiuse all'interno di casse e accompagnate da dettagliati elenchi con le specifiche dei singoli contenuti.
Una richiesta determinata dal fatto che la responsabilità delle opere sarebbe rimasta sotto lo Stato italiano e che rese necessaria un'attività di imballaggio e di trasporto di grande efficienza perché molte opere erano state solo grossolanamente protette, in particolare quelle che si pensava di lasciare all'interno di Castel Sant'Angelo[23]. La situazione della città si fa sempre più difficile, anche se i Musei Vaticani sono ancora aperti come dimostra questo rapporto della custodia, del mese di luglio 1943:
«I giorni 19, 21, 23 e 30, nelle ore antimeridiane sono avvenuti degli allarmi aerei; il pubblico presente nei Musei e nelle Gallerie è stato avviato disciplinatamente, insieme a tutto il personale, al rifugio antiaereo; le varie persone che al momento dell'allarme sostavano in prossimità dell'ingresso principale [...] sono state fatte entrare e anch'esse rifugiate nel suddetto ricovero»[24].
Sono i giorni in cui le bombe sganciate sulla città provocano forti danni e numerose vittime, colpendo, fra l'altro, il cimitero del Verano e la parte anteriore della basilica di San Lorenzo fuori le Mura.
Il 20 Luglio Pio XII scrive una delle rare lettere in cui affronta esplicitamente il problema del valore che il patrimonio culturale rappresenta per tutta l'umanità, sottolineando l'assoluta necessità di conservare incolume «quanto doveva essere custodito gelosamente come ricchezza e vanto di tutta l'umanità e del progresso dei popoli» proprio a Roma dove «tanti convergono da tutto il mondo per apprendere non solo la fede, ma anche la sapienza antica». È necessario dunque «tutelare e proteggere, dinanzi all'opinione di tutti [...] e al giudizio delle generazioni future, il deposito che ci è stato affidato da custodire e trasmettere»[25].
Dalla prima settimana di settembre 1943 si registrano i primi arrivi da parte dei privati, come la collezione Curtius e quella Barberini[26], ma l'armistizio dell'8 settembre fa saltare tutte le trattative in corso, aggiungendo al rischio bellico quello delle illegittime appropriazioni di un patrimonio distribuito su tutto il territorio nazionale ormai occupato. L’esempio del trasferimento dell’intera patrimonio deposito a Montecassino dove, oltre alla biblioteca, all’archivio e alla quadreria dei monaci, era conservata la più preziosa selezione di opere proveniente delle collezioni dei musei napoletani, deviata verso Spoleto dalla divisione Goering[27] tra il 17 ottobre e il 3 novembre, allarma fortemente le autorità italiane e vaticane che decidono di riaprire le trattative.
In una lettera appassionata del 26 ottobre 1943, Marino Lazzari sollecita Il ministro Biggini a concedere il conferimento dei pieni poteri alla sua Direzione Generale per poter seguire interamente le operazioni di salvaguardia e di trasferimento: «Fate eccellenza che il patrimonio artistico non sia oggetto di contesa in quest'ora drammatica; e ch'esso rimanga al popolo italiano, unica ricchezza e garanzia di un'immancabile rinascita»[28].
Il 10 ottobre 1943 Pio XII riceve l'ambasciatore di Germania presso la Santa Sede, von Weissacker[29]: un incontro dal quale non sembra scaturire nulla di positivo visto che in un promemoria del Ministero dell'Educazione Nazionale del 25 ottobre si riferisce che
la S. Sede non ritiene di riprendere in esame la questione concernente la salvaguardia, nella Città del Vaticano, delle opere d'arte di proprietà demaniale, aggiungendo che la S. Sede stessa suggerisce, invece, di ricoverare dette opere nei locali dell'ambasciata d'Italia presso il Vaticano[30].
Bisognerà attendere il 2 novembre 1943 quando alle ore 17.00, il Segretario di Stato, cardinal Maglione, si dichiara favorevole ad accogliere nella Città del Vaticano, o almeno in altro edificio della Santa Sede che goda del benefìcio dell'extra-territorialità, la massima parte delle opere d'arte già collocate nei ricoveri del Lazio, ed eventualmente degli altri ricoveri dell'Italia centrale e settentrionale.
Come si vede da questa breve nota ancora non è stato stabilito dove e come tale trasferimento avverrà, anche perché molti erano gli spazi all'interno delle mura vaticane a essere già occupati per far fronte alle varie necessità di sicurezza e di sopravvivenza: dagli sfollati che vengono accolti anche lungo le scalinate del Palazzo Apostolico così come a Castel Gandolfo, alle derrate alimentari accumulate lungo il Museo Chiaramonti, la Galleria Lapidaria, il Braccio Nuovo.
Ma il succedersi degli eventi determinerà la svolta nelle decisioni:
il 5 novembre 1943, alle ore 20,10 circa da un aereo di nazionalità sconosciuta, sono state sganciate sulla Città del Vaticano n. 5 bombe. È stato colpito pesantemente il palazzo del Governatorato e il laboratorio del mosaico. Rottura di molti vetri anche della Basilica di San Pietro che il giorno successivo rimane chiusa. Il papa si dovrà affacciare più volte[31].
La notazione conclusiva offerta dalla notizia testimonia il forte impatto che questo evento ebbe sulla cittadinanza, minando l'illusoria percezione collettiva che riconosceva il Vaticano quale luogo inviolabile e inattaccabile da parte delle diverse forze belliche in campo.
Già a partire dal 9 novembre, come emerge nelle relazioni di De Tomasso, Romanelli e Argan, si intensificano i contatti con Nogara il quale ancora non è stato informato degli accordi per il ricovero in Vaticano, ma è ormai certo che le opere arriveranno ai Musei e saranno collocate negli ambienti dei magazzini della Pinacoteca[32].
Una prima conferma viene da Nogara il 12 novembre 1943[33], ribadita il giorno 15 quando von Tieschowitz viene avvertito di agevolare il passaggio dall'Arco delle Campane[34]. Tale accordo non sarà, tuttavia, mai ratificato per iscritto come è evidente da vari documenti[35] tra cui una relazione di Argan del 19 dello stesso mese[36].
Nonostante le incertezze di questo periodo è significativa la positività delle parole di Emilio Lavagnino: «Eppure, in tutta quella confusione, la certezza che in Vaticano le nostre opere d'arte avrebbero potuto trovare un sicuro asilo, ci dette nuova fiducia e subito si decise di fare il possibile per radunare nei depositi dei Musei Vaticani quanto era possibile»[37].
Di fatto il primo convoglio a entrare in Vaticano attraverserà l'Arco delle Campane solo il 27 novembre 1943, trasportando le casse che erano già state trasferite a Roma, in Castel Sant'Angelo, nel lontano 27 agosto.
Oltre agli ambienti del pianterreno della Pinacoteca, e altri ambienti limitrofi, è stata successivamente interessata anche la sala dei Monumenti Reali del Museo Gregoriano Egizio[38]. Tutti gli ambienti erano provvisti di impianti antincendio e di vigilanza sull'intero arco delle 24 ore, come anche le sale e le gallerie dell'Archivio e della Biblioteca, dove continuavano a convergere le preziose collezioni librarie e documentarie: un accumulo di casse era ricoverato nell'attuale sezione dei Disegni e Stampe, come nel Salone Sistino, ingombro di volumi. Non è possibile in questa sede rendere conto di ogni singolo spostamento, ma può essere utile ripercorrerne schematicamente le fasi salienti per restituire la complessità dell’operazione[39], che è andata ad aggiungersi alla ben più articolata e pericolosa operazione di salvaguardia precedentemente e parallelamente condotta sul territorio italiano[40].
Le prime operazioni riguardano opere già presenti a Roma, provenienti dal Ministero dell'Educazione Nazionale e dall'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede[41], mentre tra la fine del mese di novembre e l'inizio del successivo vengono organizzati i primi trasferimenti dal deposito di Forte Sangallo a Civita Castellana, il cui svuotamento, seguito dal dott. Scheibert, richiederà oltre quindici viaggi e che coinvolse anche il difficile carico della Deposizione di Raffaello della Galleria Borghese, il cui peso è di circa 10 quintali[42].
All'inizio dello stesso mese di dicembre arrivano le casse dal deposito di Casamari. Parallelamente proseguono le trattative per recuperare il materiale sottratto a Montecassino e trasferito a Spoleto: l'8 dicembre 1943, dopo molte pressioni delle autorità vaticane sull'ambasciata tedesca, gli incunaboli, i codici e le pergamene dell'Archivio e della Biblioteca del Convento e la quadreria dei monaci furono portati a Castel Sant'Angelo, per poi essere trasferiti in Vaticano. È presente Giulio Battelli, archivista del Vaticano, che seguirà questa come molte altre azioni di recupero, spesso in tandem con Lavagnino.
Il maggiore Evers pretende che la consegna sia «effettuata con una certa solennità», per compensare le accuse di aver depredato la celebre abbazia di Montecassino[43]. I camion entreranno solennemente in Castel Sant'Angelo alle ore 12 dopo aver fatto una sosta al Colosseo e la consegna avverrà con la stampa e gli esponenti dell'Amministrazione interessata. Una ripresa cinematografica a scopo di propaganda documenterà la solennità della cerimonia. Tale richiesta ricopre un ruolo squisitamente politico, ulteriormente accresciuto dal fatto che la buona riuscita della cerimonia sarà vincolante per la successiva restituzione delle opere dei musei napoletani, ancora trattenute a Spoleto[44].
Ciò avverrà solo il 3 gennaio del 1944: ore 10.30, trentuno camion tedeschi del reparto Goering si incolonnano in piazza Venezia. Dopo la cerimonia ufficiale e il discorso dello stesso Goering, il quale sottolinea come questi tesori appartengano «alla nostra comune Europa»[45], vengono scaricate Le casse[46]. Il trasferimento in Vaticano inizia il giorno successivo.
L'11 dicembre 1943 una relazione di Argan affronta la questione dell'organizzazione del trasporto delle opere dal deposito di Carpegna, un trasferimento che il funzionario ritiene urgentissimo: «se gli sgomberi dei depositi laziali rappresentano un'ovvia misura in rapporto alle operazioni militari in atto, soltanto con i trasporti dal nord l'attività di tutela si traspone su un piano politico e crea in questo senso un precedente di qualche valore nei confronti di un'autonomia d'iniziativa dello Stato italiano»[47].
Il primo convoglio composto da tre grossi camion con rimorchio provenienti dai depositi di Carpegna, Sassocorvaro e Urbino - comprendente sedici casse dalla Galleria Borghese, dieci dalla Corsini, ottantotto dalle Gallerie di Venezia, tre da Brera, una da Santa Maria del Popolo, una da San Luigi dei Francesi, una da Tarquinia - arriva a Roma il 22 dicembre 1943: le opere saranno trasferite in Vaticano durante il periodo di Natale[48].
Lo stesso 22 dicembre 1943 parte per Gaeta un camion del Governatorato dello Stato Vaticano per portare a Roma i rotoli dell’Exultet e un Libro d'Oro, oltre a tutto il contenuto del Capitolo.
Il mese di gennaio del 1944 si apre con la consegna del materiale proveniente dalla basilica di San Marco e da altre chiese di Venezia, alla presenza dell'arcivescovo di Urbino, monsignor Antonio Tani e con espressa autorizzazione scritta del Patriarca di Venezia[49], mentre proseguono i recuperi di molte opere ricoverate nei depositi laziali: da Anagni, Giulio Battelli ritira le pergamene del Capitolo insieme a argenti e quadri, ma le pianete erano state già ritirate dalla Soprintendenza; da Genazzano arrivano circa centocinquanta opere dalle Gallerie Borghese, Corsini, Spada e del Museo di Palazzo Venezia; tra gennaio e marzo Emilia Lavagnino fece diciotto viaggi con opere che provenivano prevalentemente da chiese, palazzi e conventi del Lazio; mentre ad aprile sempre Lavagnino recupera materiale da Magliano Sabina, Civita Castellana e Trevignano, tutto trasferito in Vaticano, il 22 aprile 1944[50]. Lo stesso giorno Giulio Battelli consegnò due casse di arredi sacri provenienti da Nepi.
Nel mese di maggio i depositi non sono più adeguati per ricevere ulteriore materiale. Le casse messe una sopra l'altra impedivano ogni forma di ispezione e Bartolomeo Nogara decise di destinare altri ambienti dei Musei: il Museo Egizio[51] e la Galleria degli Arazzi. Fu tuttavia necessaria un'ulteriore selezione delle opere già pronte per il trasferimento a Palazzo Venezia. Si decise così di sistemare le casse che non avrebbero potuto essere ospitate in Vaticano all'interno della Galleria Borghese, ritenuta comunque più sicura di Palazzo Venezia.
Parallelamente il Vaticano avvia, grazie all'azione di monsignor Giovanni Costantini, nominato presidente della Commissione per l'Arte Sacra in Italia, la stesura e la diffusione di una circolare indirizzata a tutti i vescovi e alle Diocesi, corredata di un questionario per monitorare e raccogliere tutti i dati utili alla conoscenza dello stato di conservazione del patrimonio ecclesiastico. Il questionario, ben concepito, chiede conto dello stato delle chiese, campanili, conventi, case canoniche, palazzi vescovili, musei diocesani, e dei loro contenuti, dalle opere agli oggetti liturgici, dalle reliquie ai paramenti sacri, con particolare attenzione agli archivi, biblioteche e archivi musicali[52]. Tale questionario, spedito dal Vaticano il 25 maggio 1944, viene mantenuto valido e trasmesso, il 28 dicembre, da parte del Ministero dell'Educazione Nazionale a tutti i soprintendenti, affinché ne tengano conto.
L'ultimo viaggio è datato al 3 giugno, il giorno precedente la liberazione di Roma. È naturalmente l'ultimo da parte delle istituzioni italiane, perché proseguono invece, per qualche tempo, i paralleli e numerosi depositi da parte di privati o di enti ecclesiastici che probabilmente non sono del tutto tranquillizzati dall'evolversi della situazione politica. L'ingresso a Roma degli Alleati richiede comunque di impostare una reciproca azione di conoscenza e di controllo. Con il Vaticano terrà i rapporti il capitano Thomas Humphrey Brooke, addetto alla Sottocommissione del Comando Alleato per i Monumenti, Belle Arti e Archivi.
Sono numerosi i sopralluoghi[53] che in presenza di Lavagnino, Vannutelli e De Angelis D'Ossat svolgono le autorità americane, coordinate in particolare dal maggiore De Wald, dal tenente Cott e dal tenente Hartt, nel mese di luglio presso i depositi vaticani, per controllare il contenuto delle casse, il cui numero totale era arrivato a seicentosessantaquattro per lo Stato italiano, a cui vanno aggiunte quelle provenienti dal Tesoro di San Marco e dal patriarcato di Venezia, per raggiungere un totale di settecentoquattordici casse.
La graduale ripresa della città di Roma verso un orizzonte di pace e di democrazia prende forma anche attraverso l'arte, la forza della bellezza e della storia, testimoniata in modo esemplare nella ricchezza e diversità della produzione artistica italiana di tutti i secoli. Pur avviando fin dall'estate le operazioni di restituzione, le opere non vengono immediatamente consegnate ai musei o ai collezionisti loro proprietari, ma sono utilizzate per la realizzazione di importanti mostre che sfruttano l'immenso "museo universale" che si è venuto a creare in un unico Luogo. Tali iniziative vogliono soprattutto essere segno e motore di un'affermazione dell'identità nazionale e culturale, che la guerra aveva messo in pericolo, ma non era riuscita a distruggere, sottolineando da un lato il ritorno alla normalità, dall'altro un'occasione per raccogliere fondi destinati ai restauri e al ripristino.
È infatti nell'estate del 1944 che nasce l'Associazione nazionale per il Restauro dei Monumenti danneggiati dalla guerra, nella quale, insieme a tutti i soprintendenti e molti studiosi, compaiono anche Bartolomeo Nogara e Filippo Magi. Parallelamente, il 16 novembre 1944 monsignor Giovanni Costantini comunica al ministro Guido De Ruggiero che Pio XII, con Lettera 31 ottobre 1944, allegata e firmata dal sostituto alla Segreteria di Stato, Giovan Battista Montini, affida alla Pontificia Commissione Centrale per l'Arte Sacra di provvedere alla ricostruzione e al restauro di tutti gli edifici ecclesiastici.
Il 27 agosto 1944 inaugura La mostra Capolavori della pittura europea XV- XVII secoli[54], organizzata dalla Commissione MFAA (Allied Commission for Monuments Fine Arts and Archives) di cui è rappresentante il tenente Perry B. Cott[55]. La mostra, che in un primo tempo avrebbe dovuto tenersi alla GNAM dove la direttrice, Palma Bucarelli, aveva ottenuto di utilizzare gli spazi espositivi ancora occupati dal materiale della mostra della Rivoluzione fascista del 1932[56], fu allestita nelle sale del piano nobile di Palazzo Venezia, dalla sala del Pappagallo, alla sala del Mappamondo (ex studio di Mussolini), fino alla sala Regia.
A questa seguirà nell'aprile 1945 la Mostra temporanea di insigni opere d'arte appartenenti alle Gallerie di Roma, Napoli, Urbino, Milano, Venezia, tenuta alla Galleria Borghese[57], e nel maggio di quello stesso anno, ma frutto di una lunga gestazione documentata fin dal novembre del 1944, inaugurerà la Mostra di capolavori della pittura veneziana e di opere d'arte di collezioni private romane, organizzata dall'Associazione Nazionale per il Restauro dei Monumenti danneggiati dalla guerra, con il coordinamento di Carlo L. Ragghianti allora sottosegretario al Ministero della Pubblica Istruzione[58], e da un Comitato esecutivo presieduto dal principe Urbano Barberini.
Parallelamente anche il Vaticano, nello specifico la Biblioteca Apostolica, apre le sue porte nel marzo 1945 con una mostra - allestita nella magnifica cornice del Salone Sistino - che presenta al grande pubblico i codici miniati e altre preziosità archivistiche e bibliografiche provenienti non solo da Montecassino ma anche da archivi e biblioteche di Frascati, Grottaferrata, Ariccia, Poggio Nativo, Ponticelli e dalle numerose istituzioni romane, a testimonianza della ricchezza e della vastità del materiale documentario, culla della memoria e dell'identità culturale della nostra civiltà[59].
In conclusione, ciò che è interessante sottolineare in merito a questo singolo capitolo del più articolato volume che racconta la complessa vicenda della salvaguardia del patrimonio italiano durante la Seconda guerra mondiale, sono due aspetti: il primo è la possibilità di far convergere posizioni profondamente differenti in ragione di qualcosa che si riconosce come patrimonio collettivo, come ricchezza non limitata né esclusiva del luogo o della civiltà che l'ha prodotta; il secondo, solo in apparenza in contraddizione, è la necessità che ogni patrimonio culturale, nella sua vastità e complessità, rimanga radicato al tessuto connettivo che ha dato senso e realtà ad un determinato prodotto. I conflitti bellici, le azioni di violenza, sopraffazione e distruzione fanno percepire con estrema chiarezza la fragilità e al tempo stesso la potenza identitaria che la cultura di ogni civiltà porta con sé.
È per queste ragioni che il Vaticano ha assolto ad un compito principalmente simbolico: geograficamente collocato nel cuore di Roma e storicamente ancorato alle radici della nostra cultura occidentale, era il luogo emblematicamente destinato a custodire e a proteggere la nostra memoria. Una delle personalità interne al Vaticano che maggiormente si sono prodigate affinché tutto ciò fosse possibile era un giovane monsignore, sostituto della Segreteria di Stato, Giovan Battista Montini[60], poi salito al soglio pontificio con il nome di Paolo VI. La sua cultura filosofica ed estetica, oltre che teologica e spirituale, ha protetto e promosso una visione pragmatica e operativa, ma soprattutto consapevole delle ricadute civili ed etiche che tale visione portava con sé.
Il risultato di questa operazione è stato dunque riconoscere l'assenza di confini culturali nel rispetto dei confini geografici e politici, ma soprattutto sostenere l'universalità della cultura al di sopra e al di là di ogni appartenenza ideologica. Probabilmente Montini sarebbe stato d'accordo con le parole che Benedetto Croce scrive in apertura del catalogo della mostra 50 monumenti danneggiati dalla guerra in Italia, del 1946
Che cosa sono le opere delta bellezza se non raggi del divino che splendono nell’umana fantasia e che la mano dell'artefice fissa nella materia piegandola al fine di rischiarare e consolare e animare nel travaglio della vita? E che cosa altro sono i volumi e le carte nelle quali per segni grafici si serbano e si tramandano la poesia, le musiche e canti, la filosofia, la storia, la scienza, la saggezza che i secoli hanno creato e che similmente sorreggono il lavoro di quello che si chiama nel linguaggio ordinario il progresso e la civiltà?[61].
Note al testo
[1] La lettera è in ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III, 1929-1960, Busta 257: Affari generali. Opere trafugate periodo di guerra.
[2] Lavagnino, Migliaia di opere d’arte rifugiate in Vaticano, cit., p. 8.
[3] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Busta 125: Personale cessato al 1956.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] Lavagnino, Migliaia di opere d'arte rifugiate in Vaticano, cit., p. 83.
[8] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Busta 125: Personale cessato al 1956.
[9] Lavagnino, Diario di un salvataggio artistico, cit., pp. 509-547, alla data del 21 gennaio.
[10] Benedetto Croce usò questa espressione nel suo intervento all’Assemblea Costituente sul Trattato di pace del 1947.
[11] Archivio Centrale dello Stato, Ministero Pubblica Istruzione, Direzione Generale Antichità e Belle Arti (d'ora in poi ACS, MPI, AA.BB.AA.), Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125, fase. 407, relazione del 12.11.1943; ma anche Divisione III (1929-1960), Busta 257, fasc. Rapporti con le autorità germaniche per la tutela delle opere d'arte.
[12] IV Convenzione dell'Aja 1907 concernente le leggi e gli usi della guerra per la terra, artt. 28, 46, 47 e 56. Poi riprese dal Tribunale di Norimberga.
[13] Cfr. «Revue Générale de Droit Internationale Public», Paris 1919, vol. 26, mars-avril, pp. 329 e ss.; La protection des monuments et objets historiques et artistiques contre les destructions de la guerre. Proposition de la Société néerlandaise d'archéologie, in «Mouseion», voll. 39-40, Paris 1937, pp. 81-89.
[14] Come scrisse Filippo Crispolti, il 16 novembre 1917 alla Segreteria di Stato subito dopo la disfatta di Caporetto: cfr. M.A. De Angelis, Il ruolo del Vaticano per la salvaguardia delle opere d'arte italiane durante la seconda guerra mondiale e i dipinti di Brera sub tutela Sanctae Sedis, in C. Ghibaudi (a cura di), Brera e la guerra. La pinacoteca di Milano e le istituzioni museali milanesi durante il primo e il secondo conflitto mondiale, catalogo della mostra (Milano, Pinacoteca di Brera, 10 novembre 2009-21 marzo 2010), Milano 2009, pp. 135-145.
[15] Richieste intensificate a partire dal 1936 a firma del Ministro Bottai come dello stesso Mussolini. Tutta la documentazione è conservata presso ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione II, Busta 69.
[16] La lettera e l'apposito questionario furono inviati solo il 1° novembre 1942. I primi trasferimenti verso il Vaticano saranno avviati autonomamente a partire dal gennaio 1943.
[17] S. Pagano, «Scrinium tutum». L'Archivio Segreto Vaticano rifugio di tesori d'arte e di storia durante l'ultima guerra (1940-1945), in «Archives et Bibliothèques de Belgique (Miscellanea in honorem C. Kecskeméti)», 1998, pp. 377-406. È importante ricordare l'opera svolta da Giulio Battelli, funzionario dell'Archivio Segreto Vaticano, nel recupero degli archivi e biblioteche. L’archivio Segreto e la Biblioteca Apostolica rimasero chiusi per la prima volta dopo l'estate. Erano infatti non solo rimasti aperti ma accessibili a tutti gli studiosi senza nessuna discriminazione di razza o religione. Si veda G. Battelli, Archivi, biblioteche e opere d'arte. Ricordi del tempo di guerra (1943-45), in «Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae», Città del Vaticano, VII, 2000, pp. 53-104. Sulla protezione del patrimonio archivistico e librario in Italia si veda A. Capaccioni, A. Paoli, R. Ranieri (a cura di), Le biblioteche e gli archivi durante la seconda guerra mondiale, il caso italiano, Bologna 2007.
[18] Si veda in particolare: L. Klinkhammer, L'occupazione tedesca in Italia 1943-1945, Torino 1993; Id., Die Abteilung Kunstschutz der deutschenmilitrverwaltung in Italien, in «Quellen und Forschungen aus italianischen Archiven und Biblioteken», 72, 1992, pp. 483-549.; Id., Strutture e forme dell’amministrazione tedesca, in Istituto Romano per la storia d'Italia dal fascismo alla resistenza (a cura di), Roma durante l'occupazione nazifascista, Milano 2009, pp. 55-272. Sempre sul Kunstschutz si veda anche C. Fuhrmeister [et al.], Kunsthistoriker im Krieg: Deutscher Militdrischer Kunstschutz in Italien 1943-1945, Köln 2012.
[19] G. Sailer ha in preparazione una biografia della Speier frutto della sua tesi di Dottorato all'Università di Fribourg.
[20] Nell'Archivio dei Musei Vaticani è conservata la bozza di una lettera, per questo non firmata, nella quale si dichiara la. correttezza di comportamento e azione del maggiore Evers in data 13 giugno 1946: «Dichiara il sottoscritto che il prof. Dr. Hans Gerhard Evers, già Consigliere dell’Amministrazione Militare Tedesca, nell'inverno 1943-44, ebbe contatti con lui per tutelare, quanto più fosse possibile, il patrimonio artistico italiano dalle offese di guerra, e specialmente per agevolare con veicoli e scorte il trasporto delle casse che la R. Soprintendenza ai Musei e alle Gallerie veniva depositando nel magazzino della Pinacoteca Vaticana. In queste operazioni il Dr. Evers si è comportato lealmente e preoccupato soltanto dal pensiero di dover salvare da ogni pericolo i monumenti storici ed artistici che sono documento insostituibile della nostra civiltà. Città del Vaticano, 13 giugno 1946». Archivio Storico Musei Vaticani (d'ora in poi ASMV), Singoli dossier- 87A, Elenchi e documenti diversi.
[21] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125, fasc. Gestione dei fondi per la protezione del patrimonio arch. e artistico dalle offese della guerra, relazione di De Tomasso, 28.12.1943, pp. 6-8 della relazione.
[22] Esemplare la lettera che il direttore generale, Marino Lazzari, invia a Toesca e a mons. Giovanni Costantini, chiedendo il loro sostegno scientifico per organizzare le operazioni di tutela del patrimonio artistico. La citiamo per intero. ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busta 257, lettera di Marino Lazzari in data 21 Ottobre 1943: «[...] In quest'ora tragica della storia nazionale, il patrimonio artistico italiano versa in condizioni di tale gravità che la normale autorità amministrativa della Direzione Generale delle Arti e dello stesso Ministero dell'Educazione Nazionale non è purtroppo più sufficiente a garantire l’integrità delle nostre collezioni artistiche nei territori invasi o occupati dallo straniero; né la situazione consente di ricorrere, per le decisioni che di volta in volta si rendono necessarie ed urgenti, alla consulenza della V Sezione del Consiglio Superiore dell'Educazione. In tale situazione, alla grave responsabilità che m'è imposta nei confronti dei superiori dagli atti amministrativi del mio ufficio, sento aggiungersi anche più grave e quasi schiacciante la responsabilità della tutela del patrimonio artistico nei confronti degli studiosi, del paese, del mondo intero. Né mi sentirei di portare tal peso, che pure mi parrebbe atto di viltà o di suprema disperazione abbandonare nel momento del maggior pericolo, se io non sapessi di poter contare sull'autorevole consiglio e sulla cordiale collaborazione dei più eminenti studiosi d’antichità e d'arte italiani. Mi permetta dunque, [...] di chiederle di volermi assistere con la Sua competenza, con la Sua esperienza e con il Suo alto senso di civismo in un’azione che non ha altro scopo se non quello di conservare all'Italia, in quest'ora di pericolo, il possesso del suo patrimonio artistico. Poiché la situazione non lo consente, quest'opera di consulenza non verrà organizzata in una commissione costituita, ma rimarrà affidata al mio personale impegno di consultarla per tutte le decisioni, su tutte le richieste e relativamente a tutti i fatti che possano comunque riferirsi alla salvezza del patrimonio artistico e alla sua difesa contro chiunque, avvalendosi del diritto della forza, intenda a menomarlo o a sottrarlo al nostro controllo diretto. Fin d’ora La ringrazio, [...] dell'adesione ch’Ella non vorrà negare a chi, da italiano a italiano, gliene rivolge rispettosa richiesta».
[23] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione II, Busta 59, fase. 339: in un documento datato 11 novembre 1939, prot. n. 527, si prevedeva di usare la rampa elicoidale di Castel Sant’Angelo muovendo le opere in «gabbie» e di avvolgere gli oggetti solo in «tela da imballo» perché non sarebbe stato necessario che le opere venissero trasportare altrove: ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione II, Busta 69, in particolare fasc. 502 documenti con datazioni varie dal 1932 al 1938. Si veda anche: ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione II, Busta 57, fasc. 283: circa l'acquisto di lana di vetro per la protezione antiaerea, impianti parafulmini e sacchetti di carta; fasc. 287: per la legge sulla protezione del patrimonio artistico della Nazione in caso di guerra. I documenti sono datati 1940-1941. È interessante ricordare che molte delle ditte di imballaggio e di trasporti allora utilizzate, ancora collaborano oggi con i nostri Musei: tra le varie le ditte Tartaglia, Montenovi e Gondrand.
[24] ASMV, Rapporti mensili della custodia, Rapporto del mese di luglio 1943.
[25] Cfr. Lettera al card. Francesco Marchetti-Selvaggiani, 20 luglio 1943, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, V anno di Pontificato, 2 marzo 1943- 1 marzo 1944, Milano 1944, pp. 401-404.
[26] ASMV, Rapporti mensili della custodia, Rapporto del mese di settembre 1943.
[27] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busta 257, documento del 22 ottobre 1943. Padre Leccisotti, vice archivista di Montecassino, sembra convinto che le opere saranno portate a Roma. Con la stessa data un altro appunto non firmato, del Ministero dell'Educazione Nazionale, dà notizia invece che le opere provenienti da Montecassino si trovano a Spoleto.
[28] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busta 257.
[29] ACS, Ministero dell'Interno, Dir. Gen. Pubblica Sicurezza, Dir. Affari Generali, RR 1943, Busta 71, prot. 27213.
[30] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busta 257. Appunto non firmato che riferisce una dichiarazione di Padre Leccisotti.
[31] ASMV, Rapporti mensili della custodia, Rapporto del mese di novembre. A. Ferrara (a cura di), 1943 - Bombe sul Vaticano, Città del Vaticano-Pescara 2010.
[32] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125, fasc. 407, relazione di Argan del 19.11.1943.
[33] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125, fasc. Gestione dei fondi per la protezione del patrimonio arch. e artistico dalle offese della guerra, relazione di De Tomasso, 28.12.1943, pp. 6-8.
[34] L'appunto non firmato, probabilmente di Marino Lazzari, è indirizzato ad Argan. Gli si chiede di comunicare al barone von Tieschowitz che a breve inizieranno i trasporti in Vaticano, passando per l’arco delle Campane, e di avvertire la guardia germanica. Si veda ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busca 257, 15 novembre 1943.
[35] Tra questi una Verbalnote, con la quale il comando germanico si dichiarava pronto a dare ogni aiuto per trasferire in Vaticano documenti e cimeli che le autorità ecclesiastiche italiane avessero designato. Cfr. De Angelis, II ruolo del Vaticano, cit. in Ghibaudi (a cura dì), Brera e la guerra, cit., p. 138.
[36] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125, fasc. 407, relazione del 19.11.1943.
[37] E. Lavagnino, Migliaia di opere d'arte rifugiate in Vaticano, in «Strenna dei Romanisti», VII, 1946, pp. 82-88: 84.
[38] La sala del Museo Egizio è specificata in numerosi verbali di consegna, conservati presso ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busta 257, Verbali di consegna al Vaticano e presso ASMV, Singoli dossier - 87°, cartella 5: Documentazione riguardante le opere d'arte da Collezioni pubbliche e private che durante la 2° guerra mondiale furono depositate in Vaticano. 1943-55 e ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busta 257: Verbali di consegna al Vaticano. Cfr. infra nota 41.
[39] Le liste delle opere depositate presso i Musei Vaticani sono conservate nell’ASMV e nell'ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busta 78. I verbali di consegna sono firmati, oltre che da Nogara e Babuscio Rizzo per il Vaticano, da Romanelli, De Tomasso, Argan, Lavagnino, De Angelis D'Ossat: ACS, MPI, Dir. Gen. AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busca 257, fasc. Verbali di consegna al Vaticano; ASMV, Singoli dossier - 87A: cartella 5: Documentazione riguardante le opere d'arte da Collezioni pubbliche e private che durante la 2° guerra mondiale furono depositate in Vaticano. 1943-55. Gli ispettori elencati supervisioneranno i primi otto verbali; dal 10 al 14 sarà presente Emilio Lavagnino; dal 15 al 19 Giorgio Rosi e Giuseppe Gregorietti.
[40] Si ricordano dalla ricca e recente bibliografia: L. Cantatore (a cura di), Palma Bucarelli, 1944. Cronaca di sei mesi, Roma 1997; S. Giannella, P.D. Mandelli, L’Arca dell'Arte, Cassina de’ Pecchi 1999; A. Lavagnino, Un inverno, 1943-1944: testimonianze e ricordi sulle operazioni per la salvaguardia delle opere d'arte italiane durante la seconda guerra mondiale, Palermo 2006; S. Rinaldi, L'attività della. Direzione Generale delle Arti nella città aperta di Roma, in «Rivista dell'Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte», 60, III serie, XXVIII, 2005, p. 95-126; R. Morselli (a cura di), Fuori dalla guerra: Emilia Lavagnino e la salvaguardia delle opere d'arte nel Lazio, prefazione di Tullio De Mauro, Milano 2010.
[41] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125, De Tomasso, relazione del 01.12.1943.
[42] ACS, MPI, AA.BBAA., Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125, Relazione di De Tomasso, 07.12.1943. Non tutto il materiale proveniente da Civita Castellana va in Vaticano: settantacinque casse con matrici in rame vengono trasportate alla Calcografia Nazionale dove viene constatato il buono stato di conservazione (De Tomasso, relazione 15 dicembre 1943). Per l'arrivo in Vaticano cfr. ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busta 78, Casse contenenti opere d'arte trasportate in Vaticano. Elenco n. 4.
[43] Per quanto avvenne durante la cerimonia di consegna cfr. anche la relazione dell'ispettore generale Ugo Costa, il quale dovette pronunciare alcune parole di ringraziamento in rappresentanza del Ministero: ACS, MPI, AA.BB.AA., Div. III (1929-1960), Busta 257, IV Rapporti Costa. Il dott. Costa sottolinea come la richiesta di un breve discorso ufficiale fosse stata vincolata dalle autorità germaniche alla consegna di quanto ancora era nelle mani della divisione Goering a Spoleto; nella stessa busta il comunicato per la stampa riporta il discorso di Bartoli, lì presente per il Ministro, che invece non parlò, e la presenza di molti funzionari in realtà non presenti.
[44] II 28.12 si stabilisce una nuova consegna con analoghe disposizioni pubblicitarie, che dovrà avvenire il 3 gennaio 1944, e che riguarda proprio la divisione Goering, ovvero le seicento casse da Spoleto, contenenti le opere da Napoli.
[45] Citato in P. Nicita, La tutela in tempo di guerra, in Morselli (a cura di), Fuori dalla guerra, cit., p. 63.
[46] Come da relazione di Vannutelli le casse erano in buono stato di conservazione: ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125, fasc. Gestione dei fondi, cit., p. 32.
[47] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125
[48] E. Lavagnino, Migliaio di opere d'arte rifugiate in Vaticano, cit., p. 85; cfr. anche ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125, fasc. Gestione dei fondi per la protezione del patrimonio arch. e artistico dalle offese della guerra, relazione di Vannutelli, 2 ottobre 1944, pp. 27-28.
[49] ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione 111 (1929-1960), Busta 257.
[50] E. Lavagnino, Migliaia di opere d'arte rifugiate in Vaticano, cit., p. 87, ma anche in ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione I, Personale cessato al 1965, Busta 125, fase. Gestione dei fondi per la protezione del patrimonio arch. e artistico dalle offese della guerra, relazione di Vannutelli, 2 ottobre 1944, pp. 42-43.
[51] Fin dai primi trasferimenti era stato disposto l'utilizzo della sala dei Monumenti Reali del Museo Egizio (cfr. supra nota 28); ASMV, Singoli dossier - 87°, cartella 5: Documentazione riguardante le opere d'arte da Collezioni pubbliche e private che durante la 2° guerra mondiale furono depositate in Vaticano. 1943-55 e ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione Ill (1929-1960), Busta 257, Verbali di consegna al Vaticano, dove sono conservati gli elenchi completi. Tuttavia si tratta probabilmente di individuare altri spazi all’ interno dello stesso Museo.
[52] In perfetta coincidenza con questa circolare, il 1° giugno 1944, prot. 691 del Ministero della Pubblica Istruzione, il sottosegretario di Stato Jervolino scrive ai vescovi per sollecitare azione di salvaguardia e di primo intervento da parte dei parroci e dei rettori, come risulta da una relazione del 1° agosto 1944 indirizzata al ministro dell'Istruzione Pubblica, da autore ignoto; ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione III (1929-1960), Busta 257, p. 2v.
[53] Le relazioni del restauratore Silvio Grossi riportano i seguenti sopralluoghi: 3 luglio undici casse; 4 luglio diciotto casse; 6 luglio sedici casse; 8 luglio ventidue casse; 11 luglio quattordici casse; 26 luglio quattordici casse. Cfr. ACS, MPI, AA.BB.AA., Divisione Ill (1929-1960), Busta 257, Verbali del Laboratorio Vaticano per il Restauro delle opere d'arte e ASMV, Busta 91B, Cartella: Verbali spostamenti di oggetto nei Musei e Gallerie Pontificie - 1944-45.
[54] Mostra Capolavori della pittura europea XV-XVII secoli. Palazzo Venezia - Roma 1944. Organizzata ed allestita dalla divisione per i monumenti, belle arti e archivi - regione IV Governo Militare Alleato senza numeri di pagine.
[55] B. Granata, "E le contiamo, queste opere, come il comandante conta i suoi soldati dopo la battaglia... ". Note intorno alle due mostre d'arte antica a Palazzo Venezia nel 1944-1945, in Morselli (a cura di), Fuori dalla guerra, cit., pp. 77-98. La mostra ottenne un grande successo e fu prorogata fino al 18 febbraio 1945.
[56] Granata, "E le contiamo, queste opere, cit. in Morselli (a cura di), Fuori dalla guerra, cit., p. 80; cfr. anche il saggio di M.V. Marini Clarelli in questo volume, pp. 141-148: 147-148.
[57] Mostra temporanea di insigni opere d'arte appartenenti alle gallerie di Roma, Napoli, Urbino, Milano, Venezia: Galleria Borghese, Roma, 1945, Roma 1945.
[58] Associazione nazionale per il restauro dei monumenti danneggiati dalla guerra (a cura di), Mostra d'arte italiana a Palazzo Venezia, Roma 1945. Furono presentare centodiciotto opere.
[59] A. Albareda (a cura di), Biblioteche ospiti della Vaticana nella Seconda Guerra Mondiale, col catalogo dei cimeli esposti nel Salone Sistino, Città del Vaticano 1945. Sempre nel marzo del 1945 usci un numero monografico di «Ecclesia», n. 3, interamente dedicato ai vari aspetti della salvaguardia del patrimonio artistico e culturale da parte del Vaticano.
[60] Si veda su questo periodo anche T. Venuti, Corrispondenza clandestina col Vaticano. Carteggio Nogara-Montini, Udine 1980, dedicato allo scambio epistolare tra Montini e Giuseppe Nogara, fratello del direttore dei Musei Vaticani.
[61] B. Croce, Prefazione, in E. Lavagnino (a cura di), Cinquanta monumenti italiani danneggiati dalla guerra, Roma 1946, s.p.