Il discernimento richiede alcuni presupposti, altrimenti è impossibile. Note di spiritualità, da Ignazio di Loyola a Chiara d’Assisi, passando per Evagrio, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito alcuni appunti di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. . I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. la sezione Maestri nello Spirito.
Il Centro culturale Gli scritti (26/4/2022)
N.B. Gli appunti che seguono nascono da dialoghi con un padre spirituale di seminaristi.
1/ Il discernimento richiede alcuni presupposti, altrimenti è impossibile. Note di spiritualità
Per fare discernimento sulla propria vocazione, sulla volontà di Dio, occorrono dei presupposti. Senza tali presupposti il discernimento è impossibile! Pochi lo dichiarano, ma così è!
Occorre una conoscenza di sé, occorre “essere in contatto con se stessi” – mi dice un amico, padre spirituale. Altrimenti scambi i tuoi problemi, i tuoi pallini o i tuoi blocchi con “Dio mi ha detto”, “Dio non mi ha detto”!
È necessario essere alfabetizzati emotivamente per capire che taluni movimenti interiori, desideri, pulsioni, sono problematici, sono nostri e nulla hanno a che fare con Dio.
Altrimenti è impossibile entrare nel discernimento della volontà di Dio. Se io do per scontato che delle cose che desidero sono buone, non potrò mai ascoltare veramente le consolazioni e le desolazioni che si combattono in me.
Non è solo durante il discernimento che si capisce questo, ma prima!
Ad esempio, chi è sempre critico, sempre problematico, sempre pronto a vedere il male, come potrà capire in quale direzione Dio sta mostrando una “consolazione”? Qualsiasi via intraprenderà sarà preso da tristezza!
Oppure se uno è bulimico, se vuole continuamente cose, se non sa godere e nemmeno valutare ciò che ha, si sentirà continuamente chiamato ad aggiungere cose da fare, senza domandarsi se sia veramente volontà di Dio. Potrebbe non porsi mai il problema se ciò che propone agli altri li aiuta a crescere verso il Signore!
Bisogna stare molto attenti perché nella vita di una persona si intersecano continuamente il livello spirituale e quello psichico. Uno dei drammi del tempo presente è che tanti giovani non sono in contatto con se stessi, appunto. Sono stati abituati a censurare i loro sentimenti. Non sanno confrontarsi con gli altri su ciò che provano, spesso perché hanno vissuto in famiglie disastrate: non tanto in famiglie di peccatori, ma in famiglie in cui non sono stati abituati a chiamare per nome i sentimenti.
Ad esempio, sono stati abituati a dire sempre che tutto andava bene, anche se i genitori non erano coerenti con se stessi, perché in famiglia non era possibile esprimersi e si era obbligati a dire che tutto andava bene.
Questo amico – padre spirituale - afferma che, secondo la sua esperienza, chi è stato in un gruppo giovanile da piccolo, ad esempio nello scoutismo o in un gruppo dei giovani in parrocchia, è più abituato a capire i sentimenti, si è scontrato con i suoi amici, ha avuto un educatore che ha fatto da “arbitro”, si è abituato a capire le esagerazioni e le immaturità, sia vedendole in sé come negli altri, sia verbalizzandole, dandole un nome.
Si è abituato a capire che la propria volontà è diversa da quella degli altri e da quella di Dio.
I grandi santi del cinquecento che hanno insegnato a leggere i cuori avevano anch’essi problemi – si pensi a Teresa d’Avila che aveva talvolta momenti depressivi al punto che una volta venne dichiarata morta, solo perché catatonica.
Quello che di certo aiutava quei santi era, innanzitutto, la loro fede incrollabile. Per essi Dio era vivo e presente e questo li trasportava fuori dai loro problemi. Non annullava le loro problematiche irrisolte, ma essi sapevano convivere con i propri problemi, togliendo loro stessi dal centro, liberandoli dal narcisismo.
Inoltre avevano un senso vivissimo del bisogno della salvezza degli altri uomini. Per loro era questione di vita o di morte aiutare gli altri a credere ed anche questo li distoglieva da sé: erano pieni del bisogno che gli altri trovassero Dio, al punto che si decentravano necessariamente per questo.
Avevano anche un senso chiarissimo della vita eterna, del fatto che l’esistenza in questa terra è transitoria e non erano quindi eccessivamente preoccupati di lodi e di avversioni.
Per Ignazio di Loyola il discernimento non durava anni, bastava pochissimo, Un mese era sufficiente per comprendere la propria vocazione!
Diceva che se il discernimento non ha un tempo determinato, un tempo fissato, allora non avverrà mai. Bisogna dare a Dio un tempo: se entro quel tempo Dio non ha fatto avvertire le sue mozioni, vuol dire che quella cosa non è per te, che Dio non la vuole.
Quando una persona non è in grado di operare un discernimento, perché è troppo immatura affettivamente – afferma questo mio amico – si deve sperare che intervenga un fattore esterno, un innamoramento, una persona che ti bastoni, qualche situazione che capiti, perché altrimenti tali persone possono stare nel guado per anni e anni, senza decidersi in nulla!
Ognuno ha dei difetti e dei peccati, ma deve essere cosciente di tali difetti e peccati: chi non sa chiamare per nome i propri difetti e peccati - essere egocentrico, ipersensibile, orgoglioso, pettegolo, pigro, irascibile, sospettoso, depresso, irrisolto, partigiano, ecc. - non è in grado di fare discernimento!
2/ Di Chiara d’Assisi quale figura decisiva per capire san Francesco
Chiara d’Assisi è una cartina al tornasole per comprendere se si è compreso bene Francesco d’Assisi.
In lei la povertà non è segno del servizio dei poveri, in chiave puramente sociale, per quanto ciò sia interessante.
Chiara è povera per essere simile a Cristo e questo le basta. Per questo è povera anche nelle relazioni, è povera nell’obbedienza, è povera nel vivere nello stesso luogo.
Certo la figura di Chiara è diversa da quella del monachesimo benedettino, che sceglieva monasteri lontano dalla città.
Chiara, invece, sceglie di vivere in un monastero in città, per essere vicina alla chiesa locale, per essere un segno nella città, perché le persone possano camminare alla luce della preghiera delle clarisse e perché possano anche trovare consigli in monastero.
Ma il monastero non è a servizio dei poveri, se non occasionalmente, ed esclude la predicazione itinerante.
Mentre il monachesimo benedettino non aveva grate, è con il movimento clariano che si giunge ad esse, come una “logica” conseguenza, proprio perché il monastero è cittadino e non lontano dagli abitati.
Questo per Francesco era ottimo e confacente al suo itinerario.
Non è vero che non esisteva altra possibilità che la clausura al tempo, perché vennero creati i Terz’Ordini che premettano la predicazione e l’itineranza.
La scelta del Secondo Ordine con Chiara è preciso e chiaro.
E Chiara è Francesco, Chiara vive la povertà così come Francesco la concepisce.
3/ Della trasmissione della spiritualità da oriente a occidente
Figura chiave nel passaggio in occidente delle conoscenze spirituali maturate in oriente è Giovanni Cassiamo, con le sue Conferenze spirituali. È un testo fondamentale sia per Ignazio di Loyola, sia per Filippo Neri. Giovanni Cassiano si trasferì dall’oriente in occidente, fondando una comunità monastica a Marsiglia.
In particolare la IV conferenza segnò i maestri del cinquecento.
In Cassiano confluiscono anche gli insegnamenti Evagrio Pontico che fu amico di Basilio e poi aiutò Gregorio di Nazianzo a Costantinopoli.
Una volta entrato in crisi ed innamoratosi, decise di recarsi a Gerusalemme, al monte degli Ulivi, da Melania l’anziana e Rufino. Fu Melania a fargli prendere l’abito monastico. Si recò poi in Egitto, nel Deserto delle Celle.
Evagrio fu poco noto in occidente, fino a tempi recenti, a causa della questione origeniana.
I padri del deserto palestinese sono più equilibrati, generalmente di quelli del deserto egiziano, si pensi al grande Barsanufio di Gaza. Scavi recenti hanno riportato alla luce alcuni monasteri antichi dell’antica diocesi di Maiuma, vicino Gaza (identificato con El-Mïneh), in particolare il Monastero di Ilarione (oggi Umm 'Amr) e quello di Bethéléa (oggi Jabaliyê).
La questione origeniana, scoppiata quando già Origene era morto da molto tempo, si concluse con giudizi ingiusti, innanzitutto proprio perché venne dibattuta dopo la sua morte. In secondo luogo perché egli aveva ammesso l’apocatastasi come ipotesi affermando, però, che si sarebbe attenuto alla chiesa se essa avesse deciso diversamente.
Ma, soprattutto, al tempo ciò che destò scalpore fu il suo netto rifiuto dell’antropomorfismo professato da diversi monaci del tempo.
Teofilo d’Alessandria combatte diversi origeniani, per paura dei monaci più vicini all’antropomorfismo.
Crisostomo, invece, li ospitò quando furono obbligati alla fuga e, in particolare, ospitò i lunghi fratelli (erano 4 fratelli origeniani molto alti) in fuga, Dioscoro, vescovo di Ermopoli, Ammone, Eusebio ed Eutimio
Evagrio morì nel 399 e la sua tomba è rimasta ignota, scomparsa al tempo dell’invasione islamica. Diversi suoi scritti sono circolati poi sotto il nome di Diadoco di Foticea, proprio per evitare l’accusa di origenismo.
A Roma il monastero dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino era degli orientali.