“Beati voi”. Di un aspetto spesso dimenticato delle beatitudini, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito un testo di Andrea Lonardo per il Sussidio per la lectio divina preparato dalla diocesi di Roma per l’anno pastorale 2021-2022. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per ulteriori testi, cfr. le sezioni Sacra Scrittura e Maestri nello Spirito.
Il Centro culturale Gli scritti (26/4/2022)
Le beatitudini sono spesso viste in maniera moralistica, semplicemente come impegni da realizzare e, conseguentemente, come un’utopia che mai prenderà carne. Se le beatitudini fossero solo qualcosa da realizzare con le proprie forze sarebbero qualcosa di lontano dalla realtà concretissima della vita, dove sarebbe impossibile incontrare qualcuno che sia povero in spirito, puro di cuore, carico di lacrime e lieto, misericordioso.
Addirittura, per questa via, le beatitudini potrebbero essere utilizzate come estrema critica distruttiva della vita cristiana. Esse sarebbero interpretabili come una sconfessione della Chiesa e dell’umanità in genere: “Ma non vi accorgete che non state vivendo le beatitudini e che, quindi, voi stessi siete la prova che la fede cristiana che annuncia le beatitudini è impossibile e non ha senso?”.
Invece, al termine di esse, Gesù dice: «Beati voi»: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi» (Mt 5,11-12).
«Beati voi», beati voi apostoli e discepoli che mi state ascoltando qui sul lago di Tiberiade. Voi vivrete tutte queste beatitudini! Io vi annunzio che vi appartengono, che sono vostre, che la Chiesa le vivrà in pienezza. Beati “voi”, perché gli apostoli le hanno vissute pienamente e perché i loro successori, i vescovi, e con loro i cristiani, le vivono in pienezza.
Voi, non altri. Voi ora e domani, non mai. Voi, non chissà quando. Voi, proprio voi!
Per Gesù le beatitudini non sono un astratto programma, irrealizzabile, bensì sono la vita concretissima che vivranno innanzitutto gli apostoli e poi, al loro seguito, i cristiani di ogni generazione.
Quanto è falsa, allora, dopo quel “beati voi”, quella visione che vede negli apostoli i primi traditori del messaggio di Gesù, mentre essi sono presenti in quel “voi”, fra quelle persone che Gesù ha dinanzi: di essi proclama che vivranno le beatitudini.
Proprio l’ascolto contemplativo della città che la diocesi ha come programma sta provocando tutti ad accorgersi come il Vangelo si stia già realizzando concretamente nella storia e come il mondo sia pieno di persone che vivono le beatitudini: contemplare l’agire di Dio nella storia della città per accorgersi quanto le beatitudini siano già vissute e non solo ancora da vivere.
Le beatitudini non sono un’utopia, ma sono la vita concreta vissuta da Pietro e da Paolo, da Giovanni e Giacomo, dalla Maddalena e da Maria di Cleofe, da Maria di Betania, da Marta e da Lazzaro. Da Stefano, da Filippo e dall’eunuco. Da Timoteo e Silvano, da Aquila e Priscilla.
E non solo da loro. Anche dalla schiera dei santi che sono in ogni secolo. Incredibile è il numero dei santi che, ognuno in modo diversissimo, hanno vissuto quelle beatitudini.
Ci sono Francesco d’Assisi, Chiara e i santi laici del Terz’Ordine francescano che utilizzavano il denaro – e che diversità nelle loro vite - , ma c’è anche Ignazio di Loyola. Ci sono Ildegarda e Caterina da Siena. Ci sono Giustino il filosofo, Monica la madre e il figlio Agostino, così come Tommaso d’Aquino. Ci sono Tommaso Becket e Tommaso Moro. Ci sono Edith Stein e Brigida di Svezia, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Ci sono van Thuan e don Andrea Santoro. C’è Chiara Corbella Petrillo.
Cristo è così grande che ognuno ne ha vissuto una dimensione e ognuno, a suo modo, ne è un riflesso. Ognuno ha vissuto e vive una di quelle beatitudini e sarebbe stato più povero il cristianesimo se avesse avuto solo Francesco d’Assisi e non anche Chiara e il Terz’Ordine laicale nel mondo, così come Domenico o Benedetto Giuseppe Labre. Ma anche Dante, Chesterton e Tolkien. Perché Francesco d’Assisi è stato un cristiano, perché Ignazio è stato un cristiano, perché Dante è stato un cristiano e non Cristo un francescano o un gesuita o un dantista: le forme di santità sono tantissime e tanti santi hanno vissuto ora l’una ora l’altra delle beatitudini, esaltando ora un carisma ora un altro.
Nelle epoche in cui siamo abituati dagli storici a vedere quanti peccati hanno commesso i cristiani, maggiormente il numero dei santi è stato abbondante. A chiunque conosca la storia insieme alla spiritualità, appare subito evidente che non si può capire appieno un’epoca se non si conoscono i santi di quel periodo. Non si può capire la rivoluzione francese se non si conoscono le sante martiri carmelitane di Compiègne. Non si può capire il nazismo o il comunismo se non si contemplano Massimiliano Kolbe o i martiri dei Gulag.
Ma non ci sono solo i santi degli altari. C’è, infatti, quella che papa Franceso chiama la “classe media della santità, anch’essa impregnata delle beatitudini:
«Io vedo la santità nel popolo di Dio, la sua santità quotidiana. C’è una “classe media della santità” di cui tutti possiamo far parte, quella che di cui parla Malègue». Il Papa si sta riferendo a Joseph Malègue, uno scrittore francese a lui caro, nato nel 1876 e morto nel 1940. In particolare alla sua trilogia incompiuta Pierres noires. Les Classes moyennes du Salut. Alcuni critici francesi lo definirono «il Proust cattolico». «Io vedo la santità — prosegue il Papa — nel popolo di Dio paziente: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono una santità nascosta. Questa per me è la santità comune. La santità io la associo spesso alla pazienza: non solo la pazienza come hypomoné, il farsi carico degli avvenimenti e delle circostanze della vita, ma anche come costanza nell’andare avanti, giorno per giorno. Questa è la santità della Iglesia militante di cui parla anche sant’Ignazio. Questa è stata la santità dei miei genitori: di mio papà, di mia mamma, di mia nonna Rosa che mi ha fatto tanto bene. Nel breviario io ho il testamento di mia nonna Rosa, e lo leggo spesso: per me è come una preghiera. Lei è una santa che ha tanto sofferto, anche moralmente, ed è sempre andata avanti con coraggio». «Questa Chiesa con la quale dobbiamo “sentire” è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità» (dalla prima intervista di papa Francesco a padre A. Spadaro, concessa alla Civiltà Cattolica e ripubblicata su L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIII, n. 216, Sab. 21/09/2013).
Vi sono addirittura alcuni che vivono le beatitudini senza nemmeno sapere di essere strettamente legati al popolo santo di Dio.
Ecco che le beatitudini non sono una condanna, ma un annuncio: un annuncio non moralistico, bensì la proclamazione del kerygma che il Signore è quel compagno di vita che annuncia: “Beati voi”.
Certo, spesso noi non apparteniamo a quella “classe media della santità” e ce ne vergogniamo e sentiamo l’appello alla conversione che è fortissimo ed esigente nelle beatitudini. Ma al contempo vediamo quanti nostri fratelli vivono quelle beatitudini, quanti incontriamo che quella beatitudine sperimentano ogni giorno. È proprio l’ascolto contemplativo della realtà a farcene accorgere.
Le beatitudini, insomma, sono un’“esperienza” concretissima che ognuno vede realizzata quando incontra un vero cristiano. E quanti ce ne sono al nostro fianco!
Le beatitudini si rivelano, allora, non una maledizione o una condanna irrevocabile della Chiesa e dell’umanità, bensì un incontro che si rinnova e che ci rinnova.
Le beatitudini sono anche un invito a convertire il nostro sguardo per vedere come Dio già opera nella storia e come sia possibile scorgere ogni giorno i segni del suo operare nel mondo nei “beati”.
Credere non vuol dire affermare astrattamente che Dio esiste: credere significa contemplare che egli concretamente opera nel mondo e converte i cuori, perché gli uomini possano vivere le beatitudini.
Per questo Gesù ha detto «Beati voi». E non «Beato chissà chi».