Del sinodo e della mentalità adeguata per viverlo, di Andrea Lonardo
Riprendiamo sul nostro sito una nota di Andrea Lonardo. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line. Per approfondimenti, cfr. la sezione Teologia pastorale.
Il Centro culturale Gli scritti (19/4/2022)
Talvolta nelle parrocchie il sinodo viene evocato per sterili discussioni clericali. C’è quella persona che vuole più potere, quel gruppo di famiglie che desiderano avere più spazio, ci sono quelli di quel servizio che battibeccano fra loro. Il sinodo viene evocato dinanzi a discussioni su come debbano essere posizionati i fiori in preparazione ad una liturgia o su chi debba leggere quella lettura o contare quel salmo.
Talvolta alcuni laici sono molto più clericali dei preti e il loro principale interesse è costituito da beghe interne.
Ma, per fortuna, non è così sempre, ci sono laici veramente laici, persone che hanno il polso della vita, e il Signore sia benedetto per essi.
Il sinodo vuol dire per loro respirare, pensare in grande, oppure anche in piccolo, nel senso di amare le storie del proprio quartiere, le storie di chi studia o lavora, dei negozi che chiudono, dei giovani che si perdono, di chi, invece, riesce a sposarsi e a generare bambini.
Sinodalità è interrogarsi sulla fecondità dei quartieri, su quanti bambini nascano in una comunità, su quale sia la condizione delle scuole e delle università, su cosa si legga e come si passi il tempo libero, su come i non credenti scoprano il vangelo, su come si avvicinino nuovi catecumeni a chiedere il Battesimo, se la comunità cristiana riesca a produrre cultura e ad apprendere quel che di buono viene generato da altri nel tessuto sociale - proporre e accogliere -, su come vivano gli anziani del proprio quartiere, su come ci si prepari alla morte e alla speranza, su come si educhi alla carità e alla condivisione dei beni.
Mi colpì anni fa una lucidissima osservazione di un teologo: “Quando si parla di annunciare il Vangelo ad extra, quando si tratta per la chiesa di uscire, spesso si riduce questo ad uno sterile spostarsi fisicamente: "Faccio una Via crucis per le strade", "Vado al parco pubblico a cantare canti religiosi", "Metto un banchetto dinanzi al supermercato". Ma questo è un uscire che è secondo la logica degli spazi, quasi che bastasse mettersi in un determinato punto per annunciare Cristo o per capire veramente quali sono i problemi dei nostri quartieri o delle nostre città”.
Continuava affermando: “Quello che è importante invece – ed è ben più difficile – è entrare negli interessi veri delle persone, nei loro linguaggi, entrare con la mente e con il cuore in ciò che davvero pensano, con vera empatia e affetto, entrare nella cultura che si respira, nei modi di vivere che strutturano le relazioni, le amicizie, gli affetti delle persone, che strutturano la politica e la ricerca scientifica e la produzione di mentalità”.
Quanto è vero! Puoi andare per le strade, ma parlare sempre il tuo linguaggio e non ascoltare niente, non essere nemmeno consapevole dei blocchi che esistono per la cultura dominante riguardo alla famiglia, al lavoro, allo studio, al lavoro, al tempo libero. Si può andare nelle piazze e non avere interesse per la mentalità che ha la gente e per la loro vita così come è.
Si può, invece, stare in casa e fermarsi un po’ a studiare e avere un cuore e una mente che respirano come il mondo, entrando veramente in dialogo con il mondo, con la vita, con il tempo. Lo si vede da come persone apparentemente meno attive, sono invece ascoltate e ricercate, come sappiano capire il punto di vista di chi non crede, anche senza essere andate a fare volantinaggi nelle piazze.